Categoria: Approfondimenti

«L'Italia riparta dalle start-up»: ecco il piano del ministro Passera

Opera da meno di 48 mesi e, anche avendo un fatturato che non supera i 5 milioni di euro, non distribuisce utili ai soci. I quali, almeno per il 51%, sono persone fisiche. Il suo campo d'azione? L'innovazione tecnologica, eventualmente con vocazione sociale. È questa la definizione di start-up contenuta nel rapporto Restart-Italia, elaborato da una task force voluta dal ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera e presentato giovedì scorso a Roncade, nella sede dell'incubatore d'impresa H-Farm.Un pacchetto di misure che, questo l'impegno del governo, saranno tradotte in legge entro la fine del mese di settembre. E che vogliono sostenere la nascita di giovani imprese, più che di imprese guidate da giovani. Non è infatti previsto alcun limite di età per gli startuppers, che possono quindi avere vent'anni ma anche settanta. Pur nella convinzione che a beneficiare di questi incentivi «nella maggior parte dei casi saranno giovani», la task force non ha voluto limitare l'applicazione delle proprie proposte agli under 35 perché, si legge nel rapporto, «il Paese ha un bisogno impellente di liberare le energie di tutti coloro che sul nostro territorio vogliano contribuire a generare ricchezza e lavoro».Non si guarda alla carta d'identità, dunque, ma al campo di attività. Sì, perché per poter considerare la propria azienda una start-up è necessario che abbia come «oggetto sociale lo sviluppo di prodotti o servizi innovativi, ad alto valore tecnologico». Un criterio, quest'ultimo, che la stessa relazione riconosce come difficile da determinare. La proposta è che un'impresa per essere tecnologicamente innovativa debba presentare una di queste caratteristiche: investire una certa percentuale degli utili in ricerca e sviluppo, avere una determinata percentuale di dipendenti che siano altamente qualificati (in possesso di dottorato, ricercatori, titolari di un brevetto), oppure essere uno spin-off universitario - ovvero essere nata in ambito accademico per poi passare sul mercato.Viene poi riconosciuta una seconda tipologia di start-up, definita «a vocazione sociale». Realtà attive nell'assistenza socio-sanitaria, nell'educazione, nella tutela ambientale e nella cultura, per le quali valgono comunque i criteri di 'anzianità' e fatturato previsti per quelle tecnologicamente innovative. Vengono inoltre inserite nel novero le imprese che svolgono una ricerca scientifica «di particolare interesse sociale». Così come le cosiddette rescue company, ovvero società finalizzate «a salvaguardare una parte dei posti di lavoro e creare continuità di business con aziende in crisi e a rischio di parziale o completo fallimento». L'impatto sociale sarebbe quindi legato alla tutela dell'occupazione che queste realtà dovrebbero garantire.A tutte queste imprese sono richieste una contabilità trasparente, - che non richieda l'uso di cassa contanti - e l'iscrizione a una directory delle start-up istituita dalle singole Camere di Commercio, una sorta di database pubblico che raccolga informazioni su queste aziende. Per i primi quattro anni di attività la formula societaria potrà essere quella della isrl, ovvero della cosiddetta società a statuto zero: costituibile online ad un costo simbolico (la proposta è 50 euro), esente dai diritti di bollo e segreteria così come dalle tasse annuali sui libri sociali, autorizzata a sostituire tutti gli adempimenti burocratici con delle semplici autocertificazioni. La isrl avrà inoltre la possibilità di pagare con stock options, in pratica delle azioni dell'azienda, una parte dei compensi dei dipendenti. Lo stesso discorso vale per i fornitori: la task force ha proposto di introdurre un meccanismo di work for equity. In pratica, per ridurre le esigenze di cassa, l'idea è che si possano saldare le fatture dei fornitori con una partecipazione al capitale sociale. In pratica, si chiede loro di assumersi parte del rischio d'impresa della start-up. In cambio, il fornitore non pagherebbe le tasse sul fatturato 'investito' in questa maniera. Trascorsi i 48 mesi, l'isrl si trasformerebbe in una semplice srl.Va detto che qualora questa proposta venisse approvata si tratterebbe del terzo intervento in tema di diritto societario del 2012, dopo quello che a gennaio ha introdotto la ssrl, ovvero la società semplificata a responsabilità limitata, per gli under 35 e quello che, a giugno, ha esteso questa formula anche agli over 35. C'è poi un elemento tanto importante per gli startupper, che nei primi anni di attività devono fare i conti con una scarsissima liquidità, ma che potrebbe suscitare reazioni critiche da parte degli imprenditori che lo chiedono da tempo e per tutte le aziende. Si tratta del passaggio da competenza a cassa per quanto riguarda Iva e Ires. In pratica oggi, per le aziende con un giro d'affari inferiore ai 2 milioni l'anno, queste imposte si pagano nel momento in cui viene emessa una fattura, indipendentemente dal fatto che sia stata o meno saldata. Col rischio che, in caso di mancato pagamento, si sia versata un'imposta su un introito che non si è concretizzato. Il passaggio alla cassa proposto per le start-up prevede invece che Iva e Ires siano versate allo Stato solo dopo il saldo delle fatture.Il rapporto contiene infine una serie di proposte che favoriscano l'investimento nelle nuove aziende. Innanzitutto con la creazione del cosiddetto Fondo dei fondi, che finanzi le attività dei venture capital, ovvero di quelle realtà che immettono risorse nelle start-up entrando nel capitale sociale, e riservi il 20% delle proprie attività per le imprese a vocazione sociale. Si propone quindi un fondo seed, che cioè offra dei prestiti a scadenza quinquennale, con una costituzione mista pubblico-privata. Tra i suggerimenti, la deducibilità del 35% degli investimenti di un'azienda in una start-up e la detassazione fino al 30% di quelli di un privato. A questo proposito, Restart-Italia pone l'attenzione anche sul crowdfunding, ovvero la raccolta di fondi attraverso piccoli contributi di singoli cittadini.Quste le proposte della task force. Il ministro Passera si è impegnato ad approvare le prime norme entro la fine del mese: tutto sta a capire cosa esattamente diventerà legge. Anche perché, per quanto le singole idee possano essere apprezzate o meno, l'idea che ha animato il gruppo di lavoro è che le iniziative contenute in Restart-Italia «produrranno una scossa solo se saranno considerate come un “pacchetto unico”, solo se portate avanti tutte insieme».Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itSe hai trovato interessante questo articolo, leggi anche:- Impresa a 1 euro, dopo otto mesi la promessa del governo è finalmente realtà- Tra burocrazia e ritardi, l'impresa a 1 euro resta ferma al palo- Che fine ha fatto l'impresa a 1 euro per i giovani? Incagliata nella burocrazia- Imprenditoria giovanile, ecco chi la sostiene- Aspiranti imprenditori, una pizza è l'occasione per partireE anche:- Il mouse diventa smart grazie a cinque giovani startupper mantovani- Da Viterbo a Parigi passando per l'India, anche la moda fa start-up- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impres

