Categoria: Approfondimenti

Cresce la disoccupazione giovanile europea. Scarpetta, dirigente Ocse: «necessari più sussidi per i precari»

Investire nella formazione, ridurre le differenze legislative tra le varie tipologie di contratto, potenziare i servizi pubblici per l’impiego. È questa la ricetta anti-disoccupazione dei giovani italiani presentata la settimana scorsa da Stefano Scarpetta, vicedirettore alla direzione Lavoro dell’Ocse, al seminario 'Giovani e mercato del lavoro: policies europee ed internazionali a confronto', al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro. Dalla sua analisi sull'anno appena concluso – ma anche dai dati che continuamente fornisce la cronaca – arrivano notizie che non fanno che confermare la ormai arcinota situazione dei giovani italiani (ed europei), sempre più in difficoltà a entrare e integrarsi nel mercato del lavoro. Secondo Scarpetta in Italia esistono «problemi strutturali» come il «basso tasso di occupazione, l’alta incidenza e persistenza dei Neet, una transizione scuola-lavoro spesso ‘accidentata’, primi impieghi a tempo determinato e mal pagati». È il risultato dell’impatto della crisi globale sui giovani: la disoccupazione è cresciuta di cinque punti rispetto al periodo pre-crisi arrivando a sfondare la soglia del 17%, e per Scarpetta non solo non è detto che la ripresa si verifichi a breve, ma è perfino possibile che una moderata nuova recessione impedisca all’occupazione di crescere ancora per qualche tempo. Per l'esperto, è infine ipotizzabile «un rischio cicatrice» come effetto di questa crisi, che potrebbe colpire le categorie di giovani più svantaggiate. Dai grafici illustrati sono queste le emergenze più gravi da affrontare subito: la maggiore esposizione dei giovani al rischio disoccupazione (nel primo trimestre 2011 il rapporto tra tasso di disoccupazione giovani/adulti è di 3,9 per i primi contro il 2,3 dei secondi), l’aumento della disoccupazione di lungo periodo (in cui per la verità l’Italia si attesta in buona posizione rispetto ad altri paesi come per esempio gli Stati Uniti), la quota dei Neet, ampliata per colpa della crisi e tale da far detenere all’Italia il triste primato con un tasso maggiore al 20% (tra i 15-29enni). C’è poi la questione della transizione scuola lavoro, in Italia troppo lunga: ci vogliono in media più di due anni per trovare un primo impiego a tempo determinato, e più di quattro per trovarne uno a tempo indeterminato. Ci supera solo la Spagna, mentre ad esempio nel Regno Unito serve in media un anno e mezzo per il primo lavoro e tre anni per stabilizzarsi con un tempo indeterminato. L’Italia si contraddistingue anche per l'alto numero di persone che abbandonano il sistema formativo senza una qualifica di scuola secondaria superiore (un 16% nel 2008, mentre in Francia ad esempio sono meno del 10), e per lo scarso numero di studenti-lavoratori: i tedeschi e gli inglesi tra i 20 e i 24 anni impegnati nello studio lavorano nel 50% dei casi, in Italia lo fa solo il 10%. Che fare allora? Secondo Scarpetta bisogna agire nel breve periodo con interventi mirati come l'assistenza nella ricerca di un lavoro, e poi sussidi di disoccupazione e aiuti per apprendisti licenziati per il completamento della formazione che però siano connessi a una clausula di «reciproca obbligatorietà», vale a dire che chi riceve questi servizi si obbliga a sua volta a cercare un lavoro. Ma non basta: bisogna agire anche nel lungo periodo, assicurandosi che chi esce dal mercato formativo abbia le competenze necessarie per il mercato dell'occupazione e rendendo meno brusco il passaggio formazione-impiego. Dare quindi opportunità di lavoro mentre si studia e rendere lo stage un passaggio obbligatorio durante l’università. E infine intervenire «sulle barriere per i giovani sul lato della domanda», abbassando il cuneo fiscale per le basse qualifiche e riducendo «la dualità del mercato del lavoro»: meno precarietà e meno differenze tra contratti atipici e a tempo indeterminato, con parallela riduzione delle tipologie contrattuali e aumento degli ammortizzatori sociali. Insomma, un po’ gli stessi obiettivi annunciati dal governo Monti sulla riforma del lavoro. Adesso alla prova dei fatti. Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Emergenza Neet, all’Europa i giovani che non studiano e non lavorano costano 2 miliardi di euro a settimana- Tre milioni di giovani esclusi o sottoinquadrati: Monti, questa è la vera sfida da vincere- I giovani italiani lavorano troppo poco e sono i più colpiti dalla crisi: lo conferma il Rapporto Censis 2011 E anche:- Prospettive per i giovani, in Italia si gioca solo in B e C. Per la serie A bisogna andare all'estero

Giungla dei tirocini, non tutte le università si attengono alle indicazioni del ministero: «Le Faq non hanno nessuna validità giuridica»

