Categoria: Approfondimenti

Gianluca Dettori: «Decreto start-up, un passo nella giusta direzione»

Un passo avanti, un'inversione a 'U' rispetto ad un Paese in cui al Viminale «si parlava di chiudere Facebook». Gianluca Dettori, saluta così l'approvazione del decreto Sviluppo bis e delle norme dedicate alle start-up. Classe 1967, una laurea in Economia all'università di Torino, nel 1999 ha fondato Vitaminic, primo distiributore discografico digitale in Europa. Nel 2006 ha dato vita a dPixel, società di venture capital per le internet start-up che ha nel proprio portfolio 12 giovani aziende innovative, tra le quali c'è anche Sardex, realtà della quale Startupper si è occupata in estate. Dopo la pubblicazione del decreto, Dettori ha accettato di commentarlo con Repubblica degli Stagisti.Cosa pensa dei contenuti del decreto Sviluppo bis?Mi sembra un ottimo decreto, contiene molti elementi. Ovviamente mi focalizzo sulle start-up, ma penso che anche le innovazioni introdotte per la pubblica amministrazione, se effettivamente riusciranno ad implementarle, rappresentano un piano ambizioso per la digitalizzazione. Questo è buono perché fa risparmiare dei soldi e consente maggiori efficienze sotto il profilo economico. Inoltre migliora i servizi e porta il digitale in mano a molti, che oggi nemmeno se lo immaginano. E questo potrebbe allargare il mercato digitale, cosa che indirettamente può favorire anche le start-up. Sul tema specifico, mi sembra che il decreto sia ottimo per incominciare, ci sono un paio di cose che ci si aspettava e invece non ci sono, ma nel complesso è un provvedimento con un obiettivo preciso: si è scelto focalizzarsi sulle imprese innovative e sui giovani. Una delle cose che trovo molto innovative è il fatto che sia possibile il crowdfunding, introdotto in una misura che potremmo definire come una versione ristretta di quella contenute nel Jobs act di Obama.Lei parla di focus sui giovani. Eppure non è previsto alcun limite di età per gli startupper.Andiamo a vedere l'impianto della norma: al di là del fatto che ci sia un limite di età o meno, se si guarda l'impianto è chiaro che è tipicamente indirizzato a chi deve fare nuove imprese nel campo dell'innovazione. Ci sono requisiti, come quelli legati agli incubatori, al ruolo degli investitori. E poi c'è il crowdfunding. Nel complesso è un impianto che andrà ad attecchire su larghe fasce di giovani disoccupati che, invece di cercare un posto che non trovano, possono creare un'azienda con una serie di semplificazioni all'atto della fondazione, con la possibilità di effettuare operazioni ad oggi riservate alle società per azioni, come la cessione di stock option defiscalizzate per cui persone chiave nell'organigramma diventano socie, con le agevolazioni fiscali agli investitori, un incentivo in più per far affluire capitali. Il decreto mira a costruire un mercato, interviene su un contesto che già esiste e gli affida degli strumenti non banali. Certo, resta il tema dei soldi: il crowdfunding lo risolve in parte. Resta aperta la questione del Fondo dei fondi, però si parla di un impegno da parte della Cassa depositi e prestiti.A questo proposito, pensa che la mancata introduzione del Fondo dei fondi e dell'Iva per cassa possano indebolire il provvedimento?Sono i due elementi cose che impattano sulla liquidità. Oggi le risorse dello Stato sono molto limitate e non sono riusciti a farli stare in piedi. Io dico che questo è il primo provvedimento che facciamo sul digitale: si può sempre fare di più ma è già un'ottima partenza. Realizzare in tempi ragionevoli quanto è previsto nel decreto è importante, è il primo di una serie di passi che si possono fare nel tempo. Certo, uno dei problemi oggi è che mancano i capitali per partire, il Fondo avrebbe avuto senso per far fronte a questa situazione. Ma la questione avrà i suoi sviluppi visto che c'è l'impegno della Cdp. Ad esempio in Francia succede questo, con la Caisse des Dépôts che svolge un importante ruolo di investitore istituzionale.È d'accordo con la definizione di start-up contenuta nel rapporto e ripresa nel decreto? Come giudica la scelta di limitare il campo di attività alla sola innovazione tecnologica?Mi sembra che le definizioni siano abbastanza corrette. Dare una definizione serve per non fare un intervento a pioggia, si stringe il mirino su quelle che comunemente si chiamano start-up. Per come è scritta nel decreto, mi sembra che voglia evitare che si definisca start-up qualcosa che non lo è, garantendo allo stesso tempo un set abbastanza ampio per cui rientra nel novero anche una start-up software che non ha brevetti ma investe in ricerca. Mi sembra che sia un approccio sensato nel contesto di una norma che supporta le realtà innovative. Se poi si vuole fare una start-up meccanica, questa prospettiva non è preclusa, ma questa azienda deve innovare. Chiaro che se invece si vuole fare una normale officina, in quel caso ci sono le agevolazioni per le piccole e medie imprese, c'è già una infrastruttura di sostegno esistente.Sia la iSrl, introdotta dal decreto, che la Ssrl, la società a 1 euro, praticamente non hanno capitale sociale. Non ritiene che questo rischi di bloccarne la crescita?Questa è una questione che forse crea qualche confusione. Oggi, se si vuole si fondare l'equivalente di una spa con qualche dollaro on line si guarda al Regno Unito o agli Usa. Molti dei ragazzi che vengono qui in dPixel hanno fondato con 100 sterline una Ltd in Gran Bretagna. Questo provvedimento vuole permettere di fare qualcosa di analogo, cioè consentire a chi vuole dar vita a una start-up di creare una società senza dover tirare fuori una somma elevata, ma solo un capitale limitato, che qualunque ragazzo può avere. Questo è possibile perché le società non si reggono sul capitale sociale. E ora evidentemente non ha più senso creare una Ltd a Londra perché si può fondare una iSrl in Italia.Ma senza capitale come si sopravvive?Il capitale è un fatto di bilancio, le società mica vivono di questo. Anche con la srl si versa qualche migliaio di euro, poi però si deve avere un fatturato e con quello pagare i costi.In rete si è parlato di un possibile conflitto di interessi da parte di alcuni membri della task force. Lei cosa ne pensa?Mi sembra che siano chiacchiere che lasciano il tempo che trovano. Il decreto l'ha scritto il ministro, che ha deciso di fare una consultazione aperta e pubblica, con i nomi e i cognomi delle persone a cui chiesto dei contenuti. Tra questi c'è Annibale D'Elia, che è un funzionario della Regione Puglia che ha dato vita al progetto Bollenti spiriti, c'è Selene Biffi, che è una startupper nel sociale. Poi, certo, ci sono i venture capital. Però non riesco a capire il tema di questo conflitto di interessi. Se fai consultazione di questo tipo a chi bisogna chiedere? Agli idraulici? La task force ha scritto ciò che riteneva corretto, ha compiuto delle scelte precise. In Italia è ora che si venga fuori con delle soluzioni piuttosto che con dei problemi: se si hanno idee migliori che si propongano, ma dietrologie sono solo tempo perso.Crede che grazie a questo decreto l'Italia possa davvero diventare un terreno fertile per le start-up?Il diavolo sta nei dettagli e nell'implementazione. Intanto il decreto deve essere convertito in legge,  quindi dovrà passare attraverso un dibattito in Parlamento. Diciamo che se tutti i contenuti fossero implementati in tempi rapidi, come peraltro la situazione richiede, faremmo un passo avanti notevole. Ricordo che due anni fa un ministro dell'Interno parlava di chiudere Facebook, ora abbiamo fatto un'inversione a 'U' e abbiamo imboccato la direzione giusta.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itSe hai trovato interessante questo articolo, leggi anche:- «Restart Italia», con il decreto Sviluppo bis arrivano (quasi tutte) le proposte per le start-up- «L'Italia riparta dalle start-up»: ecco il piano del ministro Passera- Impresa a 1 euro, dopo otto mesi la promessa del governo è finalmente realtàE anche:- Una startupper sarda negli States: «Qui conta il merito. Ma si può fare anche in Italia»- Guk Kim, il giovane coreano che suggerisce agli italiani dove andare a mangiare: con un'app- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa

Indennità di maternità per le precarie, quanto danno le casse previdenziali dei professionisti