Come cambia lo stage in Europa: viaggio nei Paesi scandinavi

Nell'immaginario comune i Paesi scandinavi rappresentano una (pen)isola felice: competitivi, con ottimi tenori di vita, welfare solido, all'avanguardia nella ricerca. Per scoprire se anche in fatto di stage il modello scandinavo è vincente, la Repubblica degli Stagisti ha sfogliato le pagine dell'Overview on traineeship disposto dalla Commissione Ue - voci "Svezia", "Finlandia" e "Danimarca". Per i giovani svedesi l'ingresso nel mondo del lavoro avviene piuttosto tardi, soprattutto perché in molti scelgono l'università - il 45% dei diplomati - rimanendoci anche a lungo: nel 2010 gli universitari erano 370mila, un quarto dei quali sopra i 30 anni. La crisi poi ha generato il tasso di disoccupazione più alto dal secondo dopoguerra, ora al 30% (anche se il periodo medio di inattività è di appena un mese). Esistono quattro tipologie di stage, normati nelle loro linee essenziali dal testo unico sulla formazione entrato in vigore lo scorso primo luglio. Si parte sin dalle superiori: qui i tirocini, destinati a studenti dell'ultimo triennio, sono obbligatori per alcuni corsi, durano circa 15 settimane e non sono pagati, anche se i ragazzi «possono richiedere un contributo per l'intero periodo di stage». Nel 2010 in quasi 200mila hanno fatto questa esperienza. La scuola superiore inoltre è stata recentemente oggetto di un'importante riforma, che punta ad avvicinare il mondo del lavoro; e tra le misure più innovative spicca l'investimento di 85 milioni di euro in tre anni per creare 30mila nuovi posti di apprendistato - l'unica tipologia di cui si ha notizia nel testo. L'apprendistato però, a differenza di molti altri Paesi Ue, in Svezia non costituisce rapporto di lavoro, e lo studente non riceve  alcuna remunerazione. Pagati ma non sempre, a seconda degli accordi tra istituzioni formatrici e aziende, sono i tirocini inseriti in corsi di formazione professionale, che durano da uno a tre anni, di cui lo stage occupa in genere sei mesi. Ci sono poi naturalmente i percorsi universitari, curriculari e no, rimborsati e no. Dipende molto dalle facoltà scelte: «gli studenti di architettura ricevono anche 2mila euro al mese, mentre gli ingegneri civili non vengono pagati affatto»; fortunati anche gli giornalisti, categoria notoriamente bistrattata, che ricevono la metà della retribuzione minima dall'associazione di riferimento (in Svezia non vige il salario minimo). Chi fa un tirocinio per acquisire la qualifica psicologo, a studi conclusi, riceve invece oltre 2300 euro; e i medici anche di più. Ad ogni modo, se lo stage è gratuito, gli studenti possono sempre chiedere aiuto alle università. Infine ci sono i programmi di Politiche attive per il lavoro. Il Youth employment garantee ad esempio si rivolge ai disoccupati dai 16 ai 25 anni, aiutandoli a trovare un impiego ed erogando un sussidio di disoccupazione. La fascia d'età più rappresentata è comunque quella 25-34, anche in virtù della lunga permanenza sui banchi universitari.A sovraintendere il sistema dei controlli ci sono due agenzie indipendenti, che fanno capo al ministero dell'Ostruzione. La Skolverket ad esempio stabilisce rigidi criteri di qualità per le istituzioni scolastiche ed universitarie, da cui riceve report annuali sui percorsi attivati; mentre l'Ispettorato scolastico vigila su municipalità e scuole indipendenti. Nonostante ciò però l'Ocse nel 2008 ha espresso scetticismo sugli standard qualitativi utilizzati nelle scuole superiori, «carenti di credibilità sul mercato del lavoro». Da cui probabilmente la riforma del 2011. Anche in Finlandia lo scenario appare a tratti problematico. Mai così alta in dieci anni, la disoccupazione giovanile tocca il 20%, a fronte di un dato generale del 7%. Lo scorso autunno il governo ha lanciato un fondo di garanzia sociale per i giovani, che sarà pienamente attivo solo nel 2013 ma già stabilisce che ad ogni under 25 e laureato sotto i 30 anni disoccupato da più di tre mesi siano fatte offerte di lavoro, tirocinio o studio, così da contrastare il fenomeno Neet. Qui sono circa 60mila su una popolazione di 5 milioni: un dato tutto sommato contenuto. Gli stagisti godono di diverse tutele, pur mancando un quadro legislativo specifico. Una definizione di tirocinio ad ogni modo c'è, anche se datata: già nel 1972 il ministero dell'Istruzione ne parlava come di «un'esperienza di lavoro legata ad un programma di studio che ha lo scopo di aumentare conoscenze e competenze [del tirocinante] sotto la guida di un datore di lavoro, o di un suo rappresentante, in un reale ambiente di lavoro». Definizione che, quindi, non sembra contemplare la possibilità di percorsi post formazione - tipologia che pure esiste. «In Finlandia le istituzioni formative hanno una lunga tradizione di cooperazione con i datori di lavoro locali, per permettere ai loro studenti di trovare subito lavoro» si legge nel report. La maggior parte dei percorsi ha appunto luogo all'università; quelli curriculari richiedono un impegno pari ad almeno 30 Ects (cioè 15 cfu, 375 ore) e non sono retribuiti; più lunghi, fino a sei mesi full time (cioè 40 cfu), quelli dei cosiddetti "politecnici", o università delle scienze applicate, corsi che rilasciano titoli equivalenti alle lauree triennali, pur durando un po' di più. Nel 2010 in 82mila si sono laureati con almeno un tirocinio di questo tipo alle spalle. Gli studenti che invece scelgono in autonomia di diventare stagisti, il più delle volte riceve un aiuto finanziario, in genere erogato dalla Kela, l'istituto nazionale di sicurezza sociale, sotto forma di borsa di studio, contributo sull'alloggio o prestiti; e per chi va all'estero c'è una cifra extra per l'alloggio. Questo per «garantire un introito anche a quanti non possono essere sostenuti dai genitori»; qui lo stagista appartiene quindi ai più diversi contesti sociali. Il sistema di istruzione dà a tutti l'opportunità di formarsi e anzi proprio «l'istruzione è concepita come il modo migliore per prevenire l'esclusione delle fasce giovani».Per l'inserimento o il reinserimento di giovani e adulti infine anche qui vengono attivati percorsi AMLP (Active Market Labour Policies), finanziati con soldi pubblici, che privilegiano i settori  sanitario, assistenziale  e  business administration. In questo come in tutti gli altri casi, nessun onere finanziario grava sulle aziende che ospitano stagisti.Last but non least - anzi - la Danimarca. Il Paese che a detta di molti giuslavoristi, senatore Pietro Ichino in testa, possiede il migliore sistema europeo di flexsecurity: lineare, organico, con tutele erga omnes. Secondo l'Ocse è qui che si registra il più alto tasso di mobilità sociale Ue e c'è addirittura chi lo elegge «Paese più felice del mondo». Gli stagisti danesi magari non saranno i più felici del mondo, ma possono contare su una solidissima tradizione di scambi e alternanza tra mondo della formazione e del lavoro: un adolescente su due nella fascia 15-19 anni e i due terzi dei giovani fino a 24 anni risultano occupati, seppure part time; nonostante la crisi abbia avuto anche qui effetti disastrosi sui giovani, richiedendo un intervento statale di 13milioni e mezzo di euro. Quasi tutti i percorsi di studio, anche alle superiori, prevedono un tirocinio: i principali programmi VET - di stampo tecnico-professionale e che riguardano studenti dai 14 ai 25 anni circa - hanno una quota di formazione lavorativa che va dal 50 al 70% del monte orario complessivo, pagata con somme definite dai vari contratti nazionali di lavoro. Nel 2011 sono partiti 50mila tirocini di questo tipo, tutti regolamentati da un'apposita legge. Anche per conseguire una laurea triennale bisogna quasi sempre "spendere" in tirocinio dai 30 (750 ore) ai 60 cfu (1500 ore, un anno universitario) e «quelli gratuiti sono ammessi solo in circostanze particolari». Un caso a parte, degno di nota, è quello degli aspiranti giornalisti: per loro la formazione dura quattro anni, di cui ben un anno e mezzo sul campo, con un contributo di oltre 1700 euro al mese. Naturalmente uno studente può anche fare uno stage volontario, ma in questo caso di rado riceve rimborso. L'obbligatorietà del tirocinio però, nota l'agenzia di valutazione nazionale Eva, può essere un'arma a doppio taglio e «impedire persino il conseguimento del titolo per abbandono dello studente», se questi non riesce ad individuare il percorso adatto né riceve supporto dall'istituto - circostanza che interessa per lo più gli studenti immigrati. Del resto, i giovani scelgono scuole ed università anche in base alla qualità della formazione lavorativa che sono in grado di offrire, giocando di prevenzione.  Il sistema formatvo danese abitua  suoi giovani, sin da adolescenti, a "pensare doppio": da un lato i libri, dall'altro l'esperienza diretta nel mercato del lavoro, aumentano le probabilità di un ingresso fluido, indolore e spesso precoce rispetto agli standard europei.Annalisa Di PaloPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Come funziona lo stage in Europa: viaggio in Germania e Olanda- Paese che vai, stage che trovi: maxi report della Commissione europea- Nuova risoluzione Ue, regolamento europeo sugli stage più vicino