C'è chi ha deciso di adeguarsi, chi cerca 'scappatoie' legali, chi invece ha deciso di ignorarle. Oggetto del contendere: una serie di Faq che il ministero del Lavoro ha pubblicato su un suo sito Internet, Clicklavoro, per dare indicazioni rispetto all'interpretazione della nuova norma sugli stage. Il problema quindi è che non tutte le università - principali destinatarie della norma in quanto soggetti promotori di un numero elevatissimo di stage - ci stanno: e infatti alcune non riconoscono la validità delle indicazioni ministeriali, e fanno ciascuna a modo suo.Tutto nasce con la manovra anticrisi dello scorso Ferragosto che all'articolo 11 ha introdotto, a sorpresa, alcune modifiche alla normativa sui tirocini formativi e di orientamento, limitandone la durata a sei mesi e stabilendo che debbano essere attivati entro 12 mesi dalla laurea. Con una circolare pubblicata a settembre, il ministero è poi parzialmente tornato sui suoi passi cercando di rendere meno stringenti i vincoli e prevedendo una serie di eccezioni. La circolare ha contribuito a chiarire alcuni elementi - come ad esempio il fatto che la norma non fosse retroattiva, o la definizione di tirocini curriculari. Ma non è riuscita a chiarire proprio tutti i punti oscuri. Uno su tutti: il limite di sei mesi si riferisce al singolo tirocinio o al periodo massimo per cui un neolaureato può essere impiegato come stagista?Un dubbio condiviso da molti uffici stage di ateneo, col risultato che ognuno ha elaborato una propria interpretazione. A novembre è finalmente arrivato un chiarimento, ma con una modalità quantomeno 'curiosa': il governo ha deciso di pubblicare sul sito cliclavoro.gov.it, portale governativo come si evince dall'indirizzo, 27 Faq, ovvero le risposte alle domande più comuni poste dai vari atenei italiani. Sancendo tra le altre cose che «la durata massima di sei mesi deve essere riferita al singolo tirocinio». Il ministero, seppur in forma anomala, si è espresso. E le università?La situazione degli stage negli atenei è ancora molto eterogenea. Ad esempio, il Soul (Sistema orientamento università lavoro) delle università del Lazio spiega tramite l'ufficio stampa di non poter «considerare le Faq come una normativa». Lo stesso avviene alla facoltà di Ingegneria dell'università di Bologna. «Il sito Cliclavoro non ha alcuna validità giuridica, ma solo un valore orientativo» dice alla Repubblica degli Stagisti Giuseppe Nottola, referente per i tirocini legati a questo corso di studi: «Per chiarire servirebbe una nuova circolare ministeriale, oppure che un ateneo sottoponesse un interpello al ministero». Ovvero chiedesse in maniera ufficiale di chiarire la questione. In questo caso la risposta sarebbe vincolante per l'interpellante, e poi  per prassi anche le altre università si adeguerebbero. Ma qual è la posizione ufficiale dell'ateneo? «Allerteremo il senato accademico perché valuti l'opportunità di attivare stage secondo le indicazioni delle Faq, che però vanno in contraddizione ad una legge che voleva impedire uno sfruttamento del tirocinante», afferma Lucia Gunella, responsabile dell'orientamento e del placement per l'università bolognese. «Sarà il senato a pronunciarsi su come far propria questa norma». Tra le decisioni possibili, anche la referente per i tirocini dell'intera università bolognese cita quella dell'interpello. Il tutto in attesa che l'Emilia-Romagna legiferi in materia. Sì, perché ad infittire la giungla ci si mette anche il fatto che la competenza legislativa sulla formazione è anche delle regioni: e pare proprio che la giunta del governatore Errani sia intenzionata a licenziare entro l'inverno una legge regionale in materia.Qualche chilometro più ad est, a Pavia, si applica «ancora la vecchia normativa per i tirocini curriculari, in base alle eccezioni previste dalla circolare», come racconta alla Repubblica degli Stagisti Patrizia Strozzi, responsabile di ateneo per i tirocini. Il testo del settembre scorso esclude infatti dalle limitazioni imposte dalla manovra correttiva quei percorsi di formazione che siano promossi dalle università, siano rivolti solo agli studenti e si svolgano durante il periodo di studio. E i tirocini extracurriculari? «Per questioni di budget attualmente non ne stiamo facendo».Ci sono poi realtà, come Torino, in cui si è deciso di rispettare alla lettera le Faq. Un deciso cambio di rotta, visto che nei mesi scorsi l'ateneo piemontese aveva scelto di ignorare la circolare, facendo riferimento solo alla manovra. «Abbiamo scelto di attenerci alle risposte ministeriali», spiega la professoressa Adriana Luciano [nella foto a destra], rappresentante del Rettore per i rapporti con il mondo del lavoro, «anche se le Faq forniscono un'interpretazione meno restrittiva alla regola dei sei mesi, che noi avevamo inteso diversamente». Resta naturalmente intenso il controllo su eventuali abusi: potenziato anche da una novità: «Abbiamo deciso di aprire i database dei job placement di tutte le facoltà. In questo modo è possibile ricostruire la storia delle singole aziende, verificare che non abbiano contemporaneamente più di uno stagista e che non facciano un uso dissennato dei tirocini». C'è poi «la richiesta di un rimborso spese minimo, anche se non sempre è possibile ottenerlo».Questa, dunque, la situazione ad oggi. Una giungla che, però, rischia addirittura di infittirsi: nelle prime bozze del decreto «Cresci Italia» si parla infatti della possibilità, per gli atenei, di attivare tirocini equiparati a quelli previsti per l'iscrizione agli albi professionali, con l'eccezione delle professioni mediche e sanitarie. Norma che, se confermata, porterà l'ennesima modifica, nell'arco di sei mesi, a questo settore. Con buona pace della chiarezza.Riccardo SaporitiPer saperne di più, leggi anche:- Università di Torino, la «telenovela» sulle nuove linee guida super restrittive per la gestione dei tirocini- Stage all'università di Torino, la rappresentante del Rettore: «Vogliamo solo proteggere i giovani. Se la nostra interpretazione è sbagliata, il ministero lo dica»E anche:- Nuova normativa sui tirocini nella manovra di Ferragosto, il diario di bordo: tutti gli articoli, gli approfondimenti e le interviste della Repubblica degli Stagisti- Anche gli stage finiscono nella manovra del governo: da oggi solo per neodiplomati e neolaureati, e per un massimo di sei mesi- Normativa sui tirocini, clamoroso retrofront del ministero del Lavoro: in una circolare tutti i dettagli che riducono il raggio d'azione dei nuovi paletti- «I tirocini di inserimento non esistono, una circolare non è fonte di diritto»: così la Regione Emilia-Romagna blocca gli stage per laureati e diplomati da più di 12 mesi  

Laureati in fuga: i giovani italiani vogliono partire. Però sognando di riuscire a tornare