In tema di indennità di maternità per lavoratrici precarie o freelance le casse previdenziali delle professioni sono più trasparenti e spesso più generose dell’Inps Gestione separata. In primis quasi tutti i siti web degli enti previdenziali riportano chiare ed esaustive informazioni, in secondo luogo tutti garantiscono un minimo anche alle lavoratrici che non raggiungono determinati importi di guadagno e dunque contributivi. È importante anche sapere che, differenza della Gestione separata Inps, le altre casse non impongono alla donna di astenersi dall’attività lavorativa durante i mesi di gravidanza indennizzabili. E che tutte prevedono un'indennità minima pari a 4.752,80 euro. In pratica, chi non raggiunge un importo minimo reddituale riceve comunque questa cifra.L’indennità di maternità viene garantita da tutte le casse anche in caso di interruzione della gravidanza per motivi spontanei o terapeutici dopo il compimento del sesto mese (26 settimane), adozione o affidamento in pre-adozione del bambino di età non superiore ai sei anni. Per il calcolo dell’importo tutte le casse adottano lo stesso metodo: l’80% di cinque dodicesimi del reddito percepito e denunciato nel secondo anno precedente quello dell’evento.La Repubblica degli Stagisti ha considerato le maggiori casse professionali.Enpab Ente nazionale di previdenza e assistenza a favore dei biologiÈ una delle casse previdenziali con la percentuale di donne maggiore: degli 11mila iscritti il 70% è di sesso femminile. L’indennità di maternità è corrisposta alle iscritte che attestino l’inesistenza del diritto ad altra indennità presso altri enti o istituti. L’indennità massima erogabile è pari a cinque volta la minima. La domanda va presentata a partire dal sesto mese di gravidanza entro il termine perentorio di 180 giorni dalla data del parto, dell’effettivo ingresso del bambino in famiglia, o dalla data dell’aborto. Interessante riscontrare che su 264 indennità di maternità liquidate nel 2011, in ben 149 casi (più della metà) si trattava di iscritte con redditi al di sotto della soglia minima che dunque hanno ricevuto l’indennità minima - che in quell’anno ammontava a 4.627 euro.Inpgi Istituto di previdenza giornalisti italiani L’Inpgi è dotato di una gestione separata a cui sono iscritti poco più di 32mila giornalisti freelance e precari, di cui circa 13.500 donne. La liquidazione dell'indennità è disposta in un’unica tranche a decorrere dal verificarsi dell'evento e il periodo indennizzabile comprende i due mesi precedenti il parto e i tre successivi. La spesa complessiva che l’Inpgi ha sostenuto per pagare le indennità di maternità dell’anno 2011 a lavoratrici cococo e freelance è di poco più di un milione di euro, di cui 709.663 alle libere professioniste e 312.429 alle collaboratrici coordinate e continuative. Le indennità di maternità pagate nel 2011 sono state 172 (119 a freelance e 53 a cococo), dunque l’indennità di maternità media per l’anno preso in considerazione è di 5.942 euro. I dati di bilancio relativi al 2010 dimostrano che la media dei redditi per giornalisti con cococo è di circa 9.500 euro e per freelance è di 12mila euro: dunque la maggior parte delle professioniste che richiedono la maternità accede all’indennizzo minimo.Enpacl Ente nazionale di previdenza e assistenza dei consulenti del lavoroCirca la metà dei poco meno di 27mila iscritti all’Enpacl sono donne. L’indennità di maternità è corrisposta alle iscritte che attestino l’inesistenza del diritto ad altra indennità presso altri enti o istituti. La domanda va presentata a partire dal sesto mese di gravidanza entro il termine perentorio di 180 giorni dalla data del parto, dell’effettivo ingresso del bambino adottato in famiglia, o dalla data dell’aborto. Le indennità erogate dall'Enpacl nel 2011 sono state 380: solo 41 donne, dato confortante rispetto alle altre casse, hanno ricevuto l'assegno minimo.Enpaf Ente nazionale di previdenza e assistenza dei farmacisti L’indennità di maternità è corrisposta alle iscritte (poco più di 28mila su un totale di circa 74mila) che attestino l’inesistenza del diritto ad altra indennità presso altri enti o istituti e spetta in caso di gravidanza e puerperio, adozione, affidamento, aborto spontaneo o terapeutico. Nel caso di una titolare di farmacia i redditi prodotti sono redditi di impresa e, dunque, non possono essere presi a riferimento come base del calcolo dell’indennità. Hanno titolo all’indennità di maternità: le titolari, le socie, le collaboratrici di impresa familiare e le associate agli utili di farmacia o di parafarmacia; le disoccupate temporanee e involontarie iscritte ai Centri per l’impiego; coloro che svolgono attività professionale in regime di lavoro autonomo, con partita Iva; coloro che svolgono attività professionale nell’ambito di una borsa di studio; le iscritte che pur non essendo disoccupate non svolgano alcuna attività lavorativa pur non essendo iscritte alle liste di disoccupazione dei cpi; le iscritte che svolgono attività professionale in regime di collaborazione coordinata e continuativa; le iscritte che in regime di lavoro autonomo svolgano attività non professionale. L’indennità di maternità viene corrisposta per i due mesi precedenti e per i tre successivi la data del parto, l’emolumento viene erogato nella stessa misura anche in caso di aborto che sia intervenuto dopo il compimento del sesto mese di gravidanza. In caso di aborto verificatosi a partire dal terzo mese di gravidanza (dodicesima settimana) ma prima del compimento del sesto mese spetta un’indennità pari a una sola mensilità. Nel 2011 l’Enpaf ha liquidato 366 richieste di maternità di cui 361, quasi tutte, al minimo. Il caso dell’Enpaf però è particolare perché vengono calcolate in base al reddito solamente quelle richieste da farmaciste con partita iva, mentre a tutte le titolari di farmacia viene garantito l’importo minimo.Enpap Ente nazionale psicologiLe donne rappresentano ben l’80 per cento dei 45mila psicologi iscritti alla cassa. Se l'iscrizione all´Enpap ricade nel corso dei cinque mesi indennizzabili, l'importo dell'indennità viene riconosciuto solo per la frazione di periodo posteriore alla data di iscrizione stessa. L'Enpap provvede all´erogazione dell´indennità di maternità, su espressa indicazione della richiedente, tramite bonifico bancario su c/c intestato (esclusivamente o almeno cointestato al nominativo dell'iscritta). L'iscritta può anche optare per l´invio di un assegno circolare. L'importo viene versato entro fine terzo mese dalla richiesta in un’unica soluzione.Enpam Ente nazionale di previdenza e assistenza mediciPer quanto riguarda la Gestione separata dell'Enpam (più di 350mila iscritti totali, 40,2% alla gestione separata) le informazioni non sono reperibili sul sito e l’ufficio stampa ha spiegato alla Repubblica degli Stagisti che esistono tante diverse forme e regole di indennità a seconda dei diversi contratti parasubordinati, dell’attività in proprio o di quest’ultima abbinata a un impiego fisso.Le altre casse (con incidenza minima di donne iscritte)Tra queste, a distinguersi è certamente Fondazione Enasarco di previdenza, assistenza, formazione e qualificazione degli agenti e rappresentanti di commercio (quasi 265mila iscritti, di cui l'11,5% di donne) che garantisce un contributo di maternità per ogni figlio nato dal 1 gennaio 2012 di mille euro per il primo figlio, 1.250 per il secondo e 1.500 per il terzo. La Fondazione richiede anche requisiti molto restrittivi: essere un agente in attività con un conto previdenziale, incrementato esclusivamente da contributi obbligatori, che al 31 dicembre 2010, presenti un saldo attivo non inferiore a euro 1.780 e un’anzianità contributiva complessiva di almeno tre anni, di cui gli ultimi due consecutivi. Inarcassa  Cassa nazionale di previdenza e assistenza in favore degli ingegneri e architetti liberi professionisti (ingegneri iscritti 214mila, il10,3%, architetti iscritti 138mila, il 36,4%) e Cassa Commercialisti (Quasi 57mila iscritti di cui circa 17mila donne), si comportano nello stesso modo di tutte le altre casse. Va detto però che, soprattutto in quest’ultima la disparità tra reddito medio degli iscritti uomini e delle donne e enorme: 62.292,19 euro quello dei primi, 36.872,73 delle seconde.Un esempio praticoAvendo riscontrato la medesima modalità di concessione e calcolo dell’indennità in quasi tutte le casse, la Repubblica degli Stagisti ha deciso di fare degli esempi pratici.  Una professionista trentenne iscritta a una di queste casse previdenziali dal dicembre 2010 che partorisca nel 2012, avendo una soglia di stipendio nel 2012 a zero o molto bassa (che non raggiunge la soglia minima) avrà diritto all’indennità minima di 4.500 euro. Una lavoratrice che invece era già iscritta, il cui reddito 2010 ammontasse a 12mila euro lordi dovrebbe prendere 4mila euro. Ma siccome il minimo d’indennità ammonta a 4.500 otterrà comunque questa cifra. Infine una professionista il cui reddito 2010 invece ammontasse a 20mila euro lordi prenderebbe 6.666,66 euro.Giulia CimpanelliPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- «Caro Gesù Bambino, ti chiediamo una pensione per i precari»: il direttore della Repubblica degli Stagisti e altri quattro giovani scrittori lanciano una proposta- «Le mie pensioni»: quanto prenderanno domani i precari di oggi?- Lavoro e pensioni, cosa sono i contributi figurativi e come cambierebbero con la riforma- Emergenza contributi silenti: le idee in campo per risolvere il problema delle pensioni di domani dei precari di oggi

Ma le lavoratrici precarie hanno diritto all'assegno di maternità?