Il mouse diventa smart grazie a cinque giovani startupper mantovani

All'apparenza sembra un semplice mouse, certamente dal design avveniristico. Al suo interno, però, c'è un bluetooth integrato che permette di collegarsi a qualunque computer, un sistema di puntamento ideale per le presentazioni, un'applicazione per i giochi. E una scheda di memoria da 2 o da 4 giga, a seconda del modello, che permette di salvare i dati direttamente sull'apparecchio. Tutto questo è Ego!Smartmouse, il prodotto che la start-up mantovana LauraSapiens si prepara a lanciare sul mercato con l'inizio del prossimo anno.I cinque startupper che hanno dato vita a quest'azienda stanno lavorando al progetto dalla fine del 2009. A dare il via è stato il più giovane di loro, il 26enne Matteo Modè [a destra nella foto insieme a Ghidoni e Fornacciari], laureato in Ingegneria gestionale a Parma nel 2010 dopo un diploma di perito elettronico all'Itis di Mantova, la sua città. In Emilia Romagna per ragioni di studio, prima ancora di laurearsi aveva iniziato a lavorare a quello che qualche anno più tardi sarebbe diventato lo Smartmouse. «Alla fine del 2009 ho scoperto il programma regionale Spinner, che offre borse a gruppi che vogliano creare aziende con idee innovative. Io avevo preparato un progetto ma mi servivano altre persone: così ho iniziato a cercarle». Alla fine ha trovato Matteo Fornacciari e Stefano Salati, due 27enni, Stefano Ghidoni e Stefano Garusi, che con 32 anni a testa sono gli "anziani" del gruppo.Insieme a loro ha realizzato il primo prototipo e, soprattutto, ha ottenuto nell'ambito del progetto della regione Emilia Romagna un finanziamento di 38mila euro, oltre a consulenze legate a ricerche di mercato e pianificazione aziendale. Il progetto si è concluso all'inizio del 2011, ma i cinque hanno deciso di continuare la loro collaborazione e ad aprile hanno fondato LauraSapiens. «Ci occupiamo di relazione tra uomo e computer e di identità digitale, quindi abbiamo voluto darne una forte all'azienda, esprimendola attraverso un nome di persona». E il latino? «Richiama i simboli di saggezza e vittoria». Ma anche il fatto che la sede è a Mantova, città di Virgilio.Per la loro impresa Modè e soci hanno scelto la formula della srl, con un capitale sociale di 62mila euro costituito in parte da liquidi e in parte da tre brevetti - uno dei quali depositato anche negli Stati Uniti e in Cina - che i cinque hanno registrato nella fase di progettazione. Ad oggi la fase di ingegnerizzazione - ovvero gli aspetti legati alla produzione dei componenti e all'assemblaggio, due attività che vengono svolte all'esterno - è terminata, e si lavora per rendere commerciabile lo Smartmouse. In questa fase solo Modè, che ricopre il ruolo di amministratore delegato e si occupa di logistica e produzione, riceve uno stipendio. Gli altri quattro continuano a svolgere un altro lavoro, dedicando il tempo libero alla start-up - addirittura Garusi vive in Finlandia e scende in Italia per confrontarsi con i suoi colleghi un paio di volte al mese.Per sostenere la propria attività LauraSapiens ha partecipato ad un bando emesso da Finlombarda che nell'agosto 2011, attraverso un fondo di rotazione, ha messo a disposizione 150mila euro. «Si tratta di un finanziamento che dovremo restituire tra tre anni, in un'unica soluzione, ma con tassi molto agevolati: è uno strumento che mi sento di consigliare a tutti gli startupper». Denaro importante per un'azienda che genera una spesa pari a circa 8mila euro al mese, tra l'affitto di un ufficio e i pagamenti dei dipendenti, due persone con contratto a progetto. «A breve lo trasformeremo in apprendistato, sfruttando le agevolazioni della riforma Fornero e del decreto SalvaItalia che hanno ridotto i costi per i contributi previdenziali a carico delle aziende».Il pareggio di bilancio però è ancora lontano. «Forse ci arriveremo alla metà del 2013, intanto abbiamo chiuso il 2011 con un disavanzo di 11mila euro, legato agli investimenti sostenuti». L'idea era quella di iniziare con le vendite prima della fine dell'anno, ma «stiamo scontando un po' di ritardo: con il mese di settembre inizieremo con i preordini, consentendo l'acquisto ad un prezzo vantaggioso. Ma cominceremo a vendere tra gennaio e febbraio». Intanto a metà ottobre LauraSapiens sarà presente con un proprio stand alla Smau, la fiera dell'informatica di Milano: palcoscenico ideale per far conoscere lo Smartmouse al grande pubblico.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere altre storie di start-up? Leggi anche:- Da Viterbo a Parigi passando per l'India, anche la moda fa start-up- I video virali partono da Palermo: la storia di Mosaicoon, start-up dell'anno 2012- Quando «l'arte del bere» si fa start-up per tradizione di famiglia- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa

Tirocini Mae-Crui, la Crui non vuole rischiare che siano cancellati: forse perchè ci guadagna?

