Categoria: Approfondimenti

Studiare costa, ma in Italia i prestiti d'onore ancora non decollano

Secondo il Rapporto sugli atenei italiani, pubblicato da Federconsumatori lo scorso ottobre, uno studentefuori sede spende mediamente tra i 7mila e i 9mila euro l’anno per l’università, che scendono tra i 1.600 e i 1.300 per chi continua a vivere con i propri genitori. Di queste cifre, un importo calcolato tra i 500 e gli 800 euro va via solo per il pagamento della tassa di iscrizione all’università. Ma di soldi per il diritto allo studio, per borse di studio e alloggi universitari, ce ne sono sempre meno. Basti pensare che il cosiddetto «ddl stabilità», approvato dal governo Berlusconi con l'obiettivo di effettuare tagli alla spesa pubblica, prevedeva una drastica riduzione di questi fondi: dai 246 milioni stanziati inizialmente per il 2012 dovevano esserne tagliati 220 (di conseguenza il fondo per quest'anno sarebbe rimasto di 26 milioni). Il governo Monti ha moderato il taglio, prevedendolo per 210 milioni di euro ma spalmati nei tre anni 2012-2014: nel dettaglio, 33 milioni verranno tagliati nel 2012, e poi 88 milioni nei due anni successivi. Ma aiutare le famiglie a fronteggiare le ingenti spese per l'istruzione di gigli e nipoti è urgente: per questo negli ultimi mesi alcuni atenei stanno scommettendo sul prestito d’onore. Si tratta di un finanziamento erogato dall’università, in collaborazione con le singole banche, agli studenti universitari senza alcuna garanzia accessoria, per pagare un corso di laurea o un master, a determinate condizioni.In Italia questa pratica è introdotta dalla legge 390 del 1991, che stabilisce requisiti precisi per accedere al prestito – come ad esempio rientrare tra gli studenti aventi diritto alla borsa di studio. Inoltre la restituzione del prestito avviene a rate e solo dopo l’inizio di una qualsiasi attività lavorativa, e la rata del rimborso non può superare il 20% del reddito del beneficiario. I prestiti però non sono partiti, perché il decreto che doveva fissare i criteri di concessione delle garanzie e degli interessi non è mai stato emanato.Una decina d’anni dopo, vengono istituiti il Fondo per il sostegno dei giovani e per favorire la mobilità tra gli studenti (decreto 198 dell'ottobre 2003), in cui rientra la «concessione agli studenti di prestiti d’onore», e, con la legge finanziaria del 2004, un fondo una tantum di 10 milioni di euro per la «costituzione di garanzie sul rimborso dei prestiti fiduciari e per la corresponsione di contributi i  conto interessi a capaci e meritevoli privi di mezzi». Nel 2008 e nel 2010 è la volta rispettivamente dei progetti «Diamogli credito» e «Diamogli futuro», promossi entrambi dal ministero delle Politiche giovanili, poi ministero della Gioventù: nel primo caso il fondo stanziato è di 33 milioni di euro per tre anni, a garanzia delle somme prestate agli studenti dalle banche aderenti all’iniziativa; nel secondo progetto i 19 milioni di euro stabiliti servono a garantire il finanziamento degli studi a giovani meritevoli, per un tetto massimo di 5mila euro l’anno. L’ultimo provvedimento legislativo in ordine di tempo è la legge 240 del dicembre 2010 che istituisce il Fondo per il merito per l’erogazione di premi di studio e la fornitura di buoni studio, che prevedono una quota – fissata sulla base dei propri risultati accademici – da restituire al termine degli studi secondo tempi variabili sulla base del reddito percepito.Ma quanto è stato applicato finora il prestito d’onore? Stando ai dati Miur, poco. Dal 2003 a oggi sono stati concessi mediamente circa 660 prestiti l’anno, su un totale di iscritti all'università pari a poco meno di un milione e 800mila iscritti. Attualmente gli atenei stanno dando vita a una serie di progetti per incentivare il ricorso al prestito d’onore. L’iniziativa più recente è quella dell’università Ca’ Foscari di Venezia: gli studenti dell’ateneo (iscritti alle lauree triennali, magistrali, master e dottorati) hanno la possibilità di chiedere un prestito di 2mila euro a un tasso agevolato (1%) per pagare le tasse, grazie a una convenzione con le banche ci credito cooperativo della Marca e di Monastier e del Sile. L’iniziativa partirà dal prossimo anno: l'accordo prevede l'erogazione di 63 prestiti a giovani poco abbienti ma ritenuti meritevoli in base ad alcuni parametri (voto di laurea o di maturità, numero di esami sostenuti in un determinato periodo). La restituzione del prestito avverrà quando lo studente avrà trovato un lavoro – e nel caso di laurea con il massimo dei voti è prevista l’estinzione del debito.L’ateneo di Urbino ha stipulato una convenzione con Banca Marche per concedere un finanziamento rivolto a studenti iscritti a lauree specialistiche, master, dottorati o corsi di specializzazione, di importo annuo massimo variabile: 6mila euro nel primo caso per un periodo-limite di due anni; 12mila euro nel caso di master con durata pari o inferiore a un anno o di dottorati. Il periodo massimo di erogazione è rispettivamente di uno e tre anni. Lo studente ha diritto a un conto corrente gratuito, con tutta una serie di vantaggi in termini di flessibilità: pagamento degli interessi solo sulle somme effettivamente utilizzate, versamenti sul conto corrente per ripristinare la disponibilità e abbattere gli oneri finanziari, organizzazione dei tempi e delle modalità di rimborso dei finanziamenti, possibilità di estinguere il finanziamento in qualsiasi momento senza penali. Per determinati corsi di studio sono richiesti agli studenti specifici requisiti in termini di conseguimento di crediti formativi universitari (cfu). Non possono beneficiare del finanziamento gli studenti che siano contemporaneamente anche imprenditori, liberi professionisti o comunque svolgano un’attività lavorativa diversa da quella di «lavoratore dipendente» o simile.Dal 15 dicembre 2011 fino al 30 aprile 2015 la Regione Toscana stanzia prestiti d’onore, sempre attraverso convenzioni con alcuni istituti di credito, a favore di giovani dai 22 ai 35 anni in possesso di laurea magistrale, anche conseguita all’estero, con voto non inferiore a 100/110,  residenti o domiciliati in Toscana da almeno due anni al momento della presentazione della domanda e che abbiano conseguito la laurea magistrale non oltre un anno dalla durata legale del corso di studi.I prestiti possono essere richiesti per compiere percorsi di formazione come dottorati di ricerca, corsi di specializzazione post laurea magistrale, master di II livello realizzati in Italia e all’estero presso università pubbliche statali o private, istituti o scuole di alta formazione riconosciute dal Miur o dall’autorità competente dello stato estero. Il prestito può avere un importo massimo pari a 50mila euro. Il rimborso inizierà entro 12 mesi dall’ingresso nel mercato del lavoro del beneficiario e in ogni caso entro 24 mesi dalla conclusione del programma di studi per il quale si è richiesto il finanziamento. Il prestito d’onore ha durata massima di 20 anni: in caso di abbandono del corso di studio, il rimborso dovrà iniziare nei sei mesi successivi alla sospensione degli studi. Altre università, come quelle dell’Insubria e di Macerata, hanno attivato lo scorso anno accademico prestiti d’onore a favore dei propri studenti e non è da escludere che possano rinnovare quest’iniziativa anche per il prossimo.In ultima analisi quello dei prestiti d'onore non è ancora uno strumento particolarmente gettonato nel nostro Paese. Sarà interessante verificare se, in corrispondenza di eventuali aumenti delle tasse universitarie, anche il ricorso a questa forma di finanziamento registrerà una crescita.Chiara Del PriorePer approfondire questo argomento, leggi anche:- Addio diritto allo studio? Fondi ministeriali ridotti all'osso- Università come agenzie per il lavoro a costo zero: una deriva da scongiurare- La Regione Toscana presenta il progetto «Giovani Sì!» per sostenere studenti, stagisti e precari: 300 milioni di euro in tre anni

