Categoria: Approfondimenti

Quando le aziende scommettono sul Southworking, così si combatte la disoccupazione al Sud

Lavorare al Sud, anziché dover emigrare al Nord. Ma senza necessariamente cambiare datore di lavoro. Il southworking è una pratica di cui si intravedevano i prodromi già prima della pandemia, e che dopo lo shock del Covid non si è più arrestata. Niente spese di affitto insostenibili in città dove il soggiorno in una stanza si porta via una parte sostanziosa dello stipendio, ma un lavoro da casa, grazie alle tecnologie digitali che lo rendono possibile. E le aziende stanno cominciando a cogliere l'opportunità. La multinazionale della consulenza Bip lo scorso autunno ha aperto una sede a Palermo. Una sfida che non significa isolare chi lavora da sedi lontane, ma anzi sfruttare il potenziale presente in loco. «Non si penalizza chi è operativo da Messina o da Palermo rispetto a chi è a Milano» ragionava Nino Lo Bianco, presidente della multinazionale e siciliano doc, intervenendo a novembre scorso in una trasmissione di Class CNBC: «Perché anche chi è al Sud è connesso con altre squadre che stanno portando avanti progetti internazionali, negli Usa come in Spagna, non limitandosi alla realtà locale». Sono state assunte settanta persone, di cui la maggioranza neolaureati dell'università di Palermo e del dipartimento palermitano della Lumsa. Ma «l'obiettivo è raddoppiare gli assunti entro primavera» fa sapere Lo Bianco. Lo stesso sta accadendo in un'altra big della consulenza, EY, che già prima della pandemia aveva deciso di potenziare la propria sede di Bari, trasformandola in un hub. «Il primo collega della sede di Bari è stato assunto nel 2019 e nel 2020, dopo un anno di pandemia, eravamo a 200» commenta Francesca Giraudo, EY Europe West Business talent leader. La questione meridionale è però ancora tutti lì, da risolvere. L'occupazione italiana è tornata a livelli pre-pandemia, ma non nel Sud. Secondo i dati del rapporto Svimez 2022 dello scorso novembre, nel 2021 il tasso di occupazione giovanile nazionale si è attestato attorno al 41 per cento, sotto di 15 punti rispetto alla media europea. Nel Mezzogiorno lo stesso tasso era del 29,8 per cento. Messina e Palermo, secondo Eurostat, detengono il primato di disoccupazione giovanile, con venti punti in meno di occupati rispetto alle altre zone d'Italia. Guardando ai Neet, su circa tre milioni di under 35 che non lavorano né studiano, oltre la metà (1,6 milioni) sono meridionali. Il Sud resta insomma una terra carente di lavoro e ancora inesplorata per gli investimenti delle aziende. E per cambiare direzione servono nuove opportunità. Per EY «l'obiettivo è arrivare a assumere 1.500 persone nel medio periodo». E un occhio di riguardo dell'azienda – «dove oltre la metà della popolazione aziendale è donna» – sarà per il bilanciamento di genere. Ci saranno iniziative specifiche «come il Talent on tech» racconta Giraudo «volto a promuovere e valorizzare il talento delle colleghe».E l'impatto non si limita a dove lavoreranno le persone, ma si allarga anche al come lavoreranno. La missione di Bip, specifica Lo Bianco, è «aiutare il territorio a crescere e a attrarre investimenti che possano portare innovazione, sostenibilità e sviluppo». L'ufficio non sarà infatti utilizzato dai soli dipendenti di Bip, «ma aperto alla città». Sulla stessa linea è anche il pensiero di Giraudo di EY: «Per noi southworking è un concetto limitato». Si punta a «avere una maggiore variabilità di profili e di background e a creare legami positivi – oltre che investimenti economici – nel territorio». Il Sud va concepito come «hub di talenti» perché finora è stato «poco valorizzato nel contesto socio-economico italiano». Risorse umane che andranno spese non solo nell'economia locale ma «da connettere con il resto d’Europa e del mondo, creando un circolo positivo di competenza e crescita economica». I vantaggi viaggiano su due binari. Da un lato per le persone, «che hanno la possibilità di restare nel proprio territorio di origine senza sostenere i costi di trasferimento e le spese tipiche delle grandi città» sottolinea Giraudo; oppure fare ritorno nella loro Regione natale dopo aver passato anni al Nord. Il vantaggio per le aziende è di «poter attingere al migliore talento, ovunque esso sia». E poi la produttività perché, prosegue la manager, «la capillarità sul territorio permette una più alta attrattività nei confronti dei talenti, una maggiore fidelizzazione e vicinanza con il cliente e con le esigenze locali». Non è una scelta «sentimentale» ragiona Lo Bianco, che date le sue origini ha comunque un pezzo di cuore in Sicilia, ma «strategica: il Sud è un bacino di risorse da arruolare». Serve però un cambio culturale perché a essere carente nel Meridione «è la preparazione al lavoro», in aggiunta al divario digitale. Le aperture di uffici al Sud sono infatti frutto dello smart working, senza il quale, afferma Lo Bianco, «sarebbe impensabile il southworking». Il Pnrr ci dovrà mettere del suo per favorire iniziative analoghe e creare adeguate infrastrutture informatiche. Il piano approvato lo scorso anno per un totale di 222 miliardi «prevede la destinazione del 40 per cento circa delle risorse complessivamente considerate al Mezzogiorno» spiega una nota sul sito della Camera, «in attenzione al principio della coesione sociale e del riequilibrio territoriale». L'importo è di circa 82 miliardi, e le missioni da compiere saranno diverse. Tra queste c'è la digitalizzazione, il fulcro per portare investimenti e posti di lavoro: in modo che altre aziende possano scommettere sul Mezzogiorno, come hanno fatto Bip e EY.

Stage, e dopo? Le voci di tre aziende che fanno un contratto al 90% dei loro tirocinanti