Sempre più frequenti nelle università italiane gli eventi di orientamento dedicati alle opportunità all'estero. Uno dei più recenti è stato “Europlacement: il mondo del lavoro in Europa”, giovedì scorso alla facoltà di Economia della Sapienza nella piccola aula dell’Eurodesk: un seminario incentrato, oltre che sui vari programmi della Commissione europea (i soliti noti Erasmus e Leonardo), sul sistema di certificazioni delle competenze applicabili nella Ue. La Repubblica degli Stagisti è andata a sentire la conferenza,  - non proprio affollata: una ventina di persone in tutto, compresi gli addetti ai lavori - mescolandosi al pubblico e provando sopratutto a sondarne gli umori: per capire cosa spinge davvero gli studenti a prendere la decisione di partire per l’estero. Cosa ci sia insomma alla base della decisione di abbandonare la patria e perché l’Europa ‘tiri’ ancora così tanto. Ne è emerso che non sempre la fuga dei cervelli è dovuta semplicemente alle scarse prospettive di lavoro del Belpaese. A volte la voglia di partire scatta per ragioni diverse, magari legate al desiderio di conoscere nuove realtà. È il caso di Domenico, 26enne neolaureato in Ingegneria: come una buona fetta dei partecipanti interpellati sul gradimento del meeting tramite questionario si dice soddisfatto dell’evento «perché ha dato informazioni utili». E per la partenza? «Io ci spero, ho fatto l’Erasmus e condivido il discorso sull'apertura di mente che danno queste opportunità». Aprire i propri orizzonti dunque, perché l’Italia in qualche modo sta stretta. Anche se il desiderio di tornare resta: «So che un’esperienza all’estero fa curriculum, e poi potrei tornare in Italia e rivendermela… Certo se cambiassero le cose sarebbe più invitante il ritorno». E il paese di destinazione? «Il mondo», esclama Domenico entusiasta.Anche Anna, 28 anni, laureata da tre anni in Giurisprudenza alla Sapienza, è molto soddisfatta dell’evento. «Io vorrei partire perché sono già stata negli Stati Uniti e sono tornata entusiasta. Quello che volevo era conoscere opportunità di dottorato dall’Italia in America o Inghilterra, comunque paesi anglofoni». E torneresti? «Sì, l’ideale sarebbe avere una buona formazione all’estero per poi tornare in Italia più competitivi». Non è l’unica ad avere alle spalle esperienze di studio o lavoro all’estero, e come altri in questo caso tende a ripartire.C’è poi Sara, anche lei 28enne, laureata in Economia: «Io ho già lavorato all’estero. Partire è un ulteriore passo che vorrei fare ma non perché penso che in Italia non ci sia lavoro. Non sono un cervello in fuga, ritengo solo che potrebbe essere una cosa in più».La sensazione è che si tratti di persone che, una volta sperimentate le possibilità che offrono altri paesi, fanno fatica a re-integrarsi nel nostro. L’Italia, forse percepita come un paese ormai senza sbocchi, non basta più. Per questo i ragazzi vogliono allontanarsene, anche se solo per un periodo.Oppure per la questione delle lingue straniere. Valentina, 24 anni, studentessa di Ingegneria è ancora indecisa. «Non so ancora se partire, sto valutando le varie opportunità e tra queste c’è quella di andare all’estero e imparare una ingua». Sulla stessa linea si trova Masina, 26enne, laureata in Economia aziendale e decisa a migliorare l’inglese. «Vorrei partire in primis perché mi rendo conto di non saperlo. E poi anche per fare un’esperienza e vedere cose diverse dall’Italia».Poi c’è chi non si accontenta e vuole scovare l’opportunità migliore. Emanuele, 24 anni, fresco di laurea in Ingegneria: «L’esperienza di oggi è stata sicuramente interessante. Ha descritto bene le opportunità per andare all’estero. Ma ci devo pensare prima, vedere se si può avere un discreto posto da subito, possibilmente vicino a quello che voglio io». In Italia le possibilità scarseggiano? «Sto valutando, voglio prima accertare questa cosa, anche se penso sia molto probabile». Insomma il disincanto in questi ragazzi c’è, anche se unito a una buona dose di determinazione. Sanno che un lavoro qualsiasi lo troverebbero anche restando a casa, ma perché accontentarsi? Molto eloquente del resto l’intervento di Carlo Magni, coordinatore progetto Soul, che, nel mezzo di un discorso sull’inglese come conditio sine qua non per il mondo del lavoro in Europa come in Italia, dichiara tutto il suo scetticismo: «Stiamo dando un’immagine falsata. È tutto più complicato, non c'è solo l'inglese e la situazione generale è molto più complessa di come la state dipingendo… Ricordiamoci che per quanto riguarda l'Italia, l’Istat ci parla di più di un 40% di giovani che cercano lavoro appellandosi a conoscenze». L’applauso unanime lo interrompe: i ragazzi ne sanno qualcosa.Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Cervelli in fuga: un doppio questionario per capire chi sono, cosa gli manca, e perchè quasi tutti non tornano (e alcuni sì)- Fuga dei cervelli, il 73% dei ricercatori italiani all’estero è felice e non pensa a un rientro- Partire è un po' morire? Qualche volta, per i giovani italiani invece è l'unico modo per vivere  

Don Gallo contro tutti: «Corsi di formazione, un trucco per tagliare fuori i giovani. Che invece devono tornare protagonisti»