Trovare lavoro in Europa, per i giovani c'è Eures

Secondo l’Unione Europea, oltre cinque milioni di giovani dei 27 stati Ue cercano un posto di lavoro, su un totale di una popolazione di età compresa tra i 15 e i 29 anni pari a 94 milioni di persone. Più della metà degli under 29 residenti in uno dei paesi europei è disposta a lavorare all’estero o vorrebbe trasferirsi per lavoro in un altro stato comunitario, ma è frenata dalla mancanza di sostegno nella ricerca di un impiego o dalla scarsità di risorse economiche. Nel 2010 è stato lanciato Youth on the Move, un pacchetto di iniziative, volute dalla Commissione europea per fronteggiare il problema della disoccupazione giovanile e favorire la mobilità professionale. In quest’ottica si inserisce Eures (European employment services – servizi europei per l’impiego), rete di cooperazione, istituita nel 1993, tra la Commissione Europea e servizi pubblici dell’occupazione degli stati membri del See (ossia Unione Europea più Norvegia, Islanda e Liechtenstein) e della Svizzera, sindacati e organizzazioni dei datori di lavoro. Eures ha tre principali obiettivi: informare e orientare chi è interessato a spostarsi sulle possibilità di impiego e sulle condizioni di vita e lavorative; assistere i datori di lavoro, che intendono assumere lavoratori di altri paesi; fornire assistenza a chi offre e cerca lavoro nelle regioni transfrontaliere, ossia con un numero notevole di pendolari transfrontalieri. Per svolgere questi compiti, Eures si affida a un portale, che rientra nel finanziamento di 550mila euro, stanziato dall’Unione europea per  i servizi Eures, per il periodo dal primo giugno 2012 al 31 maggio 2013. La sezione «candidati» permette di cercare le offerte di lavoro disponibili, e creare un proprio account, dove inserire informazioni personali e pubblicare a aggiornare il cv. C'è poi una parte del sito dedicata ai datori di lavoro, che guida chi intende assumere personale all’estero individuando tutti i passaggi necessari da compiere prima (ad esempio l’inserimento di un annuncio), durante (fase di reclutamento) e dopo – ossia tutte le iniziative legate all’inserimento del lavoratore appena assunto. Anche le aziende possono creare un proprio account sul sito. La sezione «vita e lavoro» prende invece in considerazione gli aspetti rilevanti da un punto di vista pratico, giuridico e amministrativo di ciascun Paese, fondamentali per chi intende spostarsi all’estero. L’area «apprendimento» infine presenta tutte le informazioni utili sulle opportunità di studio e di lavoro in Europa: siti degli istituti di istruzione superiore, banche dati di corsi di formazione, scuole e così via.Come spiega alla Repubblica degli Stagisti Daniele Lunetta, funzionario del ministero del Lavoro e responsabile del coordinamento nazionale di Eures, questa realtà conta su tutto il territorio italiano 65 advisor, presenti nei principali centri per l’impiego, le cui attività sono coordinate a livello nazionale. Attualmente il portale ha 62.500 utenti attivi, di cui oltre 56mila cittadini, 3.500 aziende, 3mila agenzie. Nella prima metà di luglio il sito ha registrato un traffico medio di 8mila visitatori unici al giorno. A oggi sono pubblicate 6.700 vacancies, per un totale di oltre 11mila posti di lavoro. Tutti i servizi sono gratuiti. Di recente Eures ha diffuso anche una guida che spiega obiettivi e modalità di partecipazione dell’iniziativa «Il tuo primo lavoro Eures», partita per ora in Italia, Germania, Danimarca e Spagna, che punta a favorire l’ingresso nel mercato del lavoro e a ridurre gli ostacoli alla mobilità professionale. Obiettivo per il 2012-2013 è iniziare con 5mila assunzioni. Destinatari dell'iniziativa giovani tra i 18 e i 30 anni, cittadini di uno dei 27 stati membri dell’Ue e datori di lavoro. La Commissione europea offre un sostegno finanziario, variabile a seconda dal paese di destinazione e stabilito in specifiche tabelle, che consiste in un contributo alle spese di viaggio e di sussistenza per effettuare colloqui e trasferirsi in un altro paese per prendere servizio. Quanto ai requisiti, è sufficiente avere non più di trent’anni (il limite si riferisce al momento di presentazione della candidatura) e voler lavorare in un paese diverso da quello di residenza – a prescindere dal livello di qualifica, dall’esperienza di lavoro o dal contesto economico e sociale. I contributi sono erogati dalla Commissione europea e sono versati prima di partecipare a un colloquio di lavoro in un altro paese Ue o di traferirsi al nuovo posto di lavoro nel paese di destinazione. Le indennità per il colloquio all'estero vanno dai 200 euro netti – se la distanza dal proprio luogo di residenza è inferiore a 500 km – ai 300 euro nel caso di distanza maggiore. L’assegnazione richiede una dichiarazione firmata dal candidato. Il contributo alle spese di viaggio e sussistenza varia a seconda del Paese di destinazione: il più alto è quello della Danimarca (1.200 euro netti), i più bassi quelli di Bulgaria e Romania (600 euro). Per la Francia, ad esempio, il contributo ammonta a 990, per il Regno Unito a 1.000, per la Spagna a 840 euro. Tutti gli importi sono indicati nelle tabelle allegate alla guida. Il progetto sarà un importante banco di prova per Eures – che in futuro potrebbe anche passare a essere, da rete dei servizi per l'impiego europei, un unico strumento paneuropeo a favore dell'occupazione.Chiara Del PriorePer approfondire questo argomento, leggi anche:- Centri per l'impiego, la riforma del lavoro riuscirà a rilanciarli? Per ora servono solo al 3% dei disoccupati- A Ichino piacciono i Jobrumors: «I siti che riportano le occasioni di lavoro sono preziosi per il mercato e lo rendono trasparente»-Basta davvero un clic per trovare lavoro? Il ministero investe 400mila euro in un nuovo portale per l'impiego

I video virali partono da Palermo: la storia di Mosaicoon, start-up dell'anno 2012