Cosa garantiscono le casse previdenziali alle precarie-freelance per la maternità? In particolare tutte le casse prevedono un’indennità di maternità per le neomamme iscritte alla gestione separata? La Repubblica degli Stagisti ha scandagliato il mare magnum della previdenza italiana per capirci qualcosa e riuscire a fare chiarezza, a beneficio delle tante giovani precarie che prevedono – o più spesso si limitano a sognare – di fare un bambino.La cassa più importante è ovviamente l'Inps, che ha una sezione esclusivamente dedicata a chi non è assunto con contratto subordinato e che comprende dunque la maggior parte dei precari, sia quelli in forza presso imprese private sia quelli del pubblico impiego. Ma chi si può iscrivere alla gestione separata dell’Inps? I cosiddetti lavoratori parasubordinati, cioè coloro che sono assunti con i cosiddetti cococo, contratti di collaborazione coordinata e continuativa, a progetto e non. E poi venditori porta a porta, liberi professionisti senza cassa, lavoratori autonomi occasionali. Ed è proprio la Gestione separata dell'Inps quella che garantisce meno alle lavoratrici: se una donna ha versato meno di 957 euro di contributi nell'anno precedente la gravidanza automaticamente non ha diritto all'indennitá.Oltre all’Inps, poi, ci sono le tante casse professionali riferite a singoli settori: qui la prima cosa utile da sapere è certamente che non tutte le casse prevedono una gestione separata. Perché molte sono costituite esclusivamente da lavoratori autonomi.E cosa garantiscono le varie casse a lavoratrici precarie e freelance che entrano in maternità?Una premessa è d’obbligo: il sito web dell’Inps è decisamente poco chiaro e in diverse pagine si riferisce in termini differenti all’indennità di maternità o al congedo per maternità per lavoratrici parasubordinate. In questo articolo verranno messe in luce e integrate solamente le informazioni certe reperite a due pagine sotto la voce “Lavoratrici e lavoratori iscritti alla Gestione separata Inps” e  sotto il titolo Congedo per maternità alle lavoratrici parasubordinate.QUALI CASSE?    La Repubblica degli Stagisti ha prevalentemente considerato casse in cui sia iscritta un’alta percentuale di donne, in particolare Gestione separata Inps (706mila donne), Enpab Ente nazionale di previdenza e assistenza a favore dei biologi (quasi 8mila donne), Enpacl Ente nazionale di previdenza e assistenza dei consulenti del lavoro (12mila donne), Enpaf Ente nazionale di previdenza e assistenza dei farmacisti (28mila donne), Enpam Ente nazionale di previdenza e assistenza medici (352.260 iscritti), Inpgi Istituto italiano di previdenza giornalisti italiani (13.500 donne), Enpap Ente nazionale psicologi (36mila donne) e Cassa forense (162mila iscritti). Ha poi approfondito anche alcune casse con incidenza minore di donne iscritte come la Cassa commercialisti (circa 17mila donne), Inarcassa Cassa nazionale di previdenza e assistenza in favore degli ingegneri e architetti liberi professionisti (ingegneri iscritti 214mila, architetti iscritti 139mila) e Fondazione Enasarco di previdenza, assistenza, formazione e qualificazione degli agenti e rappresentanti di commercio (30mila donne).Il primo riscontro interessante è che tutte le casse prevedono un indennizzo di maternità per lavoratrici autonome e precarie. Ma ovviamente i requisiti e gli importi garantiti cambiano da cassa a cassa. Tra le casse principali in termini di numero di iscritti l’Inpdap (che da poco è stata accorpata all’Inps) non ha mai previsto una gestione separata perché fungeva da organo previdenziale solamente per i lavoratori assunti con contratto a tempo determinato o indeterminato dalle amministrazioni pubbliche.COSA GARANTISCONO LE VARIE CASSE?Tutte le casse prese in considerazione garantiscono l’indennizzo di maternità per cinque mesi, indicativamente così suddivisi: i due mesi precedenti la data presunta del parto e i tre successivi. Quasi tutte versano però l’importo totale in un’unica soluzione tramite bonifico sul conto corrente o assegno circolare. E a quanto ammonta tale una tantum? Dipende dal reddito, nel senso che è proporzionale allo stipendio dell’iscritta. Interessante è capire a quanto hanno diritto le precarie che guadagnano poco, insomma le “milleuriste”. In questo caso, chi due anni prima della gravidanza abbia percepito un’importo pari a 10mila euro lordi percepirà comunque il minimo perché con il calcolo dell’importo, (10.000 x 5 : 12) x 80% raggiunge solo 4mila euro, importo minore a quello minimo previsto da tutte le casse. Per quanto riguarda la Gestione separata dell’Inps ai fini del computo delle indennità il reddito annuo da prendere a riferimento è quello utile ai fini contributivi nei 12 mesi precedenti l’inizio del periodo indennizzabile (due mesi precedenti la data presunta del parto) e l’importo totale dell’indennità è pari all’80% del reddito medio giornaliero moltiplicato per tutte le giornate comprese nel periodo indennizzabile. Il diritto all’indennità spetta a condizione che nei 12 mesi precedenti il mese di inizio del congedo di maternità (o paternità) risultino effettivamente accreditati alla gestione separata almeno tre contributi mensili che raggiungano un minimo stabilito. Tra le altre casse quasi tutte prevedono un’indennità minima intorno ai 4500 euro e una massima variabile da cassa a cassa. Molte conteggiano l’importo lordo dell’indennità secondo il medesimo calcolo: reddito del secondo anno precedente l´evento moltiplicato per 80%, diviso 12, moltiplicato per 5.Per tutte le casse che si comportano in questo modo è utile fare un esempio pratico. Una professionista trentenne iscritta a una di queste casse previdenziali dal dicembre 2010 che partorisca nel 2012, avendo una soglia di stipendio nel 2012 a zero o molto bassa (che non raggiunge la soglia minima) avrà diritto all’indennità minima di 4.500 euro. Una lavoratrice che invece era già iscritta, il cui reddito 2010 ammonti a 12mila euro lordi, dovrebbe prendere 4mila euro. Ma siccome il minimo d’indennità ammonta a 4.500 otterrà comunque questa cifra.La Fondazione Enasarco non si basa sul reddito ed è più “tirchia” delle altre visto che prevede un assegno di mille euro per il primo figlio, 1250 per il secondo, 1500 per terzo o successivo. Per tutte le casse che presumono una quota minima se l’importo è inferiore a questa, viene liquidata l’indennità minima.QUANTA ANZIANITA' SERVE PER POTER RICHIEDERE L’INDENNITA'?Alla Gestione separata Inps il diritto all’indennità di maternità spetta a condizione che nei 12 mesi precedenti il mese di inizio del congedo di maternità risultino effettivamente accreditati alla gestione separata almeno tre contributi mensili comprensivi dell’aliquota maggiorata. In tutte le altre casse se l'iscrizione è inferiore ai cinque mesi nel periodo indennizzabile, l'indennità viene riconosciuta in misura frazionata in base ai giorni di iscrizione maturati nel periodo oggetto di tutela.MINIMALI E MASSIMALI DA RISPETTAREIn quanto a minimali l’Inps è decisamente l’ente meno generoso: i tre contributi mensili, moltiplicati per 12, devono ragiungere il minimale preposto di 14.334 euro. Per esempio nell'anno 2010 per ogni 319,17 euro versati l'Inps accrediterà un mese e per avere accreditati tre mesi di indennizzo debbono essere stati versati almeno 957,51 euro. Per le altre casse la misura del’indennità minima è intorno ai 4.700 euro, la massima varia di caso in caso ma nella maggior parte dei casi è di circa 23mila euro.SI PUO' LAVORARE ANCHE MENTRE SI PERCEPISCE L’INDENNITA'?Mentre la gestione separata Inps impone alle lavoratrici di sospendere l’attività lavorativa attraverso qualsiasi tipologia contrattuale (per esempio una iscritta alla gestione separata Inps che avesse la partita Iva non può emettere nemmeno una fattura nel periodo tra i 2 mesi prima e i 3 mesi dopo il suo parto) nei mesi in cui è riconosciuta l’indennità, le altre casse permettono alle lavoratrici di proseguire con la propria attività freelance.Giulia CimpanelliPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- «Caro Gesù Bambino, ti chiediamo una pensione per i precari»: il direttore della Repubblica degli Stagisti e altri quattro giovani scrittori lanciano una proposta- «Le mie pensioni»: quanto prenderanno domani i precari di oggi?- Lavoro e pensioni, cosa sono i contributi figurativi e come cambierebbero con la riforma- Emergenza contributi silenti: le idee in campo per risolvere il problema delle pensioni di domani dei precari di oggi