Si intitola Se non ora, adesso (Chiarelettere, 14 euro), in onore dell'omonimo e recentissimo movimento di protesta delle donne italiane, l’ultima fatica letteraria di Don Gallo, 83enne sacerdote genovese da più di trent’anni alla guida della Comunità di San Benedetto al Porto per il recupero degli emarginati. Una raccolta di riflessioni e testimonianze di un prete 'di strada' - come si autodefinisce - un 'indignato' sopra le righe e anticonformista, che non ha paura di contestare apertamente alcune delle posizioni più intransigenti della Chiesa cattolica. E inoltre da sempre in prima linea nelle battaglie per la difesa dei diritti dei più deboli. Innanzi tutto i giovani a cui si rivolge con uno stile coinvolgente, da predicatore laico. Nell’ultima parte del libro, dal titolo «Lettera ai giovani», auspica una rivoluzione della società affinché le nuove generazioni abbiano più esempi che maestri e fa continui riferimenti alla Costituzione, «fatta per i giovani», per tutti i «giovani che verranno». Lui, che con i ragazzi che vivono nel disagio lavora da sempre, chiede poi che rinasca il germe dell’accoglienza nei confronti degli immigrati; ricorda come gli italiani abbiano attraversato i confini del Paese milioni di volte in cerca di fortuna e che questo andrebbe tenuto a mente adesso che consideriamo i flussi immigratori un’invasione. Il suo è un inno all’accoglienza, uno dei valori del cristiano che è finito sepolto sotto l’individualismo e l’egoismo dei nostri tempi. Un’intera generazione, fatta di ognuno di noi con le proprie responsabilità – dice ancora Don Gallo – ha fatto sì che i giovani di oggi percepiscano all’orizzonte «l’assenza di futuro». «Che cosa siamo stati capaci di offrire? Il lavoro interinale, i contratti d’area, i contratti di inserimento al lavoro, il lavoro part time, i lavori atipici, disoccupazione, cassa integrazione, borsa lavoro». E si dispera guardando una generazione tagliata fuori dalla storia: «Abbiamo fatto di tutto per non farli diventare protagonisti. Ma ci sono i corsi di formazione, han capito il trucco!». «Cari amici, i giovani stanno chiedendo la giustificazione della propria esistenza! Siamo stati capaci di ascoltarli?». Don Gallo vede in loro una comunità di emarginati dal sistema, lo stesso contro cui si scaglia a partire dalle istituzioni ecclesiastiche, condannate perché «né povere né umili», cieche di fronte al problema del disagio giovanile.Il sacerdote si schiera poi a favore di una liberazione sessuale delle donne, vittime di soprusi maschilistici: il popolo femminile,  se continuerà a essere «in subordine a tutti i livelli», darà modo di usare la sessualità come «occasione di assoggettamento». Don Gallo non condivide neppure il comportamento conservatore di Wojtyla, amatissimo dai più: «sarà stato uno statista, ma non ha difeso le donne, e ha decapitato almeno 150 cattedre di teologia. Come faccio a prendere a esempio un papa così?».La soluzione a questi temi spetterebbe alla politica con la p maiuscola: si è piombati in una crisi profonda che non cambierà solo grazie all’avvicendamento dei governi. «Alla politica manca un progetto forte», preoccupata com’è di stabilire alleanze e creare consenso. L’unico appiglio, ne è convinto Don Gallo, resta la Costituzione, la nostra «bussola» anche e soprattutto per i temi del lavoro. Se non ora, adesso è un libro che lancia un messaggio di speranza, è un monito a riconquistare i valori di una società autentica e che si interroghi sulle questioni sociali come problemi di tutti. Un’iniezione di coraggio in questi tempi di cupa recessione.Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Mai più rassegnati e indifferenti, i giovani devono cambiare l'Italia: è l'appello di un 95enne nel libro «Ribellarsi è giusto»- Per rifare l'Italia bisogna partire dal lavoro e dalle retribuzioni dei giovani

«Possono chiedermi di ridare indietro il rimborso spese ricevuto?»: risponde l'avvocato degli stagisti

Torna «L'avvocato degli stagisti», la rubrica della Repubblica degli Stagisti curata da Evangelista Basile e Sergio Passerini, avvocati dello studio legale Ichino Brugnatelli. Basile e Passerini approfondiscono di volta in volta casi specifici sollevati dai lettori. La domanda anche stavolta arriva dal Forum. «Da marzo a fine agosto (quindi 6 mesi) ho effettuato uno stage retribuito. L'ente di supporto era il centro per l'impiego della mia provincia di residenza (in Piemonte); l'ente ospitante una ditta privata. Per questo stage percepivo un rimborso spese tutti i mesi. Durante lo stage ho concluso (a giugno) una vertenza sindacale iniziata a gennaio. Con tale vertenza ho superato la soglia di reddito oltre la quale un disoccupato perde l'iscrizione alla lista di disoccupazione. Io non sapevo ciò! A conclusione dello stage, riconsegnando al centro per l'impiego i moduli di fine stage, mi è stato chiesto da un impiegato se avevo percepito altri redditi. Io ho spiegato quanto sopra, e la risposta è stata che io ho sbagliato a non comunicare questo reddito prima, e che lo stage sarebbe dovuto essere interrotto. Ora ho paura delle conseguenze, visto che mi hanno convocato facendomi portare i redditi. Si è mai vista una situazione simile alla mia? E' mai capitato che lo stagista dovesse restituire i soldi in casi similari?».Qui vanno prima di tutto chiariti alcuni punti fondamentali. Lo stage o tirocinio non è innanzitutto un rapporto di lavoro (così espressamente prevedono l’art. 18 comma 1 della legge 196/1997, e l’art. 1 comma 2 del suo regolamento di attuazione, emanato con il dm 142/1998). Quindi, se genuino, lo stage è un percorso formativo - eventualmente finalizzato all’inserimento nel mondo del lavoro - e non ha la struttura e le caratteristiche di un rapporto di lavoro subordinato. In considerazione di ciò, un altro punto da sottolineare è che le somme che allo stagista vengono eventualmente corrisposte durante il tirocinio non sono considerate dalla legge come retribuzione o stipendio, ma sono solo un rimborso spese (a volte definito anche come sussidio, premio stage, borsa lavoro). Questo rimborso non ha dunque natura retributiva, anche se – ai soli fini fiscali – viene tassato come reddito assimilato a lavoro dipendente (ciò stabilisce l’art. 50 comma 1 del Testo Unico delle imposte sui redditi - il cosiddetto Tuir - D.P.R. 917/1986). Per tutte queste ragioni, quanto lo stagista riceve durante il percorso di stage non è per legge incompatibile con la percezione di altri redditi da lavoro, né con l’indennità di disoccupazione: lo stato di disoccupazione non viene meno per la partecipazione a uno stage, né tale partecipazione è una delle cause di decadenza dall’indennità di disoccupazione previste dalla legge. La corresponsione dell’indennità di disoccupazione si interrompe infatti solo quando il disoccupato abbia già percepito tutte le giornate di indennità, venga avviato a un nuovo lavoro o inizi un’attività in proprio, divenga titolare di un trattamento pensionistico diretto (pensione di vecchiaia, di anzianità, pensione anticipata; pensione di inabilità o assegno di invalidità) o quando comunque cessino le condizioni di cui alla dichiarazione di disponibilità resa ai centri per l’impiego ai fini della concessione della prestazione (informazioni complete in merito si possono trovare sul sito dell'Inps).Riteniamo dunque che le disposizioni di legge e regolamentari statali applicabili non contengano norme che possano determinare un obbligo a restituire i rimborsi spese percepiti per la partecipazione allo stage, né per il fatto di aver fruito di un trattamento di disoccupazione, né per il fatto che – in conseguenza alla vertenza promossa – il lettore risulti aver successivamente percepito ulteriori redditi da lavoro riferibili allo stesso periodo in cui ha svolto lo stage.Una simile conseguenza non sembra emergere neppure dalla specifica normativa regionale della città dove il lettore risiede (la legge della Regione Piemonte 34/2008 e la delibera della Giunta Regionale n. 100 – 12934 del 21 dicembre 2009): tra queste norme non vi sono disposizioni che prevedano l’impossibilità di partecipare a uno stage in caso di percezione della indennità di disoccupazione o di altri redditi da lavoro o che prevedono incompatibilità tra il trattamento di disoccupazione o altri redditi da lavoro e la percezione di rimborsi spese per partecipazione a uno stage.L'unico aspetto che per noi è impossibile verificare è quanto concordato nella convenzione di stage. Il lettore a questo punto dovrebbe solo controllare che in questa convenzione o nel progetto formativo, stipulati e sottoscritti tra il Centro per l’impiego e la ditta privata presso la quale ha svolto il tirocinio, non fossero state previste regole di incompatibilità tra la partecipazione a quello specifico stage e la percezione di altri redditi da lavoro o di trattamenti a sostegno del reddito; se così fosse, potremo tornare sull’argomento, verificando insieme ai lettori della Repubblica degli Stagisti il contenuto di quelle regole.Evangelista BasilePer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- La Repubblica degli Stagisti ha una nuova rubrica: «L'avvocato degli stagisti» curata da Evangelista Basile e Sergio Passerini dello studio Ichino Brugnatelli - Uno studente dell'alberghiero chiede: «È legale che io debba pagare 150 euro per fare uno stage?». Risponde l'avvocato degli stagisti