Se davvero verrà introdotto per legge l'obbligo di rimborso spese per gli stagisti, sarà un grande passo avanti per tutti. Finalmente i tirocinanti otterranno un giusto riconoscimento per l'apporto fornito e per il tempo e l'impegno dedicati al percorso formativo. La riforma Fornero sembra muoversi proprio in questo senso, stabilendo che agli stagisti debba essere corrisposta una «congrua indennità»: per ora è solo una indicazione di principio, ma entro la metà di gennaio dovranno essere emesse in questo senso delle linee guida definite dal governo e dalle Regioni. Lo stesso provvedimento però stabilisce che l'introduzione di questi rimborsi obbligatori non debba generare «nuovi o maggiori oneri a carico della pubblica amministrazione». Che vuol dire? Che, una volta introdotto questo obbligo, gli enti pubblici saranno automaticamente esonerati dall'ottemperarlo? Questa interpretazione, sostenuta e avallata da alcuni – tra cui la stessa Avvocatura dello Stato – sembra alla Repubblica degli Stagisti assolutamente in contrasto con la ratio della (futura) legge.La soluzione al problema peraltro esiste già: basterebbe rivedere i bilanci dei ministeri o dagli altri enti che ospitano tirocinanti e riorganizzare le spese, a saldi invariati, così da ricavare i fondi necessari. Per esempio per quanto riguarda il ministero degli Esteri la Repubblica degli Stagisti ha formulato quest'estate una semplice proposta che permetterebbe di garantire un rimborso ai circa 1.800 ragazzi che ogni anno vengono coinvolti nei percorsi formativi del programma Mae-Crui, che ormai da 10 anni porta studenti e neolaureati a fare stage alla Farnesina o nelle ambasciate, consolati e istituti di cultura in giro per il mondo.Tutti d'accordo? Non proprio. All'inizio di luglio, all'indomani della momentanea sospensione del II° bando Mae-Crui 2012 – quello con i tirocini in partenza in questi giorni – la Fondazione Crui aveva arditamente dichiarato che le prescrizioni contenute nella riforma del mercato del lavoro avrebbero reso «di fatto impossibile prevedere esperienze di formazione on the job nella pubblica amministrazione». Una volta ripristinato dal Mae tale bando, con la motivazione della non-retroattività di una norma che ancora deve vedere la luce, la Crui però non ha fatto retromarcia. E il suo presidente Marco Mancini [nell'immagine a fianco] ha auspicato in una nota «che nelle linee guida che dovranno essere prodotte nei prossimi mesi si tenga conto, una volta per tutte e in maniera definitiva, della differenza esistente fra i tirocini formativi offerti dalle università in collaborazione con la pubblica amministrazione e tutti gli altri». Ma dov'è questa differenza? Cosa vuol dire il presidente Mancini? Sta forse inviando un messaggio al governo, suggerendo che gli stage vengano normati con due pesi e due misure? Che la «congrua indennità» promessa dal ministro Fornero debba essere introdotta solo per gli stage nelle imprese private, e non per quelli negli enti pubblici, o addirittura per tutti quelli promossi dalle università?E in caso fosse così, cosa può spingere la Crui a prendere una tale posizione, che va contro le legittime aspettative e il benessere di migliaia e migliaia di giovani studenti universitari e neolaureati italiani? La Repubblica degli Stagisti ha più volte contattato nelle scorse settimane l'ufficio stampa Crui, per richiedere di poter intervistare il professor Mancini, senza purtroppo ricevere risposta.In attesa di delucidazioni, si può ipotizzare che forse il punto stia nel fatto che se i ministeri – invece di rimodulare i propri bilanci per trovare i fondi per le indennità – dovessero decidere di chiudere i programmi di stage, ciò inciderebbe negativamente sui bilanci della Crui. Infatti le università convenzionate con questo organismo, come la Repubblica degli Stagisti è in grado di documentare, versano ogni anno una somma parametrata al numero di studenti e neolaureati che presentano domanda di partecipazione ai bandi. Attenzione: non in base a coloro che vengono effettivamente selezionati per lo stage. Il conto viene fatto in base alle richieste presentate. Si tratta di un aspetto molto importante specie se si considera che per esempio il programma Mae-Crui del 2009, come al solito suddiviso su tre bandi, mise complessivamente a disposizione 1.784 percorsi di tirocinio – ma che le candidature furono oltre 18mila, e su quest'ultimo numero la Fondazione Crui ricevette i finanziamenti dalle università. Come avvengono i pagamenti? Ogni ateneo – i convenzionati sono una settantina – versa 1.100 euro se i candidati sono meno di 25, che diventano 2.200 se sono tra 26 e 50 e crescono fino a 5.200 se le domande di partecipazione sono comprese tra 51 e 100. Al di sopra di questa quantità, per ogni 50 candidature viene corrisposta la somma di 1.100 euro.Calcolare a quanto ammonti il contributo che gli atenei italiani versano alla Fondazione Crui è complesso. Intanto perché i programmi di tirocinio attivi sono ben 12, alcuni dei quali suddivisi in più bandi nel corso dell'anno. Inoltre bisognerebbe sapere quanti sono i candidati per ogni singola università, tenendo conto che realtà di grosse dimensioni come La Sapienza hanno un ufficio stage per ciascuna delle facoltà. La Repubblica degli Stagisti ha provato a chiederlo ad alcune università, per ora ricevendo risposta solamente da Ca' Foscari: nel 2011 i candidati al bando per i tirocini al ministero degli Esteri provenienti da questo ateneo sono stati 131 – il che permette di calcolare, a spanne, che per quell'anno il contributo di Ca' Foscari alla Crui per il Mae-Crui sia stato di circa 6mila euro. Nell'attesa di poter ottenere dati anche da altri atenei c'è però un dato, nel bilancio della Fondazione, che può aiutare a comprendere l'ordine di grandezza del fenomeno. Si tratta della voce «valore della produzione - altri ricavi e proventi - contributi in conto esercizio»  che, nel solo 2010, rileva nelle casse dell'ente 2 milioni e 452mila euro. Non tutti questi soldi certamente arrivano dagli atenei: ma rimane il fatto che le università pagano la Crui per poter permettere ai propri studenti di candidarsi al programma Mae-Crui e a tutti gli altri programmi sovrintesi dalla Crui. E questi proventi rappresentano una voce non indifferente dell'intero bilancio dell'ente.Due sono dunque le domande finali. La Repubblica degli Stagisti vorrebbe avere l'opportunità di porre direttamente ai vertici della Conferenza dei rettori almeno la prima, e cioé: che tipo di servizio eroga e svolge la Crui a fronte dell'obolo che chiede ai singoli atenei? In cosa consiste, in concreto, la sua intermediazione e quali vantaggi assicura agli altri soggetti coinvolti vale a dire i soggetti ospitanti (i ministeri), i soggetti promotori (le università) e i candidati che risultano vincitori (gli stagisti)? La seconda domanda è invece diretta alla politica e all'opinione pubblica: è accettabile che la Conferenza dei rettori delle università italiane lanci messaggi al governo al fine di non far entrare appieno in vigore un principio sacrosanto, quale l'introduzione dell'obbligo di erogare una congrua indennità agli stagisti, per non rischiare di perdere il denaro che attualmente ricava dall'intermediazione di programmi di stage in enti pubblici?Eleonora Voltolinacon la collaborazione di Riccardo SaporitiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Ministero degli Esteri, 555 stage Mae-Crui bloccati e non si capisce il perché- Mae-Crui sospesi: una pressione per essere esonerati dal (futuro) obbligo di compenso agli stagisti?E anche:- Mae-Crui, la vergogna degli stage gratuiti presso il ministero degli Esteri: ministro Frattini, davvero non riesce a trovare 3 milioni e mezzo di euro per i rimborsi spese?- Ministero degli Esteri, ancora niente rimborso per i tirocini malgrado i buoni propositi della riforma- Stage, il ddl Fornero punta a introdurre rimborso spese obbligatorio e sanzioni per chi sfrutta- Quanti sono gli stagisti negli enti pubblici? Ministro Brunetta, dia i numeri

Impresa a 1 euro, dopo otto mesi la promessa del governo è finalmente realtà

Impresa a 1 euro, adesso si può davvero. Lo scorso 29 agosto è infatti entrato in vigore il decreto 138, che ha definito il modello standard dello statuto della cosiddetta società semplificata a responsabilità limitata. Ovvero l'ultimo tassello necessario per completare il mosaico della ssrl, introdotta dall'esecutivo alla fine di gennaio con l'obiettivo dichiarato di favorire l'imprenditoria giovanile.Lo spirito della norma è quello di ridurre i costi di avviamento di un'impresa, a cominciare da quelli legati al capitale sociale versato: si parte da un minimo di 1 euro fino ad un massimo di 9.999, appena sotto la soglia dei 10mila euro necessari invece per fondare una società a responsabilità limitata. La diminuzione delle spese passa però anche attraverso altri aspetti, come appunto la definizione di un modello di statuto standard. In questo modo i notai dovranno limitarsi a compilare un modulo prestampato, senza dover redigere un vero e proprio atto, ma soprattutto senza alcun onere per i contraenti. Una formula che contribuirà a far scendere per gli startupper lo stanziamento legato alla costituzione dell'azienda. Per quanto rimangano comunque da versare l'imposta di registro (168 euro), la tassa annuale per la bollatura dei libri contabili (309,87 euro) e l'iscrizione alla Camera di Commercio (200 euro). Col risultato che, alla prova dei fatti, la costituzione di un impresa a 1 euro ne costerà comunque almeno 700.Introdotta con un decreto approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 24 gennaio, la ssrl avrebbe dovuto diventare operativa entro il 25 maggio. Per quella data infatti i tre ministeri coinvolti nell'iter legislativo, ovvero quello dello Sviluppo economico, quello dell'Economia e quello della Giustizia, avrebbero dovuto emanare il decreto contenente il modello standard di statuto. In quella stessa giornata, però, da via Arenula la documentazione è stata inviata al Consiglio di Stato, chiamato per prassi ad esprimere un parere sul testo. Nel frattempo montavano le polemiche, a cominciare da quelle mosse dagli aspiranti imprenditori che aspettavano la ssrl per fondare una società e chiedevano a gran voce al governo di mantenere la promessa. Al punto che l'onorevole Amalia Schirru (Pd) arrivò a presentare un'interrogazione parlamentare per chiedere lumi rispetto all'entrata in vigore della norma.La Repubblica degli Stagisti aveva seguito l'iter della ssrl, pubblicando a fine luglio un articolo in cui si denunciava il fatto che la ssrl sembrava essere rimasta incagliata nelle secche della burocrazia. Lo stesso dicastero di Grazia e Giustizia non era stato in grado di fornire indicazioni rispetto alle tempistiche di emanazione del decreto necessario per rendere possibile la creazione delle società semplificate a responsabilità limitata. Ora si scopre che il 23 giugno il Guardasigilli ha emanato il decreto 138, contente appunto il modello di statuto, pubblicato però sulla Gazzetta ufficiale solo il 14 agosto. Ed entrato effettivamente in vigore 15 giorni dopo, ovvero il 29 agosto. A questo punto gli under 35 interessati a lanciare una start-up potranno farsi avanti e usufruire di questa normativa semplificata e più economica per lanciare la propria azienda. Nel frattempo il governo ha anche risolto i dubbi di chi sosteneva che nessuno avrebbe concesso crediti, né fornito beni ad imprese che di fatto hanno un capitale sociale nullo, pari anche a 1 solo euro. L'esecutivo ha infatti stabilito che il 25 per cento degli utili dovrà essere accantonato fino a che non sarà raggiunta la somma di 10mila euro, a garanzia dei creditori.Il requisito dell'età rimane fondamentale: la ssrl non potrà essere costituita da persone giuridiche, e tutti i soci dovranno avere meno di 35 anni. E una volta che saranno 'diventati grandi'? La norma stabilisce che, al momento in cui uno dei soci compie il 35simo anno di età l'azienda si trova di fronte a due possibilità: la prima prevede l'uscita dalla compagine societaria di chi non abbia più i requisiti anagrafici, la seconda la trasformazione della formula giuridica dell'impresa. Ovvero il passaggio da ssrl a srl, piuttosto che a spa.Con l'entrata in vigore di questa norma, diventa così effettivo il primo dei meccanismi pensati dal governo per incentivare l'imprenditoria giovanile. In attesa che, il prossimo 13 settembre, il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera sveli i contenuti delle proposte del governo in tema di agenda digitale e start-up.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itSe hai trovato interessante questo articolo, leggi anche:- Tra burocrazia e ritardi, l'impresa a 1 euro resta ferma al palo- Che fine ha fatto l'impresa a 1 euro per i giovani? Incagliata nella burocrazia- Imprenditoria giovanile, ecco chi la sostiene- Aspiranti imprenditori, una pizza è l'occasione per partireE anche:- Da Viterbo a Parigi passando per l'India, anche la moda fa start-up- Dal design al social network: Domenico Gravagno, startupper seriale- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impres