«Tanti saluti e arrivederci»: era più o meno così che terminavano quasi tutti i tirocini extracurriculari fino a non molti anni fa, quando non esisteva ancora alcuna normativa nemmeno sul rimborso spese mensile – oggi obbligatorio – e le aziende non si facevano troppi problemi a sfruttare questa abbondante manodopera (o “cervellodopera”) di stagisti senza offrire nessuna prospettiva.La Repubblica degli Stagisti si è battuta per anni per rendere il tirocinio extracurriculare effettivamente propedeutico all’assunzione e non l’inizio di una serie infinita di stage o contratti atipici. Ma i numeri non sono confortanti, come la nostra inchiesta del 2021 ha raccontato: i dati del ministero del Lavoro dimostrano che nel 2019 solo il 43 per cento dei circa 356mila tirocini attivati è sfociato in un contratto di lavoro, e a questa percentuale si arriva conteggiando le assunzioni anche molto dopo la conclusione dello stage (fino a sei mesi dopo!). Per di più, di questi assunti solo poco più di uno su dieci è a tempo indeterminato: la stragrande maggioranza a tempo determinato, il che include anche i “contrattini” di pochi mesi.Non tutto è fosco, però, perché ci sono aziende virtuose che da tempo hanno deciso di intraprendere un’altra strada: offrire stage con buoni rimborsi spese e con concrete possibilità di assunzione, come esplicitato nella Carta dei diritti degli Stagisti che la Repubblica degli Stagisti ha stilato nel 2009.  È il caso per esempio di T4V, BIP e Marsh che nel corso del 2021 hanno assunto oltre il novanta per cento dei propri stagisti e per questo motivo hanno ricevuto un premio, uno degli “AwaRdS” che dal 2014 la RdS assegna durante il suo evento annuale “BestStage” alle aziende del suo network che si distinguono, in questo caso, per il “miglior tasso di assunzione post stage”.«I nostri stage sono da sempre finalizzati all’assunzione anche perché offriamo un percorso di formazione fin dai primi giorni di tirocinio» spiega Monica Cremaschi, Talent manager di Trust4Value, società di consulenza Ict entrata a far parte del network della Repubblica degli Stagisti proprio nel primo anno della pandemia Covid, nel 2020. Nel 2021 T4V ha assunto oltre il 90 per cento dei 14 stagisti accolti. «Durante i colloqui cerchiamo di indagare le motivazioni e le aspettative per il futuro degli aspiranti tirocinanti, raccontando anche i progetti e la cultura aziendale».Anche in Marsh gli stage non sono fini a se stessi «ma fanno parte di un programma strutturato di inserimento di neolaureati nato nel 2009, Grow Our Own» racconta Mariangela Petrera, Lead Hr manager di Marsh Italia. L’azienda lo scorso anno ha assunto oltre il 90 per cento dei quasi 90 stagisti accolti: un vero e proprio exploit nella performance di assunzione post stage, già successo nel 2015 e nel 2019. «Col tempo il programma è stato allineato alle nostre esigenze di mercato e aspettative del business e dei neolaureati. Nel 2013 lo abbiamo rivisto e inserito un altro percorso Professional graduate per selezionare profili più tecnici per l’area di brokeraggio assicurativo e consulenza dei rischi». Anche il numero di inserimenti è cambiato negli anni e dai 10 circa dell’inizio «siamo arrivati a inserire negli ultimi due anni un centinaio di graduate per anno. L’obiettivo ora è consolidare questo numero. Il nostro livello di assunzione di neolaureati è un pilastro importante nella strategia aziendale in ambito people».Stesso tasso di assunzione altissimo in Bip: degli oltre 300 stagisti accolti nel 2021 oltre il novanta per cento è stato assunto, probabilmente perché «dedichiamo moltissima cura al processo di hiring, sia nella fase di screening che nelle fasi di selezione successive», riflette Elena Pozzi, Employer branding senior expert di Bip: «Cerchiamo di conoscere chi abbiamo di fronte, di approfondire le sue competenze tecniche ma anche di capire le sue aspirazioni e desideri. Ci sforziamo di identificare il candidato ideale per la corretta attività e creiamo il giusto match tra aspettative, capabilities ed esigenze interne per non incorrere in sorprese al termine dello stage, così la persona potrà proseguire la collaborazione con un contratto a tempo indeterminato». Perché offrire proprio questo tipo di inquadramento? «Perché è la proposta più apprezzata dai nostri candidati e, quando le condizioni lo permettono, siamo ben felici di formalizzarla. Investire a lungo termine sui giovani significa scommettere su di loro, sulle loro potenzialità e sulla loro voglia di mettersi in gioco».Il contratto a tempo indeterminato è quello offerto al termine del tirocinio anche da T4V, «perché è molto allettante per i giovani e ultimamente è anche la tendenza del mercato» osserva Cremaschi, che aggiunge anche come sia «determinante per un giovane sapere di avere un’alta probabilità di essere assunto al termine dello stage. La sicurezza di avere una prospettiva a lungo termine permette di lavorare e progettare anche con più serenità».«La maggior parte dei giovani che fanno un percorso di stage in Marsh Italia sono molto molto giovani. Conoscono poco il nostro settore anche perché non ci sono percorsi accademici o universitari che preparano all’attività di brokeraggio. Per questo motivo dopo lo stage proponiamo un contratto di apprendistato che comprende anche tutta la parte di formazione, per noi essenziale», spiega Mariangela Petrera: «Diamo una sicurezza in più a questi giovani perché terminato il tirocinio firmano un contratto equiparabile al tempo indeterminato, ma con al suo interno un piano formativo». Tecnicamente, peraltro, il contratto di apprendistato dal punto di vista del diritto del lavoro è già un contratto a tempo indeterminato: ha solo la particolarità di permettere la risoluzione “ad nutum”, cioè senza bisogno di motivazione o accordo, allo scadere – ma altrimenti si trasforma automaticamente in contratto a tempo indeterminato, senza soluzione di continuità.Circa il 60 per cento di nuove assunzioni in Marsh è di under trenta: «Abbiamo degli obiettivi sfidanti di business e preferiamo inserire neolaureati perché al nostro interno abbiamo le competenze che ci consentono di formare queste persone», aggiunge Petrera: «Quando selezioniamo uno stagista pensiamo già a qualcuno che possa rientrare nel nostro Graduate Program. Per noi è un investimento non solo economico, ma di tempo e impegno. Questi giovani talenti nella fase di selezione incontrano anche gli amministratori delegati di Marsh Italia in un colloquio finale dedicato. E poi c’è tutto l’investimento legato alla formazione, in aula, virtuale, on the job. L’obiettivo è far crescere le persone dall’interno».L’investimento fatto sui giovani viene poi nel lungo tempo ripagato perché sono gli stessi ex stagisti che, nel tempo, attirano nuove leve in azienda, grazie al passaparola, alla condivisione dell’esperienza positiva avuta e della buona notizia dell’assunzione post tirocinio. «Molte candidature ci arrivano grazie ai graduate stessi» conferma Petrera: «Nel momento in cui un giovane sta facendo questo programma e si trova bene, lo racconta ad amici e conoscenti. Questo si unisce alle tante attività di employer branding che per noi sono essenziali visto che il nostro settore fra i giovani è poco conosciuto. Ed essere presenti sulle pagine della Repubblica degli Stagisti rientra proprio nelle attività che danno visibilità al nostro percorso e ci aiutano ad attirare quanti più giovani possibile».L’alto numero di giovani nelle nuove assunzioni caratterizza anche Trust4Value: «Quasi la totalità dei nuovi assunti ha meno di trent’anni, arrivano direttamente dalle università o da corsi di formazione» precisa Monica Cremaschi. «Hanno modo di crescere, concretizzare le competenze e cominciare a mettersi in gioco». E una volta dentro, possono dare inizio a una carriera brillante visto anche il forte turn over che caratterizza il settore e «la richiesta in ambito Ict che è sempre altissima».In Bip i giovani under 30 rappresentano circa il settanta per cento delle nuove assunzioni. «In generale ricerchiamo sia neolaureati che persone con esperienza. Ai più giovani offriamo un percorso di crescita e formazione continua con la guida dei nostri professionisti, dove ciascuno può vedere valorizzato il proprio contributo e spirito di iniziativa», spiega alla Repubblica degli Stagisti Elena Pozzi, specificando anche come per loro sia sempre più importante «presentarci come Best Employer of Choice: offriamo ai nostri giovani un contesto di crescita meritocratico, dinamico e in continua evoluzione, in cui il singolo è libero di esprimere le proprie idee e potenziale e dove il lavoro di squadra è fondamentale per il raggiungimento di un obiettivo comune».Elemento sicuramente importante nel rapporto tra le aziende e i giovani è quello relativo alla trasparenza – essere chiari sulle opportunità offerte, i benefit inclusi e soprattutto le prospettive future, anche la retribuzione. «Da sempre evidenziamo, anche negli annunci, che i nostri stage sono finalizzati all’assunzione», conferma Cremaschi di T4V: «La trasparenza è alla base della fiducia reciproca fra l’azienda e il dipendente, attuale o futuro». Concetto ribadito anche da Petrera di Marsh Italia: «Puntiamo sulla trasparenza con il candidato. Già durante l’iter di selezione raccontiamo quali sono gli step sia dal punto di vista contrattuale sia retributivo, spieghiamo che il programma prevede delle rotation e che avranno un tutor e un mentor. Spendiamo tanto tempo a raccontarglielo perché vogliamo ci sia coerenza tra quello che stiamo cercando e le loro aspettative. È importante che ci sia una performance positiva per andare avanti e questo è un approccio culturale che abbiamo sia con lo stagista sia con il manager».Essere trasparenti, creare un rapporto di fiducia tra l’azienda e gli stagisti, investire su di loro garantendo anche una altissima probabilità di inserimento lavorativo è, dunque, possibile. E può essere un amplificatore naturale delle buone pratiche di un’impresa, e aiutarla a diventare sempre più conosciuta e apprezzata dai giovani.Marianna LeporeFoto di apertura di Tumisu da Pixabay Foto in evidenza di mohamed_hassan da Pixabay

Legge di Bilancio, ecco le misure per i giovani: ma in realtà “non sono idonee” ad aiutarli nel mercato del lavoro

La prima legge di Bilancio del Governo Meloni è realtà. Dopo le promesse elettorali è arrivato il momento di capire quanto è stato messo concretamente sul piatto a favore dei giovani e dell’occupazione. La Repubblica degli Stagisti ha analizzato le indicazioni contenute nella Finanziaria che riguardano più da vicino il mondo del lavoro giovanile commentandole con Aurora Notarianni, avvocata giuslavorista e direttrice dell'ufficio Direzione e Amministrazione dell'associazione forense AGI (Avvocati Giuslavoristi Italiani)Proroga dell'esonero contributivo per le assunzioni di under 36 Per tutto il 2023 passa da 6mila a 8mila euro annui per ciascun lavoratore l’esonero contributivo per le assunzioni di giovani under 36, donne e beneficiari del reddito di cittadinanza. Requisiti fondamentali sono non aver compiuto il 36esimo anno di età e l’assenza di un precedente rapporto di lavoro a tempo indeterminato con lo stesso datore. L’impiego può essere sia part time che full time, mentre lo sgravio non vale per l’esecuzione di prestazioni occasionali e per il lavoro intermittente o a chiamata. «Il legislatore riconosce l’esonero nella misura del 100% per un periodo massimo di 36 mesi, nonché di 48, in caso di assunzioni o trasformazioni nelle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna» specifica Notarianni: «L’agevolazione è riconosciuta al datore di lavoro che, nei sei mesi precedenti o nei nove mesi successivi all’assunzione o alla trasformazione, non abbia proceduto a licenziamenti individuali per giustificato motivo oggettivo o a licenziamenti collettivi nei confronti di lavoratori inquadrati con la medesima qualifica nella stessa unità produttiva».Sempre rispetto a questo tema, «con l’obiettivo di incentivare l’accesso dei giovani al mercato del lavoro, sono state confermate le misure già previste per i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli con età inferiore a quarant’anni, prevedendo, per i nuovi iscritti alla previdenza agricola sino al 31 dicembre 2023, l’esonero dal versamento del 100% dell’accredito contributivo presso l’assicurazione generale obbligatoria per invalidità, vecchiaia e i superstiti, per un periodo massimo di ventiquattro mesi».Voucher Una delle misure più discusse riguarda i cosiddetti “voucher”. I buoni lavoro erano stati cancellati nel 2017 dal Governo Gentiloni e successivamente tornati nella veste di “Libretto famiglia” , utilizzato per pagare baby sitter, colf e badanti e piccoli lavori domestici. Con la nuova legge di Bilancio ricompaiono nuovamente, utilizzabili per pagare prestazioni di lavoro occasionali in alcuni ambiti, come quello dell’agricoltura o dei lavori domestici. Nel dettaglio, il limite massimo di compensi erogabili arriva a 10mila euro annui rispetto ai 5mila previsti per il Libretto famiglia. Inoltre possono fare ricorso ai voucher anche le aziende fino a 10 dipendenti. Il tema come sempre ha scatenato un ampio dibattito tra chi li vede come un buono strumento di contrasto al lavoro nero e che ne teme gli abusi per mascherare altre tipologie di rapporto di lavoro. Agevolazioni acquisto prima casa Sono state prorogate al 31 dicembre 2023 tutte le disposizioni relative al bonus per l’acquisto della prima casa, destinato ai giovani che non hanno compiuto il 36esimo anno d’età e che presentano un’ISEE inferiore a 40mila euro.Agevolazioni per l’assunzione di percettori del Reddito di Cittadinanza Previsto l'esonero totale (nel limite di 8mila euro) per le assunzioni a tempo indeterminato e le trasformazioni dei contratti a tempo determinato in contratti a tempo indeterminato, tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2023, di beneficiari del Reddito di Cittadinanza. La misura, fortemente voluta e sostenuta dal Movimento 5 Stelle, è stata una delle più centrali dapprima in campagna elettorale e poi negli ultimi mesi, alla luce della prevista abolizione del rcd a partire dal 2024.Incremento dell'assegno unico e universale per i figli a carico Dal primo gennaio 2023 è stabilito un incremento del 50% dell'assegno unico per le famiglie con figli di età inferiore a un anno, e per i figli con una età compresa da uno a tre anni per le famiglie con tre o più figli e con Isee fino a 40mila euro. Prevista anche una maggiorazione del 50% dell'assegno unico per le famiglie con 4 o più figli. Sono confermate e rese strutturali le maggiorazioni dell'assegno unico per ciascun figlio con disabilità a carico senza limiti di età.Congedo parentale Fissato un ulteriore mese di congedo parentale facoltativo retribuito all'80%, fruibile sia dalle madri sia dai padri fino al sesto anno di vita del bambino. «L’incremento del congedo parentale, così come le misure relative all’assegno unico, pur non indirizzate direttamente ai giovani, mirano senz’altro a garantire una migliore conciliazione dei tempi vita-lavoro» rileva Notarianni.Il giudizio dell’AGI Analizzando nel complesso le principali novità che riguardano più da vicino i giovani, Notarianni sottolinea un punto specifico che penalizza l'apprendistato: «Pur ritenendo di accogliere favorevolmente le misure descritte, in una prospettiva di maggior tutela delle giovani lavoratrici e dei lavoratori nutro qualche perplessità in merito a un punto in particolare. Mi riferisco alla conferma dell’impossibilità di accedere alla misura dello sgravio del 100% nei casi in cui l’assunzione a tempo indeterminato consegua alla conclusione del periodo di formazione nell’ambito del contratto di apprendistato. Incentivare con tale misura, anche in percentuale di poco inferiore, la prosecuzione del rapporto di lavoro al termine del periodo di formazione, infatti, sarebbe stato senz’altro uno strumento utile per garantire ai giovani un avanzamento nell’ambito del mercato del lavoro, coerentemente alla crescita della professionalità acquisita con il contratto di apprendistato».Su cosa si deve lavorare ancora quindi? «Osservando le misure da una prospettiva di maggior ampiezza, ritengo che rappresentino uno strumento inidoneo a produrre, nel lungo periodo, un correttivo al funzionamento del mercato del lavoro nell’ambito del quale i giovani si muovono» dice Aurora Notarianni. Bisogna dunque provare ad andare oltre, puntando a soluzioni più ampie rispetto ai singoli interventi relativi agli sgravi fiscali per chi assume: «Non credo che le misure adottate siano in grado di funzionare in assenza di un ripensamento complessivo del sistema, che deve orientarsi ben oltre la mera riduzione del costo del lavoro. Bisogna puntare a valorizzare la professionalità dei giovani, a garantire loro l’adeguatezza dell’inquadramento contrattuale alle esperienze professionali e formative pregresse, nonché a riconsegnare un’idea di lavoro che non appaia inconciliabile con le proprie personali scelte di vita».Chiara Del Priore