Inps: la dura legge dell'indennità di maternità alle lavoratrici precarie

Per una lavoratrice iscritta alla Gestione separata Inps capire come richiedere e ottenere l’indennità di maternità è decisamente arduo. Il sito web dell’Inps, infatti, oltre a essere poco chiaro e men che meno intuitivo, è un mare magnum di informazioni, ripetute, contraddette e confuse in diverse pagine web.Per reperire indicazioni e dati sull’indennità di maternità concessa dall’Inps a lavoratrici freelance e precarie la Repubblica degli Stagisti, non riuscendo a capire quale pagina web prendere in considerazione (in particolare tra questa pagina e quest'altra pagina) ha contattato via email l’ufficio stampa Inps chiedendo informazioni e dati numerici, a partire dal numero di iscritti (e di donne iscritte) alla gestione separata. Questa è stata la risposta: «i dati richiesti sono presenti sul nostro sito internet, www.inps.it. In particolare, possono essere reperiti nella sezione Dati e bilanci, alle voci Osservatori statistici (Osservatorio sui lavoratori parasubordinati, Osservatorio sulle pensioni>Complesso delle pensioni vigenti), Rapporto annuale 2011 e Rapporto sulla coesione sociale 2011 (Tav. II.2.2)». Peccato però che nelle pagine segnalate si trovino solamente dati statistici ma nessuna informazione relativa all’indennità di maternità.Al secondo tentativo, stavolta telefonico un addetto alla comunicazione ha suggerito di sentire un «esperto del settore maternità», facendo richiesta scritta. La mail è stata inviata il 18 settembre e l’ufficio ha risposto spiegando di aver girato la richiesta agli uffici competenti. Per una decina di giorni, nonostante ripetuti solleciti, nessun’altra novità. Nel frattempo la Repubblica degli Stagisti ha studiato i documenti faticosamente reperiti sul sito, cercando di capirci qualcosa.Dal Rapporto annuale 2011 dell’Inps emerge che gli iscritti alla Gestione separata sono circa 1 milione e 700mila divisi tra 263.572 contribuenti professionisti di cui 100mila donne e 1.444.039 contribuenti collaboratori di cui 604mila lavoratrici. Quindi, quando si parla di Inps gestione separata, si parla di oltre 700mila lavoratrici: considerando che le tipologie contrattuali parasubordinate sono state introdotte solamente 15 anni fa e che riguardano prevalentemente i nuovi entranti, cioè i giovani che fanno il loro ingresso nel mercato del lavoro, si può calcolare che almeno la metà – se non due terzi – di queste 700mila iscritte sia in età fertile, e dunque potenzialmente interessata alla questione dell’indennità di maternità. Qui i dati precisi sulle fasce anagrafiche delle iscritte sarebbero stati utilissimi per definire e quantificare il fenomeno, ma come detto l’Inps non è stato finora in grado di fornirli. In ogni caso a quali condizioni l’Inps assicura questo servizio?In sostanza possono goderne tutte le lavoratrici a progetto e categorie assimilate (collaboratrici coordinate e continuative); le associate in partecipazione; le libere professioniste iscritte alla gestione separata; le lavoratrici che svolgono prestazioni occasionali (prestazioni di durata inferiore a 30 giorni nell’anno solare e con un compenso inferiore a 5mila euro con lo stesso committente); le lavoratrici riconducibili alle categorie tipiche (amministratore, sindaco, revisore di società, di associazioni e altri enti con o senza personalità giuridica); le titolari di rapporti di lavoro autonomo occasionale; i venditori "porta a porta". Attenzione a un particolare: le lavoratrici autonome (tra cui la categoria di maggiore importanza numerica è costituita dalle commercianti) non possono iscriversi alla gestione separata, bensì sono iscritte all’Inps ma con servizi e modalità differenti rispetto alle lavoratrici dipendenti.Secondo i dati forniti alla Repubblica degli Stagisti dall’ufficio stampa Inps, le donne iscritte alla gestione separata che hanno usufruito dell'indennità nel 2010 sono state 7.870 – non è dato sapere quanto però abbiano percepito in media.REQUISITI PER ACCEDERE ALL’INDENNITÀ DI MATERNITÀIl diritto all’indennità prende a riferimento la data presunta del parto per i periodi di due mesi precedenti, quello intercorrente tra data presunta e data effettiva del parto e i tre mesi successivi alla nascita. Ai fini del computo delle indennità il reddito annuo da prendere a riferimento è quello utile ai fini contributivi nei 12 mesi precedenti l’inizio del periodo indennizzabile. Per i collaboratori coordinati e continuativi si considera il reddito effettivamente percepito; per i liberi professionisti il reddito annuale risultante dalla denuncia dei redditi derivanti da attività libero-professionali. Il sito dell’Inps poi in una delle sue pagine web sostiene che l’indennità di maternità spetta a condizione che nei 12 mesi precedenti il mese di inizio del congedo di maternità risultino effettivamente accreditati alla gestione separata almeno tre contributi mensili, di qualsiasi importo si tratti, mentre in un’altra parla di redditi minimi: il minimale di reddito 2010 è di 14.334 euro e il massimale di 91.507 euro. Da questa informazione sembra che chi ha guadagnato meno di 14mila euro lordi non abbia diritto all’indennizzo Per chiarire questo importantissimo dubbio, e capire se le donne iscritte all'inps Gestione separata che guadagnano meno di 14mila euro (cioè potenzialmente anche quelle che guadagnano solo poche migliaia di euro all'anno, o addirittura 0 euro) abbiano o no diritto ad un assegno di maternità minimo la Repubblica degli Stagisti ha di nuovo contattato l’ufficio stampa dell’Inps che ha precisato che minimale e massimale non si riferiscono al diritto all'indennità ma al calcolo della stessa. Le tre mensilità versate sono il requisito sine qua non per ricevere l'indennità ordinaria che l'Inps garantisce alle lavoratrici parasubordinate. Quindi sono necessari tre contributi mensili che, moltiplicati per 12, consentano di raggiungere il minimale di 14.334 euro.Per esempio per l’anno 2010 per ogni 319,17 euro versati l’Inps accrediterà un mese, per avere accreditati tre mesi devono essere stati versati almeno 957,51 euro.L’INDENNITA' SOLO A CHI RAGGIUNGE IL MINIMODopo una lunga attesa e numerosi solleciti, finalmente l’ufficio stampa ha risposto: non esiste un minimo garantito a tutte. In primis deve sussistere il requisito di aver versato almeno tre mensilità contributive nei 12 mesi precedenti la gravidanza. E questi tre contributi mensili devono avere un importo minimo tale per cui, se moltiplicato per 12 raggiunga il minimale di 14.334 euro.Per il calcolo dei mesi per i quali deve essere diviso il reddito (in caso di attività libero-professionale) vanno considerati i mesi solari interi. Per calcolare il numero dei giorni per i quali deve essere diviso il reddito totale devono essere considerati i giorni di calendario.L’indennità è pari all’80% del reddito medio giornaliero moltiplicato per tutte le giornate comprese nel periodo indennizzabile. Una lavoratrice con un cocopro da mille euro lordi al mese per esempio dovrebbe percepire un’indennità totale di 4mila euro, con 1500 euro al mese percepirebbe 6mila e con 2mila euro al mese 8mila. OBBLIGHIL’Inps 2 impone alle lavoratrici che richiedono l’indennità di maternità l’astensione dal lavoro per i cinque mesi. PROCEDURE PER RICHIEDERE L’INDENNITA'La domanda deve essere presentata alla sede Inps di residenza prima dell'inizio dell'astensione dall'attività lavorativa e comunque entro un anno dal termine del periodo indennizzabile e deve essere corredata dalla dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà rilasciata dalla lavoratrice e dal committente o dall’associante in partecipazione o dalla libera professionista attestante l’effettiva astensione dall’attività lavorativa e completa di certificato medico di gravidanza rilasciato dai medici del sevizio sanitario nazionale o dall'azienda ospedaliera da presentare prima dell’inizio del congedo- auto certificazione attestante le generalità del richiedente, del neonato, del rapporto di parentela o certificato di stato di famiglia dal quale risulti la paternità e la maternità.CHI PAGA E COMEL'indennità è pagata direttamente dall'Inps o per mezzo bonifico presso l'ufficio postale o per accredito su conto corrente bancario o postale. Per quanto riguarda i tempi l'indennità viene accreditata a seconda della tempestività e della completezza della domanda e a seconda di come si organizzano le varie sedi Inps, o mese per mese o in un'unica formula.Giulia CimpanelliPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- «Caro Gesù Bambino, ti chiediamo una pensione per i precari»: il direttore della Repubblica degli Stagisti e altri quattro giovani scrittori lanciano una proposta- «Le mie pensioni»: quanto prenderanno domani i precari di oggi?- Lavoro e pensioni, cosa sono i contributi figurativi e come cambierebbero con la riforma- Emergenza contributi silenti: le idee in campo per risolvere il problema delle pensioni di domani dei precari di oggi

«Restart Italia», con il decreto Sviluppo bis arrivano (quasi tutte) le proposte per le start-up