«Abbiamo appena compiuto due anni: essere già riusciti a farci notare è stata una bellissima soddisfazione». Ugo Parodi, 30enne palermitano, commenta così il premio come start-up dell'anno che PNICube, l'associazione che riunisce gli incubatori universitari, ha consegnato a fine maggio a Mosaicoon, l'azienda che ha fondato all'inizio del 2010. L'anno successivo era già finita tra le 36 finaliste del Premio nazionale dell'innovazione, senza però riuscire a vincere. Nel 2012 ha invece sbaragliato la concorrenza ottenendo il riconoscimento che viene assegnato «all'azienda che, tra quelle che hanno partecipato l'anno precedente al Pni, ha avuto la maggior crescita».Per arrivare a ottenere risultati di questo livello questo startupper palermitano è partito da lontano. Con una laurea in cinema al Dams, ottenuta nel 2004 dopo aver studiato tra Bologna, Barcellona e Palermo, e un master di otto mesi in cinema digitale e promozionale, ha cominciato a lavorare realizzando documentari e piccole pubblicità. Per due anni si è mosso sul mercato ottenendo solo «delle prestazioni occasionali». Fino a che nel 2007 non ha deciso di mettere a frutto i contenuti della sua tesi di laurea.«Avevo svolto una ricerca sui video virali e da questo progetto ho costituito nel 2007 la mia prima azienda che si chiamava Belsito media». Una società a responsabilità limitata il cui capitale sociale - messo insieme grazie ai risparmi di Parodi - ammontava a 10mila euro, costituita a Mondello, borgo marinaro di Palermo. La start-up si occupava «dello sviluppo di campagne virali on-line, dalla fase di produzione passando per la distribuzione fino ad arrivare al monitoraggio finale». Così da dimostrare al cliente quanto i contenuti realizzati avessero trovato diffusione in rete.Nonostante le forti radici siciliane, per riuscire a crescere la Belsito media ha dovuto muoversi da subito a livello nazionale. «La parte commerciale è senza dubbio quella che ci ha creato le maggiori difficoltà. A Palermo non era facile trovare clienti, così andavo a Milano e a Roma per proporre una doppia novità: un'azienda nuova che si occupava di un prodotto inedito». E forse è stato proprio «il servizio innovativo» ad aiutare questa start-up a crescere. Sempre nel 2007 l'azienda inizia una sinergia con Arca, incubatore d'impresa dell'università di Palermo. «Abbiamo partecipato al bando Start Cup, arrivando terzi. Questa è stata l'occasione per partecipare al premio nazionale dell'innovazione». Nessun premio in quell'occasione, se non l'avvio di una collaborazione con Arca: Belsito media non viene incubata, ma comincia a usufruire di alcuni dei servizi messi a disposizione.Ed è su queste basi che dopo due anni, nel dicembre del 2009, Parodi dà vita alla prima operazione di venture capital, ovvero una ricerca di finanziatori disposti a sostenere l'azienda. «Abbiamo trovato come socio di capitale la Vertis Venture, che ha investito 650mila euro». Un finanziamento che ha cambiato molte cose, a cominciare dal nome: «All'inizio del 2010 è nata Mosaicoon, una società per azioni con un capitale sociale di 200mila euro». Già alla fine del 2011, forte di un fatturato che ha raggiunto il milione di euro, la start-up ha raggiunto gli equilibri di bilancio. Oggi alla sede palermitana affianca due uffici commerciali, uno a Roma l'altro a Milano, e impiega 25 dipendenti: «La maggior parte a tempo indeterminato, per gli altri abbiamo scelto l'apprendistato». E i tirocini? «Non crediamo tanto in questo tipo di percorso». Dunque Mosaicoon accoglie stagisti ma solo «per il periodo che serve all'università. Gli ingressi in azienda sono sempre finalizzati all'assunzione: prima di tutto svolgiamo un colloquio e se riteniamo valida la persona che si è proposta allora accettiamo». L'assunzione arriva solo al termine del periodo previsto dall'università per il percorso formativo. Nel frattempo «garantiamo un rimborso spese che dipende però da diversi fattori, come la durata del progetto e l'orario svolto». E per stagisti e dipendenti non è da poco poter fare un'esperienza all'interno della start-up dell'anno 2012.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere altre storie di start-up? Leggi anche:- Quando «l'arte del bere» si fa start-up per tradizione di famiglia- Yalla Yalla, la start-up che fa viaggiare tutta la Rete- Liber Aria, in Puglia una start-up sfida il mercato editoriale- Sardex, la start-up con la valuta virtuale che fa girare l'economia- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa

Neolaureati e stage, ecco il punto di vista delle aziende

Le aziende si dicono favorevoli allo stage, e lo sono ancor di più in tempo di crisi. Lo dimostrano i dati emersi dalla 13esima indagine condotta da Gidp/Hrda - gruppo che riunisce oltre duemila dirigenti e direttori del personale- presentati a luglio presso la sede di Assolombarda a Milano. Le aziende coinvolte nella ricerca sono state 130 di cui poco meno della metà con più di 500 dipendenti: si tratta per lo più di multinazionali, collocate prevalentemente al nord-ovest [oltre la metà] e appartenenti in misura maggiore al settore metalmeccanico e terziario.I numeri snocciolati da Paolo Citterio, presidente di Gidp/Hrda e membro del consiglio direttivo di Assolombarda, presentano un approccio decisamente favorevole agli stage da parte delle aziende: quasi l’88% di queste ritiene il tirocinio propedeutico all’assunzione e la metà esatta risulta aver inserito nel corso del 2011 in organico da uno a tre giovani al termine del periodo di formazione, stipulando in un terzo dei casi un contratto di apprendistato, per un altro 30% un tempo determinato, nel 12% dei casi collaborazioni a progetto e solo per il 11% un contratto a tempo indeterminato. Tuttavia quasi un sesto delle grandi aziende intervistate ha deciso di non assumere gli stagisti al termine della loro esperienza.Ma in che modo le aziende entrano in contatto con gli aspiranti stagisti, quali sono le figure più ricercate, quali criteri sono presi più in considerazione nelle fasi di recruitment e quali vantaggi sono promessi dallo svolgimento di un tirocinio?Secondo l’indagine un terzo delle aziende impiega circa un mese per trovare un neolaureato da inserire come stagista, la ricerca avviene sui siti di placement delle università o all’interno dell’area candidature del proprio sito. A farla da padrone però sono i motori di ricerca più conosciuti per l’intermediazione tra domanda e offerta di lavoro: oltre il la metà degli H.R. manager va a caccia di candidature su Monster.it, il 7,69% si affida a Jobrapido.com e buoni spunti sono offerti anche dai social media come Linkedin.com e H2Biz.eu. I più ricercati sono gli ingegneri, quasi il 28,48%, meglio se gestionali, seguono i laureati in economia [24%] e gli informatici [6,33%]. Come lo stesso Citterio conferma: «le lauree umanistiche non sono neanche prese in considerazione», dettaglio triste che dimostra la scarsa capacità delle aziende italiane di immaginare un’organizzazione più flessibile e in grado di valutare le risorse effettivamente possedute dai candidati. In generale aver conseguito in corso il titolo di laurea conta meno della motivazione che il candidato deve dimostrare in sede di colloquio [6,32% contro il 20%]; altri fattori tenuti in considerazione sono la conoscenza di più lingue straniere come il sempre più richiesto cinese [un quarto], l’aver avuto altre esperienze lavorative durante gli studi [un sesto] e la disponibilità a spostarsi dal luogo di residenza. In cambio le aziende offrono il loro prestigio in termini di internazionalità [il 26% delle intervistate punta su questo aspetto] e di notorietà del proprio brand. Ma le aziende sanno che questi aspetti non posso bastare e per incentivare lo stagista meno della metà di queste riconosce buoni pasto e rimborsi spese, il 29% un rimborso spese tra i 500 e i 600 euro mensili e addirittura c’è chi «paga» il tirocinio tra i 900 e i 1000 euro: ma si tratta solo del 2,17% delle grandi imprese, che per giunta dedica questo trattamento particolare principalmente agli ingegneri. «Lo stage è un’occasione importante per i giovani» secondo Massimo Bottelli, direttore del settore sindacale e sociale di Assolombarda,che durante il convegno di presentazione dei dati ha citato un articolo di Gustavo Piga pubblicato dal Financial Times: «Come ha scritto recentemente il professor Piga, docente di economia presso l’università di Tor Vergata di Roma, quando la crisi economica sarà finita corriamo il rischio di perdere dal mercato del lavoro la generazione che attualmente ha tra i 25 e i 34 anni. Lo stage diventa quindi uno strumento per non rimanere esclusi dal mercato del lavoro». Della stessa opinione è Laura Mengoni, responsabile area formazione, scuola, università e ricerca di Assolombarda, che aggiunge: «La crisi del ’92 fu peggiore di quella attuale perché all’epoca, non esistendo lo stage, chi rimase fuori dal mercato del lavoro - spesso senza esserci neanche mai entrato - vide letteralmente sparire molte possibilità di ricollocarsi». L’utilizzo di tirocini è suffragato dall’impressione che le aziende - quasi un quarto di queste - hanno nei confronti dei neolaureati,  percepiti come poco informati sulle dinamiche del mercato del lavoro, difetto che si aggiunge a inadeguate competenze e alta indecisione personale sulle scelte professionali e i progetti futuri. Di sicuro anche gli stessi stage hanno contribuito a generare questo scenario, come ammette Bottelli: «La realtà aziendale italiana è costituta per lo più da micro imprese che purtroppo hanno spesso abusato degli stage e dei ragazzi, coinvolgendoli in attività ripetitive e poco formative. Purtroppo la retorica della meritocrazia che piace molto in questi ultimi tempi rischia di rivolgersi solo alla fascia alta tanto aziendale quanto delle skills richieste ai giovani, lasciando in ombra i contesti più piccoli e contribuendo alla perdita di ampi settori del mercato del lavoro». Proprio con la preoccupazione di arginare gli abusi che si perpetuano da troppo tempo proprio in queste realtà minori, la riforma del lavoro appena entrata in vigore ha messo mano ai tirocini, introducendo [anche se bisognerà attendere entro i prossimi sei mesi la definizione delle linee guida del Ministero del lavoro e della Conferenza Stato-Regioni] il principio del riconoscimento obbligatorio di una congrua indennità per la prestazione svolta.Su questo punto lancia l’allarme Maurizio Del Conte, docente di diritto del lavoro all’università Bocconi di Milano: «Attribuire un compenso obbligatorio per lo svolgimento di un tirocinio rischia di snaturare questo strumento il cui fine è solo ed unicamente formativo. Se un datore di lavoro deve riconoscere un compenso si sentirà autorizzato a richiedere una prestazione lavorativa allo stagista, che privo di esperienza, verrà collocato allo svolgimento delle mansioni più ripetitive e banali perdendo l’occasione di imparare e fare esperienza». Eppure in Francia, dove per gli stage presso aziende private con una durata maggiore di due mesi è riconosciuto un rimborso spese fissato con una legge, non sembra abbiano corso il rischio di confondere il lavoro con la formazione. Valorizzare il tempo e l’impegno durante il periodo di stage significa incentivare i giovani, farli sentire utili nella struttura che li ospita, ma è un ottimo investimento anche per le aziende nella ricerca di nuove risorse. Lo stage non è lavoro e un compenso obbligatorio e forfettariamente stabilito per legge non sostituirà uno stipendio: se il pericolo è snaturare lo «strumento stage» - più di quanto non sia già stato fatto in questi anni - chiariti questi due punti, potrà considerarsi scampato. Lorenza Margherita Per saperne di più leggi anche:- Stagisti a zero euro, no grazie: ecco perché vietare il rimborso spese per legge sarebbe ingiusto e controproducente- I tirocini nel mezzo del cammin della riforma- Toscana, con le regole sulla qualità degli stage gli assunti passano dal 10% al 40%- Regioni e riforma del lavoro, è guerra al governo sull'articolo sui tirocini