Come cambia lo stage in Europa: viaggio in Gran Bretagna e Irlanda

Uno dei Paesi europei in cui il dibattito politico sullo stage incalza è la Gran Bretagna, anche perché qui questo strumento viene troppo spesso usato in maniera distorta. Tutti i principali giornali se ne sono occupati a più riprese: «Tartassare gli stagisti sarà pure routine, ma rimane sbagliato», «I tirocini non pagati violano la legge sul salario minimo», «Stage: aspettando un lavoro» sono solo alcuni esempi dei titoli più recenti.  Per i giovani britannici, esordisce il report disposto dalla Commissione Ue, la situazione è particolarmente difficile. Quasi un quinto di quelli nella fascia 19-24 anni non studia né lavora - gli ormai famosi Neet  - una percentuale molto alta data l'età. La disoccupazione continua a crescere da quasi un ventennio e appare chiaro che «acquisire qualifiche elevate non è più sufficiente per garantire ai giovani posti nel mercato del lavoro». Le poche iniziative positive poi - come il Future Job Fund, in grado di garantire un impiego di sei mesi ai giovani disoccupati nel settore pubblico o assistenziale - sono state smantellate con il governo Cameron, annotano i due autori.  Oltremanica le principali tipologie di formazione lavorativa sono quattro. Gli internships in senso stretto - termine che può indicare tipologie molto diverse, e comunque non definito con precisione a livello legale - finalizzati a trovare un lavoro, che tipicamente interessano i laureati e durano dai tre ai sei mesi. Poi ci sono le cosiddette lauree sandwich, che prevedono un anno circa di "placement", quasi mai rimborsati, intrapresi dal 6% degli studenti - circa 120mila ragazzi. Gli stage inseriti nelle misure di politiche attive per il lavoro coinvolgono invece 16mila persone all'anno: in genere durano due mesi e danno diritto a indennità di disoccupazione (talvolta più redditizie di un lavoro vero ma sottopagato). Il report precisa però che il sistema pubblico di finanziamento «è confinato a interventi specifici di scala ridotta, durata limitata o entrambi». Infine ci sono i tirocini che in italiano verrebbero definiti "praticantati" per accedere a una professione - ad esempio medico, architetto, avvocato - regolamentati dai singoli ordini con i vari Medical Act, Architects Act etc. E controllati, il più delle volte. I solicitors ad esempio,  gli avvocati, fanno riferimento alla Sra - Solicitors Regulation Authority, che tra le altre cose vigila sull'obbligo di versare una quota superiore al national minimum wage. Proprio il salario minimo garantito, in vigore dal 1999 e oggi pari a circa 7 euro all'ora, è il nodo più difficile da sciogliere sullo stage, soprattutto in merito ai percorsi post formazione: uno stagista ne ha diritto o no? Secondo la legge inglese dovrebbe, se apporta il contributo di un lavoratore; altrimenti il rimborso è facoltativo - leggi raro. Ma in mancanza di precise griglie normative tutto è rimesso all'interpretazione, non sempre disinteressata. Pochi mesi fa i consulenti legali del governo inglese hanno espresso la loro, stimando che nel 2010 almeno 10mila stage, proprio perché non retribuiti, potrebbero essere stati illegali, e quindi risarcibili. Non sono comunque reperibili dati globali sullo stage negli UK e dunque il report pubblica solo resoconti molto settoriali, riferiti a singoli progetti o collegati situazioni particolari - come l'abbandono scolastico o universitario. «Le informazioni sui settori in cui lo stage prevale», e viene peggio usato, sono poi addirittura «aneddotiche». E l'aneddoto conduce ai soliti settori giornalismo, moda, media; ma anche a quello politico. Non a caso Intern Aware, l'organizzazione che si batte per i diritti degli stagisti britannici, ha chiamato in causa i tre principali partiti politici per verificare se predicano bene e razzolano altrettanto bene in fatto di mobilità sociale e opportunità per i giovani. Con risultati deludenti. Ancora più complicata è la situazione in Irlanda, dove la crisi ha triplicato i livelli di disoccupazione in pochi anni e dove gli under 35 con il solo diploma costituiscono mediamente il 40% degli inoccupati. I Neet sono un'altra emergenza molto costosa, che rosicchia 2 punti e mezzo percentuali del prodotto interno lordo. E a sorpresa sono gli uomini ad accusare di più il colpo: nel centro di Limerick sono senza lavoro addirittura i due terzi del totale. Tradizionalmente, il sistema scolastico irlandese è poco vocational: «solo una parte trascurabile di giovani sceglie scuole ad indirizzo lavorativo» e il 65% dei diplomati opta per l'università, anche se poi molti laureati finiscono col prendere la strada dell'estero (e, in generale, il 90% degli emigrati irlandesi sono giovani). Proprio per sanare la frattura scuola-lavoro e favorire la riqualificazione dei disoccupati, nell'estate 2011 è stato inaugurato Job Bridge - National Internship Scheme, che ha lanciato 6mila posti di "placement" nel settore pubblico e privato, con un'indennità settimanale di 50 euro, da aggiungere ad eventuali benefit sociali. Questo e altri programmi di stage sono affidati alla Fas, la National Training and Employment Authority, che opera tramite un network di 20 training centers e 66 uffici regionali. Ma ancora per poco: verrà a breve sostituita dall'agenzia Solas,di cui si sa ancora poco (lo stesso sito è in costruzione).In merito al numero di stagisti, anche il report irlandese fornisce dati piuttosto parziali. Si sa ad esempio che ogni anno circa 2500 ragazzi completano percorsi di inserimento lavorativo pensati per chi abbandona la scuola, in costante aumento dal 2004; mentre per tutte le categorie di disoccupati nel 2010 le azioni sono state 37mila, di cui 4mila e 500 stage in senso stretto (quasi il doppio di due anni prima). I tirocinanti universitari invece, esclusi quelli di medicina, hanno superato quota 10mila. Per contro crolla il numero di apprendistati attivati: nello stesso anno sono stati solo 1200, con un sonoro -68% rispetto a due anni prima (17mila complessivi invece quelli già in essere). Gli autori ipotizzano che ciò sia dovuto alla connotazione tipicamente maschile dell’apprendistato in Irlanda, frequente in settori come commercio e costruzioni, fortemente impattati dalla crisi.Per quel che riguarda il rimborso, si legge: «Gli stage universitari sono in genere gratuiti e talvolta i datori di lavoro ospitano studenti solo dopo essersi accertati che non dovranno pagarli». Esistono però anche i percorsi rimborsati, soprattutto nei settori ingegneria e informatica, talvolta con cifre che raggiungono quelle di uno stipendio. Ma si tratta di eccezioni, e il report non ne quantifica la frequenza. Più spesso, se un rimborso c’è, vengono applicati gli scaglioni definiti dal Minimum Wage Act del 2011, che variano dai 6 euro e 50 centesimi all’ora del primo trimestre di stage ai quasi 8 dell’ultimo. Una delle poche indagini a disposizione riporta che, secondo gli uffici placement universitari, il 36% delle loro  offerte di tirocinio risultano rimborsate. Una misura interessante è stata invece escogitata a livello centrale sul fronte controlli: il National Framework of Qualification del 2003 assicura la qualità di tutti i percorsi di formazione, da quelli scolastici  a quelli di dottorato, e compresi quelli lavorativi. Non ne viene però riferito il grado di efficacia.Annalisa Di PaloPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Da Londra arriva un primo alt ai tirocini: secondo i consulenti legali del governo violano la legge sul salario minimo- In Inghilterra un'impresa su cinque usa gli stagisti come lavoratori a basso costo- Gli stagisti inglesi visti dal Guardian: «carne da macello». E non è solo una metafora- Il Daily Telegraph mette il naso nella vita degli stagisti inglesi. Conclusione:non se la passano bene neanche loro- Stagisti inglesi, il Guardian svela: un'ente vigilierà affinché le aziende non li sfruttino- La denuncia del Financial Times: «Le aziende smettano di prendere stagisti per coprire i loro buchi di organico, e comincino a pagarli»  