In Francia molte tutele per gli stagisti, a cominciare dai soldi: come funziona lo stage oltralpe

Contributo minimo garantito, chiarezza su orari, mansioni e modalità di accesso, durata massima di sei mesi: queste sono alcune delle norme che regolano la vita degli stagisti d'oltralpe e ne tutelano i diritti. Ma non è stato sempre così.Con la Carta degli stage di formazione nelle imprese del 26 aprile 2006, dopo mesi di lotte, rivendicazioni e azioni di lobbing da parte del movimento Génération Précaire, si è aperto un percorso legislativo di riconoscimento e di tutela che, da allora fino all'ultima legge per la stabilità del percorso professionale del 28 luglio del 2011, ha cercato di contrastare il più possibile gli usi indebiti dello stage. L'obiettivo, almeno sulla carta, era di trasformare quello che fino ad allora era troppo spesso una forma di sfruttamento del lavoro giovanile, in uno strumento utile sia alle imprese che agli studenti. Obiettivo raggiunto? In parte certamente sì.Con la Carta del 2006 è stato fissato per legge che qualsiasi esperienza di stage in Francia debba obbligatoriamente essere regolamentata da una "convenzione di stage", un documento nel quale i firmatari - il candidato, l'azienda ospitante e l'istituto scolastico superiore di provenienza del candidato - sono tenuti a mettere nero su bianco ogni aspetto del rapporto. Tra le altre cose è obbligatorio definire le mansioni del candidato all'interno dell'azienda, determinare esattamente la durata della sua permanenza (per legge non superiore ai 6 mesi), stabilire l'orario settimanale (massimo 35 ore), prevedere le condizioni per le quali lo stagista può assentarsi, nonché fissare l'ammontare della sua gratificazione, obbligatoria per gli stage di durata superiore ai due mesi.Per il 2012 la gratificazione minima è fissata a circa 436 euro al mese. Come si calcola questa cifra? Il punto di riferimento è il Plafond della Sécurité Sociale, un valore che ogni anno viene adeguato al mercato del lavoro e all'inflazione e che per l'anno 2012 è stato fissato a 23 euro all'ora. La legge francese impone che le attività di stage che superano i due mesi abbiamo una remunerazione oraria minima che superi o che sia almeno equivalente al 12,5 % di questa cifra, vale a dire, per il 2012, a 2,875 euro all'ora. Calcolando che in Francia un mese di lavoro comporta mediamente 151,67 ore, si ottiene dunque, per uno stage full-time, un contributo di 436,05 euro. Può sembrare un po' poco, ma non lo è: bisogna infatti tenere a mente che lo stage in Francia ha una durata massima di sei mesi e, soprattutto, che non è considerato come un lavoro, ma come un'esperienza temporanea che fa parte del percorso formativo di uno studente.Questa separazione netta tra esperienza di stage e lavoro rappresenta uno degli aspetti fondamentali della regolamentazione francese. Per tutelare questa distinzione, già a partire dalla Carta del 2006, sono stati fissati alcuni paletti: è stato vietato l'uso di uno stagista per sostituire temporaneamente un lavoratore salariato, per occupare una posizione lavorativa stagionale, per occupare un posto di lavoro che richiederebbe l'apertura di una posizione fissa o, ancora, per accrescere temporaneamente le attività dell'azienda. Ma è soprattutto l'obbligo di avere alle spalle una struttura scolastica di riferimento, che firmi e approvi la convenzione, che rende questa distinzione realmente tutelata. Vietando infatti la possibilità di stipulare convenzioni di stage ai giovani che hanno terminato il proprio percorso formativo, lo statuto francese cerca di impedire l'innesco di una vera e propria asta al ribasso del mercato del lavoro, un'asta che trasformerebbe i giovani laureati in manodopera superspecializzata priva di diritti e di tutele, alla completa mercé del mercato.Ma non basta, perché l'ultima legge, la 2011-893 del 28 luglio 2011, impone paletti ancora più solidi per rinforzare il controllo su ogni abuso. In particolare è stata inserita una interessante novità: è il delai de carence, una regola che impone alle aziende un intervallo di due mesi (o meglio, di un terzo della durata complessiva dello stage) prima di poter integrare nel proprio organico un nuovo stagista nella stessa posizione e con le stesse mansioni di quello precedente.Per moltissimi stagisti italiani, costretti ad accettare rapporti di stage spesso fino a oltre trent'anni a fronte di rimborsi spese irrisori o spesso inesistenti e con prospettive di assunzione molto remote, questa regolamentazione può sembrare all'avanguardia. Purtroppo nel nostro paese è abbastanza usuale che dietro a uno stage non ci sia un reale interesse da parte del soggetto ospitante nell'investimento sulla formazione dello stagista e  sulla sua futura assunzione. Anzi  capita che l'obiettivo, spesso neppure celato, sia quello tappare falle di organico.In Francia, grazie anche alla mobilitazione di movimenti come Génération Précaire, sembra esserci la volontà di prevenire questo rischio e di fare dello stage un momento di passaggio reale dal mondo dell'istruzione a quello del lavoro. Volontà condivisa dagli studenti e probabilmente anche dalla gran parte delle aziende, che effettivamente stanno iniziando a vedere lo stage come una reale opportunità per formare e selezionare i propri futuri dipendenti. Certo, il sistema di regolamentazione degli stage in Francia non è il migliore possibile, ma sembra essere un modello realistico e realizzabile a cui i nostri legislatori potrebbero ispirarsi.Un esempio positivo in questo senso c'è, ed è quello della regione Toscana, che con il progetto Giovani Sì, lanciato lo scorso giugno, ha dimostrato di aver introiettato alcune delle linee guida del modello francese, in primis la necessità di stabilire una gratificazione minima per stage e tirocini alla soglia dei 400 euro. Un piccolo segnale del fatto che qualcosa si sta muovendo anche qui in Italia? La speranza è che il progetto toscano possa rappresentare la testa di ponte per una riforma efficace del settore; anche se l'impressione è che ci voglia ancora del tempo prima di assistere a concreti passi avanti a livello nazionale.  Attenzione però, il sistema francese non è il migliore dei sistemi possibili e qualche macchia ce l'ha: gli stage obbligatori durante gli studi si moltiplicano, mentre la percentuale di neolaureati occupati secondo i dati Apec del settembre 2010 è scesa in 2 anni (dal 2007 al 2009) dell'11%. Senza contare che una volta terminati gli stage moltissimi giovani restano legati per anni a contratti CDD, vale a dire a tempo determinato. Il modello francese non è dunque un paradiso, tant'è che molte battaglie sono ancora in corso. Una cosa però è certa per chi segue la situazione al di qua delle Alpi: anche soltanto il tentativo di avvicinarsi a quel modello sarebbe per l'Italia un grande passo in avanti. Andrea CocciaPer saperne di più su questo argomento leggi anche:- Francia, stagisti retribuiti almeno 400 euro al mese: da oggi anche negli enti pubblici- Diritti degli stagisti: le lezioni dell'EuropaE anche:- Mai più stage gratis: parte in Toscana il progetto per pagare gli stagisti almeno 400 euro al mese 

«Alice senza niente», in un romanzo la vita nuda e cruda dei giovani squattrinati precari italiani