Quando «l'arte del bere» si fa start-up per tradizione di famiglia

«Sono nata in una famiglia in cui il vino fa parte della quotidianità. Mio nonno è stato uno dei primi imprenditori ad aprire un'enoteca a Pisa». Era il 1972 e, quasi quarant'anni più tardi, Elena Tridenti ha deciso di ripercorrere le tradizioni aprendo a San Giuliano Terme «L'arte del bere». Un'enoteca dove si possono comprare bottiglie di vino di produttori locali e non, ma anche un winebar: senza alcuna maggiorazione sul prezzo è possibile consumare all'interno del locale, accompagnando rossi e bianchi ad alcuni stuzzichini. Il modello, lo si legge anche sul sito, è quello del cicchetto veneto – Elena infatti vive e lavora a Venezia: «Mi occupo soprattutto dell'organizzazione di eventi durante la settimana, mentre nei week-end scendo a Pisa».Laureata nel 2003 in Scienze politiche, dopo diversi corsi dedicati alle risorse umane e un tirocinio semestrale nell'ambito della segreteria di direzione e gestione del personale, Elena ha lavorato fino al 2007 in un'ente di promozione turistica con contratti a tempo determinato. Nel 2008 ha deciso di seguire il marito a Venezia, trovando lavoro in un agenzia per il lavoro come responsabile di selezione – questa volta con contratto di inserimento. Il tempo indeterminato è arrivato l'anno successivo, quando è diventata responsabile delle risorse umane in un'azienda che si occupa di organizzazione di eventi.Il dna, però, non mente e così, quando nel 2011 si è presentata l'occasione ha capito che avere anche qualcosa di suo l'avrebbe fatta sentire «più libera e autonoma, oltre che più gratificata». E così è nata l'Arte del Bere: una società in accomandita semplice, la formula burocraticamente più snella e che non richiede il versamento di un capitale sociale. «Siamo partiti veramente da zero: l'immobile che abbiamo preso in affitto era un magazzino di motociclette, quindi abbiamo iniziato dalla ristrutturazione». Per ottenere i fondi Elena ha chiesto un finanziamento ad una banca, aprendo un mutuo a sostegno della sua attività imprenditoriale. Nei primi mesi ha dovuto scontrarsi con la burocrazia, «le mille leggi che dicono tutto e il contrario di tutto». Risolte queste problematiche, e completato un corso di enologia per essere pronta al 100%, la startupper pisana ha avviato l'attività vera e propria affiancando alla ricerca dei vini e dei prodotti locali anche l'organizzazione di attività per attirare potenziali clienti – non solo privati, ma anche imprese interessate ad utilizzare «L'arte del bere» per ospitare eventi aziendali. A due anni dall'apertura, nonostante un fatturato annuo che si aggira intorno ai 100mila euro, «ancora non siamo riusciti a raggiungere il pareggio di bilancio». Anche perché i costi fissi non sono indifferenti: due persone lavorano all'interno dell'enoteca con un contratto di apprendistato. Di queste, una ha iniziato come stagista, svolgendo un tirocinio semestrale con un rimborso spese di 500 euro al mese, al termine del quale c'è stato l'assunzione. Un'attenzione verso i tirocinanti che Elena ha confermato anche aderendo al progetto Stagisti Card, offrendo cioè particolari sconti ai possessori della tessera lanciata dalla Repubblica degli Stagisti.L'inserimento dei tirocinanti in azienda è però un percorso che ora, dopo che la Regione Toscana ha promulgato una tra le leggi più avanzate in materia, sarebbe impossibile: «Purtroppo la normativa prevede che coloro che hanno solo apprendisti non possano ospitare tirocinanti». Mentre Elena sarebbe interessata ad accoglierne di nuovi: «Non solo per l'attività operativa in enoteca, ma anche per l'organizzazione di eventi e per le attività volte alla promozione del marchio aziendale». Fino a che non avrà trasformato almeno uno dei due apprendisti in un tempo indeterminato, però, non le sarà possibile farlo. E lei continuerà a fare la startupper pendolare, muovendosi ogni fine settimana da Venezia a Pisa.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere altre storie di start-up? Leggi anche:- Yalla Yalla, la start-up che fa viaggiare tutta la Rete- Liber Aria, in Puglia una start-up sfida il mercato editoriale- Sardex, la start-up con la valuta virtuale che fa girare l'economia- Timbuktu: è italiano il magazine per bambini più scaricato dall'Apple Store- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa

Tirocini Crui, anche l'Agenzia del Demanio li sospende per non dover pagare rimborsi agli stagisti

