Le aziende si dicono favorevoli allo stage, e lo sono ancor di più in tempo di crisi. Lo dimostrano i dati emersi dalla 13esima indagine condotta da Gidp/Hrda - gruppo che riunisce oltre duemila dirigenti e direttori del personale- presentati a luglio presso la sede di Assolombarda a Milano. Le aziende coinvolte nella ricerca sono state 130 di cui poco meno della metà con più di 500 dipendenti: si tratta per lo più di multinazionali, collocate prevalentemente al nord-ovest [oltre la metà] e appartenenti in misura maggiore al settore metalmeccanico e terziario.
I numeri snocciolati da Paolo Citterio, presidente di Gidp/Hrda e membro del consiglio direttivo di Assolombarda, presentano un approccio decisamente favorevole agli stage da parte delle aziende: quasi l’88% di queste ritiene il tirocinio propedeutico all’assunzione e la metà esatta risulta aver inserito nel corso del 2011 in organico da uno a tre giovani al termine del periodo di formazione, stipulando in un terzo dei casi un contratto di apprendistato, per un altro 30% un tempo determinato, nel 12% dei casi collaborazioni a progetto e solo per il 11% un contratto a tempo indeterminato. Tuttavia quasi un sesto delle grandi aziende intervistate ha deciso di non assumere gli stagisti al termine della loro esperienza.
Ma in che modo le aziende entrano in contatto con gli aspiranti stagisti, quali sono le figure più ricercate, quali criteri sono presi più in considerazione nelle fasi di recruitment e quali vantaggi sono promessi dallo svolgimento di un tirocinio?
Secondo l’indagine un terzo delle aziende impiega circa un mese per trovare un neolaureato da inserire come stagista, la ricerca avviene sui siti di placement delle università o all’interno dell’area candidature del proprio sito. A farla da padrone però sono i motori di ricerca più conosciuti per l’intermediazione tra domanda e offerta di lavoro: oltre il la metà degli H.R. manager va a caccia di candidature su Monster.it, il 7,69% si affida a Jobrapido.com e buoni spunti sono offerti anche dai social media come Linkedin.com e H2Biz.eu.
I più ricercati sono gli ingegneri, quasi il 28,48%, meglio se gestionali, seguono i laureati in economia [24%] e gli informatici [6,33%]. Come lo stesso Citterio conferma: «le lauree umanistiche non sono neanche prese in considerazione», dettaglio triste che dimostra la scarsa capacità delle aziende italiane di immaginare un’organizzazione più flessibile e in grado di valutare le risorse effettivamente possedute dai candidati.
In generale aver conseguito in corso il titolo di laurea conta meno della motivazione che il candidato deve dimostrare in sede di colloquio [6,32% contro il 20%]; altri fattori tenuti in considerazione sono la conoscenza di più lingue straniere come il sempre più richiesto cinese [un quarto], l’aver avuto altre esperienze lavorative durante gli studi [un sesto] e la disponibilità a spostarsi dal luogo di residenza. In cambio le aziende offrono il loro prestigio in termini di internazionalità [il 26% delle intervistate punta su questo aspetto] e di notorietà del proprio brand. Ma le aziende sanno che questi aspetti non posso bastare e per incentivare lo stagista meno della metà di queste riconosce buoni pasto e rimborsi spese, il 29% un rimborso spese tra i 500 e i 600 euro mensili e addirittura c’è chi «paga» il tirocinio tra i 900 e i 1000 euro: ma si tratta solo del 2,17% delle grandi imprese, che per giunta dedica questo trattamento particolare principalmente agli ingegneri.
«Lo stage è un’occasione importante per i giovani» secondo Massimo Bottelli, direttore del settore sindacale e sociale di Assolombarda,che durante il convegno di presentazione dei dati ha citato un articolo di Gustavo Piga pubblicato dal Financial Times: «Come ha scritto recentemente il professor Piga, docente di economia presso l’università di Tor Vergata di Roma, quando la crisi economica sarà finita corriamo il rischio di perdere dal mercato del lavoro la generazione che attualmente ha tra i 25 e i 34 anni. Lo stage diventa quindi uno strumento per non rimanere esclusi dal mercato del lavoro». Della stessa opinione è Laura Mengoni, responsabile area formazione, scuola, università e ricerca di Assolombarda, che aggiunge: «La crisi del ’92 fu peggiore di quella attuale perché all’epoca, non esistendo lo stage, chi rimase fuori dal mercato del lavoro - spesso senza esserci neanche mai entrato - vide letteralmente sparire molte possibilità di ricollocarsi». L’utilizzo di tirocini è suffragato dall’impressione che le aziende - quasi un quarto di queste - hanno nei confronti dei neolaureati, percepiti come poco informati sulle dinamiche del mercato del lavoro, difetto che si aggiunge a inadeguate competenze e alta indecisione personale sulle scelte professionali e i progetti futuri. Di sicuro anche gli stessi stage hanno contribuito a generare questo scenario, come ammette Bottelli: «La realtà aziendale italiana è costituta per lo più da micro imprese che purtroppo hanno spesso abusato degli stage e dei ragazzi, coinvolgendoli in attività ripetitive e poco formative. Purtroppo la retorica della meritocrazia che piace molto in questi ultimi tempi rischia di rivolgersi solo alla fascia alta tanto aziendale quanto delle skills richieste ai giovani, lasciando in ombra i contesti più piccoli e contribuendo alla perdita di ampi settori del mercato del lavoro». Proprio con la preoccupazione di arginare gli abusi che si perpetuano da troppo tempo proprio in queste realtà minori, la riforma del lavoro appena entrata in vigore ha messo mano ai tirocini, introducendo [anche se bisognerà attendere entro i prossimi sei mesi la definizione delle linee guida del Ministero del lavoro e della Conferenza Stato-Regioni] il principio del riconoscimento obbligatorio di una congrua indennità per la prestazione svolta.
Su questo punto lancia l’allarme Maurizio Del Conte, docente di diritto del lavoro all’università Bocconi di Milano: «Attribuire un compenso obbligatorio per lo svolgimento di un tirocinio rischia di snaturare questo strumento il cui fine è solo ed unicamente formativo. Se un datore di lavoro deve riconoscere un compenso si sentirà autorizzato a richiedere una prestazione lavorativa allo stagista, che privo di esperienza, verrà collocato allo svolgimento delle mansioni più ripetitive e banali perdendo l’occasione di imparare e fare esperienza». Eppure in Francia, dove per gli stage presso aziende private con una durata maggiore di due mesi è riconosciuto un rimborso spese fissato con una legge, non sembra abbiano corso il rischio di confondere il lavoro con la formazione. Valorizzare il tempo e l’impegno durante il periodo di stage significa incentivare i giovani, farli sentire utili nella struttura che li ospita, ma è un ottimo investimento anche per le aziende nella ricerca di nuove risorse. Lo stage non è lavoro e un compenso obbligatorio e forfettariamente stabilito per legge non sostituirà uno stipendio: se il pericolo è snaturare lo «strumento stage» - più di quanto non sia già stato fatto in questi anni - chiariti questi due punti, potrà considerarsi scampato.
Lorenza Margherita
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