Normativa sui tirocini, le novità da Liguria, Veneto e provincia di Trento

Congrua indennità per gli stagisti? Il governo la promette, ma per ora le Regioni sembrano fare orecchie da mercante. Con l'eccezione di Toscana ed Abruzzo, infatti, tutte le altre faticano ad intervenire in maniera decisa sui tirocini. La Repubblica degli Stagisti si è già occupata nel dettaglio degli indirizzi emessi tre mesi fa dalla giunta regionale della Lombardia, la cui normativa è stata ridefinita in base - ma non solo - a quanto previsto dalla legge 148/2011 e dalla circolare del ministero del lavoro 24/2011. Negli ultimi mesi si sono aggiunti altri tre provvedimenti emanati da Liguria, Veneto e dalla provincia autonoma di Trento che definiscono in modo organico la durata, il numero dei tirocinanti per unità produttiva, gli obblighi del datore di lavoro e le modalità di monitoraggio dell’esperienza formativa, stabilendo nel dettaglio un insieme di punti che possano garantire la qualità della formazione del tirocinante. La regione Liguria si è espressa a metà maggio (legge regionale 555/2012) approvando la «Disciplina regionale in materia di tirocini formativi e di orientamento, tirocini di inserimento e reinserimento lavorativo e tirocini estivi». Già dal titolo si evince che la Liguria ha voluto recepire la classificazione degli stage introdotta dalla gestione Sacconi del ministero del Lavoro, poco prima che cadesse il governo Berlusconi. In particolare la prima tipologia di stage - la più diffusa - definita di «orientamento» è indirizzata ai diplomati e laureati che non abbiano conseguito il titolo di studio da più di 12 mesi; ci sono poi i tirocini di «inserimento e reinserimento lavorativo» che possono essere svolti da soggetti inoccupati o disoccupati, senza limiti di età e infine i cosiddetti «tirocini estivi» che possono essere svolti esclusivamente nel periodo di sospensione previsto dal calendario scolastico regionale.Ad esclusione dei tirocini curriculari e dei periodi di praticantato per l’accesso alle professioni per cui è richiesta l’iscrizione ad un ordine, per tutte le altre tipologie di stage la giunta ligure ha previsto, all’articolo 13, in modo generico che «I soggetti promotori o i datori di lavoro ospitanti riconoscono di norma in favore dei tirocinanti un’indennità di partecipazione», al finanziamento della quale può contribuire anche la Regione con fondi propri. Nessuna obbligatorietà però, e nessun divieto di prevedere stage gratuiti. La durata va da un minimo di due mesi ad un massimo di sei mesi per i tirocini formativi e di orientamento e addirittura fino a dodici mesi per gli stage di inserimento e reinserimento lavorativo. Per quanto riguarda il numero di stagisti che ogni azienda può ospitare, per imprese che hanno in forza fino a sei lavoratori a tempo indeterminato ci può essere solo uno stagista; da sette a diciannove dipendenti sono previsti massimo due stagisti e oltre i lavoratori i tirocinanti non devono essere più del 10% del personale in servizio. Compiti delle aziende restano la comunicazione obbligatoria di assunzione e cessazione dello stagista, nonché l’assicurazione Inail e la scelta di un ente promotore – anche privato - che certifichi la fattibilità del tirocinio e attesti la nomina di un tutor aziendale incaricato di seguire il giovane nello svolgimento del progetto formativo.E anche la direttiva 337/2012 del 6 marzo 2012 emanata dalla regione Veneto e in vigore da fine marzo, pur sforzandosi di definire un quadro normativo di riferimento più specifico per enti promotori e soggetti interessati, non prevede alcuna forma di compenso per i tirocinanti. Tuttavia l’obiettivo di scongiurare l’ambiguità degli stage extracurriculari rispetto ad un normale rapporto di lavoro ha portato il Veneto ad ammettere facilitazioni - non meglio chiarite dalle faq presenti sul sito della regione, quali borse lavoro, buoni pasto o rimborsi spese -escludendo però l’obbligo di corrispondere allo stagista un’indennità. Infine la delibera più recente in materia l’ha pubblicata la provincia di Trento, a metà giugno. Come spiegato a Repubblica degli Stagisti  da Sergio Vergari, dirigente del Servizio Lavoro della provincia autonoma, la titolarità al ruolo di enti promotori per la gestione delle procedure di attivazione degli stage, al fine di evitare abusi, resta in capo ai soggetti cardine come ad esempio i centri per l'impiego o le università. La maggiore novità introdotta, pur ribadendo che il tirocinio non costituisce un rapporto di lavoro, è la possibilità di riconoscere allo stagista una borsa di studio utile come rimborso spese. Questa disposizione scaturisce dalla volontà della provincia di affidare all’Agenzia del lavoro, struttura che realizza gli interventi di politica attiva del lavoro, il ruolo di partner principale nell’amministrazione delle indennità da corrispondere agli stagisti. L’Agenzia al termine del tirocinio eroga una borsa di studio di 70 euro settimanali (se l'orario è inferiore alle 30 ore settimanali l'importo è dimezzato) per massimo otto settimane. Requisito previsto per ottenere questo rimborso è lo svolgimento di un tirocinio a carattere prevalentemente orientativo, indirizzato a disoccupati o inoccupati iscritti da almeno un mese in un Centro per l'impiego della provincia di Trento. Anche i neodiplomati e neolaureati devono essere iscritti nelle liste di disoccupazione per poter avere accesso a tale rimborso. Tutte le regioni, anche quelle che ancora non hanno recepito le novità introdotte dalla legge 148/2011, sono ora chiamate a sedersi al tavolo – hanno sei mesi di tempo dallo scorso 18 luglio – del ministero del Lavoro, per elaborare le linee guida preannunciate dalla riforma Fornero ai commi 34-36 del suo articolo 1. Lorenza MargheritaPer saperne di più, leggi anche:- Mai più stage gratis: parte in Toscana il progetto per pagare gli stagisti almeno 400 euro al mese- La Toscana approva la nuova legge sugli stage: per la prima volta in Italia il rimborso spese diventa obbligatorio- Stage, nuove norme regionali: sì all'obbligo di rimborso in Toscana e Abruzzo, no in Lombardia