L'obbligo di riconoscere una congrua indennità agli stagisti non ha fermato solo gli stage organizzati dal ministero degli Esteri, ma anche quelli promossi dall'Agenzia del Demanio. Ma se la sospensione di quelli del Mae è poi rientrata quasi subito, complici anche le proteste dei 555 ragazzi che rischiavano di veder saltare la partenza fissata per i primi di settembre e alcune iniziative a livello parlamentare, l'ente che fa capo al dicastero delle Finanze ha deciso di rinunciare tout-court ai tirocini. Sicuramente per il 2012, ma molto probabilmente anche per gli anni a venire.A raccontare la vicenda alla Repubblica degli Stagisti è Maurizio Massa, 27enne laureato con lode e dignità di stampa in Architettura all'università di Genova nel marzo scorso. «Questa primavera ho presentato domanda per uno dei 35 tirocini promossi dal Demanio, percorsi della durata di sei mesi e senza alcun rimborso spese fatta eccezione per un buono pasto di sette euro e mezzo». Originario di Chiavari, il giovane aveva chiesto di poter svolgere l'esperienza formativa nel capoluogo ligure. «Ho sostenuto due colloqui telefonici, uno con la sede di Roma e l'altro con quella genovese. Il 18 maggio mi hanno comunicato che avevo vinto il bando: lo sportello lavoro del mio ateneo mi ha inviato via email il modulo di accettazione da restituire compilato entro due giorni, pena la perdita del diritto allo stage».Non c'era in effetti tempo da perdere: il programma prevedeva che il percorso formativo iniziasse il 4 giugno, per concludersi poi il 3 dicembre. Ma il 28 maggio «mi hanno telefonato dall'università per dirmi che forse il tirocinio sarebbe stato sospeso». Una possibilità diventata quasi subito certezza, a poche ore dall'avvio dello stage: «In una comunicazione urgente l'ateneo ha trasmesso una nota ufficiale dell'Agenzia del Demanio che diceva che le attività di stage erano sospese per tutelarsi da eventuali disagi economici». È stato in effetti Antonio Ronza, direttore delle risorse umane dell'AdD, ad inviare alla Fondazione Crui,  – l'ente che fa da tramite tra le università e gli enti che ospitano i tirocini – una comunicazione in questo senso lo scorso venerdì 1° giugno: solo tre giorni prima dell'avvio dei percorsi formativi all'interno delle diverse sedi locali coinvolte.«L'Agenzia del Demanio, tenuto conto delle subentrate normative regionali disciplinanti gli stage e degli annunciati interventi legislativi in materia di sviluppo del mercato del lavoro, che impattano negativamente sulle politiche gestionali interne, ha assunto la decisione di sospendere il programma di tirocinio deliberato per il 2012». Poche righe che hanno infranto il desiderio di 35 ragazzi di poter svolgere un'esperienza formativa all'interno dell'ente che si occupa di amministrare i beni immobiliari dello Stato. Eppure l'obbligo di riconoscere una congrua indennità, previsto dalla riforma, non entrerà in vigore se non dopo che il governo e le Regioni avranno approvato delle linee guida che definiscano modalità e importi minimi. Un compito che dovrà essere portato a termine entro 180 giorni dall'entrata in vigore della norma, quindi indicativamente entro la metà di gennaio – ovvero quando i tirocini AdD-Crui sarebbero terminati da oltre un mese.La questione però, come spiegano dall'ufficio stampa del Demanio, non riguarda solo la riforma Fornero. «Nelle more dell'entrata in vigore di questa normativa, alcune regioni hanno deliberato in merito alla disciplina dei tirocini». Due in particolare i casi che, secondo quanto reso noto dall'Agenzia, hanno portato alla sospensione dei percorsi formativi promossi con la Fondazione Crui: l'Abruzzo, che ha introdotto un rimborso mensile obbligatorio di 600 euro, e la Toscana, che ha fissato l'indennità in 500 euro mensili. Ospitando tirocini in tutta Italia, il Demanio avrebbe dovuto tener conto di queste indicazioni nelle regioni interessate. Rapportato ai sei mesi di durata, si tratta di un costo che oscilla tra i 3mila ed i 3.600 euro per ciascun tirocinante, che però l'AdD dichiara di non essere in grado di sostenere. «Abbiamo i budget bloccati sia per l'acquisto di beni e servizi che per le risorse umane: non possiamo permetterci di pagare queste somme». Un blocco legato alle misure di contenimento della spesa decise dal governo e che si estende a tutto il 2014, mettendo quindi a rischio il proseguimento del programma di stage. A meno che le pressioni di chi spinge per escludere la pubblica amministrazione dall'obbligo di garantire una congrua indennità agli stagisti riescano ad avere la meglio.Nel frattempo rimane l'amarezza di chi, come Maurizio, aveva puntato su un percorso di questo tipo: «Mi interessava quest'esperienza. La mia tesi riguardava la gestione immobiliare dei beni culturali e credo sia stato uno degli elementi che mi hanno permesso di essere selezionato» racconta il giovane architetto: «Ho visto cosa è successo ai tirocini del Mae, spero possa accadere qualcosa di simile anche per il Demanio. Altrimenti, trascorsi 12 mesi dalla laurea, perderò la possibilità di svolgere un tirocinio come questo».Riccardo SaporitiSe ha trovato interessante questo articolo leggi anche:- Ministero degli Esteri, 555 stage Mae-Crui bloccati e non si capisce il perché- Mae-Crui, il ministero revoca la sospensione: «I tirocini si svolgeranno regolarmente»- Mae-Crui, i deputati al governo: trovate i fondi per l'indennità agli stagistiE anche:- Ministero degli Esteri, ancora niente rimborso per i tirocini malgrado i buoni propositi della riforma- La Toscana approva la nuova legge sugli stage: per la prima volta in Italia il rimborso spese diventa obbligatorio- Stage, nuove norme regionali: sì all'obbligo di rimborso in Toscana e Abruzzo, no in Lombardia