Può capitare di leggere un romanzo e identificarsi con il protagonista. Se il libro è ambientato nel presente, le probabilità aumentano. Con Alice senza niente (Terre di mezzo) schizzano alle stelle, perchè queste 91 pagine racchiudono il racconto per niente edulcorato della vita di ogni giovane precario italiano, messa impietosamente nero su bianco. Ha colto nel segno Pietro De Viola [nella foto sotto], autore di questo piccolo caso editoriale nato come ebook in rete, con oltre 35mile copie scaricate in poco tempo e finito poi sugli scaffali delle librerie. Manifesto di un’intera generazione tanto che i lettori sul blog dello scrittore commentano: «Lo  sto divorando e mi sento già molto, molto meno sola» oppure «Tra una pagina e l’altra mi è venuto il mal di stomaco. È tutto così vero, ho pensato».La protagonista è Alice, una laureata in Scienze politiche con il massimo dei voti alla continua ricerca di un lavoro che però non riesce a trovare. Passa da un colloquio all’altro, tutti fallimentari, e trascorre le giornate compilando form online alla sezione 'Lavora con noi'. Non importa in quale settore: dalla cassiera alla bancaria o all’infermiera, l’importante è guadagnare per vivere. Perché in realtà Alice non fa che sopravvivere, pensando a come risparmiare qualche centesimo e preparare dal nulla una cena che sfami lei e il suo ragazzo, Riccardo, con cui convive. L’amore è il suo unico punto fermo, è la persona con cui condivide tutto che la fa sperare in un futuro migliore. Ma lui si trova nelle sue stesse condizioni: una laurea in legge e un lavoro come insegnante privato di chitarra a dieci euro l’ora che Alice si deve sorbire da dietro il separé sul suo letto (perché il loro appartamento ha un’unica stanza). C’è un che di tragicomico allora quando i due si trovano a esultare per l'invito a un vernissage di un’artista con buffet: finalmente avranno una cena come si deve invece del solito yogurt del discount. E qui compare l'unica nota stonata, che discosta Alice  dalla realtà. Perchè quasi sempre i giovani italiani vengono supportati dalla propria famiglia, specie per esigenze primarie come il cibo. Nel libro l'amica di Alice, Silvia, che ha un lavoro fisso e un affitto, può sempre contare sull'aiuto dei suoi. Invece i due protagonisti no: sono orfani? Hanno litigato e rotto i rapporti con i genitori? Provengono da famiglie talmente indigenti da non essere in grado nemmeno di invitare i giovani affamati a cena per un piatto di spaghetti? O la loro è una scelta ideologica, di volersi mantenere da soli con le proprie forze anche a costo di soffrire - letteralmente - la fame?  Quello della famiglia è insomma un aspetto che l'autore avrebbe potuto approfondire di più, considerando come il welfare familiare sia un elemento portante del sistema economico italiano, difficile da ignorare. De Viola infila comunque un barlume di speranza, Alice avrà alla fine un suo riscatto dalla precarietà, fosse anche solo attraverso un sogno da realizzare. Così, alla fine della lettura, allo sconforto si sostituisce un sospiro di sollievo. Questa situazione di quotidiana disperazione, di alienazione cercando di non rassegnarsi, forse terminerà grazie a un'idea vincente che salverà Alice e il suo amore.Alice senza niente ha un ritmo incalzante e si legge tutto d’un fiato. Rappresenta la condizione di tanti trentenni italiani che vivono praticamente in povertà, schiacciati da un sistema socio-economico che li esclude. Alla faccia di chi li chiamava bamboccioni. Sono degli «asociali forzati», come li definisce De Viola, perché non possono neppure permettersi un aperitivo al bar con gli amici. Del resto l’autore è uno di loro: siciliano, classe 1980 e con una laurea in Scienze politiche, dichiara di non aver mai fatto per più di tre mesi di fila lo stesso mestiere, passando dal volantinaggio, alla vendita, all’insegnamento o all’agenzia immobiliare. Questo romanzo d'esordio delicato e piacevolissimo, nella cui protagonista un giovane italiano potrà forse trovare un alter ego, non è solo buona letteratura: è anche un grido di denuncia. E guai a non raccoglierlo.Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Mai più rassegnati e indifferenti, i giovani devono cambiare l'Italia: è l'appello di un 95enne nel libro «Ribellarsi è giusto»- «Stagisti sfruttati, ribellatevi: anche il sindacato sarà al vostro fianco»: la promessa di Ilaria Lani, responsabile Politiche giovanili della Cgil- Stage gratuiti o malpagati, ciascuno può fare la rivoluzione: con un semplice «no»E anche:- Senza soldi non ci sono indipendenza, libertà, dignità per i giovani: guai a confondere il lavoro col volontariato    

Obiettivo Lavoro, agenzia interinale super-attiva sul progetto Les4 di Italia Lavoro

