La crisi influenza il modo in cui viene utilizzato lo stage? I Paesi della Penisola iberica sono tra quelli che più hanno accusato il colpo della depressione economica - che anzi in Spagna rischia di degenerare in default - eppure, come dimostra l'indagine pubblicata a maggio dalla Commissione europea, qui gli stagisti (e i lavoratori) godono di diritti e tutele assenti in contesti più floridi.
In Spagna il tasso di criticità è altissimo: un giovane su due non lavora, i Neet sono due milioni e mezzo (un quinto degli under 29) e quasi uno studente su tre abbandona precocemente gli studi, tanto da richiedere un piano nazionale ad hoc. Dal Fondo "salva Stati" sono da poco partiti 100 miliardi di euro di finanziamento (a cui l'Italia contribuisce per il 17%).
Lo stage però gode da tempo di diverse tutele, che la crisi ha scalfito solo in parte. Innanzitutto, pur mancando una normativa specifica, questo strumento è regolato da due testi: la riforma del sistema formativo professionale del 2002, destinata soprattutto ai giovani con bassi livelli di istruzione; e la Ley orgánica de la educación, in vigore dal 2009, che norma stage universitari, di inserimento e riqualificazione.
La Formaciòn en centro de trabajo, gratuita, riguarda gli studenti delle superiori tra i 16 e i 18 anni ed è indispensabile per acquisire un diploma tecnico. Gli stage universitari si possono invece dividere grossomodo in due categorie, a seconda che esista o meno una convenzione - con contenuti simili a quella italiana, recentemente riformati. Chi ha acquisito almeno la metà dei crediti previsti può accedere, se vuole, a uno dei becas de convenios de cooperación educativa, concordati tra istituzione formatrice e aziende, che il più delle volte prevedono un contributo. Beca appunto, «borsa di studio», che per estensione è arrivata ad indicare lo stesso stage. Ogni anno lo fanno in circa 150mila universitari; ma il report non dà indicazioni sul contributo. Ce ne sono di diversi tipi: ad esempio i Becas de administraciones pùblicas, anch'essi finanziati, si svolgono negli enti pubblici (ma dal report pare riguardino solo 400 persone all'anno, un numero irrisorio rispetto alle decine di migliaia delle stime italiane); mentre quelli de collaboraciòn sono per studenti senior che fanno esperienza nella loro stessa università.
I becas unitalerales invece sono offerti direttamente dalle imprese al laureato e non prevedono convenzione. Non a caso è qui che si registrano più spesso episodi di abuso. Un apposito ufficio del ministero del Lavoro è chiamato a vigilare sui 30mila percorsi attivati ogni anno, ma le ispezioni sono ritenute insufficienti. In compenso, anche per questo tipo di percorso «è previsto un finanziamento pubblico». Di nuovo non pervenuto.
Infine, insieme all'equivalente del nostro praticantato, ci sono due veri e propri contratti di lavoro, più o meno sovrapponibili all'apprendistato professionalizzante e a quello di alta formazione italiani. Il Contrato para la formación è riservato a studenti di corsi professionali di età inferiore ai 25 anni (prima la soglia era 21) e dura da uno a tre anni. La retribuzione è proporzionale al tempo di lavoro e comunque mai inferiore al salario minimo interprofesional, che in Spagna ammonta a circa 21 euro al giorno. Il Contrato en prácticas, riservato a neolaureati fino a 29 anni, dura invece da sei mesi a due anni. La retribuzione non scende al di sotto del 60% (durante il primo anno) e del 75% (secondo) del salario minimo. Nel 2010 i giovani che hanno firmato queste forme contrattuali sono stati in tutto 110mila, quasi 60mila in meno in tre anni.
Dagli indignados spagnoli alla «generazione disperata». Così si definiscono i 300mila giovani portoghesi che a fine 2011 sono scesi in piazza per reclamare il loro diritto a un futuro. Nella fascia 25-29 anni il tasso di disoccupazione in Portogallo non è a livelli critici (14%), ma un terzo degli under 34 anni è precario, con numeri in vistoso aumento; come aumenta quello delle false partite Iva (recibos verdes), che riguarda 77mila professionisti. Il paradosso è il solito: più alto è il livello di istruzione, più difficile diventa trovare lavoro. Il tempo medio di attesa per i trentenni supera addirittura i due anni.
D'altra parte «per contrastare gli effetti della crisi il governo ha aumentato gli investimenti sullo stage», avviando molti programmi nazionali. Tutti fanno riferimento ad un decreto del 2009 che riserva questo strumento ai giovani fino a 35 anni (nessun limite è posto invece per i disabili) in cerca di prima occupazione e che abbiano almeno un diploma. Nel 2008, ad esempio, l'Iniziativa per l'investimento e l'impiego ha impiegato 100 milioni di euro e coinvolto 40mila giovani; ma il programma di maggior spicco è l'Inov, dell'istituto Iefp, l'Instituto do emprego e formação profissional, articolato in diverse misure (Inov Jovem, Art, Export, Contacto), a seconda di destinatari e settori di stage. Gli stagisti Inov ricevono fino a 838 euro al mese, a cui si possono aggiungere anche dei benefit sociali, e le aziende che li assumono ricevono un bonus monetario variabile da programma a programma.
A livello pubblico si dispone di dati numerici piuttosto precisi, mentre rimane difficile stimare quanti tirocini sono stati avviati in ambito privato. Il primo anno di sperimentazione, nel 2006, l'Inov ha contato meno di mille partecipanti, per poi passare a 3mila due anni dopo e addirittura a 8.400 nel 2009: +400% in tre anni. In particolare l'"Inov Contacto", destinato ai laureati al loro primo impiego, ha collocato la metà dei suoi stagisti dal 2005 al 2008, in parte anche all'estero. E si è guadagnato un posto tra le best practices. Anche più alti i numeri del Youth Placement Program (Programa Estágios Profissionais), pensato per trentenni in cerca di primo impiego e under 36 disoccupati, che ogni anno raccoglie circa 20mila adesioni. Dati recenti dello Iepf riferiscono che nell'ultimo decennio in 170mila hanno beneficiato del programma, e di questi quasi quattro su cinque sono stati assunti. «La ragione del successo» spiega il report «è vista nel cofinanziamento pubblico». Trattandosi appunto di soldi pubblici, sarebbe stato opportuno rendere note le cifre: in questo il focus portoghese, come quello spagnolo - entrambi a cura del nostro Irs, l'Istituto per la ricerca sociale - appaiono piuttosto carenti, forse anche per oggettiva difficoltà di reperimento dei dati.
Annalisa Di Palo
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