«L'Italia riparta dalle start-up»: ecco il piano del ministro Passera
Opera da meno di 48 mesi e, anche avendo un fatturato che non supera i 5 milioni di euro, non distribuisce utili ai soci. I quali, almeno per il 51%, sono persone fisiche. Il suo campo d'azione? L'innovazione tecnologica, eventualmente con vocazione sociale. È questa la definizione di start-up contenuta nel rapporto Restart-Italia, elaborato da una task force voluta dal ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera e presentato giovedì scorso a Roncade, nella sede dell'incubatore d'impresa H-Farm.Un pacchetto di misure che, questo l'impegno del governo, saranno tradotte in legge entro la fine del mese di settembre. E che vogliono sostenere la nascita di giovani imprese, più che di imprese guidate da giovani. Non è infatti previsto alcun limite di età per gli startuppers, che possono quindi avere vent'anni ma anche settanta. Pur nella convinzione che a beneficiare di questi incentivi «nella maggior parte dei casi saranno giovani», la task force non ha voluto limitare l'applicazione delle proprie proposte agli under 35 perché, si legge nel rapporto, «il Paese ha un bisogno impellente di liberare le energie di tutti coloro che sul nostro territorio vogliano contribuire a generare ricchezza e lavoro».Non si guarda alla carta d'identità, dunque, ma al campo di attività. Sì, perché per poter considerare la propria azienda una start-up è necessario che abbia come «oggetto sociale lo sviluppo di prodotti o servizi innovativi, ad alto valore tecnologico». Un criterio, quest'ultimo, che la stessa relazione riconosce come difficile da determinare. La proposta è che un'impresa per essere tecnologicamente innovativa debba presentare una di queste caratteristiche: investire una certa percentuale degli utili in ricerca e sviluppo, avere una determinata percentuale di dipendenti che siano altamente qualificati (in possesso di dottorato, ricercatori, titolari di un brevetto), oppure essere uno spin-off universitario - ovvero essere nata in ambito accademico per poi passare sul mercato.Viene poi riconosciuta una seconda tipologia di start-up, definita «a vocazione sociale». Realtà attive nell'assistenza socio-sanitaria, nell'educazione, nella tutela ambientale e nella cultura, per le quali valgono comunque i criteri di 'anzianità' e fatturato previsti per quelle tecnologicamente innovative. Vengono inoltre inserite nel novero le imprese che svolgono una ricerca scientifica «di particolare interesse sociale». Così come le cosiddette rescue company, ovvero società finalizzate «a salvaguardare una parte dei posti di lavoro e creare continuità di business con aziende in crisi e a rischio di parziale o completo fallimento». L'impatto sociale sarebbe quindi legato alla tutela dell'occupazione che queste realtà dovrebbero garantire.A tutte queste imprese sono richieste una contabilità trasparente, - che non richieda l'uso di cassa contanti - e l'iscrizione a una directory delle start-up istituita dalle singole Camere di Commercio, una sorta di database pubblico che raccolga informazioni su queste aziende. Per i primi quattro anni di attività la formula societaria potrà essere quella della isrl, ovvero della cosiddetta società a statuto zero: costituibile online ad un costo simbolico (la proposta è 50 euro), esente dai diritti di bollo e segreteria così come dalle tasse annuali sui libri sociali, autorizzata a sostituire tutti gli adempimenti burocratici con delle semplici autocertificazioni. La isrl avrà inoltre la possibilità di pagare con stock options, in pratica delle azioni dell'azienda, una parte dei compensi dei dipendenti. Lo stesso discorso vale per i fornitori: la task force ha proposto di introdurre un meccanismo di work for equity. In pratica, per ridurre le esigenze di cassa, l'idea è che si possano saldare le fatture dei fornitori con una partecipazione al capitale sociale. In pratica, si chiede loro di assumersi parte del rischio d'impresa della start-up. In cambio, il fornitore non pagherebbe le tasse sul fatturato 'investito' in questa maniera. Trascorsi i 48 mesi, l'isrl si trasformerebbe in una semplice srl.Va detto che qualora questa proposta venisse approvata si tratterebbe del terzo intervento in tema di diritto societario del 2012, dopo quello che a gennaio ha introdotto la ssrl, ovvero la società semplificata a responsabilità limitata, per gli under 35 e quello che, a giugno, ha esteso questa formula anche agli over 35. C'è poi un elemento tanto importante per gli startupper, che nei primi anni di attività devono fare i conti con una scarsissima liquidità, ma che potrebbe suscitare reazioni critiche da parte degli imprenditori che lo chiedono da tempo e per tutte le aziende. Si tratta del passaggio da competenza a cassa per quanto riguarda Iva e Ires. In pratica oggi, per le aziende con un giro d'affari inferiore ai 2 milioni l'anno, queste imposte si pagano nel momento in cui viene emessa una fattura, indipendentemente dal fatto che sia stata o meno saldata. Col rischio che, in caso di mancato pagamento, si sia versata un'imposta su un introito che non si è concretizzato. Il passaggio alla cassa proposto per le start-up prevede invece che Iva e Ires siano versate allo Stato solo dopo il saldo delle fatture.Il rapporto contiene infine una serie di proposte che favoriscano l'investimento nelle nuove aziende. Innanzitutto con la creazione del cosiddetto Fondo dei fondi, che finanzi le attività dei venture capital, ovvero di quelle realtà che immettono risorse nelle start-up entrando nel capitale sociale, e riservi il 20% delle proprie attività per le imprese a vocazione sociale. Si propone quindi un fondo seed, che cioè offra dei prestiti a scadenza quinquennale, con una costituzione mista pubblico-privata. Tra i suggerimenti, la deducibilità del 35% degli investimenti di un'azienda in una start-up e la detassazione fino al 30% di quelli di un privato. A questo proposito, Restart-Italia pone l'attenzione anche sul crowdfunding, ovvero la raccolta di fondi attraverso piccoli contributi di singoli cittadini.Quste le proposte della task force. Il ministro Passera si è impegnato ad approvare le prime norme entro la fine del mese: tutto sta a capire cosa esattamente diventerà legge. Anche perché, per quanto le singole idee possano essere apprezzate o meno, l'idea che ha animato il gruppo di lavoro è che le iniziative contenute in Restart-Italia «produrranno una scossa solo se saranno considerate come un “pacchetto unico”, solo se portate avanti tutte insieme».Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itSe hai trovato interessante questo articolo, leggi anche:- Impresa a 1 euro, dopo otto mesi la promessa del governo è finalmente realtà- Tra burocrazia e ritardi, l'impresa a 1 euro resta ferma al palo- Che fine ha fatto l'impresa a 1 euro per i giovani? Incagliata nella burocrazia- Imprenditoria giovanile, ecco chi la sostiene- Aspiranti imprenditori, una pizza è l'occasione per partireE anche:- Il mouse diventa smart grazie a cinque giovani startupper mantovani- Da Viterbo a Parigi passando per l'India, anche la moda fa start-up- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impres