Il bando «Lavoro e Sviluppo 4», 6mila tirocini per i residenti in Sicilia, Campania, Calabria e Puglia, è rivolto a centri per l'impiego e agenzie interinali. Repubblica degli Stagistii ha però documentato che i cpi non sono nemmeno informati di un progetto finanziato con soldi pubblici. Restano i soggetti privati. E uno di quelli che sembrano essere maggiormente coinvolti nel progetto è Obiettivo Lavoro.«Vado da Obiettivo Lavoro, che scopro essere un pò l'agenzia "referente" di questo progetto, e mi dicono che le altre agenzie interinali non hanno l'autorizzazione ad attivare questi tirocini», il racconto di un lettore sul forum di Repubblica degli Stagisti. Parole che trovano conferma in quelle di un'altra lettrice, secondo la quale  «le agenzie interessate sono Obiettivo Lavoro e Metis». Il bando Les4 di Italia Lavoro, disponibile in rete, non fa in realtà alcun cenno ad un rapporto esclusivo con Obiettivo Lavoro. Eppure quest'ultima, sul proprio sito, annuncia «6mila tirocini formativi da Italia Lavoro e Obiettivo Lavoro», quasi che si trattasse di un rapporto esclusivo.  Ma che cos'è Obiettivo Lavoro?Si tratta di un'azienda nata nel 1997, che subito si è posta come la terza realtà nel campo delle agenzie interinali italiane, immediatamente dopo colossi come Manpower e Adecco. Obiettivo Lavoro è stata creata per iniziativa di Lega delle cooperative, Confcooperative e Compagnia delle Opere. Un quadro societario quantomeno variegato, almeno sotto il profilo politico: da una parte Legacoop, storicamente vicina al mondo della sinistra, dall'altra la CdO, 'braccio' operativo di Comunione e Liberazione, da sempre più vicina ai messaggi del centrodestra.Oggi Legacoop e Cdo non compaiono più nella compagine azionaria di Obiettivo Lavoro, che risulta essere di proprietà di una serie di aziende e di cooperative. Ma i rapporti con la politica rimangono. L'attuale presidente è Alessandro Ramazza [nella foto], bolognese, laureato in Economia con un master alla London Business School. Ma anche per un decennio assessore alla provincia di Bologna, poi consigliere comunale, sempre a Bologna, dal 1995 al 2004, e ancora segretario cittadino dei Ds nel 1999 - l'anno che consegnò le Due Torri al centrodestra guidato da Giorgio Guazzaloca. Il curriculum di Ramazza lo vede anche come coordinatore regionale del partito nato sulle ceneri del Pci. Insieme a lui, all'interno del consiglio di amministrazione, siede Maurizia Rota, eletta consigliere comunale per la Democrazia Cristiana nel 1985 a Cernusco sul Naviglio e diventata assessore cinque anni più tardi. Già direttore generale di Vienord, una società del gruppo delle lombarde Ferrovie Nord, è considerata vicina al presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, esponente di Comunione e Liberazione. Sempre nel cda di Obiettivo Lavoro c'è anche Felice Siciliano, napoletano, consigliere di Unioncamere Campania e membro della giunta della Camera di Commercio di Napoli. Ma, soprattutto, membro del direttivo della Compagnia delle Opere della Campania.Nata come società cooperativa, trasformata in società per azioni nel 2003, Obiettivo Lavoro conta oggi più di 150 sedi tra uffici e filiali sparsi per tutta la Penisola. L'azienda ha individuato due direttrici di espansione a livello internazionale, una verso l'Europa dell'Est, che la vede presente con tre filiali in Romania e due in Polonia, l'altra in Sudamerica con sei uffici tra il Perù e la Bolivia ed uno a San Paolo del Brasile.Nel corso degli anni, Obiettivo Lavoro ha dato vita ad una serie di aziende controllate, che hanno fatto di OL un vero e proprio gruppo. Tra queste realtà c'è Obiettivo Lavoro Formazione, che coordina le attività di formazione professionale. Non a caso tra i soci di OL c'è la Fondazione Enaip Lombardia, vero e proprio colosso di questo settore. C'è poi Intempo, agenzia per il lavoro che opera in alcune regioni italiane (Liguria, Toscana, Lazio, Campania, Sardegna ed Emilia Romagna). HIT Servizi è invece specializzata nella gestione del personale, mentre OL Temporary Management è una realtà che sta sviluppando in Italia la selezione e l'inserimento nelle imprese dei manager 'a tempo'. Palamito offre invece un servizio di consulenza nel settore dei finanziamenti pubblici di ogni livello, da quelli comunitari a quelli comunali.Tutte attività che hanno permesso ad Obiettivo Lavoro, nel solo 2010, di generare un giro d'affari di 368 milioni di euro - a tanto ammonta infatti il valore della produzione - con un incremento del 2,5% rispetto all'anno precedente.Riccardo SaporitiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Il regalo alle agenzie interinali nell'attivazione degli stage Les4 di Italia Lavoro;- Tirocini Les4 di Italia Lavoro, in Puglia nessuno sembra conoscerli. A parte l'agenzia Obiettivo Lavoro;- Les4, questo sconosciuto. Ai centri per l'impiego nessuno conosce il bando di Italia LavoroE anche:- Stage non retribuito in un'agenzia per il lavoro: accettare o rifiutare?