Trasformare i limiti in un vantaggio, la “ricetta Edge”

È possibile partire da uno svantaggio, da un proprio limite e, nonostante tutto, trasformarlo in un valore aggiunto? Sì, se si sa come farlo. Laura Huang, lo racconta dettagliatamente nel suo libro Edge, Come trasformare i limiti in punti di forza, Francoangeli editore, partendo dalla sua storia. «Il mio lavoro mi ha aiutato molto a comprendere il mio percorso: figlia di immigrati di umili origini, per anni sono stata sottovalutata, ostacolata, limitata in qualche modo. Oggi insegno ad Harvard» scrive Huang «e ho il privilegio di poter condividere tutto ciò che ho imparato su come sia possibile costruirsi un vantaggio». Per farlo l'autrice, 43enne di origine taiwanese, racconta tante storie – partendo dalla sua personale – per far capire come sia importante «raccogliere le percezioni altrui, le attribuzioni e gli stereotipi, che puntano a relegare a una condizione di inferiorità, e trasformarli in uno strumento da impiegare a proprio favore». Il libro, però, ci tiene a precisare, «non parla di come “fregare il sistema”, né propone metodi furbetti per aggirare l’ostacolo. Piuttosto mostra come sfruttare la vostra personalità e i vostri punti di forza, persino le vostre debolezze, per costruirvi un vantaggio unico».Per farlo bisogna partire dalle basi e ricordarsi che «il duro lavoro è fondamentale, ma ci sono anche molti altri fattori», spiega alla Repubblica degli Stagisti Laura Huang. «È importante per i giovani avere un mentore o uno sponsor che li sostenga davvero. E ricordarsi che sono due cose diverse. Il mentore è qualcuno che ti dà dei consigli, ti aiuta rispondendo alle domande, lo sponsor è, invece, chi ti promuove, chi fa il tuo nome tra i suoi contatti, qualcuno che parla dei progetti su cui hai lavorato. Ci sono un sacco di cose che ognuno può fare per ottenere un vantaggio ed essere sicuri che il duro lavoro che sta facendo funzioni realmente. Nel mio libro descrivo varie strategie, suggerimenti e know-how pratico per far capire come comportarsi».Il fulcro è, infatti, mostrare come è possibile creare valore (enrich), incantare (delight) e guidare (guide) gli altri nel proprio percorso, basato sull’impegno (effort). Quattro concetti chiave che costituiscono l’essenza del libro e che, tramite le iniziali di ognuna, danno anche il titolo al volume. «Per creare valore intendo come ognuno capisce i propri punti di forza e di debolezza e sottostima alcuni punti di forza. Correggere la concezione dei propri meriti. Capire la percezione che gli altri hanno sul proprio conto, il proprio merito. Per incantare intendo come si fa, appunto, a entusiasmare qualcuno, che sia un cliente, un fornitore o un capo: due persone diverse possono avere entrambe lo stesso merito, allora perché una è percepita come più forte o migliore?» chiede Huang. E la risposta è appunto: per la sua capacità di incantare.E poi c’è il concetto di guida: «Come è possibile guidare gli altri verso quelle percezioni che possono avere un valore», e infine lo sforzo, inteso come duro lavoro. «Ricordiamoci, però, che a volte questo non basta», sottolinea Huang alla Repubblica degli Stagisti.Il libro è diviso, appunto, in quattro parti: nella prima si dimostra come la base per costruirsi un vantaggio sia la capacità di creare valore per chi ci circonda, nella seconda l'autrice parte dall'aneddoto del suo incontro con Elon Musk per spiegare come per mostrare il proprio valore sia necessario che gli altri “aprano la porta”, ma si debba poi agire autonomamente per catturare l’attenzione del proprio interlocutore e mostrare il proprio potenziale. La terza parte del volume si focalizza su come acquisire la facoltà di guidare i contesti in cui ci troviamo, perché «quando riusciamo a interpretare come ci vedono gli altri, abbiamo la capacità di guidare e reindirizzare questa percezione, andando a influenzare il modo in cui gli altri colgono il valore che possiamo creare». Mentre l’ultima parte è dedicata all’impegno, che può rafforzare il vantaggio costruito, ricordandosi che è fondamentale imparare a individuare le percezioni degli altri e capire come operano.Ma in sostanza cosa dovrebbero fare i giovani per riuscire a partire con il piede giusto nel mercato del lavoro? «Nella mia esperienza da docente penso che per i giovani sia veramente importante sentire che possono intraprendere la strada scelta». risponde Huang: «Quello che veramente li ostacola e impedisce loro di avere successo è sapere di voler andare dal punto a al punto b, ma non conoscere come fare per iniziare. Molto spesso la sfida più grande è proprio quella – iniziare – e per loro è difficile avere speranza quando vedono un obiettivo così distante. Quindi bisogna aiutarli e indicare loro i primi due passi da fare. A quel punto saranno in grado di avere molti approcci diversi rispetto a quello che stanno per fare».Metodi e strade “diverse” per fare le cose, tanto più evidenti quando si parla di donne e uomini soprattutto nelle materie Stem. «La prima cosa da fare è capire se si ha una passione per questo tema o no. Dopo di che ci sono molti modi diversi di essere interessati a una cosa e di affrontarla, e va benissimo così. Quello che le ragazze e le donne possono fare per non farsi intimidire è trovare un modo per esaltare qualcosa che è veramente interessante». Huang, a sua volta madre, per la figlia ha creato qualche anno fa una serie di libri illustrati dal titolo “The Princess Heroes Books”, che raccontano la storia di una principessa che di volta in volta è paleontologa, chimica, astronoma, ingegnera, veterinaria, imprenditrice: proprio nell'ottica di lanciare alle bambine il messaggio di non farsi intimidire dai mestieri “da maschi”, e di non sentirsi obbligate, di converso, a perdere la propria “principessitudine” per poterli fare. «L’origine di alcuni degli stereotipi che vediamo nelle materie Stem» aggiunge la docente «sta nel fatto che ci si aspetta che tutti siano esperti allo stesso modo, che studino le stesse materie con lo stesso metodo: quando ci sono invece molti approcci diversi per esaminare qualsiasi materia, comprese quelle Stem».Che le donne siano spesso sottovalutate proprio in quanto donne e che questo avvenga spesso da parte di persone over 60 e uomini è un dato di fatto, ma anche qui Huang è convinta che «sia importante capovolgere queste avversità a proprio favore». Il primo passo da fare è capire quali sono «quelle due tre cose che rendono uniche, concentrarsi su questo e sui propri punti di forza». Nel libro è citato uno studio di Tara Sophia Mohr dal titolo “Why women don’t apply for jobs unless they’re 100% qualified” (che in italiano sarebbe: “Perché le donne non si candidano per un lavoro a meno che non siano qualificate al 100 per cento”) in cui si osserva come molte persone, nella stragrande maggioranza donne, che cercano un impiego sono convinte di non essere abbastanza qualificate per la posizione offerta e finiscono per non candidarsi anche quando quella posizione potrebbe essere giusta per loro. «Quello scritto nell’articolo è vero e l’ho verificato nella mia ricerca» conferma Huang: «Se per un’offerta di lavoro sono richieste dieci qualifiche, gli uomini si candideranno pur avendone solo due o tre, diranno “Certo ho esperienza nelle vendite” anche se questa esperienza non è propriamente qualificata. Le donne, invece, penseranno “anche se ho otto o nove  requisiti c’è ancora qualcosa che non ho” e non si candideranno». Insomma ruota tutto intorno alla percezione delle proprie competenze, che poi è quello che consente alle persone di avere successo nel lavoro: «È importante essere in grado di pensare alle proprie qualifiche e parlarne in modo tale da far capire di essere adatti a quel tipo di lavoro. Il motivo è semplice: molte volte chi scrive la descrizione di un’offerta di lavoro lo fa senza sapere esattamente cosa vuole. Non sanno quale tipo di persona vogliono assumere. Per questo motivo, se si hanno anche solo un paio di requisiti è importante imparare a valorizzarli in funzione di quel lavoro». A una donna che di merito ha scritto e parlato tanto (per esempio negli articoli “We Ask Men to Win & Women Not to Lose: Closing the Gender Gap in Startup Funding” - “Chiediamo agli uomini di vincere e alle donne di non perdere: colmare il divario di genere nel finanziamento delle startup”  del 2017, o “Mitigating Malicious Envy: Why Successful Individuals Should Reveal Their Failures” - “Mitigare l’invidia maligna: perché le persone di successo dovrebbero rivelare i loro fallimenti” del 2019) non si può non chiedere cosa ne pensi dell’aggiunta di questa parola al nuovo ministero dell’istruzione italiano, appena ribattezzato “dell'istruzione e merito”, appunto. «Bisogna ricordarsi che con questa parola si intendono molte cose diverse e che quando parliamo di meritocrazia non facciamo riferimento solo alle caratteristiche di questa parola, ma a quello che consente alle persone di capire chi le ha. E credo che in questo senso “Edge” incorpori realmente tutti gli elementi per capirlo: la capacità di creare valore, di incantare, di guidare gli altri verso i propri meriti e di impegnarsi nel fare le cose» osserva Huang: «Penso che il fatto che questo governo abbia aggiunto la parola “merito”» al nome del ministero «non sia necessariamente un problema, anzi può essere un vantaggio. Se riusciamo a capire qual è la tradizione del merito, e come muoverci pensando al merito».Marianna Lepore 