Da Viterbo a Parigi passando per l'India, anche la moda fa start-up

Nel 2007 Benedetta Bruzziches ha vinto il concorso Riccione Moda Italia per la categoria accessori,  è stata decretata «Best Italian Talent» dalla Camera della Moda e da Alta Roma ed ha iniziato a lavorare, prima da stagista e poi con un contratto a tempo determinato, come assistente personale di Romeo Gigli per la collezione «Io Ipse Idem». Eppure l'anno che le ha cambiato la vita è stato il 2008. Nel novembre di quell'anno ha deciso di 'mollare tutto' accettando un'offerta di lavoro in India, dove ha cominciato a disegnare quelle borse che ora produce con la sua azienda. Un'attività di consulente che l'ha portata spesso in giro per il mondo e soprattutto le ha permesso di mettere da parte 30mila euro, somma che ha poi investito dando vita alla sua start-up.Diplomata con lode all'Istituto Europeo di Design di Roma nel 2006, questa viterbese di 27 anni è un vulcano di creatività. Nel luglio del 2009, dopo appena un anno e mezzo trascorso in India, ha deciso di tornare in Italia. «Volevo realizzare una collezione mia, ci ho lavorato tutta l'estate e a settembre l'ho presentata». I primi passi non sono stati facili: «Non ho fatto una vera e propria ricerca di mercato, sono partita all'avventura. Giravo per Milano, mostrando le mie borse che piacevano a tutti. Ma non le comprava nessuno». All'epoca Benedetta aveva 24 anni: «Capivano che non avevo idea dei tempi di vendita, delle consegne». E dunque nessuno si fidava ad inserire nel proprio catalogo i suoi prodotti.È stato allora che ha deciso di provare a venderseli da sola. Primo passo, uno spazio all'interno delle fiere che accompagnano la settimana della moda di Milano e di Parigi, ottenuto nonostante la sua richiesta fosse arrivata parecchio in ritardo rispetto alle normali scadenze. «Il tempo di un biscotto per la nostra collezione»: era questo lo slogan che accompagnava lo spazio espositivo insieme a un vassoio di dolcetti realizzati appositamente dalla madre. «In questo modo attiravo le persone all'interno del mio stand e in 50 secondi spiegavo tutto quello che riguardava le mie borse». Una strategia di marketing tanto golosa quanto efficace, che le ha permesso di portare a casa i primi 25 clienti. «In realtà ero un po' delusa, me ne aspettavo molti di più. Poi ho capito che era un ottimo risultato».Così è nata l'impresa che porta il suo nome. Dopo essere partita con i risparmi del lavoro in India, Benedetta ha chiesto un fido ad una banca, sostenuta in questo dalla madre che ha un'azienda di produzione di olio e nocciole. Al momento la start-up, che ha sede a Viterbo, è una ditta individuale: «Dovrò darmi una struttura più articolata. Stavo pensando alla ssrl, vogliamo abbattere i costi». Ci sarà da aspettare però, visto che la società semplificata a responsabilità limitata sembra essersi incagliata nelle secche della burocrazia. Intanto la «Benedetta Bruzziches» continua ad occuparsi dell'ideazione della collezione di borse, che poi fa realizzare ad aziende esterne, generando un fatturato che ha raggiunto i 400mila euro l'anno. «Questo risultato nasce dalla mia filosofia di voler realizzare i prodotti in Italia, coinvolgendo il paese nelle nostre lavorazioni. La mia zona era un punto di riferimento per la maglieria fatta a mano ma ora queste abilità, come tante altre, si stanno perdendo. Per questo ho deciso di introdurre una linea di pelle intrecciata [nella foto, un esemplare della collezione], così da conservare questa forma di artigianato».E magari creare qualche posto di lavoro nell'indotto, offrendo delle possibilità di occupazione ai suoi coetanei. «Le cose da fare ci sono, l'importante è aprire gli occhi: invece di lamentarsi della disoccupazione, chi vieta di inventare qualcosa di nuovo?». E mentre mentre disegna borse Benedetta pensa già a nuove attività: «Magari un'azienda di trasformazione dei prodotti del territorio». Un cambio radicale rispetto all'alta moda: «Quel che mi interessa è riuscire a raccontare storie, non essere definita un'imprenditrice. Anzi questo è l'aspetto che mi annoia di più: sono la disperazione del mio commercialista». Ci pensa il fratello Agostino, studente universitario 25enne, a ricordarle le scadenze fiscali. «L'idea di un contratto a tempo indeterminato mi mette ansia. Trovo il posto fisso monotono: non mi sono scandalizzata quando il premier Mario Monti l'ha definito noioso, io ne morirei» aggiunge Benedetta: «Mi rendo conto che per tante persone rappresenta un'entrata sicura ogni mese, ma non è quello che voglio, le mie priorità sono altre».Ad esempio «avere un lavoro che mi piace», come appunto quello che svolge oggi: «Le mie borse vengono disegnate per delle donne che pensano, che vogliono leggerci una storia. Oggi le donne non si vestono più per essere belle, mentre le nostre nonne erano bellissime: la bellezza è una decisione». Come quella di partire, di punto in bianco, per l'India. O di tornare, altrettanto all'improvviso, in Italia per fondare una casa di moda.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere altre storie di start-up? Leggi anche:- I video virali partono da Palermo: la storia di Mosaicoon, start-up dell'anno 2012- Quando «l'arte del bere» si fa start-up per tradizione di famiglia- Yalla Yalla, la start-up che fa viaggiare tutta la Rete- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa

Troppi voti alti a scuola e all'università, a rimetterci è il merito

È davvero così importante nella vita avere dei buoni voti a scuola o all'università? Non tutti sono d'accordo. Una cosa però è certa: se i voti alti sono elargiti con facilità, e invece di premiare chi ottiene i risultati migliori diventano una meta alla portata un po' di tutti, perdono completamente significato. Non è la prima volta che la Repubblica degli Stagisti si occupa della questione della media crescente di punteggi di laurea (e il discorso si estende anche alla scuola superiore), per denunciare come il rischio sia quello di far scadere il valore reale delle votazioni più alte. Il fenomeno in effetti sembra in continua crescita. Per farsi un'idea della situazione basta prendere i dati di Almalaurea degli ultimi anni e analizzare i voti medi di laurea negli atenei soggetti a rilevazione. Senza soffermarsi sulle differenti facoltà, perché è noto che ad alcuni rami di studio  –  come quelli legati alle lettere – sono associate medie più alte rispetto a facoltà scientifiche, come ingegneria, o più tecniche (benchè formalmente «umanistiche») come giurisprudenza o economia. Anno 2006, il record: dal database di Almalaurea emerge che su 61 atenei presi in considerazione il voto medio di laurea magistrale arriva a 109,3, a un soffio dal punteggio massimo. Il 2007 e il 2008 si equivalgono più o meno con rispettivamente 108,8 e 108,7 di media. Fino a poi scemare via via fino allo 'scarsissimo' 107,8 del 2011 – che fa quasi pensare a un ravvedimento dei professori, forse improvvisamente consci che dei 110 assegnati con troppa leggerezza non portano molto lontano. La media dei voti degli esami poi non si sposta mai dal 27, quello che un tempo era considerato un voto da festeggiare. Stesso discorso per le lauree magistrali a ciclo unico, analizzate dal 2006 al 2011: qui si parte da un voto medio di 106 di sei anni fa per arrivare al 104,4 dell'anno scorso. A onor del vero fanno eccezione gli studenti del «vecchio ordinamento». A loro voti ben più miseri: per i veterani si oscilla infatti dal 99 al 102 negli ultimi sei anni. Certo, non si può tralasciare una considerazione: quelli che si laureano oggi con il vecchio ordinamento sono probabilmente studenti-lavoratori, persone magari non più giovanissime iscritte all'università da prima del 2001 (quando entrò in vigore la riforma del sistema universitario), e che presumibilmente non hanno dedicato tutto il proprio tempo agli studi. A differenza delle nuove leve uscite dalla riforma post 2001, sicuramente più giovani e impegnati nella carriera accademica: ma ciò non può giustificare un'impennata di questa portata nei punteggi finali, a meno che si voglia ipotizzare una generazione di superdotati. La politica della 'manica larga' colpisce trasversalmente le università italiane da nord a sud e sta creando un paradosso: invece di allineare gli studenti italiani agli standard europei e rendere i loro titoli di studio più competitivi, finisce col penalizzarli appiattendoli tutti su un 110 che poco dice sugli effettivi meriti e capacità. Va comunque sottolineato che le differenze tra atenei ci sono, a volte anche in una sola città: è il caso di Milano, dove allo Iulm nel 2011 la media di voto è di 97, mentre schizza di dieci punti, fino a 107, per il San Raffaele. Così come Foggia e Bari distanziano il Politecnico di Torino di ben 5 punti: la media è 100 al nord, 105 nei primi due atenei. Ma è il trend generale, dato dalla somma di tutte le università italiane, quello che va considerato e che suscita preoccupazione. Per il voto di diploma la situazione non si discosta di molto: i dati del Miur, affiancati a quelli di Almadiploma, dimostrano però che i 100 sono infatti variati in negativo tra il 2004 e il 2008 (l'arco temporale analizzato dal Miur), passando dai 43mila di otto anni fa e ai 28mila del 2008. Qui fa scalpore la concentrazione del punteggio massimo al Sud: se per esempio nel 2005 in Lombardia è stato il 7% dei maturandi a diplomarsi con 100, in Campania la percentuale già saliva a 9%, e in Calabria arrivava all'11%. Il che significa oltre uno studente su dieci diplomato col punteggio massimo: e i maligni pensano che spesso i prof siano di manica larga per garantire ai loro allievi quella riduzione delle tasse universitarie di cui possono usufruire le «matricole» uscite dalla scuola superiore con il massimo dei voti. Di recente il governo Monti ha aperto la strada a una discussione in merito allo spinoso tema dell'abolizione del valore legale del titolo di studio, ipotesi che spacca a metà detrattori (che vedono in ciò un colpo inferto al diritto allo studio) e sostenitori a cui sembra buona l'idea di non far equivalere gli istituti universitari tra loro ma farli competere per migliorarli. Anche perché le ricadute sul mondo del lavoro non sarebbero da poco. Il 110 di un 'diplomificio' non spianerebbe la strada allo stesso modo che a un candidato laureato con il massimo in un'università prestigiosa e difficile. Così come un capo delle risorse umane saprebbe davvero chi ha davanti se gli si presentasse un soggetto  che ha ottenuto un sudatissimo 110 in una facoltà dove il punteggio massimo è dato solo a chi davvero si distingue dagli altri, e non «a pioggia». Ma la questione del merito è complessa, e chissà perché continua a far storcere il naso a molti.Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Tutti geni i neolaureati italiani? Nuovi dati Almalaurea: alla specialistica il voto medio è 108, con punte di 111 per le facoltà letterarie - Quanto vale la laurea nei concorsi? Bandi poco chiari sulle equipollenze tra i titoli, arriva una guida dal ministero E anche:- Abolizione del valore legale dei titoli di studio, i pro e i contro- Abolire il valore legale del titolo di studio? Il ministero lancia un sondaggio