Come cambia lo stage in Europa: viaggio in Spagna e Portogallo

La crisi influenza il modo in cui viene utilizzato lo stage? I Paesi della Penisola iberica sono tra quelli che più hanno accusato il colpo della depressione economica - che anzi in Spagna rischia di degenerare in default - eppure, come dimostra l'indagine pubblicata a maggio dalla Commissione europea, qui gli stagisti (e i lavoratori) godono di diritti e tutele assenti in contesti più floridi. In Spagna il tasso di criticità è altissimo: un giovane su due non lavora, i Neet sono due milioni e mezzo (un quinto degli under 29) e quasi uno studente su tre abbandona precocemente gli studi, tanto da richiedere un piano nazionale ad hoc. Dal Fondo "salva Stati" sono da poco partiti 100 miliardi di euro di finanziamento (a cui l'Italia contribuisce per il 17%).Lo stage però gode da tempo di diverse tutele, che la crisi ha scalfito solo in parte. Innanzitutto, pur mancando una normativa specifica, questo strumento è regolato da due testi: la riforma del sistema formativo professionale del 2002, destinata soprattutto ai giovani con bassi livelli di istruzione; e la Ley orgánica de la educación, in vigore dal 2009, che norma stage universitari, di inserimento e riqualificazione. La Formaciòn en centro de trabajo, gratuita, riguarda gli studenti delle superiori tra i 16 e i 18 anni ed è indispensabile per acquisire un diploma tecnico. Gli stage universitari si possono invece dividere grossomodo in due categorie, a seconda che esista o meno una convenzione - con contenuti simili a quella italiana, recentemente riformati. Chi ha acquisito almeno la metà dei crediti previsti può accedere, se vuole, a uno dei becas de convenios de cooperación educativa, concordati tra istituzione formatrice e aziende, che il più delle volte prevedono un contributo. Beca appunto, «borsa di studio», che per estensione è arrivata ad indicare lo stesso stage. Ogni anno lo fanno in circa 150mila universitari; ma il report non dà indicazioni sul contributo. Ce ne sono di diversi tipi: ad esempio i Becas de administraciones pùblicas, anch'essi finanziati, si svolgono negli enti pubblici (ma dal report pare riguardino solo 400 persone all'anno, un numero irrisorio rispetto alle decine di migliaia delle stime italiane); mentre quelli de collaboraciòn sono per studenti senior che fanno esperienza nella loro stessa università. I becas unitalerales invece sono offerti direttamente dalle imprese al laureato e non prevedono convenzione. Non a caso è qui che si registrano più spesso episodi di abuso. Un apposito ufficio del ministero del Lavoro è chiamato a vigilare sui 30mila percorsi attivati ogni anno, ma le ispezioni sono ritenute insufficienti. In compenso, anche per questo tipo di percorso «è previsto un finanziamento pubblico». Di nuovo non pervenuto.Infine, insieme all'equivalente del nostro praticantato, ci sono due veri e propri contratti di lavoro, più o meno sovrapponibili all'apprendistato professionalizzante e a quello di alta formazione italiani. Il Contrato para la formación è riservato a studenti di corsi professionali di età inferiore ai 25 anni (prima la soglia era 21) e dura da uno a tre anni. La retribuzione è proporzionale al tempo di lavoro e comunque mai inferiore al salario minimo interprofesional, che in Spagna ammonta a circa 21 euro al giorno. Il Contrato en prácticas, riservato a neolaureati fino a 29 anni, dura invece da sei mesi a due anni. La retribuzione non scende al di sotto del 60% (durante il primo anno) e del 75% (secondo) del salario minimo. Nel 2010 i giovani che hanno firmato queste forme contrattuali sono stati in tutto 110mila, quasi 60mila in meno in tre anni. Dagli indignados spagnoli alla «generazione disperata». Così si definiscono i 300mila giovani portoghesi che a fine 2011 sono scesi in piazza per reclamare il loro diritto a un futuro. Nella fascia 25-29 anni il tasso di disoccupazione in Portogallo non è a livelli critici (14%), ma un terzo degli under 34 anni è precario, con numeri in vistoso aumento; come aumenta quello delle false partite Iva (recibos verdes), che riguarda 77mila professionisti. Il paradosso è il solito: più alto è il livello di istruzione, più difficile diventa trovare lavoro. Il tempo medio di attesa per i trentenni supera addirittura i due anni. D'altra parte «per contrastare gli effetti della crisi il governo ha aumentato gli investimenti sullo stage», avviando molti programmi nazionali. Tutti fanno riferimento ad un decreto del 2009 che riserva questo strumento ai giovani fino a 35 anni (nessun limite è posto invece per i disabili) in cerca di prima occupazione e che abbiano almeno un diploma. Nel 2008, ad esempio, l'Iniziativa per l'investimento e l'impiego ha impiegato 100 milioni di euro e coinvolto 40mila giovani; ma il programma di maggior spicco è l'Inov, dell'istituto Iefp, l'Instituto do emprego e formação profissional, articolato in diverse misure (Inov Jovem, Art, Export, Contacto), a seconda di destinatari e settori di stage. Gli stagisti Inov ricevono fino a 838 euro al mese, a cui  si possono aggiungere anche dei benefit sociali, e le aziende che li  assumono ricevono un bonus monetario variabile da programma a programma. A livello pubblico si dispone di dati numerici piuttosto precisi, mentre rimane difficile stimare quanti tirocini sono stati avviati in ambito privato. Il primo anno di sperimentazione, nel 2006, l'Inov ha contato meno di mille partecipanti, per poi passare a 3mila due anni dopo e addirittura a 8.400 nel 2009: +400% in tre anni. In particolare l'"Inov Contacto", destinato ai laureati al loro primo impiego, ha collocato la metà dei suoi stagisti dal 2005 al 2008, in parte anche all'estero. E si è guadagnato un posto tra le best practices. Anche più alti i numeri del Youth Placement Program (Programa Estágios Profissionais), pensato per trentenni in cerca di primo impiego e under 36 disoccupati, che ogni anno raccoglie circa 20mila adesioni. Dati recenti dello Iepf riferiscono che nell'ultimo decennio in 170mila hanno beneficiato del programma, e di questi quasi quattro su cinque sono stati assunti. «La ragione del successo» spiega il report «è vista nel cofinanziamento pubblico». Trattandosi appunto di soldi pubblici, sarebbe stato opportuno rendere note le cifre: in questo il focus portoghese, come quello spagnolo - entrambi a cura del nostro Irs, l'Istituto per la ricerca sociale - appaiono piuttosto carenti, forse anche per oggettiva difficoltà di reperimento dei dati. Annalisa Di Palo Per saperne di più, leggi anche: - Paese che vai, stage che trovi: maxi report della Commissione europea- Nuova risoluzione Ue, regolamento europeo sugli stage più vicino

Il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, un problema sottovalutato