Un tablet per i sottotitoli delle lezioni all'università, Pedius aiuta gli studenti sordi

Nel mondo ci sono decine di milioni di sordi; decine di migliaia sono solo in Italia, e solo il tre per cento di loro si laurea, contro il 25 generale. Nessuno però aveva mai pensato a come migliorare le loro possibilità di studio, per esempio nel seguire una lezione universitaria. L'idea è venuta a Pedius, una ex startup e oggi oggi piccola azienda grazie a risorse che garantiscono «un orizzonte di sostenibilità più ampio», come racconta il fondatore Lorenzo Di Ciaccio. Pedius ha creato uno strumento utilizzabile dalle persone sorde mentre assistono a una lezione universitaria. Studenti che possono fare estrema fatica, avendo deficit di udito, a seguire le parole del docente.Un problema accentuato dalla pandemia e dai collegamenti da remoto che ne sono scaturiti. Così nel 2022 sono stati lanciati quindici dispositivi speciali per l'università La Sapienza di Roma: «La nostra app è inserita su tablet che sono collegati al microfono dei professori; mentre questi parlano, genera sottotitoli in tempo reale», spiega alla Repubblica degli Stagisti Di Ciaccio, ingegnere ex consulente informatico e volontario della Caritas diventato poi imprenditore sociale. Il progetto è nato grazie a un bando pubblico: «Il Servizio disabili dell'ateneo ha individuato noi come interlocutori per fornire un sostegno agli studenti sordi». È partita poi una gara pubblica «attraverso cui è stata acquistata la licenza del software da parte dell'università». In questo modo gli studenti «possono usufruire del servizio in modo gratuito». La collaborazione con La Sapienza è iniziata l'anno scorso «e il modello in futuro sarà implementato». L'obiettivo, prosegue il fondatore, «è creare una sorta di realtà aumentata che evidenzi i punti più importanti delle lezioni», semplificando dunque l'attività di prendere appunti. Un metodo «non solo per disabili» ma valido per tutti, dato che per accedervi basta l'acquisto della licenza software. Il sistema è sbarcato già anche all'estero, «all'università di Hong Kong e di Hannover in Germania». Mentre l'attività di Pedius, che conta 40mila utenti sparsi in 14 paesi del mondo, prosegue anche nel suo filone principale, quello della comunicazione telefonica per persone sorde. L'ispirazione per far telefonare le persone sorde era nata in Lorenzo Di Ciaccio nel 2012 dopo aver visto in tv «la storia di un ragazzo sordo, Gabriele, che aveva avuto un incidente automobilistico a Roma e non era riuscito a contattare l'ambulanza». Una vicenda che, racconta lui, «che mi è sembrata assurda, con tutta la tecnologia che avevamo!». Di lì l'idea un'applicazione per consentire ai sordi di chiamare via telefono, e poi la messa a punto nel 2013 di Pedius che funziona «come Whatsapp, ma invece di inviare un messaggio fa partire una chiamata». In realtà «le persone sorde con una giusta logopedia possono parlare, quindi possono decidere con Pedius di scrivere o anche di parlare al telefono, oppure di utilizzare una voce artificiale, e dall'altra parte la persona farà lo stesso, o scrivere o parlare, e quindi vedere il suo messaggio trascritto». Il problema che si poneva all'inizio era però come rendere sostenibile il progetto. L'obiettivo di Di Ciaccio era «realizzare quello che mi piaceva fare con il volontariato... ma dovevo anche portare a casa la pagnotta!». I primi due anni dopo l'avvio della startup, ammette, «siamo stati senza stipendio perché tutto quello che avevo era stato investito per lanciare l'azienda e i primi stipendi sono stati per i collaboratori». La questione era anche l'importo da chiedere ai clienti, in questo caso portatori di disabilità. «Non volevamo che il servizio fosse percepito come un'elemosina, al contrario: la decisione era di trattare gli utenti come clienti a tutti gli effetti». Il servizio prevede infatti venti minuti al mese di chiamate gratuite, per il resto si paga come se fosse un abbonamento telefonico. «Il prezzo è basato sul mercato: la nostra visione, anche se impopolare, era quella di creare vera uguaglianza, e quindi applicare prezzi di mercato». Le aziende hanno iniziato a mostrare interesse – prima Enel, poi anche Banca d'Italia e Acea. Pedius aiuta le imprese a rendere più accessibili i propri servizi di assistenza clienti, come i call center nei casi di problematiche da risolvere, e in più abilita servizi specifici per l'inclusione dei dipendenti aziendali affetti da sordità.Il momento decisivo è stato però, racconta l'imprenditore, all'inizio, «quando lavoravamo con un modello beta e una comunità di cento persone sorde. Una di loro si chiamava Monica, «aspettava un bambino, si è sentita male e grazie a quella versione iniziale di Pedius è riuscita a chiamare il suo medico». Tutto è finito bene, «lei ci ha scritto una mail bellissima, che abbiamo stampato in ufficio, per ringraziarci. Per noi è stato come ricevere il primo stipendio». Nell'ambito dell'imprenditoria sociale la tecnologia, dice Di Ciaccio, «non viene mai usata per scopi unicamente commerciali» e il traguardo primario non è il profitto bensì «massimizzare l'impatto». Non a caso Pedius, che ha la sede principale a Roma, ha appena aperto una sede operativa a Hong Kong. «Un terzo della popolazione sorda del mondo vive in Cina, eppure non ci sono tanti strumenti per i sordi come per esempio negli Stati Uniti». Investendo negli States i vantaggi sarebbero stati maggiori, ma se si va nella direzione dell'impresa sociale «si deve essere sostenibili e al contempo rifiutare compromessi in conflitto con i principi che si portano avanti». Non guardare insomma solo ai possibili guadagni, bensì al beneficio della collettività: in questo caso, quella cinese. Ilaria Mariotti  

Parlamento, le ultime elezioni hanno decimato i «paladini» degli stagisti: pochi sono stati rieletti