Come cambia lo stage in Europa: viaggio in Francia e Belgio

Prosegue il viaggio virtuale in giro per l'Europa allo scoperta della tante facce dello stage. Guidata dal report pubblicato il mese scorso dalla Commissione Ue, questa volta la Repubblica degli Stagisti va in Francia e Belgio. La Francia, è stato detto più volte su questo sito, ha ispirato molte leggi e disegni di legge - in Italia, il ddl Damiano e la normativa regionale da poco adottata dalla Toscana. Merito soprattutto di una base normativa solida e chiara, uniformata nel testo unico Code de l'éducation, di controlli e del riconoscimento di sempre maggiori diritti. Soprattutto a partire dal 2006, anno di approvazione della Carta degli stage di formazione nelle imprese, che tra le altre cose ha sancito la netta distinzione tra stagista e lavoratore e istituito l'obbligo di convenzione (anche se il tirocinio è all'estero). L'ultimo traguardo in ordine di tempo è rappresentato dalla legge Cherpion, dell'estate 2011, che ha fissato un altro paletto importante: l'obbligo di versare almeno 430 euro di rimborso - un terzo dello Smic, il salario minimo garantito - per tutti i tirocini superiori a due mesi. Oltralpe i tirocini possono essere divisi in due macroaree: i percorsi di orientamento e inserimento lavorativo e quelli che si potrebbe definire di inclusione o reinserimento, legati alle Politiche attive per il lavoro, ma sempre riservati ai giovani. Nel primo gruppo rientrano gli stage svolti durante la formazione secondaria e terziaria, obbligatori e non, e le misure di formation en alternance, come il praticantato. Qui insieme alle tutele, cresce anche la retribuzione, che nel caso del Contract de professionnalisation oscilla tra l'85 e il 100% del salario minimo garantito. Anche l'apprendistato, che in Francia come in Italia costituisce un vero e proprio contratto di lavoro (il Piano d'urgenza per l'impiego giovanile del 2009 ha puntato ad aumentare di 500mila unità in un anno), nel report viene inserito in questa prima categoria. Nel secondo gruppo di stage invece rientrano i tanti programmi per le categorie svantaggiate. Ad esempio il Deuxième Chance, per i giovani tra i 16 e 25 anni che non hanno un diploma (circa 10mila nel 2010); o il Contract d'Autonomie, che garantisce 300 euro mensili, e «supporto personale», ai giovani svantaggiati che mirano ad una qualifica o addirittura ad avviare un'impresa (circa 36mila gli inquadramenti di questo tipo, con un tasso di assunzione del 65%). A garantire il buon funzionamento dello stage in Francia c'è però anche un sistema di controllo articolato. Oltre alle istituzioni formative e agli Ispettorati, nazionali e regionali, ci sono almeno altre due importanti organismi che si incaricano di valutare la qualità degli stage: l'Haut conseil de l'education, che pubblica annualmente i risultati del monitoraggio, e l'agenzia indipendente Aeres, che però segue solo gli stagisti con una formazione superiore - un po' come la nostra Almalaurea. Alcuni percorsi hanno acquisito anche la certificazione ISO. Ad uno sguardo più ampio comunque, a fronte di un approccio allo stage mediamente più virtuoso del resto d'Europa, oltralpe la condizione giovanile rimane comunque problematica, con un tasso di disoccupazione al 23% e il dilagare di contratti precari una volta finito il seppur virtuoso stage.  Francia e Belgio sono Paesi di cultura affina ma, strano a dirsi, in fatto di stage e lavoro la patria dell'Unione europea sembra essere molto più simile all'Italia. Intanto la disoccupazione giovanile, seppure con forti disomogeneità territoriali, raggiunge il 22%, tre volte quella del resto della popolazione e molto al di sopra della media europea. Già prima della crisi l'Ocse aveva evidenziato la necessità di azioni rapide, ma ancora nel 2010 l'Eurostat calcolava che un terzo dei giovani disoccupati erano di lungo termine - e che gli under 30 rappresentavano il 65% di tutti i lavoratori precari. Dati che secondo l'autrice si spiegano in gran parte con l'alto costo del lavoro e la mancanza di flessibilità. Le transizioni scuola-lavoro poi sono tutt'altro che agevoli e i datori di lavoro lamentano fortemente la mancanza di orientamento al lavoro durante gli anni di formazione. Uno schiacciante 80% di loro pensa che i giovani in uscita dalle scuole - a prescindere dal livello - sia impreparato al mondo del lavoro, ma anche che lo stage rappresenti uno strumento prezioso per assumere. In pochi però lo usano, stando all'indagine Youth on the Move della Commissione europea citata dall'autrice (nessuna menzione invece per lo Youth Forum, che proprio da Bruxelles coordina varie organizzazioni internazionali per la lotta dei diritti giovanili e promuove la Carta europea dei diritti di stagisti e praticanti). Solo il 14% dei giovani in stage viene poi assunto, in linea con la media italiana nelle grandi aziende.La stessa indagine però evidenzia che «il Belgio ha il tasso più basso di tirocini non pagati»: il 59% - che pure non è poco. Come un po' ovunque, infatti, anche qui gli stagisti non sono considerati lavoratori, e pertanto non hanno diritto ad uno stipendio ma solo, e non sempre, ad un rimborso spese. Ferie e malattie però ci sono, ed esiste anche l'obbligo di superare una visita medica preliminare. Ma sulla convenzione scritta si può soprassedere.A complicare il panorama stage in Belgio è l'organizzazione federale del Paese, che divide le varie competenze tra governo centrale, regioni e comunità. Il primo decide in materia di lavoro e politiche sociali; le seconde in materia di formazione e politiche di impiego, originando a volte conflitti di competenze e normative "multistrato". E molte tipologie di tirocinio. Quelli per studenti minorenni, che dal 2008 ricevono un rimborso tra i 500 e i 700 euro una tantum (a seconda dell'anno scolastico di attivazione) se fanno uno stage di almeno quattro mesi, e che sono comunque incoraggiati a fare esperienze dalle due alle otto settimane - cosa che nel 2008 hanno fatto in 50mila under 18. Ci sono poi le Conventiones d'immersion professionnelle, destinate a studenti (anche universitari) di corsi con momenti di alternanza studio lavoro, che godono dei finanziamenti del Fse; motivo per cui i ragazzi percepiscono una cifra dai 470 ai 720 euro mensili e le aziende che assumono un bonus monetario, secondo il modello della Convention premier emploi. Il programma Activa invece è una novità recente pensata per gli under 26, che rende applicabili i benefits anti disoccupazione anche agli stagisti. Ed esistono naturalmente anche i tirocini non pagati, quasi solo in ambito scolastico ed universitario. Sui numeri per ciascuna categoria, l'autrice riprende un leitmotiv ricorrente in tutto il report della Commissione: mancano i dati, per cui evidentemente lo studio non è riuscito a scovarli. Quelli già presenti sono comunque sufficienti per far concludere che «date le circostanze, c'è il rischio che l'indiscriminato uso di tirocini alimento la già alta stabilità che si registra in Belgio. Sarebbero auspicabili delle misure; ad esempio l'obbligo di garantire un certo tasso di assunzione». Annalisa Di PaloPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - In Francia molte tutele per gli stagisti, a cominciare dai soldi: come funziona lo stage oltralpe- Francia, stagisti retribuiti almeno 400 euro al mese: da oggi anche negli enti pubblici- Nuova risoluzione Ue, regolamento sugli stage più vicino- Diritti degli stagisti: le lezioni dell'Europa