«Sono molto contento del decreto. È un passo importantissimo per il nostro settore: il governo è riuscito a trasformare quasi tutto quello che abbiamo suggerito in realtà ed è una cosa che nessuno di noi si poteva aspettare all'inizio di questa avventura». Predica ottimismo Riccardo Donadon, amministratore delegato dell'incubatore di impresa H-Farm ma soprattutto membro della task force che ha elaborato «Restart Italia», il rapporto contente molte proposte in tema di start-up buona parte delle quali sono entrate nel decreto Sviluppo bis approvato la scorsa settimana dal Consiglio dei Ministri. «È vero», ammette, «mancano alcune cose, ma la strada è stata intrapresa con forza e sono sicuro che un po' alla volta raccoglieremo tutto».Sì, perché nonostante il gruppo di lavoro abbia specificato che le misure suggerite «produrranno una scossa solo se saranno considerate come un “pacchetto unico”», non tutte sono entrate a far parte del provvedimento passato a Palazzo Chigi. Al di là del fatto che non è stato posto alcun limite anagrafico per gli startupper, che possono così accedere alle agevolazioni fiscali e normativa a qualunque età, due degli elementi contenuti nel rapporto sono rimasti lettera morta: il cosiddetto Fondo dei fondi e l'Iva per cassa. Il primo sarebbe dovuto essere quella realtà in grado di investire da un lato a sostegno degli incubatori di impresa e dei fondi di venture capital, dall'altro di svolgere il ruolo di anchor investor, ovvero di primo investitore all'interno di progetti di start-up selezionati sulla base di una due diligence, vale a dire una valutazione delle condizioni e del valore delle singole aziende.La seconda misura avrebbe permesso alle imprese in questione di versare l'imposta sul valore aggiunto non secondo la competenza, cioè sulla base della data di emissione della fattura a prescindere dal fatto che questa sia stata o meno saldata, ma secondo la cassa. Ovvero solo dopo che il cliente ha pagato quanto dovuto. Una misura, questa, che avrebbe permesso alle aziende di mantenere una certa liquidità disponibile non dovendo anticipare il versamento delle imposte. Tolti questi due aspetti, rimane l'ossatura delle proposte contenute nel rapporto «Restart Italia». A cominciare dalla definizione di start-up che, per essere tale, non deve operare da più di 48 mesi, né fatturare più di 5 milioni l'anno. Ma soprattutto deve operare nell'innovazione tecnologica, ovvero investire in ricerca almeno il 30 per cento del fatturato, essere titolare di brevetti oppure avere tra i soci persone che abbiano conseguito dottorati di ricerca. Vengono eliminate le spese di registro, come richiesto nell'ambito della definizione della cosiddetta isrl, la formula societaria proposta per questo tipo di imprese: snella, con minimi obblighi burocratici e la possibilità, riconosciuta dal decreto, di remunerare dipendenti e fornitori con strumenti finanziari, ad esempio la cessione di quote della società.Vengono incentivati, grazie ad una detrazione Ires del 19 per cento, gli investimenti in start-up. Agevolazioni fiscali che dovrebbero avere un costo di 210 milioni di euro in due anni. Sempre in tema di finanziamenti, viene introdotta la possibilità di raccogliere fondi attraverso il crowdfunding, procedura attivabile on-line sulla regolarità della quale è chiamata a vigilare la Consob. Per quanto riguarda i rapporti lavorativi, il decreto introduce una formula di contratto a tempo determinato specifica per le aziende che rientrino nella definizione contenuta in «Restart Italia»: queste ultime potranno assumere con un contratto a tempo determinato di durata compresa tra i 6 ed i 36 mesi,  rinnovabile una sola volta senza soluzione di continuità e destinato a trasformarsi automaticamente in tempo indeterminato una volta che l'azienda abbia compiuto i 48 mesi di vita.L'Istat dovrà raccogliere ed aggiornare dati sulle start-up nate a seguito di questo decreto, così da compilare un rapporto che permetta di valutare l'impatto delle misure introdotte, in particolar modo in termini di crescita economica e di occupazione. Al ministero dello Sviluppo economico toccherà invece presentare, entro il 1 marzo di ogni anno, una relazione sullo stato di attuazione della normativa. Il primo appuntamento per un bilancio sull'impatto degli effetti di questa norma è fissato per il 2014. Fin qui la proposta del governo, ora al vaglio del Parlamento il quale, fatto salvo che venga posta la questione di fiducia, potrà intervenire per modificare il testo del decreto.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itSe hai trovato interessante questo articolo, leggi anche:- «L'Italia riparta dalle start-up»: ecco il piano del ministro Passera- Impresa a 1 euro, dopo otto mesi la promessa del governo è finalmente realtà- Tra burocrazia e ritardi, l'impresa a 1 euro resta ferma al palo- Che fine ha fatto l'impresa a 1 euro per i giovani? Incagliata nella burocrazia- Aspiranti imprenditori, una pizza è l'occasione per partireE anche:- Una startupper sarda negli States: «Qui conta il merito. Ma si può fare anche in Italia»- Guk Kim, il giovane coreano che suggerisce agli italiani dove andare a mangiare: con un'app- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa

A rischio i finanziamenti per l'Erasmus? Sì, con tutti quelli del Fondo sociale europeo

Decine di migliaia di universitari europei, vincitori di borse Erasmus, rischiano di veder svanire i contributi economici per  finanziare i loro studi all’estero,già a partire dall’anno accademico in corso. Il problema per l'Unione europea però non è tanto il programma Erasmus, che le costa "soli" 450 milioni di euro all'anno, ma un buco di bilancio di ben 10 miliardi di euro per il 2012 alla voce "Fondo sociale europeo", del quale fa parte (in una percentuale di meno del 5%) anche il programma di studi universitari all'estero. Il primo a lanciare l'allarme è stato martedì scorso il presidente della Commissione Bilancio del Parlamento europeo, il francese Alain Lamassoure. «Il Fondo sociale europeo non è in grado di rimborsare gli stati e la prossima settimana termineranno i fondi per il programma studentesco Erasmus. Alla fine del mese sarà il turno del fondo per la ricerca e l’innovazione». Se è vero che l'Erasmus rischia di scomparire, è quanto meno curioso che la politica e i mezzi di informazione si siano soffermati unicamente sulla fine del programma europeo di studi all'estero, quando  ci sono altri 9,5 miliardi che mancano all'appello: è stato un po' come guardare il dito senza far caso alla luna. Ma l'Erasmus é un tema che tocca e interessa decine di migliaia di giovani in Italia, e dunque vale sicuramente la pena di fare il punto della situazione per capire se davvero c'è il rischio che venga sospeso per mancanza di fondi. Per l'Italia, secondo quanto riporta l'Agenzia LLP, i finanziamenti comunitari previsti per l'Erasmus nel 2012 sono pari a 46 milioni di euro (ai quali si sommano altri 46 milioni stanziati dal ministero dell'Istruzione). A confermare alla Repubblica degli Stagisti il rischio che corre l'Erasmus (insieme a tutti gli altri fondi destinati alla formazione e allo sviluppo dei Paesi europei), è Lorenza Venturi, responsabile Comunicazione dell’ Agenzia Lifelong Learning programme (LLP), che si occupa della gestione del programma Erasmus e di altri programmi di mobilità europea nel nostro Paese. «Ci è arrivata una nota della Commissione europea in cui viene segnalato un problema nel bilancio dell’Unione che potrebbe causare dei ritardi nei pagamenti delle borse Erasmus. Gli studenti che sono già partiti non dovrebbero avere sorprese, ma sono a rischio quelli che partiranno nel secondo semestre» afferma la Venturi.  Dichiarazioni ribadite e confermate alla Repubblica degli Stagisti dal capoufficio stampa della rappresentanza della Commissione europea in Italia, Ewelina Kelenkowska-Lucà, che spiega da dove hanno origine le difficoltà di finanziamento del programma da parte dell’Unione europea e che sottolinea come non sia solo un problema di Erasmus: «Non si tratta di una situazione specifica per i fondi Erasmus né per il Fondo sociale europeo. L’Unione sta arrivando all’ultimo anno di un piano di programmazione economica pluriennale (2007 - 2013), ma le casse sono ormai vuote. Inoltre i pagamenti diretti dei Paesi dell’Unione, che vanno a implementare il budget europeo, sono in funzione diretta del Pil e quindi  sono diminuiti in questo contesto di crisi economica».  Per risolvere questa situazione, il commissario al Bilancio, il polacco Janusz Lewandowski, presenterà il 23 ottobre una richiesta di rettifica del bilancio al Parlamento e al Consiglio europeo, chiedendo agli Stati dell’Unione di versare alcuni miliardi di euro per ripianare il buco del Fondo sociale. Ma non è affatto scontato che Lewandowski riesca a convincere il Consiglio in un contesto di grande crisi economica.  Non sono esenti da problemi anche gli studenti che devono ricevere i soldi tra settembre e dicembre di quest’anno: manca all’appello il 30% dei fondi destinati all’Erasmus in questi ultimi mesi del 2012, notizia che è stata confermata alla stampa da Antonio Tajani, vicepresidente della Commissione europea.  Giovanni La Via, europarlamentare Pdl e relatore del bilancio dell’Unione europea, scrive alla Repubblica degli Stagisti che «i deputati del Parlamento sosterranno e difenderanno la richiesta del commissario al Bilancio, al fine di ottenere risorse fresche per onorare gli impegni già presi». «Questa situazione si è venuta a creare a causa dei pochi fondi messi a disposizione dal Consiglio per il bilancio 2012» afferma l’eurodeputato, sottolineando l’importanza del programma Erasmus per il  contribuito che ha dato alla crescita e al lavoro. In effetti, come raccontato alcuni mesi fa dalla Repubblica degli Stagisti, oltre i tre quatri dei direttori del personale di 150 grandi imprese italiane, al momento delle assunzioni, dichiara di preferire il candidato che può vantare al proprio attivo la partecipazione a un progetto Erasmus.  Non che le borse Erasmus raggiungano cifre astronomiche (gli italiani che vanno a studiare nelle università straniere ricevono circa 230 euro mensili, nemmeno sufficienti per pagarsi l’affitto), ma dover rinunciare anche a questo contributo renderebbe il più famoso programma europeo di studio all’estero sempre più alla portata di pochi. Il contributo per l’ Erasmus placement, che riguarda lo svolgimento di stage e tirocini, si aggira invece intorno ai 500 euro mensili, ma anche questo è a rischio. E pensare che solo alcuni mesi fa l’Erasmus aveva spento le sue prime 25 candeline,mentre la Commissione europea annunciava l’intenzione di aumentare i fondi destinati alla mobilità internazionale (programma “Erasmus for all”) e ai progetti di ricerca e innovazione per il periodo 2014-2020.  La proposta della Commissione, che ancora non è stata approvata dal Consiglio e dal Parlamento, punta  ad aumentare del 70% i fondi per l’Erasmus rispetto ai sette anni che si stanno per chiudere e a coinvolgere altri 5 milioni di studenti, raddoppiando il loro numero rispetto agli ultimi 25 anni (finora circa 2,5 milioni). Attualmente il 10% degli studenti europei studia o fa pratica all’estero (il 4,5% con l’Erasmus). L’Unione europea vuole raggiungere il 20% nel 2020. Insomma, da un lato c’è da risolvere il nodo delle borse di studio per questo anno accademico, legate alle decisioni del Consiglio e del Parlamento europeo, dall’altro si attendono novità sulla programmazione per i prossimi 7 anni. La prima e più urgente decisione è rinviata al 23 ottobre ma il mondo dell’università è già in fermento: fioccano gli gli appelli su Internet  per salvare l’Erasmus, mentre la presidente dell’Unione degli studenti europei, Karina Ufert, ha invitato la Commissione europea a utilizzare i fondi Ue sottoutilizzati. «La ricerca e la formazione sono sempre stati considerati fattori di crescita». È il momento di dimostrarlo.  Antonio Siragusa  Per saperne di più su questo argomento leggi anche: - 25 anni di Erasmus: una scelta vincente, anche per l'occupabilità - Studiare all'estero, 8mila posti Erasmus in cerca di candidati: ecco tutti i bandi aperti - Gabriele Conti: la mia esperienza di Erasmus Placement in uno studio legale di Londra, un'occasione sprecata  