Piastrellisti, carpentieri, camerieri, meccanici, parrucchieri. Sono alcune delle professioni meno ambite in Italia stando ai dati messi in luce da una recente indagine di Confartigianato, in base alla quale circa il 65% delle offerte di lavoro che riguardano mestieri artigianali rimane pressoché ignorato. Stessa sorte anche per ciabattini, mulettisti o infermieri, introvabili secondo altri dati pubblicati da uno studio di Fondimpresa del Veneto. Da un'indagine del senatore Pietro Ichino, molto impegnato su questo tema, emerge come gli skill shortages - ovvero i posti di lavoro che restano scoperti per mancanza di manodopera dotata della qualificazione necessaria per occuparli - sarebbero addirittura 117mila, sparsi in tutte le regioni italiane e distribuiti in tutti i settori (censimento di Unioncamere nel 2011). Un problema sottovalutato in Italia, che tecnicamente viene definito mismatch tra domanda e offerta di lavoro. In pratica, nonostante i numeri allarmanti sulla disoccupazione crescente specialmente tra i giovani, si verifica il paradosso per cui migliaia di posti di lavoro rimangono vuoti. Gli annunci non trovano risposta e le aziende rinunciano a cercare. C'è ovviamente chi mette in guardia dalla scorciatoia di accusare i giovani di presunzione o "snobismo" verso lavori considerati poco gratificanti, sottolineando quanto sia comprensibile che una persona, a cui è stato "venduto" il sogno di una laurea e l'aspirazione a un'occupazione intellettuale in linea con le proprie attitudini, storca il naso di fronte a mansioni che avrebbe potuto svolgere anche senza passare per un ateneo. Innegabilmente è uno spreco per la società mandare a vuoto una risorsa meritevole e competente, costringendola a svolgere un mestiere per il quale non è necessario il grado di istruzione ottenuto. La questione ha infatti diverse sfaccettature e non si limita alla giacenza di posti di lavoro di natura manuale. Da una recente pubblicazione dell'Isfol emerge non solo un generico problema di mancato incontro tra domanda e offerta di lavoro, ma anche di un educational mismatch, ovvero di «mancata corrispondenza tra livello di istruzione raggiunto e quello richiesto da un'impresa», oltreché di skill mismatch, vale a dire di «mancata corrispondenza tra le abilità di un individuo e quelle richieste dall'azienda». Insomma non si tratta solo di non riuscire a trovare giovani disposti a dedicarsi a impieghi manuali, forse perché cresciuti nel falso mito della superiorità dei lavori intellettuali o della poca dignità di quelli in cui si utilizzano le mani. Si ha a che fare con uno sfasamento più profondo, che inficia tutto il mercato del lavoro a vari livelli. Come appunto il caso dell'overeducation, ovvero di quando si viene assunti per svolgere un impiego per il quale è richiesto un grado di istruzione inferiore.  I dati a cui si riferisce il rapporto Isfol risalgono al 2009 (non sono numerosissimi gli studi sull'argomento), e rivelano come in Italia ci sia uno degli scarti minori tra diplomati e laureati occupati rispetto agli altri Paesi europei. Se da noi circa il 74% di chi possiede un diploma ha un impiego e chi dispone di istruzione universitaria lavora nel 77% dei casi, in Francia la differenza è di almeno cinque punti percentuali in più mentre supera i dieci punti in Germania. La media Ue è in generale del 10% in più di occupabilità per chi ha un titolo universitario. A fronte di ciò, in Italia sono quattro laureati su dieci a essere interessati dal fenomeno del mismatch, dati che fanno concludere ai ricercatori dell'Isfol che «il possesso di un titolo universitario non implica necessariamente l'accesso a occupazioni di rango tale da ricompensare l'investimento in istruzione effettuato». Per non parlare poi di un'altra caratteristica squisitamente italiana: la carenza di personale qualificato in posti di lavoro di alto livello rispetto alla media internazionale. Il 19% della totalità dei posti di lavoro risulta 'qualificato', e di questi solo il 54% è ricoperto da persone con istruzione universitaria. In Spagna sono il 75% (su un totale di occupazioni qualificate pari al 20%), in Francia e in Germania il 70. La recessione economica mette tutti nelle condizioni di essere più pragmatici. E allora, se è la concretezza l'obiettivo, forse anche il sistema dell'istruzione andrebbe riformato e adeguato alle richieste del mercato del lavoro. E i ragazzi andrebbero indirizzati da subito, da giovanissimi, prospettando loro quali sono le effettive possibiltà di impiego una volta che si affacciano al mercato del lavoro. Così facendo, si andrebbe peraltro incontro alle richieste dei giovani: quasi il 60% di quelli intervistati da Eurobarometro nel 2011 ritiene molto utile l'orientamento ai fini della ricerca di un'occupazione. In una recente intervista Ichino ha ricordato l'importanza delle agenzie private di outplacement, a fronte di servizi pubblici per l'impiego spesso incapaci di svolgere questo compito. «Oggi in Italia sono poco utilizzate, perché non abbiamo ancora maturato la cultura dell’assistenza intensiva al lavoratore nella ricerca dell’occupazione; ma ci sono anche da noi, e funzionano bene. Certo, i servizi di outplacement costano cari: mediamente, l’equivalente di cinque o sei mensilità dell’ultima retribuzione del lavoratore interessato. Ma sempre meno della cassa integrazione “a perdere”». Ichino ipotizza anche una possibile opzione per i fondi: «Potrebbe essere utilizzato anche quel 60% dei contributi del Fondo sociale europeo che spetterebbero all’Italia, ma che finora non siamo stati capaci di utilizzare per inadeguatezza delle nostre iniziative nel mercato del lavoro rispetto ai requisiti di efficienza ed efficacia giustamente posti dal Fondo stesso». Senza contare le possibili ricadute di questi giacimenti di lavoro sugli inattivi, chi né studia né lavora: «Tali qualifiche sarebbero accessibili agevolmente da quasi tutti i nostri Neet; ma nessuno li informa, né dell’esistenza di questa possibilità di lavoro, né dei canali formativi disponibili per raggiungerla. E non è solo questione di mancanza di buona informazione: ai nostri giovani forniamo informazioni sbagliate, che li inducono a compiere scelte sbagliate». Una distorsione grave, a cui porre rimedio al più presto. Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Meritocrazia, una notte per convincere i giovani a crederci (e le aziende a metterla in pratica)- Disoccupazione giovanile, la vera emergenza nazionale: l'SOS di Italia Futura e le interviste a Irene Tinagli e Marco Simoni- Istat, pubblicato il nuovo rapporto sull'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro: situazione preoccupante sopratutto al Sud

Yalla Yalla, la start-up che fa viaggiare tutta la Rete

Il settore delle vacanze in Italia? «È ancora molto off-line, ma ci sono possibilità di miglioramento e di crescita». Per sfruttarle nel 2010 il 32enne Manuel Mandelli ha trovato in un "senior", Paolo Pezzoli, il socio ideale per dare vita a Yalla Yalla, agenzia di viaggio con sede a Rimini capace di arrivare, nel giro di poco più di un anno, ad un fatturato di oltre 10 milioni di euro.Dopo la laurea in finanza nel 2004 all'università Bocconi di Milano, Manuel ha iniziato subito a lavorare nel settore del turismo. «Terminati gli studi sono entrano come stagista nel gruppo Ventaglio, dove poi sono stato assunto a tempo determinato, per poi diventare direttore finanza e controllo. Nel 2007 ho lasciato per diventare amministratore delegato di Value Group, realtà che opera nel comparto turistico». Nel 2010 l'incontro con Pezzoli, che allora aveva 50 anni e una lunga carriera di imprenditore alle spalle - avendo già fondato un'azienda di animazione nei villaggi, un tour operator e per ultima, nel 1998, Easymarket (poi ceduta nel 2005 al gruppo Tui Travel).«Ci ha presentati un conoscente comune», ricorda Mandelli, «parlando ci siamo resi conto che avevamo le stesse idee sul mercato e su come sarebbe dovuto evolvere: avevamo chiaro il fatto che le persone hanno la necessità di andare in vacanza, un bisogno al quale difficilmente rinunciano». Anche in un momento difficile, come dimostrano i risultati ottenuti da Yalla Yalla proprio nel mezzo della crisi economica. Per ritagliarsi uno spazio all'interno del mercato, i due imprenditori hanno ribaltato il concetto seguito da tutti gli operatori Internet, che presentano offerte vantaggiosissime. Il punto è che «si parte da prezzi molto bassi e poi alla fine, aggiungendo diverse clausole, si arriva ad un altro. Molto più alto di quello di partenza». Una brutta sorpresa che i due imprenditori non riservano ai loro clienti: «Noi facciamo vedere, da subito, il prezzo finale. E questo, nel 2010, non era così scontato». La scelta si è rivelata vincente visto che «dopo aver lanciato il nostro sito, abbiamo visto che i nostri concorrenti si sono allineati».Il progetto legato a questa agenzia di viaggi online è partito subito in grande. La start-up è nata infatti come società per azioni e ha raccolto un capitale pari a 1 milione e 825mila euro. Mandelli e Pezzoli hanno rispettivamente il 31,8% e il 29,7% e hanno saputo coinvolgere altri due soci nel loro progetto: il fondo Vam Investments e il fondatore di Venere.com Matteo Fago, rispettivamente col 30,1% e l'8,4% delle quote. «Questi capitali ci hanno portato a raggiungere il pareggio prima di cominciare, permettendoci di investire in marketing per finanziare la crescita dell'azienda». La diffusione del marchio è passata innanzitutto da Google search: si è trattato di ottimizzare il sito in modo che apparisse tra i primi risultati forniti dal motore di ricerca. Quindi è approdata sui social network come Facebook e Twitter, fino ad arrivare proprio in queste settimane a lanciare una campagna pubblicitaria in televisione. «Il passo successivo è stato quello di stringere accordi di collaborazione con grandi portali di viaggio: LastMinute, sul cui sito vendiamo le nostre vacanze, e TripAdvisor, sul quale offriamo i nostri prezzi nelle pagine dedicate agli hotel recensiti dagli utenti», spiega Manuel.Non solo. Guardando all'esperienza di mercati online più evoluti di quello italiano, come quello anglosassone, sono state introdotte iniziative di marketing per attirare potenziali clienti: «Abbiamo il 'save the date', una giornata in cui vengono effettuati forti sconti». Oppure  particolari promozioni, come quella dello scorso mese di maggio, che offriva gratuitamente l'assicurazione in caso di annullamento del viaggio. E che a giugno è diventata un buono per parcheggiare gratuitamente in aeroporto. Grazie a queste iniziative Yalla Yalla è cresciuta in fretta, arrivando a dare lavoro a venti persone, «la maggior parte a tempo indeterminato, più qualche contratto di apprendistato. E con un'età media di 30 anni». Tra questi ci sono anche  stati due stagisti, poi inseriti in organico al termine del periodo di tirocinio.E con i 10 milioni di euro del fatturato 2011? «Sul fronte operativo eravamo al pareggio, ma abbiamo deciso di investire 600mila euro per farci conoscere, chiudendo così con un disavanzo». Quest'ultimo investimento si sta però rivelando lungimirante, visto che per il 2012 si prevede un fatturato tra i 25 ed i 30 milioni. «Quest'anno gli investimenti pubblicitari saranno due o tre volte superiori rispetto al passato e per dicembre dovremmo riuscire a raggiungere il pareggio». C'è voglia di crescere ancora, insomma. Del resto è il nome stesso dell'azienda che incita a non fermarsi: «Eravamo in Nord Africa e c'era questo ragazzino che vendeva giocattoli. Per attirare l'attenzione ripeteva 'yalla, yalla', che significa 'vai, vai'. L'idea è stata di Paolo». In effetti non poteva esserci nome più adatto per un'agenzia di viaggio.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere altre storie di start-up? 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Liber Aria, in Puglia una start-up sfida il mercato editoriale