L’attenzione ai giovani e al lavoro è da sempre un tema ricorrente nelle campagne elettorali. In riferimento all’ultima, sono stati tanti i proclami da un po’ tutti gli schieramenti: alcuni esponenti del centrodestra, cioè della coalizione risultata poi vincente, avevano proposto di rilanciare il contratto di apprendistato e di rendere le norme sui tirocini più stringenti, per evitare abusi. Il centrosinistra si era spinto sul campo dei tirocini in modo più dettagliato, con la propostra PD di obbligo di compenso per quelli curricolari, attualmente non previsto, e di abolizione degli stage extracurricolari, tranne quelli stipulati nei 12 mesi successivi alla laurea. Anche il Movimento 5 Stelle aveva parlato nel suo programma del riconoscimento di un compenso minimo per i tirocinanti e del computo dei periodi di tirocinio a fini pensionistici.Chiuse campagna elettorale e urne, da un paio di mesi l'Italia ha un nuovo Parlamento e un nuovo Governo. Ma cosa è rimasto dell’attenzione ai giovani e in particolar modo agli stagisti? Riavvolgiamo il nastro.A maggio di quest’anno era stato elaborato un testo unico riguardante i tirocini curriculari, ossia quelli effettuati durante il periodo universitario. Il testo era frutto della sintesi di cinque proposte presentante a partire dal 2018 da altrettanti esponenti politici: Massimo Ungaro (Italia Viva), Rina De Lorenzo (Liberi e Uguali), Manuel Tuzi (Movimento Cinque Stelle), Niccolò Invidia (Movimento Cinque Stelle) e Rosa Maria Di Giorgi (Partito Democratico). La proposta era focalizzata sull’eliminazione della gratuità per questo tipo di stage e la garanzia di massima trasparenza rispetto al ricorso ai tirocini. La proposta a prima firma Massimo Ungaro, nel 2018 deputato PD, era stata sostenuta anche da Chiara Gribaudo, 41 anni, piemontese, già allora deputata e oggi rieletta nelle file del Partito Democratico, vicepresidente della Commissione Lavoro, da sempre attenta ai temi del lavoro giovanile. Il testo, alla cui stesura aveva contribuito anche la Repubblica degli Stagisti, proponeva un rimborso spese minimo di 350 euro per i tirocini curriculari. Gribaudo si era fatta anche promotrice nella scorsa legislatura di una proposta relativa all’apprendistato, rafforzandone il ruolo come strumento principale di accesso dei giovani al mondo del lavoro.Con la nuova legislatura però qualcosa si è bloccato, in quanto molti dei «paladini» dei diritti degli stagisti non sono stato rieletti – a partire dagli stessi promotori del testo unico. Nessuno dei cinque, infatti, siede attualmente in Parlamento. Non si tratta tuttavia degli unici politici che in questi anni si sono battuti a favore degli stagisti. Durante la pandemia il tema del sostegno economico agli stagisti che, causa Covid, avevano perso la propria fonte di reddito era stato al centro del dibattito parlamentare, con un emendamento sul tema nell'ambito del cosiddetto Decreto Rilancio. L'emendamento era stato sostenuto, oltre che dalla prima firmataria Chiara Gribaudo, anche da Massimo Ungaro, da 14 deputati del PD, da Alessandro Fusacchia che allora sedeva nel gruppo misto, da Riccardo Magi di PiùEuropa e Carmela Grippa ed Elisabetta Barbuto del Movimento Cinque Stelle. L'emendamento proponeva di mettere cento milioni a disposizione delle Regioni, per consentire il supporto economico agli stagisti impegnati in ciascun territorio. L'emendamento, soprattutto per un tema di costi, non è stato poi inserito nel Decreto, a seguito del parere negativo espresso in fase di discussione.Anche in questo caso, i parlamentari che si erano dimostrati attenti alle istanze degli stagisti non sono stati premiati dalle urne: oltre a Ungaro, non sono stati rieletti in Parlamento neppure Alessandro Fusacchia, Riccardo Magi, Carmela Grippa ed Elisabetta Barbuto. Per quanto riguarda il PD, dei 14 deputati che avevano sostenuto quel particolare emendamento, ne siedono attualmente in Parlamento solo tre, ossia Debora Serracchiani, Matteo Orfini e Lia Quartapelle Procopio. Chi sarà in Parlamento, adesso, a dar voce alle istanze e a lottare per aumentare i diritti degli stagisti?Chiara Gribaudo, che come visto è tra i pochi "sostenitori degli stagisti" riconfermati in Parlamento, ha fatto il punto della situazione con la Repubblica degli Stagisti: «Al momento mi risulta che la mia sia la sola proposta depositata che da un lato riprende il lavoro che avevamo interrotto con la caduta del governo Draghi e dall’altro prova a dare risposte ancora più coraggiose e puntuali rispetto ai problemi che ci sono stati posti dai rappresentanti delle generazioni più giovani. Il loro precariato è una delle emergenze più gravi di questo Paese e per questo abbiamo previsto dei limiti temporali ben precisi per l’attivazione e la durata dei tirocini, che in ogni caso dovranno prevedere un rimborso spese che consenta a tutti di svolgere questo tipo di esperienza. L’obiettivo ultimo è quello di limitare anche l’uso dei tirocini extracurricolari a favore dei contratti di apprendistato».Il riferimento è alla proposta di legge depositata alla Camera lo scorso 15 novembre sui tirocini curricolari ed extracurricolari per l’orientamento e la formazione dei giovani. L'iter di discussione della proposta al momento non è ancora stato avviato. Secondo Gribaudo il rischio è che questi temi non ricevano la giusta attenzione da parte della nuova maggioranza politica: «Più che per la mancanza di promotori, temo una minore attenzione per un problema di maggioranze politiche. Poco prima che cadesse il governo Draghi, in  Commissione Lavoro e Cultura stavamo votando un testo base il più possibile unitario ma, nonostante lo sforzo dei relatori, la destra compattamente votava contro il rimborso spese e un’indennità minima e voleva allungarne la durata invece che ridurla. Quindi il problema è che oggi quelle forze sono maggioranza in Parlamento e nelle commissioni, per cui dall’opposizione sarà comunque difficile portare avanti queste battaglie se non costruiremo una forte alleanza anche fuori dalle aule parlamentari». Gribaudo rinnova il proprio impegno a occuparsi di questi temi: «Continuerò a battermi, come ho fatto in questi anni, per provare a ricordare ad una classe dirigente spesso di tutti i colori politici che deve iniziare a vedere e riconoscere le esigenze delle generazioni più giovani. Penso alla fatica fatta per inserire la “Dis-coll”, l’indennità di disoccupazione delle collaborazioni,  alle dimissioni in bianco, alle tante battaglie sul lavoro autonomo che troppo spesso si conducono quasi in solitaria. Cosi come mi impegnerò per favorire un’occupazione di qualità per giovani e donne, che più di altri pagano sempre il prezzo delle crisi». Al momento quindi tutto è in standby: quello che rimane di anni di dibattiti è una proposta di legge e un numero limitato di esponenti politici che ha già dato prova di avere a cuore i diritti degli stagisti. Ma chissà, tra i nuovi eletti vi potrebbero essere nuovi interlocutori attenti a questi temi.Parallelamente, come si sta muovendo il Governo? Se «Largo ai giovani» era uno dei punti del programma di Fratelli d’Italia, al suo interno la parola tirocinio non era mai stata menzionata. Gli stessi giovani, dati alla mano, tuttavia hanno dimostrato di aver dato fiducia al centrodestra: il 23% dei giovani della fascia d’età 25-34 anni ha votato Fratelli d’Italia, arrivando quasi al 40% se si considerano anche gli altri partiti della coalizione. Al momento la nuova legge finanziaria parla di agevolazioni per le assunzioni a tempo indeterminato per chi ha contratti a termine e in particolare per le donne under 36. Nulla nel dettaglio sul fronte tirocini.Sembrano dunque altri i temi prioritari; un'impressione confermata dalle scelte di questi primi mesi di legislatura. Sarà impresa ardua riportare in primo piano il tema degli stage e più in generale dei giovani, provando magari a fare rete anche fuori dal Parlamento? La Repubblica degli Stagisti monitorerà con attenzione il cammino dell'unica proposta di legge per ora presentata.Chiara Del Priore

Cambiano gli spazi di lavoro: l'ufficio diventa luogo di incontro

Già da anni si sentiva parlare di smartworking, la possibilità per gli impiegati di lavorare con più libertà sui tempi e modi di produzione. L’accelerazione in tal senso è arrivata proprio grazie alla pandemia di Coronavirus che, almeno per alcuni mesi, ha obbligato nel 2020 tutti a fare i conti con la necessità di portare avanti il lavoro da casa. Per questo motivo le aziende, grandi o piccole che fossero, hanno dovuto accettare il cambiamento della gestione e dell’uso degli spazi di lavoro.C’erano aziende, però, che già da tempo avevano iniziato questo percorso: come Bip, società di consulenza fondata nel 2003 in Italia, oggi presente in tredici Paesi nel mondo, e Banca PSA, che si occupa delle attività di finanziamento e di leasing sulle vetture Peugeot, Citroen, DS e ora anche del gruppo FCA. Entrambe fanno parte del network delle aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti.Proprio nell’ottica della rivoluzione degli spazi lavoro, Bip ha inaugurato a fine 2021 una nuova sede in Piazza Liberty a Milano, a due passi dal Duomo, che ben rappresenta la trasformazione in atto con un lavoro più dinamico. Da tempo la società di consulenza dava flessibilità ai suoi lavoratori rispetto a dove lavorare, se da casa o in ufficio: una possibilità diventata ancora più centrale post pandemia, con il risultato che oggi tutte le persone della multinazionale possono attivare se vogliono lo smart working anche al 100 per cento. Se l’ufficio si svuota dei suoi dipendenti, questo non significa che smetta di avere una sua utilità: cambia però il suo ruolo, e talvolta è addirittura più vissuto di prima. Le persone arrivano in ufficio per incontrarsi – con i clienti o con il proprio team – non più per lavorare davanti al computer.Questo cambiamento in Bip Group non ha portato a cali di produzione. «La produttività delle nostre persone con lo smart working è aumentata, ma è necessario che le aziende guardino ad altri fattori: benessere, livello di interazione, soddisfazione delle persone» esordisce Rosario Sica, Ceo di OpenKnowledge: «In questo momento dovremmo prendere più in considerazione il lavoro in presenza e accogliere la modalità ibrida, valutando il modo migliore per mantenere viva l’appartenenza e il legame con l’organizzazione mediante incontro e collaborazione».L’ufficio quindi resta come entità, come riferimento dell’attività lavorativa: «Come luogo di incontro. Proprio a seguito del Covid abbiamo scoperto che ci sono un sacco di altri luoghi in cui possiamo svolgere i nostri compiti» spiega alla Repubblica degli Stagisti Chiara Tagliaro, assegnista di ricerca presso il Real Estate Center del Politecnico di Milano da tempo interessata ai temi della gestione e uso degli spazi di lavoro, e autrice di Progetto Ufficio. Strategia e processi per l’evoluzione degli spazi aziendali, pubblicato dalla casa editrice Franco Angeli: «Mentre per le attività di gruppo o per sviluppare la creatività, l’innovazione, questo si può fare solo quando si è insieme fisicamente. E le possibilità di interscambio sono molteplici, non solo quelle legate alla riunione formalizzata»Anche Banca PSA ha sperimentato e sta sperimentando una modifica della funzione dell’ufficio. A breve, entro marzo 2023, cambierà la sede: «Siamo in una fase di riorganizzazione aziendale all’interno del gruppo Stellantis e quindi stiamo concentrando la sede legale della nostra azienda di Mirafiori, a Torino» spiega Stefano Mattuglia, Hr Director di Banca PSA. La sede, però, non è l’ufficio quotidiano perché i dipendenti hanno cominciato da tempo a poter lavorare in smart working: «La presenza in ufficio va da due a otto giorni al mese: quindi sostanzialmente siamo un’azienda con 500 e più sedi di lavoro, perché ogni casa diventa un ufficio. Il progetto di smart working per noi non è nuovo, è cominciato a inizio 2019, però il  Covid ci ha fatto accelerare su alcuni progetti: la funzione Hr per esempio ora è totalmente digitale, dal recruiting alla parte training, dalle relazioni sindacali alle riunioni».Questo significa che l’ufficio sta cambiando proprio la sua funzione: «Rispetto al passato quello che resterà è proprio il fatto che l’edificio, in quanto luogo di lavoro, è un pezzo delle nostre città» conferma Chiara Tagliaro: «Verrà integrato come nell’antichità, all’interno di un tessuto urbano: l’edificio degli Uffizi a Firenze è forse stato il primo ufficio amministrativo della città nel 1500. Era molto integrato al tessuto urbano e questo succederà anche in futuro».Evoluzione dell’ambiente di lavoro che la Liberty Tower di Bip rispecchia in pieno. «L’idea di Liberty nasce nel 2019 con l’obiettivo di creare uno spazio nuovo, “situation based” che potesse rispondere alle necessità “situazionali” rispetto ai vari profili professionali» racconta Rosario Sica di Bip: «Ad esempio con aree creative, aree di lavoro condivise, postazioni singole, zone di workshop o di formazione, divani, coffee break, intelligenza artificiale: tutto distribuito in 3mila metri quadrati». A un anno dall’inaugurazione, e con la pandemia alle spalle, ora è necessario guardare alle nuove esigenze e adattare gli uffici a una nuova mentalità: «Vorremmo continuare ad ascoltare gli utenti, migliorare e creare nuove sale riunioni e spazi di collaborazione, ampliare spazi informali e tornare ad incontrarci sempre di più». Nel frattempo il nuovo ufficio è addirittura più vissuto dai dipendenti, con maggiore attività creativa e innovativa. All’ottavo piano è presente anche un’area per lavorare nella realtà virtuale, con spazi che possono essere sviluppati con tecnologie all’avanguardia come quelle legate al metaverso e poi applicate nei vari settori lavorativi. Ambienti estremamente mobili, possibilità di modificare lo spazio con le scrivanie, aree più creative e innovative. Un luogo sempre attivo e abitato, in questo senso completamente diverso da un ufficio vecchio stile.Simile il cambiamento anche per PSA. «Con l’avvento della nuova strategia abbiamo cominciato a concepire le aree di coworking: la funzione sociale è diventato il principale motivo per cui costruire la nostra sede» riflette Stefano Mattuglia: «Abbiamo cominciato a introdurre nuovi concetti come le zone cooperative con le poltrone e i sofà dove le persone  possono incontrarsi per fare le riunioni, a concepire le famose agorà, i posti teatro per le riunioni all’aperto. Ma abbiamo cercato di dare uno sfogo anche a chi cerca concentrazione: ci sono le aree mindful dove le persone possono fare analisi dati in maniera concentrata, con arredi tipici». E le trasformazioni non si fermano qui: «L’area caffè diventa area di coworking, e si trasforma anche l’ufficio: niente più carta su pareti ma vidiwall. Poi c’è lo studio dell’acustica, del verde, e tutta la parte relativa alla salute e al benessere attraverso illuminazione, materiali e colori. Tutto questo incide sulla produttività dei nostri dipendenti: il workplace disegnato in maniera funzionale e piacevole ha un contributo positivo al senso di appartenenza, allo star bene, alla voglia anche di andare in sede. L’ufficio diventa un luogo di incontro, di network, di parte cooperativa dei team che si trovano ogni tot giorni a lavorare insieme in un ambiente di lavoro comune. La presenza fisica serve per trovarsi, bere un caffè, allinearsi e motivarsi, ma va bene farla massimo otto giorni al mese».In alcuni casi gli uffici oggi inoltre, come chiarisce Chiara Tagliaro, non sono più uno spazio per produrre il lavoro, ma addirittura diventano «uno spazio per promuovere la produttività di una città. Un ufficio che diventa luogo per eventi, spazio per ospitare persone, spazio di educazione». Un luogo dedicato al benessere delle persone. «Abbiamo sempre portato avanti attività per il benessere dei nostri dipendenti. Il cambiamento principale è dato dalla modalità. Prima le attività di questo tipo erano quasi esclusivamente fisiche, oggi molto più ibrida: fisica e digitale» conferma Fausto Fusco, Chief People&Culture Officer di Bip, che aggiunge un altro cambiamento: «Il passaggio da worklife balance inteso come “benefit” per il professionista a un worklife balance inteso come responsabilità, verso i clienti, il team e l’azienda, a fronte della disponibilità di tempo e spazio». Proprio per questo la società di consulenza ha attivato delle partnership per accedere a servizi di supporto psicologico, una piattaforma per seguire attività sportive, vari servizi dedicati alla genitorialità. E poi ha dotato i propri dipendenti di tutte le strumentazioni proprio per lavorare anche da casa in maniera adeguata. Con effetti sulla produttività positivi, visto che ognuno può organizzare il tempo di lavoro in modo migliore. Se dal lato organizzativo lo smart working aiuta, quello che manca è la possibilità di avere nuove relazioni e idee: per questo l’ufficio aperto condiviso come luogo di incontro facilita questo momento.L'ufficio quindi d'ora in poi andrà inteso come luogo in divenire, spazio di condivisione, innovazione, incontro e idee. «Se dopo aver fatto un viaggio per arrivare in sede facessi le stesse cose che potrei fare a casa sarebbe frustrante, per questo l’azienda deve pensare che in quella giornata ci siano dei contenuti differenti» aggiunge Mattuglia di Banca PSA:  «Quel che rende ingaggiante l’ufficio è riuscire a fare lì qualcosa che non riesco a fare a casa mia». Come per esempio «vedere più colleghi, avere una percezione dell’azienda, avere informazioni che a casa non ho». Tutti aspetti in linea con quello che dicono molte ricerche sul tema degli spazi di lavoro e comfort della situazione lavorativa come uno dei tre fattori chiave nella decisione di accettare o meno un lavoro. «E lo sarà sempre di più in futuro!» conclude Chiara Tagliaro. Perciò conviene già oggi creare spazi sostenibili, aperti, dove si crea, ci si incontra e si condivide, come hanno fatto Bip e Banca PSA. Spazi che possano essere i luoghi ideali del mondo del lavoro del prossimo futuro.Marianna Lepore

Tirocini ben pagati, ecco come si investe davvero sui giovani

“Offresi tirocinio per fare esperienza. Non è previsto rimborso spese”: era la prassi – percepita perfino come normale – fino a una decina di anni fa, quando non esisteva alcun obbligo in materia di indennità per i tirocinanti, e le aziende che decidevano di dare un rimborso spese ai propri stagisti erano una rarità.Tutto ha cominciato a cambiare, a livello di diritti, nel 2012, con l'approvazione da parte della Regione Toscana della primissima normativa che introduceva l’obbligo di indennità per i tirocinanti extracurricolari. L'anno dopo la Conferenza Stato Regioni ha emanato le prime Linee guida in materia di tirocini extracurricolari, includendo anche l'indennità. In base a queste nuove regole tutte le Regioni hanno promulgato, tra il 2013 e il 2014, le proprie normative. Oggi offrire un tirocinio extracurricolare senza compenso è illegale. E le indennità minime, fissate da ciascuna Regione nelle proprie normative, variano dai 300 euro della Sicilia agli 800 del Lazio.A chi credeva che obbligare a pagare un tirocinante sarebbe stato un deterrente per le aziende, i dati mostrano il contrario. I numeri ufficiali del ministero del Lavoro mostrano come si sia passati dai 185mila stage extracurricolari attivati nel 2012 ai quasi 330mila del 2021. Certo, le battaglie in questo settore non sono terminate, visto che a tutt’oggi non c’è nessuna legge che obblighi le aziende ad offrire un rimborso spese per quanto riguarda, invece, i tirocini curricolari, quelli all’interno dei percorsi di studio. La normativa dei curricolari risale a un vecchio decreto, il 142 del 1998, che non solo ormai ha appunto un quarto di secolo, ma ha anche una validità “monca” visto che all’epoca regolava tutti i tirocini – anche gli extracurricolari, che poi dal 2013 sono invece rientrati sotto le normative regionali. Per questo nel corso dell’ultima legislatura era cominciato il dibattito alla Camera sulla proposta di legge Ungaro che normava i tirocini curricolari e introduceva un obbligo di rimborso spese.Ci sono però anche aziende che, invece, hanno deciso di intraprendere da anni un’altra strada e pagare non solo i tirocinanti extracurricolari ma anche quelli curricolari, con indennità di tutto rispetto. E quando la Repubblica degli Stagisti ha avviato la sua attività, nel 2009, ha esplicitato nella sua Carta dei diritti degli Stagisti proprio la battaglia contro gli stage gratuiti, e deciso di ospitare sulle sue pagine solo aziende che si impegnassero a pagare i loro stagisti (e all'epoca non era obbligatorio nemmeno per gli extracurricolari!).Dunque nessuna azienda presente su RdS offre stage gratuiti, in nessun caso: tutte prevedono una indennità di almeno 500 euro al mese (o più alta, in caso la Regione dove hanno sede preveda un minimo più alto) per gli stagisti extracurricolari, e almeno 250 per gli stagisti curricolari. E non finisce qui: da qualche anno RdS ha anche istituito un premio a quelle aziende che svettano per l'ammontare dell'indennità offerta: la multinazionale dolciaria Ferrero e Cefriel, spin-off del Politecnico di Milano attivo del campo dell'Information Technology, lo hanno vinto pochi mesi fa per il fatto di offrire super-rimborsi agli stagisti: in particolare Ferrero offre a tutti – indipendentemente dalla tipologia di stage – mille euro al mese. Cefriel, invece, tra gli 800 e i 1.100 euro al mese.  Durante il suo evento annuale “Best Stage” la Repubblica degli Stagisti assegna infatti i suoi “AwaRdS” alle aziende più virtuose, e una delle categorie è proprio “miglior rimborso spese”.«È un riconoscimento al valore che i giovani portano in azienda» spiega Roberta Letorio, responsabile Human Capital di Cefriel: «I ragazzi sono inseriti su attività progettuali e contribuiscono portando una competenza: è giusto riconoscerla. In più è importante aiutare e supportare i giovani a creare una propria autonomia dalle famiglie. Negli altri Paesi europei l’età con cui si inizia a essere indipendenti dal punto di vista economico è più bassa rispetto al nostro contesto. Quindi è bello che la persona inizi a ragionare in un’ottica di autonomia e indipendenza anche economica. Ricordiamoci che sono dei ragazzi che stanno affrontando delle spese ed è importante che non gravino sulle famiglie».«Da sempre Ferrero adotta una politica che mette le persone al centro», dice Deborah Zago, Italy Business HRBP Ferrero: «Gli stage rappresentano un’occasione di incontro, collaborazione ed arricchimento biunivoco: tanto la nostra azienda investe sui giovani, tanto loro investono tempo ed energie in Ferrero. L’indennità è commisurata all’importanza che attribuiamo all’investire nella crescita, nella formazione e nel futuro professionale, anche dei più giovani». Un investimento che la multinazionale piemontese fa ormai da tempo per tutti i tipi di stage: «Riteniamo sia importante riconoscere un’indennità a tutti, indipendentemente che siano tirocini curriculari o extracurriculari. Per questo abbiamo uniformato gli importi, pari a mille euro netti al mese, oltre al rimborso spese per il primo mese di residence, alla mensa gratuita e altre facilitazioni». La scelta è quella di facilitare l’inizio dello stage concedendo ai giovani la tranquillità e il tempo per trovare una sistemazione adeguata. Elementi che possono essere considerati come una leva che agisce sull’attrattività, anche se, puntualizza Zago, «crediamo che la leva motivazionale che dovrebbe portare a scegliere uno stage in Ferrero sia da ricercare nella profondità delle attività, nel coinvolgimento aziendale e nell’opportunità individuale garantita dall’esperienza nella nostra azienda».«Se organizzati in maniera consapevole e programmata i tirocini possono davvero, così come l’alto apprendistato e l’alternanza scuola lavoro, dare una possibilità ai giovani di anticipare un’immagine rispetto al proprio futuro» aggiunge Roberta Letorio: «Spesso i giovani che incontriamo non sono ancora sicuri rispetto a quello che sarà il loro futuro lavorativo e allora confrontarsi con una realtà aziendale in cui ci sono tanti percorsi diversi può aiutare anche nell’orientamento». La manager sottolinea come sia importante per l’azienda stessa prevedere un sostegno economico anche per gli stagisti curricolari, «perché crea un impegno da parte dei giovani. È uno scambio per cui tu fai una prestazione e io ti riconosco una formazione all’interno del tuo percorso di studi» a cui si somma, appunto, il rimborso spese.L’obiettivo è sempre quello di un prosieguo della collaborazione e logicamente il fatto che un giovane si laurei dopo lo stage curricolare all’interno dell’azienda porta valore aggiunto. C’è poi un altro motivo per cui alcune aziende decidono di sostenere i propri tirocinanti curricolari, proprio come investimento sul loro futuro: il costo eccessivo degli affitti in città come Milano, per esempio, dove altrimenti solo un giovane con genitori abbienti potrebbe accettare di svolgere un tirocinio da fuorisede senza rimborso. Pagare i tirocinanti, che siano curricolari o extracurriculari, è un elemento decisivo per i giovani che si affacciano al mondo del lavoro, soprattutto in tempi di crisi come quelli attuali dove per le famiglie diventa sempre più difficile mantenere un figlio fuorisede.Questo atteggiamento verso la giusta remunerazione per la prestazione svolta può incidere nella costruzione di un mercato del lavoro più sano. «L’esperienza di stage è in primis un’opportunità formativa, e bisogna tener conto della sua sostenibilità economica» conclude Deborah Zago: «Il rimborso deve essere commisurato alle attività e agli impegni: è un passaggio propedeutico alla costruzione della propria carriera professionale, quindi un’esperienza ibrida di formazione che allo stesso tempo deve contribuire a costruire il mindset dello stagista nei confronti del mondo del lavoro. Impegnarsi per favorire opportunità professionali per i giovani è una responsabilità condivisa in cui Ferrero vuole dare il proprio contributo».Un ingresso nel mondo del lavoro con il giusto riconoscimento per i compiti svolti è, dunque, possibile ed è anche l’inizio di un cammino virtuoso in cui non si sarà tentati dall’accettare in seguito stipendi da fame.Marianna LeporeL'immagine di apertura è tratta dall'account 14995841 su Pixabay in modalità CreativeCommons

Gli stipendi troppo bassi dei giovani e la polpetta avvelenata dell'aiuto dalla famiglia

I lavori sottopagati – così come gli stage sottopagati, o addirittura gratuiti – sono ingiusti. Specialmente quando si tratta di mestieri prestigiosi, ambiti, e dunque i datori di lavoro giocano sulla “attrattività” di quei settori, di quelle professioni, per poter avere persone entusiaste e capaci senza pagarle il giusto.Nel caso degli stage la situazione è ancor più complicata perché c’è sempre di mezzo il discorso-trappola della formazione come “vantaggio principale” messo a disposizione dello stagista – uno scivolo per chi vuole comportarsi in maniera truffaldina e ottenere manodopera o cervellodopera a costo basso o nullo. “Eh ma ti sto insegnando!” è la scusa classica che si sentono indirizzare gli stagisti quando il tirocinio proposto prevede come indennità una somma irrisoria... o addirittura niente.La questione della dignità del lavoro, del diritto ad essere pagati per la propria prestazione (anche quando si è in formazione), è centrale anche perché, come è facile intuire, se ci sono mestieri prestigiosi ma cronicamente sottopagati o gratuiti, questi mestieri saranno aperti e contendibili solo da chi ha risorse proprie, e insomma, non ha – troppo – bisogno di guadagnare per vivere. Ciò di solito coincide con chi ha una famiglia abbiente alle spalle, disponibile a integrare i magri guadagni o, nel caso degli stage gratuiti, ad assumersi in toto il mantenimento dei figli per il tempo di svolgimento del periodo di formazione/lavoro senza compenso.Dunque una prima, grande ingiustizia, la più grande, è che se non si riesce a imporre che l’attività lavorativa – in qualsiasi forma che non sia volontariato – debba essere pagata equamente, avremo sempre nicchie più o meno grandi di lavoro (solitamente glamour) presidiate dai cosiddetti “figli di papà”.Eppure c’è un’altra ingiustizia. Più piccola, meno visibile, meno facile da riconoscere. Ma non per questo meno vera. E molto, molto diffusa. A potersi permettere questi periodi – anche lunghi – di scarso guadagno non sono necessariamente, in realtà, solo i “figli di papà”. Ci sono anche tantissimi giovani della classe media, e perfino medio-bassa, che ricevono un aiuto sistematico dalle proprie famiglie – anche se queste famiglie non nuotano nell’oro.Che sia il contributo per l’affitto o la messa a disposizione di una casa per vivere, regali importanti come la macchina o le vacanze, oppure semplicemente l’abitudine di riempire il frigo o pagare le multe, o l’attività di babysitting per gli eventuali (pochi) figli, mille sono gli aiuti che i giovani, specialmente in Italia, ricevono dalle loro famiglie d’origine. Le famiglie lo fanno, il più delle volte, in maniera generosa, altruista, amorevole – per permettere a questi figli di rincorrere i loro sogni professionali, di poter realizzare i loro obiettivi senza l’ansia di non riuscire ad arrivare alla fine del mese.Ma chi riceve aiuti dalla sua famiglia anche quando ha superato i venticinque, i trent’anni, è davvero fortunato?C’è un aspetto che troppo spesso viene tralasciato quando si ragiona di questi argomenti, e che si può efficacemente rappresentare con la frase “Pago, pretendo!” di un famoso personaggio dei “cinepanettoni” degli anni Ottanta, il “commendator Zampetti”.Pago, pretendo. I soldi sono un laccio, un guinzaglio. E nel caso dei giovani, un formidabile strumento di controllo in mano ai genitori su figli ormai grandi e vaccinati.Una «anticamera di una ‘libertà vigilata’ sociale ed economica» per i giovani adulti: così la descrive Giuseppe Annibale Micheli, che ha dedicato decenni allo studio delle dinamiche demografiche, intergenerazionali, e dei rapporti all’interno delle famiglie, scrivendo libri appassionanti e illuminanti sul tema. In Sempregiovani & Maivecchi, pubblicato da FrancoAngeli nel 2009, Micheli parte per esempio chiarendo come le cinque «tessere del mosaico» della transizione all’età adulta – «la fine degli studi, l’acquisizione di un lavoro stabile, l’uscita di casa, la formazione di un’unione stabile, la nascita di un figlio» – siano ormai scombussolate. E spesso non per scelta dei diretti interessati bensì per caso, per sorte avversa, perché molti meccanismi sociali ed economici sembrano essersi inceppati e impediscono ai giovani di andare avanti. I ventenni-trentenni trovano lavoro più tardi, vengono inquadrati con contratti precari (che spesso anziché «entry ports» si rivelano «job traps»), ricevono retribuzioni troppo basse per potersi permettere da soli una casa. Una vita.E allora intervengono le famiglie. Aiutano. Ma questo aiuto non è gratuito. C’è uno scotto da pagare: accettare che il proprio distacco da casa venga «pilotato». Non poter tagliare il «cordone ombelicale con la famiglia di origine» – anzi, essere chiamati a mantenerlo «robusto». Restare vicini, fisicamente o anche solo mentalmente, alla casa paterna. Restare dipendenti. Una casa diversa viene messa a disposizione, certo, e questo è un «vantaggio materiale» per i figli squattrinati. Ma sono i genitori a – contribuire a – sceglierla. Sono i genitori a suggerire dove, come, quando comprarla o affittarla. E magari si tengono pure le chiavi, in concreto o in astratto, e con esse «il diritto di entrare nello spazio privato dei figli».Uno spazio privato che include ogni scelta di vita: cosa studiare, che stile di vita adottare, con quali amici e partner, che mestiere fare, dove e come passare il proprio tempo, come spendere i propri soldi. Se e quando fare figli, con chi farne, come educarli. «I genitori italiani sono tradizionalmente disposti ad aiutare generosamente i figli che si conformano alle loro aspettative» scrive Micheli «ma la loro disponibilità cala in modo rilevante se i figli operano scelte non condivise». E quindi, inevitabilmente, «l’importanza strategica del sostegno economico dei genitori rende» (per i figli adulti “aiutati”) «particolarmente rischioso mettere in atto scelte che disattendano le loro aspettative». Costringendoli a sacrificare un pezzo – piccolo, grande, a volte addirittura enorme – della loro libertà.Per questi figli che si avvicinano ai trent’anni e che a volte anche li superano eppure ancora guadagnano drammaticamente troppo poco – a volte nemmeno mille euro al mese – i genitori sono un’assicurazione sulla vita (e sulle comodità). Permettono loro di farsi strada nel mondo anche senza doversi “guadagnare da vivere” in senso stretto. Ma così facendo si auto-condannano al ruolo perenne di subordinati, di “sempre(troppo)giovani”, e mettono nelle mani di mamma e papà uno strumento di pressione formidabile: «Finiti i tempi dei padri padroni, l’arma più convincente» è proprio «la minaccia di ritirare il proprio supporto economico per l’acquisto della casa, e il supporto in manodopera per l’accudimento dei nipotini». Nel suo libro più recente, Preferirei di no, uscito nel 2021 per Mimesis edizioni e focalizzato più specificamente sul crollo delle nascite, Micheli dice anche che il «definitivo arresto dell’ascensore sociale» (definitivo… ma non per sempre, si spera) sta portando «al graduale prosciugarsi dei salvadanai familiari» che però sono «per la verità ancora oggi sorprendentemente inesausti». Dunque le famiglie italiane hanno ancora dei “tesoretti” da distribuire ai figli per rimediare alla situazione economica e di welfare disastrata. Ma il dono, ricorda Micheli di nuovo in Sempregiovani & Maivecchi, qualunque esso sia, implica un obbligo implicito a contraccambiare, che «scatta come una tagliola», «intrappolando il figlio inconsapevole». Quel figlio si renderà conto magari solo molto più avanti – quando per esempio la prospettiva di accettare una proposta di lavoro in un luogo lontano, o la scelta di fare un bambino al di fuori del matrimonio, o di separarsi dal partner di lunga data e avviare una nuova relazione, troveranno la disapprovazione e la pressione negativa da parte dei genitori “che ti hanno sempre tanto aiutato, non vorrai mica essere un figlio ingrato?” – di quanto questa tagliola possa far male. Un “Pago, pretendo” implicito, nella maggior parte addirittura inconsapevole, o comunque strenuamente negato.Gli aiuti economici dei genitori sono spesso salvifici per i giovani italiani, è innegabile. Ma non sono indolori. E costringono il più delle volte a una vita “a responsabilità limitata”.

Perché si va via dall'Italia, perché non si torna: l'affresco dei giovani all'estero della creatrice di Spaghettipolitics

Uscire. Andare. Mettersi alle spalle l’Italia per qualche mese, qualche anno. Imparare. Lasciarsi sorprendere. Aprire la mente. Questo è il messaggio più forte contenuto nel libro Il futuro non può aspettare di Michela Grasso, una 23enne appassionata di scienze politiche che – con un profilo Instagram chiamato Spaghettipolitics con 240mila followers e oltre trecento contenuti all’attivo – è riuscita a sdoganare il tema complesso della politica italiana con un punto di vista dall’estero, sopratutto per il pubblico straniero dei più giovani.Il sottotitolo del libro che ha scritto, uscito a fine 2021 per De Agostini, è «Perché la mia generazione è costretta a partire», e quel verbo passivo, “costretta”, è interessante perché contemporaneamente rappresenta e non rappresenta quello che Michela Grasso vuole comunicare. Da una parte è vero che lei, da ventenne italiana con già tanta esperienza all’estero – a cominciare dal quarto anno di scuola superiore passato in Oregon, negli Stati Uniti, passando per l’università in Olanda e arrivando poi alla scelta di fare un anno di volontariato in Francia con il corpo europeo di solidarietà – non risparmia critiche anche dure all’Italia: «Andare via, molto spesso, è più semplice che tornare, soprattutto quando la tua nazione non fa nulla per garantirti un futuro adeguato». E poi più avanti: «La fuga dei cervelli è anche questa: ragazzi e ragazze che se ne vanno perché non si sentono benvenuti in Italia, portando le loro competenze all’estero».Eppure Grasso è ben consapevole che sia meglio partire non perché ci si sente “costretti”, ma per una libera scelta, un desiderio genuino di scoperta. Vivere in Paesi diversi dal proprio serve soprattutto in un’ottica di crescita personale, piuttosto che di fuga o di sfogo della rabbia: «Riuscire a viaggiare conoscere altri Paesi europei aiuta formare un’identità europea, e non solo» scrive infatti: «Facilita anche la crescita di aspirazioni e capacità molto preziose per la vita dell’Unione Europea. Viaggiare libera dai pregiudizi e dona nuove prospettive, che aiuteranno nella formazione professionale, creando cui cittadini più consapevoli, attenti e uniti».Ma ci sono anche molti che partono per scelta e poi non tornano perché si sentono in qualche modo “costretti” a restare lontani: perché l'Italia non offre abbastanza. A volte nemmeno il minimo indispensabile. «Quello che mi manca, in Italia, è la possibilità di sognare, e di crescere» scrive infatti Grasso nelle prime pagine: «Il lavoro è poco e retribuito male, c'è persino carenza di stage non pagati e i giovani sono l'ultima ruota del carro». Se questa situazione non cambia, i giovani continueranno ad andarsene e a tenersi ben lontani dall'Italia, rientrando solo per le vacanze e le feste comandate, ripensando magari con nostalgia alla loro infanzia e giovinezza in Italia ma costruendo sempre più saldamente la propria vita adulta altrove: «Questo libro vuol essere una richiesta di aiuto, da parte mia e di tante centinaia di migliaia di giovani italiani, per poter scegliere un giorno di tornare a casa ed essere sicuri di poter condurre la vita che meritiamo. Una vita dove essere trattati, pagati e considerati per quello che siamo, per quello che valiamo». Nel volume, una raccolta di testimonianze di giovani – perlopiù di coetanei dell’autrice, classe 1999, quindi ragazzi a cavallo tra l'adolescenza e l'età adulta, impegnati in studi universitari o appena entrati nel mondo del lavoro – si trovano esperienze di emigrazione positive e negative, expat che rimpiangono l’Italia ed expat che non ci tornerebbero mai. Un affresco pieno di diversità che vuole rappresentare anche le persone solitamente meno raccontate, le cosiddette minoranze – chi ha un colore di pelle diverso dal bianco, un orientamento sessuale diverso dall’eterosessualità, un corpo con una disabilità. Alcuni degli intervistati sono a loro volta, proprio come Grasso, persone attive online e sui social network, che portano avanti progetti multimediali con l’obiettivo di raccontare un pezzo di mondo dal loro punto di vista.Del resto il numero di persone con cittadinanza italiana all’estero è impressionante: in aggiunta ai 60 milioni di italiani in Italia, ce ne sono oltre cinque milioni e mezzo – di cui più di due e mezzo tra i 18 e i 49 anni – iscritti all’Aire, l’anagrafe dei residenti all’estero. Molti di questi – oltre 2,2 milioni – hanno il passaporto italiano grazie a qualche padre, nonna, bisnonno, in virtù dello ius sanguinis. Ma c’è anche l’emigrazione nuova, “ripartita” più o meno vent’anni fa e in costante aumento: quella raccontata appunto da Michela Grasso. Nel solo 2020, per esempio, secondo i dati pazientemente e preziosamente raccolti ogni anno nel Rapporto Italiani nel Mondo, quasi 110mila italiani hanno spostato la propria residenza in un altro Paese: una mobilità soprattutto giovane, dato che quasi il 43% dei neo expat del 2020 aveva tra i 18 e i 34 anni. E tra questi ci sono alcuni dei protagonisti delle 240 pagine del libro. Che sono partiti per le ragioni più svariate: «C’è chi fugge, lottando per la propria sopravvivenza. C’è chi lascia tutto per amore, che sia per un partner o per un figlio. E c’è chi migra con la consapevolezza che ci sia ben poco per cui valga la pena di restare. Le ragioni per andarsene sono innumerevoli e ognuno le vive in maniera diversa».Dice per esempio Michela Grasso in un passaggio: «Se noi giovani ce ne andiamo è anche per riprenderci parte della libertà che in Italia sentiamo di non avere, in un paese governato da uomini che sono tutti uguali identici – bianchi, cisgender, eterosessuali, di un’età almeno superiore a quarant’anni (ma meglio sessanta) – e non hanno il coraggio di lasciare spazio alle nuove generazioni».Il libro è pieno di dritte, di “tips” per tutti coloro che accarezzano l'idea di partire per studiare o lavorare all'estero, ma non hanno ancora fatto il grande passo. E poi è divertente. La giovane autrice racconta per esempio del mitico “pacco da giù”, la riserva di viveri che diventa «pezzo di cuore che gli italiani di ogni età si fanno mandare dai genitori o dai nonni, il modo di nascosto in cui un padre e una madre possono dire “ti voglio bene“ senza esporre troppo le proprie vulnerabilità». Ma a volte ci sono pagine che affrontano temi anche molto spinosi, come le case da incubo in cui ci si ritrova a vivere quando ci si trasferisce in città sconosciute, lo spaesamento nel non parlare perfettamente la lingua e non cogliere i riferimenti politici e culturali delle conversazioni con i nativi, o le brutte esperienze in cui alcuni expat si trovano invischiati quando cercano lavoro e finiscono per essere sotto inquadrati, sottopagati, a volte addirittura sfruttati. Perché andare all’estero non è sempre certo una passeggiata, e non è detto che si trovi subito una buona sistemazione!Le due categorie in cui l’autrice suddivide chi sceglie di andarsene sono quella di chi «odia il paese dove vive e ama l’Italia, ha difficoltà a interagire con gli stranieri e preferisce il comfort degli italiani» e poi quella di chi «odia l’Italia e ama l’estero, non fa che parlare di quanto l’Italia sia terribile e sottolineare le meraviglie straniere». Ovviamente è la via di mezzo la situazione più consueta: «io per esempio vado a momenti» scherza lei.Michela Grasso è ben consapevole che «viaggiare e vivere all’estero sono dei privilegi che derivano direttamente dalla famiglia in cui si cresce, che può darti non solo il sostegno economico ma anche gli strumenti necessari e l’educazione necessari per approcciarsi al mondo con mente aperta e occhi diversi». Non è quindi solo una questione economica: chi è capace ad adattarsi può anche viaggiare con budget ridotti, e poi c’è sempre l’opzione di lavorare prima di partire o mentre si è in viaggio. E’ sopratutto una questione culturale. Ed ecco che torna il messaggio principale dell’autrice ai suoi coetanei, e a tutti quelli più giovani di lei: fare la valigia e partire, per dare una scossa di terremoto alle proprie certezze e alla propria comfort zone, e imparare in posti lontani da casa propria. Per poi magari, chissà, un giorno tornare e costruire un’Italia finalmente più a misura di giovani.