Una startupper sarda negli States: «Qui conta il merito. Ma si può fare anche in Italia»

Oggi Lea Psiche parte per Los Angeles. Qui cercherà il successo per RunOrder, la start-up che ha fondato nel 2011 a New York. E lavorerà per far crescere UnsubscribeDeals, l'azienda cui ha dato vita a maggio di quest'anno insieme al suo fidanzato Edwin Hermawan [con Lea nella foto]. Nata a Sassari 28 anni fa, dopo un diploma di ragioneria si è iscritta ad Economia e marketing internazionale all'università di Modena, ma «non ho mai finito gli esami». Tornata in Sardegna, ha provato con Economia del turismo ad Olbia, anche in questo caso senza successo. Quindi ha trovato lavoro in uno studio contabile. Dopo due anni, però, ha lasciato un contratto part-time a tempo indeterminato e ha deciso di attraversare l'Atlantico.Nella Grande Mela Lea è arrivata nel 2009 per studiare l'inglese. Invece ha trovato un fidanzato, è riuscita a completare gli studi visto che a dicembre tornerà a New York per discutere una tesi in Business of administration alla Borough of Manhattan Community College, e ha lanciato due start-up. Appena arrivata, per riuscire a mantenersi ha iniziato a lavorare come cameriera in una pizzeria gestita da italiani. Un'occupazione che le ha dato da vivere fino ad oggi e che soprattutto le ha dato l'idea per Runorder. Sì perché a fine serata, oltre a pulire la cucina e apparecchiare i tavoli per il giorno successivo, i titolari devono anche ordinare cibo e bevande. «Si fa al telefono, lasciando un messaggio in una segreteria telefonica». Il risultato è che tra il caos del locale e le difficoltà linguistiche, «nelle cucine la maggior parte del personale parla spagnolo», non sempre quello che si ordina coincide con ciò che viene effettivamente consegnato: «con il mio accento italiano mi è capitato che chiedessi una cosa e ne arrivasse un'altra».Di qui l'idea di un sito che possa semplificare la vita sia ai ristoratori che ai distributori. «Come prima cosa sto lanciando una sorta di servizio di listing: si tratta di offrire ai locali una lista di fornitori». Dei quali Lea, che si definisce «ossessionata dalla ricerca», ha elaborato un portfolio di 25 aziende. Ma ha già raccolto altri 700 nominativi, che sta piano piano contattando per inserirli nell'elenco da sottoporre ai ristoratori. Il passo successivo è quello di permettere a questi ultimi di effettuare gli ordini via Internet. Pochi clic invece di una telefonata ad una segreteria telefonica nel cuore della notte. Bene, ma come guadagnerà l'azienda, che al momento non fattura ancora? «Ai distributori chiederemo un abbonamento mensile di 49,99 dollari. E quando partirò con gli ordini chiederò un contributo per ogni consegna».Al momento il servizio è pronto a partire a New York, ma da oggi Lea lavorerà per attivarlo anche a Los Angeles, la città natale del suo fidanzato dove si sono trasferiti insieme. E dove si sposterà anche la sede di RunOrder, visto che questa giovane startupper ha sempre lavorato alla sua azienda dal computer di casa. Il primo comandamento resta quello del contenimento delle spese: «finora ho investito meno di 10mila dollari, in parte risparmi miei, in parte della mia famiglia». Per quanto riguarda il personale, ci sono solo due collaboratori: il programmatore e il designer. Per trovare quest'ultimo «ho cercato su un sito che si chiama Dribbble.com e ho 'incontrato' questo ragazzo polacco: non ci siamo mai visti e ci sentiamo via mail». A queste si sono aggiunte alcune spese legali e di registrazione del marchio. E il capitale sociale? «Non c'è nessun capitale, visto che ho fondato una corporation». Qualcosa di simile alla ssrl italiana, la cosiddetta impresa a 1 euro.Una formula che in Italia è stata molto criticata: chi fornirà beni e servizi ad un'azienda che non ha capitale sociale? «È proprio questa la differenza: un americano non ti taglia le gambe, non ti chiede dove pensi di andare senza soldi. Piuttosto, pensa che hai un'idea e potresti fare milioni di dollari. E, se hai le carte, te le puoi giocare». Una reale meritocrazia, quindi? «Sicuramente puoi sentire quanto conti il merito, specie se avvii una tua attività. Anche il governo ti da un'opportunità di sviluppare i tuoi progetti, riducendo le tasse nel primo anno di start-up».Bene, ma tutto questo è fattibile in Italia? «Certo che si può fare, basta volerlo. Mi da fastidio sentire lamentele in continuazione: nemmeno in America avevo delle opportunità, me le sono create. So benissimo che potrebbe andare male, ma ho già in mente altri due progetti di start-up». Una è solo un'idea, che Lea si tiene ben stretta. L'altra, invece, ha già preso forma con UnsubscribeDeal, la società che ha fondato con il fidanzato Edwin. In un Paese in cui le caselle di posta elettronica sono invase ogni giorno da decine di email di annunci, sconti, promozioni, l'idea è di offrire un servizio che aiuti a mettere un po' d'ordine. «È nata come uno scherzo, poi a maggio di quest'anno l'abbiamo lanciata sul serio: gli utenti pagano 2,99 dollari al mese e il nostro software li cancella da tutte queste newsletter, cui magari non ci si è nemmeno iscritti, riconosce lo spam e pulisce la casella di posta. Dopodiché, l'utente può decidere di crearsi un'email in cui vengono elencate solo le offerte preferite». È per sviluppare queste due aziende che Lea si trasferisce in California: l'idea è di farle crescere innanzitutto negli Usa. Ma «sto già lavorando ad una versione italiana».Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere altre storie di start-up? Leggi anche:- Guk Kim, il giovane coreano che suggerisce agli italiani dove andare a mangiare: con un'app- Il mouse diventa smart grazie a cinque giovani startupper mantovani- Da Viterbo a Parigi passando per l'India, anche la moda fa start-up- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa

Riscatto della laurea: conviene ancora?