Liber Aria. Perché «libero richiama i libri, aria è perché lavoriamo in rete. E poi è l'anagramma di libreria. E ancora perché siamo indipendenti, e in questo nome c'è la matrice della parola libertà». Giorgia Antonelli spiega così la scelta di battezzare Liber Aria la casa editrice online nata come associazione culturale nel 2008 e trasformata in srl nel novembre del 2011.Pugliese, 32 anni, questa giovane startupper vanta un curriculum accademico di tutto rispetto: una laurea in lettere ad indirizzo storico-sociale all'università di Bari, un dottorato di ricerca in storia contemporanea concluso nel 2008, quindi l'abilitazione all'insegnamento alla Ssis, la scuola di specializzazione all'insegnameno secondario chiusa nel 2009 e sostituita dal Tfa, il cosiddetto tirocinio formativo attivo. Ed è appunto presentandosi in classe che riesce ad ottenere uno stipendio. Per ora dalla sua start-up non ricava nulla, ma assicura i pagamenti ai suoi collaboratori. «In quest'ultimo anno scolastico ho lavorato grazie al bando regionale 'Diritti a scuola', che prevede l'affiancamento dei precari ai docenti di scuola. Ho ottenuto 12 punti in graduatoria e inoltre sono stata pagata», racconta.Alla regione Puglia Giorgia deve anche la nascita della sua casa editrice. «Nel 2008 ho partecipato, insieme alla mia amica Maya Calamita, a 'Principi attivi', un'iniziativa che offriva un contributo di 25mila euro a giovani che volessero lanciare un'attività». Si tratta di un progetto che rientra in 'Bollenti spiriti', il programma regionale di politiche giovanili. A questo proposito, è aperto il bando 2012: gli aspiranti startupper pugliesi hanno tempo fino al 19 ottobre per partecipare. Ottenuto il finanziamento, «abbiamo dato vita ad un'associazione culturale che si occupava di editoria online e print on demand, ovvero la possibilità di ordinare un libro e di farsi recapitare a casa la copia stampata». Il progetto regionale ha avuto la durata di diciotto mesi, passati i quali è stato necessario presentare un rendiconto delle attività svolte. «Per un po' sono andata avanti con l'associazione, poi ho deciso di provare a farne un lavoro: tanto ero una precaria della scuola e della ricerca». E siccome un'associazione non può emettere fatture di vendita, è stata creata una srl: «la mia socia aveva un altro lavoro e ha deciso di non far parte di quest'impresa, nata ufficialmente nel novembre del 2011». E così Giorgia ha cominciato quest'altro percorso da sola.Per versare i 10mila euro di capitale sociale e per finanziare le prime attività «ho chiesto un prestito ad un familiare e mi sono impegnata a saldare il debito con i primi guadagni». Dopo la fondazione, «siamo partiti con i Singolari, ovvero racconti che si possono acquistare in rete come si fa con le canzoni, pagandoli 49 centesimi», racconta Giorgia, «a settembre, però, arriveranno anche i libri, sia in forma digitale che sul tradizionale supporto cartaceo». Nonostante debba ancora compiere un anno di vita, l'azienda si è già strutturata dando lavoro a tre persone. Intanto la responsabile dell'amministrazione, che ha un contratto a tempo indeterminato. «Ho potuto farlo perché aveva dei requisti che lo consentivano, visto che si tratta di una donna che era disoccupata da tempo», spiega la startupper. Che in tema di lavoro ha le idee chiare: «io vorrei che ci fossero delle politiche di sostegno alle aziende, che prevedano sgravi per chi assume».Oggi non ce ne sono, fatto salvo quelle per le persone disoccupate da almeno due anni, e così la responsabile editoriale e quello dell'ufficio diritti sono assunti con un contratto a progetto. E poi c'è la responsabile grafica, che ha una partita Iva. Tra il personale e i costi di gestione - il nuovo sito lanciato a maggio ha inciso per qualche migliaio di euro - le spese sostenute si aggirano ad oggi intorno ai 30mila euro l'anno. La previsione definitiva si avrà con la chiusura del bilancio 2012, il primo anno completo di attività di Liber Aria. Le cui spese salgono anche perché «noi non facciamo editoria a pagamento: non sono gli autori a pagare per essere pubblicati, ma siamo noi a garantire loro un compenso». Oltre ad essere costoso, questo meccanismo «richiede una selezione più rigida delle opere». Almeno a livello promozionale però si cercano soluzioni meno onerose come l'utilizzo dei social network. Liber Aria è presente infatti sia su Twitter che su Facebook. «Il 20 maggio abbiamo organizzato una festa per la presentazione del nuovo portale, stiamo lavorando anche per avere delle presentazioni delle opere dei nostri autori e per ottenere delle recensioni dei nostri libri».Per diventare imprenditrice, però, non bastano passione e inventiva. «La mia tesi era dedicata alla Comunità europea, quindi qualche elemento di economia l'avevo. Diciamo che mi sono fatta le ossa scontrandomi con le cose reali: i pagamenti, il commercialista, il bilancio». Per approfondire al meglio tutti gli aspetti di una casa editrice «nel 2011 ho frequentato un corso sull'amministrazione e la gestione organizzato dalla Minimum Fax». Un'esperienza importante prima di fondare l'azienda. Ed è stato su questi banche che Giorgia ha imparato che «per ora il pareggio lo calcoliamo libro per libro, non abbiamo ancora la forza per un piano editoriale complessivo. Dovremo avere anche i libri cartacei per capire quando raggiungeremo il break even, credo che lo vedremo il prossimo anno».Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere altre storie di start-up? Leggi anche:- Sardex, la start-up con la valuta virtuale che fa girare l'economia- Timbuktu: è italiano il magazine per bambini più scaricato dall'Apple Store- ApparatiEffimeri, la pubblicità giovane si proietta sugli edifici- Dalla pianta di jatropha il seme di una start-up, anzi due- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa