Quando le aziende scommettono sul Southworking, così si combatte la disoccupazione al Sud
Lavorare al Sud, anziché dover emigrare al Nord. Ma senza necessariamente cambiare datore di lavoro. Il southworking è una pratica di cui si intravedevano i prodromi già prima della pandemia, e che dopo lo shock del Covid non si è più arrestata. Niente spese di affitto insostenibili in città dove il soggiorno in una stanza si porta via una parte sostanziosa dello stipendio, ma un lavoro da casa, grazie alle tecnologie digitali che lo rendono possibile. E le aziende stanno cominciando a cogliere l'opportunità. La multinazionale della consulenza Bip lo scorso autunno ha aperto una sede a Palermo. Una sfida che non significa isolare chi lavora da sedi lontane, ma anzi sfruttare il potenziale presente in loco. «Non si penalizza chi è operativo da Messina o da Palermo rispetto a chi è a Milano» ragionava Nino Lo Bianco, presidente della multinazionale e siciliano doc, intervenendo a novembre scorso in una trasmissione di Class CNBC: «Perché anche chi è al Sud è connesso con altre squadre che stanno portando avanti progetti internazionali, negli Usa come in Spagna, non limitandosi alla realtà locale». Sono state assunte settanta persone, di cui la maggioranza neolaureati dell'università di Palermo e del dipartimento palermitano della Lumsa. Ma «l'obiettivo è raddoppiare gli assunti entro primavera» fa sapere Lo Bianco. Lo stesso sta accadendo in un'altra big della consulenza, EY, che già prima della pandemia aveva deciso di potenziare la propria sede di Bari, trasformandola in un hub. «Il primo collega della sede di Bari è stato assunto nel 2019 e nel 2020, dopo un anno di pandemia, eravamo a 200» commenta Francesca Giraudo, EY Europe West Business talent leader. La questione meridionale è però ancora tutti lì, da risolvere. L'occupazione italiana è tornata a livelli pre-pandemia, ma non nel Sud. Secondo i dati del rapporto Svimez 2022 dello scorso novembre, nel 2021 il tasso di occupazione giovanile nazionale si è attestato attorno al 41 per cento, sotto di 15 punti rispetto alla media europea. Nel Mezzogiorno lo stesso tasso era del 29,8 per cento. Messina e Palermo, secondo Eurostat, detengono il primato di disoccupazione giovanile, con venti punti in meno di occupati rispetto alle altre zone d'Italia. Guardando ai Neet, su circa tre milioni di under 35 che non lavorano né studiano, oltre la metà (1,6 milioni) sono meridionali. Il Sud resta insomma una terra carente di lavoro e ancora inesplorata per gli investimenti delle aziende. E per cambiare direzione servono nuove opportunità. Per EY «l'obiettivo è arrivare a assumere 1.500 persone nel medio periodo». E un occhio di riguardo dell'azienda – «dove oltre la metà della popolazione aziendale è donna» – sarà per il bilanciamento di genere. Ci saranno iniziative specifiche «come il Talent on tech» racconta Giraudo «volto a promuovere e valorizzare il talento delle colleghe».E l'impatto non si limita a dove lavoreranno le persone, ma si allarga anche al come lavoreranno. La missione di Bip, specifica Lo Bianco, è «aiutare il territorio a crescere e a attrarre investimenti che possano portare innovazione, sostenibilità e sviluppo». L'ufficio non sarà infatti utilizzato dai soli dipendenti di Bip, «ma aperto alla città». Sulla stessa linea è anche il pensiero di Giraudo di EY: «Per noi southworking è un concetto limitato». Si punta a «avere una maggiore variabilità di profili e di background e a creare legami positivi – oltre che investimenti economici – nel territorio». Il Sud va concepito come «hub di talenti» perché finora è stato «poco valorizzato nel contesto socio-economico italiano». Risorse umane che andranno spese non solo nell'economia locale ma «da connettere con il resto d’Europa e del mondo, creando un circolo positivo di competenza e crescita economica». I vantaggi viaggiano su due binari. Da un lato per le persone, «che hanno la possibilità di restare nel proprio territorio di origine senza sostenere i costi di trasferimento e le spese tipiche delle grandi città» sottolinea Giraudo; oppure fare ritorno nella loro Regione natale dopo aver passato anni al Nord. Il vantaggio per le aziende è di «poter attingere al migliore talento, ovunque esso sia». E poi la produttività perché, prosegue la manager, «la capillarità sul territorio permette una più alta attrattività nei confronti dei talenti, una maggiore fidelizzazione e vicinanza con il cliente e con le esigenze locali». Non è una scelta «sentimentale» ragiona Lo Bianco, che date le sue origini ha comunque un pezzo di cuore in Sicilia, ma «strategica: il Sud è un bacino di risorse da arruolare». Serve però un cambio culturale perché a essere carente nel Meridione «è la preparazione al lavoro», in aggiunta al divario digitale. Le aperture di uffici al Sud sono infatti frutto dello smart working, senza il quale, afferma Lo Bianco, «sarebbe impensabile il southworking». Il Pnrr ci dovrà mettere del suo per favorire iniziative analoghe e creare adeguate infrastrutture informatiche. Il piano approvato lo scorso anno per un totale di 222 miliardi «prevede la destinazione del 40 per cento circa delle risorse complessivamente considerate al Mezzogiorno» spiega una nota sul sito della Camera, «in attenzione al principio della coesione sociale e del riequilibrio territoriale». L'importo è di circa 82 miliardi, e le missioni da compiere saranno diverse. Tra queste c'è la digitalizzazione, il fulcro per portare investimenti e posti di lavoro: in modo che altre aziende possano scommettere sul Mezzogiorno, come hanno fatto Bip e EY.