Giovani e pensioni, un binomio che preoccupa in tempi di disoccupazione e di salari bassissimi. E di lavoro che arriva in età sempre più avanzata. Ma per chi volesse iniziare in anticipo la propria vita previdenziale, senza aspettare l'inizio dell'attività lavorativa, esiste la possibilità di riscattare il periodo di laurea, opzione che peraltro non è granché pubblicizzata sui siti delle università. La richiesta, che può essere inoltratata in qualunque momento da chi abbia ottenuto un titolo accademico (valgono tutti i diplomi di laurea, i dottorati di ricerca, le specializzazioni di almeno due anni e anche la doppia laurea), può essere indirizzata all'Inps o alle altre casse pensionistiche dei professionisti, come l'Inpgi, l'istituto di previdenza per giornalisti, o la Cassa Forense per gli avvocati. Le condizioni sono simili: a cambiare sono soprattutto le modalità di pagamento e gli interessi applicati, ma per tutte resta ferma l'esclusione dei periodi di iscrizione fuori corso e di quelli già coperti da contribuzione obbligatoria, quindi i casi di studenti lavoratori con regolare contratto. Per le domande pervenute dopo il 2008 c'è poi una buona notizia: da questa data il riscatto della laurea è aperto anche agli inoccupati (prima era necessario il requisito di contribuente), con un onere molto più leggero rispetto agli stipendiati e suddivisibile, per l'Inps, fino a 120 rate senza l'aggiunta di interessi. Il calcolo qui va realizzato sulla base del «livello minimo imponibile annuo degli artigiani e commercianti moltiplicato per l'aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche». A conti fatti sono circa 5mila euro per ogni anno da riscattare (sul sito Inps è possibile anche simulare il calcolo) e il riscatto è deducibile con una percentuale del 19% sull'Irpef (vale anche per chi è a carico dei genitori).Ma dopo l'approvazione del decreto salva Italia e la conseguente riforma del sistema pensionistico, conviene ancora riscattare la laurea? La questione centrale è capire se far fronte all'onere sia utile al fine di diminuire i tempi necessari per andare in pensione. La stretta sull'età pensionabile introdotta con la riforma Monti, per cui - al netto degli adeguamenti nel corso degli anni - non si va in pensione prima di raggiungere i 66 anni di età, ha reso pressoché illusoria la possibilità di avvalersi del riscatto della laurea ai fini del raggiungimento del diritto alla pensione. E questo perché l'unica strada per poterlo fare sarebbe quella di richiedere la pensione anticipata, ovvero a prescindere dal requisito dell'età, una volta raggiunti i 42 anni (41 per le donne) di contribuzione - sempre al netto degli adeguamenti all'allungamento della durata della vita. Ma è decisamente più frequente il caso di chi riesce a maturare la pensione per età che per anni di contributi versati: si dovrebbe infatti immaginare il caso limite di un trentenne che abbia iniziato a lavorare molto presto, a 22 anni, e che riesca a riscattare i quattro anni del corso di laurea e a mettersi a riposo a 65 anni, invece che a 67 (perché avrà maturato i suoi 41 anni e passa di contributi). Se però avesse iniziato a lavorare a 25, come più probabile, allora il computo degli anni di laurea sarà del tutto inutile perché potrà lasciare il posto di lavoro per motivi di età prima che per aver versato 40 anni di contributi. Stesso discorso per le generazioni successive: quello che paga è aver cominciato a lavorare prestissimo, altrimenti è molto più facile che arrivi prima l'età pensionabile che la pensione anticipata (considerando i progressivi adeguamenti alla durata della vita).  C'è poi la valutazione di convenienza dal punto di vista economico. Per questo aspetto la matassa risulta ancora più ingarbugliata perché occorre mettere sul piatto della bilancia la spesa da affrontare e la stima di quello che si andrà a percepire in futuro. E le variabili da mettere in conto sono molteplici. Per quanto riguarda il calcolo dell'importo da versare, si legge sul sito dell'Inps che per i periodi da riscattare anteriori al 31 dicembre 1995 «l’onere sarà diverso in rapporto a fattori variabili quali l’età, il sesso e le retribuzioni percepite negli ultimi anni». Qui infatti si applica ancora il sistema retributivo. Per chi invece rientra in toto nel sistema contributivo (primo contributo dopo il 1° gennaio 1996), «si applica  l'aliquota contributiva in vigore alla data di  presentazione della domanda di riscatto». Perciò, ipotizzando un reddito lordo di 14mila euro l'anno (la media per un giovane precario), con un'aliquota del 33%, per riscattare la laurea sarebbero necessari circa 18.500 euro. Per chi guadagnasse 32mila il costo complessivo dell'operazione lieviterebbe a circa 42mila euro. Una cifra non da poco, che merita un'attenta valutazione. A detta dell'ufficio stampa dell'Inps «la situazione è talmente variabile da persona a persona, che è praticamente impossibile stabilire la convenienza o meno del riscatto». «L'incidenza sull'importo della pensione dipende anche dalla durata della vita per cui è davvero difficile trarre delle conclusioni» aggiunge uno degli addetti stampa alla Repubblica degli Stagisti. È evidente infatti che il calcolo dei contributi versati potrà essere spalmato su solo pochi anni o su decenni, a seconda della longevità di un individuo. Su Facebook l'ente previdenziale ha creato una pagina dedicata all'argomento, postando video e aggiornamenti di status che invitano i giovani a «trasformare i propri anni di studio in anni di lavoro». A dimostrazione che ci tiene proprio a che nascano nuove generazioni di contribuenti pronte a crearsi una prima assicurazione sul futuro. Ma su quanti in effetti abbiano usufruito negli ultimi anni di questa possibilità non c'è per ora un dato certo: la Repubblica degli Stagisti ha chiesto all'Inps il numero dei riscatti richiesti negli ultimi anni ma purtroppo il dato non è immediatamente disponibile. Quando sarà noto quel numero, si potrà anche capire se il trend dei riscatti è in crescita o in decrescita.Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- «Caro Gesù Bambino, ti chiediamo una pensione per i precari»: il direttore della Repubblica degli Stagisti e altri quattro giovani scrittori lanciano una proposta- «Le mie pensioni»: quanto prenderanno domani i precari di oggi?- Lavoro e pensioni, cosa sono i contributi figurativi e come cambierebbero con la riforma- Emergenza contributi silenti: le idee in campo per risolvere il problema delle pensioni di domani dei precari di oggi

Guk Kim, il giovane coreano che suggerisce agli italiani dove andare a mangiare: con un'app

«L'idea mi è venuta viaggiando. Per cercare un ristorante contattavo i numeri a pagamento, ma l'operatore mi dava solo l'indirizzo. Toccava a me camminare fino al locale per scoprirne l'aspetto, l'offerta e i prezzi. Da lì ho deciso di costruire un'app che fornisse tutte queste informazioni, dando risalto alle immagini». Guk Kim spiega così la genesi di Cibando, applicazione gratuita per iPhone e Android scaricata su più di 450mila telefonini.Nato 23 anni fa in Corea del Sud, si è trasferito a Roma quand'era molto piccolo, ha studiato nel nostro paese e si sente a tutti gli effetti italiano: tutti meno uno, visto che sta ancora aspettando di ottenere la cittadinanza. Sul recente dibattito sulla possibilità di riconoscerla ai figli degli immigrati nati in Italia infatti ha le idee molto chiare: «Mi scontro tutti i giorni con le difficoltà incontrate dagli stranieri. Eppure col mio lavoro di imprenditore io contribuisco allo sviluppo del mondo degli affari italiano, fornisco impiego, creo reddito e indotto».Sono infatti una cinquantina i blogger, fotografi, videomaker coinvolti nel progetto Cibando. Tutti «liberi professionisti che collaborano con noi», raccontando i ristoranti che scelgono questo canale innovativo per farsi conoscere. Oltre a loro ci sono due persone assunte, il responsabile del settore commerciale e la content manager. Il loro compito è quello di aggiornare giorno dopo giorno l'applicazione, che rappresenta una vetrina per gli esercizi che, pagando una somma una tantum - un po' meno di mille euro - ottengono la possibilità di pubblicare una descrizione del locale, del menù e del servizio, corredata di immagini e video. C'è poi un motore di ricerca che permette di visualizzare su una mappa il ristorante più vicino: così, dopo essersi fatti un'idea sull'offerta, ogni utente può decidere se cenare lì o continuare a cercare.La formula ha già convinto un migliaio di locali: un portafoglio clienti importante per una start-up nata solo nel 2011, anche se «non siamo ancora arrivati al pareggio». Laurea in Economia ottenuta alla John Cabot University, ateneo americano con sede a Roma, Guk in realtà lavora da quando era adolescente. «Sono molto orgoglioso del mio percorso» racconta «ho cominciato a sviluppare siti web a 15 anni, mentre ancora andavo a scuola, lavorando sulla personalizzazione delle pagine MySpace». Quindi tre anni fa ha creato Mobatar, società che si occupa di promozione e marketing web sui cellulari. E da qui è nata Cibando, un capitale versato di 20mila euro e spese di avvio complessive per 50mila euro, tutte finanziate «grazie ai miei risparmi. Non mi sono mai sognato di chiedere un finanziamento alle banche, visto che gli istituti di credito non fanno investimenti rischiosi in start-up». Per questo Guk ha iniziato, lo scorso anno, a presentare il proprio progetto a fondi di venture capital a livello internazionale. Il primo riscontro positivo è arrivato dal tedesco Point Nine Capital, che gli ha concesso un finanziamento - il cui ammontare resta però riservato. A quel punto, era l'agosto del 2011, il giovane startupper si è trovato di fronte alla necessità di dare con urgenza una forma giuridica a Cibando. Non trovando un notaio disponibile in Italia è volato a Londra, dove ha dato vita ad una stable organisation, quella che per il diritto britannico è una società intestata ad un non residente. Volendo fare un paragone con l'Italia, si tratta di «una sorta di società a responsabilità limitata, ma più snella».Il nome invece è nato «da un brainstorming intorno ad una tavola imbandita, tra amici». Superate le difficoltà iniziali, legate ai «costi elevati del notaio» (evidentemente anche in Inghilterra questa categoria spicca per le parcelle salate), Guk si è concentrato per promuovere la sua start-up «con un marketing aggressivo e una presenza virale in rete. Poi col tempo e i finanziamenti abbiamo strutturato un budget per investire nell'autopromozione». A metà settembre Cibando ha rinnovato il proprio sito web, dando maggiore risalto alle immagini del cibo e inserendo una sezione dedicata alle novità, ovvero agli ultimi ristoranti che hanno deciso di utilizzare questa applicazione per farsi conoscere. Ed è stato inserito tra i media partner per la prima edizione di Taste of Roma, festival della ristorazione che ha appena chiuso i battenti dopo tre giorni intensivi di performance di 12 tra chef e ristoranti della capitale. L'azienda è stata coinvolta nella produzione dei video che hanno accompagnato la manifestazione. 'Conquistata' Roma, Guk non ha però alcuna intenzione di fermarsi: «Ci stiamo attivando per espandere l'attività e coprire un territorio sempre più vasto, offrendo Cibando su scala internazionale». Nella speranza che, nel frattempo, la sua domanda per diventare cittadino italiano a tutti gli effetti ottenga una risposta.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere altre storie di start-up? Leggi anche:- Il mouse diventa smart grazie a cinque giovani startupper mantovani- Da Viterbo a Parigi passando per l'India, anche la moda fa start-up- I video virali partono da Palermo: la storia di Mosaicoon, start-up dell'anno 2012- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa

Le aziende cercano grafici e ingegneri del web: ma non ce ne sono

Gli esperti lo chiamano skill shortage (letteralmente 'mancanza di competenze') ed è uno dei paradossi del mercato del lavoro italiano. A fronte di numeri sulla disoccupazione in continua crescita (le ultime stime Istat arrivano al 35% per i 15-24enni) esistono infatti dati altrettanto allarmanti sui posti di lavoro che restano scoperti ogni anno per l'impossibilità da parte delle aziende di reperire risorse adeguate: secondo l'ultimo rapporto Unioncamere nel solo 2011 sono sfumate ben 117mila occasioni di lavoro. Ma a essere interessate dal fenomeno – e questa è la vera notizia - non sono soltanto le professioni più strettamente manuali (falegnami, piastrellistri, carpentieri...) - per lo più snobbate da chi ha una formazione accademica e a ragione si orienta su altro - ma anche mestieri che richiedono una preparazione teorica, perfino universitaria. Come è possibile? La Repubblica degli Stagisti vuole fare luce sulla questione attraverso una serie di focus sulle professioni che rimangono ai margini della domanda di lavoro. Dai numeri di Unioncamere emerge che uno dei settori colpiti è quello dell'informazione e comunicazioni, dove è il 3% delle offerte di lavoro a restare senza risposta, lasciando vacanti posti di lavoro come ingegneri delle comunicazioni, gestori e grafici web, designer. Secondo il rapporto più di un quinto delle posizioni aperte nelle aziende (il 22% del totale delle assunzioni) riguarda questo settore, eppure tali risorse sono considerate di difficile reperimento per ridotto numero dei candidati o loro inadeguatezza. Per la maggior parte di queste imprese (di cui l'insieme principale, circa 20mila, è situato al Nord Ovest) il motivo è che poche persone esercitano la professione o sono interessate a esercitarla. Una percentuale, pur molto ridotta (il 2%), pensa di rivolgersi quindi a personale immigrato per mancanza di italiani dotati delle necessarie competenze. «Non mi stupiscono questi dati» riconosce Luigia Carlucci Aiello, preside della facoltà di Ingegneria dell'informazione, Informatica e Statistica (così accorpata nel 2010 a seguito del riordino dell'ateneo), della Sapienza di Roma. «Per quanto riguarda l'occupazione le rilevazioni di Almalaurea che riguardano i nostri studenti sono estremamente positive. Il tempo che passa tra il conseguimento del titolo e il primo impiego è il più basso tra tutti i tipi di lauree, si parla di due o tre mesi, e lo stipendio iniziale medio è di quasi 1300 euro al mese sia per i laureati di primo che di secondo livello». Questo a un anno dalla laurea, poi «la retribuzione cresce più rapidamente». E in effetti, per gli ingegneri delle comunicazioni lo scoglio della disoccupazione non sembra costituire un problema: secondo il consorzio Almalaurea, nel 2011, a un anno dalla laurea, il 78,6% dei laureati è occupato. A Lettere e filosofia, da sempre accusata di essere un raccoglitore di futuri disoccupati, si arriva al 49,3. «Se tutti trovano lavoro vuol dire che c'è una forte domanda da parte del mercato. Si tratta di professioni stimolanti, il che è un ottimo incentivo per proseguire in questo tipo di lavoro», dichiara la preside. Un ingegnere del settore informazioni e comunicazione si occupa infatti della progettazione dei sistemi di trattamento e trasporto delle informazioni, tutt'altro che qualcosa di meccanico o ripetitivo. È lui a progettare apparati e dispositivi per il digitale e per Internet (come non pensare qui ai geni della Silicon Valley?). Ed è chiaro che in una società sempre più digitalizzata ci sarà un crescente fabbisogno di competenze scientifiche come queste. Eppure le immatricolazioni a questa facoltà (alla Sapienza) sono state nell'ultimo anno accademico 1708 (e in mezzo ci sono anche gli iscritti a Informatica e Statistica), contro i 2577 di Ingegneria civile e industriale e i 5243 di Lettere e Filosofia. Se si guarda ai dati nazionali invece, gli iscritti a Ingegneria dell'informazione (per l'anno accademico 2010-2011) sono 7mila, contro i 16mila immatricolati a Ingegneria (intesa nel suo complesso), le 179mila nuove leve di Lettere e Filosofia e i 195mila di Giurisprudenza. Insomma, tutto secondo la consuetudine. Per la Aiello una spiegazione plausibile è che «le tradizioni sono dure a morire. Se l'ingegneria civile esiste da secoli, l'ict ha più o meno cinquant'anni, e questo può influenzare le famiglie, che preferiscono indirizzare i propri figlio verso discipline più consolidate». Tendenzialmente infatti gli studenti dell'ict, a suo dire, non provengono da famiglie con un background professionale nello stesso settore. «Per iscriversi da noi, a una facoltà innovativa, servono dunque più grinta e coraggio» chiosa la preside. Forse ancora una volta il problema è da ricercare nell'orientamento offerto ai ragazzi prima di iscriversi all'università. A loro andrebbe suggerito un percorso con sbocchi professionali certi e non una strada che porti solo all'arricchimento culturale o a inseguire un sogno, per poi alla fine stupirsi se il povero laureato non ha granché voglia di cimentarsi a fare magari il falegname. Come se questo si potesse improvvisare, dopo anni di investimenti sulla propria formazione accademia. Dello stesso parere anche Ivan Lo Bello [nella foto a destra], vicepresidente di Confindustria con delega all'Education, che a proposito degli ultimi dati Ocse recentemente ha puntato il dito sui percorsi formativi poco orientati al mercato: «Troppi giovani scelgono percorsi di  studio destinati alla disoccupazione. Troppe  aziende  non  trovano i tecnici che cercano. Le specializzazioni tecniche devono crescere nel nostro sistema educativo che è ancora troppo condizionato da stereotipi del passato e poco attento alla domanda delle imprese». Il fenomeno dello skill shortage in questo settore, e più in particolare nella grafica del web, non se lo spiega neppure Alberto Iacovoni [nella foto], l'architetto che dirige lo Ied (Istituto europeo di design) di Roma: «I nostri corsi di grafica web non hanno così grande successo, nonostante siano di stretta attualità. Basta vedere quante risorse economiche vengono investite sul web, che ormai assorbe grande quantità dell'economia e sviluppa ricchezza». Chi studia queste materie matura pure competenze interdisciplinari, spiega alla Repubblica degli Stagisti, «perché deve sì conoscere la grafica ma anche sapere quali tecnologie si nascondono dietro il web e le sue strategie. I video virali ne sono un classico esempio». Eppure, nonostante la diffusione dei social network e l'enorme dispendio di energie quotidiane davanti a uno schermo, i giovani preferiscono restare sul tradizionale e di fronte a un diploma «moderno come il corso di media design o il master in web design scelgono corsi come fotografia o grafica». I numeri dello scorso anno parlano chiaro: 10 gli iscritti a Media Design e 15 quelli a Video Design, contro i 30 di Fotografia e i 44 di Graphic Design. «Sembra che a questa professione manchi appeal, o che sia passata di moda», commenta. Iacovoni ammette anche che «spesso riceviamo dalle aziende richieste che non riusciamo a evadere», molte di queste alla ricerca di un buon sito aziendale. E pronte ad accogliere personale disponibile a svolgere un'attività creativa e spesso ben remunerata. Tutte informazioni che potrebbe fornire un servizio di orientamento strutturato a dovere, se solo esistesse.Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:  - Il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, un problema sottovalutato - Ingegneria ma non solo: quali sono le lauree più utili per trovare lavoro? - Trovare lavoro dopo la laurea o il master, attenzione alle percentuali di placement: a volte possono riservare sorpreseE anche: - Dallo studio al lavoro: viaggio negli uffici placement, a sorpresa quasi nessuna università monitora l'esito occupazionale degli stage