Les4, questo sconosciuto: ai centri per l'impiego nessuno conosce il bando per i 6mila stage di Italia Lavoro

«Noi non facciamo queste cose. Perché contattate noi?», domanda l'operatrice del centro per l'impiego di Milano. «Mi spiega meglio di che si tratta?», chiedono invece dal cpi di Bologna. E anche a Palermo ammettono: «Non abbiamo alcuna indicazione in proposito».Da tempo la Repubblica degli Stagisti si occupa di Lavoro e Sviluppo 4, un progetto di Italia Lavoro per all'attivazione di 6mila stage rivolti a residenti in Campania, Puglia, Sicilia e Calabria. Denunciandone la scarsa trasparenza, ad esempio, o raccontando il ruolo svolto dalle agenzie interinali. Un ruolo, che, a quanto emerge, è davvero di primo piano. Repubblica degli Stagisti ha voluto verificare quanto le strutture pubbliche siano informate su un bando che è finanziato, attraverso Italia Lavoro, direttamente dal ministero dello Sviluppo economico e che prevede esplicitamente tra i destinatari i «servizi per il lavoro pubblici» presenti su tutto il territorio nazionale. Basta fare qualche telefonata per scoprire che, dovunque si chiami, i centri per l'impiego sembrano non sapere nulla di questo progetto. «Non lo conosco, però è la seconda telefonata che ricevo a questo proposito», racconta l'operatrice del cpi di viale Jenner a Milano, «non ci hanno contattato per essere partner di questo bando». Anzi, aggiunge, «è buffo che il bando dica di rivolgersi a noi quando non siamo l'ente promotore».Gli aspiranti stagisti probabilmente non trovano divertente questa circostanza. Il quadro infatti appare disarmante. «Se è Italia Lavoro, bisogna sentire Italia Lavoro. A me Les4 non dice nulla, non l'ho mai sentito nominare, non è roba nostra», afferma perentorio l'addetto del centro per l'impiego di via Legione Gallieno a Vicenza. Toni più cortesi nella vicina Verona, ma il ritornello è sempre lo stesso: «deve sentire IL, noi non seguiamo direttamente questo progetto».Anche a Bologna sembrano conoscerlo poco: «Non ci arrivano molte richieste», spiegano al telefono, «e non ci risulta che il bando sia seguito dai cpi». Ma allora perché si dice espressamente di far riferimento ai servizi per il lavoro pubblici? «Non lo so, magari in alcune provincie passa dai centri per l'impiego». Ad ogni modo: «le informazioni che abbiamo noi sono limitate». I cpi del nord Italia in buona sostanza non ne sanno nulla: questo non perché Les4 sia pensato per chi risiede in alcune regioni del Mezzogiorno, visto che gli stage possono essere attivati su tutto il territorio nazionale; bensì perché Italia Lavoro non li ha coinvolti. O almeno, questo sostengono gli addetti.Lo confermano anche quasi tutti gli operatori dei centri per l'impiego delle regioni che sono direttamente interessate dal bando - ovvero Campania, Calabria, Puglia e Sicilia. Da Napoli si leva infatti l'unica voce in controtendenza: «Lavoro e sviluppo 4 è scaduto. L'abbiamo fatto, però è scaduto» (eppure il bando indica chiaramente che il progetto durerà fino al 31 ottobre 2012). Almeno questa volta l'operatore conosce, anche se non in tutti i dettagli, il progetto - ma si tratta di un caso del tutto isolato. «È Italia Lavoro che ha fatto il bando?», chiede infatti l'operatore palermitano. Di fronte alla risposta affermativa, ribatte: «e allora deve chiamare loro». Anche da Catanzaro stessa indicazione: «Bisogna contattare direttamente Italia Lavoro. Noi non abbiamo nessuna comunicazione di Les4».Ma cosa significa rivolgersi direttamente a Italia Lavoro? «Di uffici, sul territorio, non ce ne sono» dice l'addetto al centro per l'impiego di Brescia: «IL è un'agenzia del ministero, sta a Roma e segue dei progetti in Lombardia». Insomma, o si chiama nella capitale, oppure l'unica alternativa sembra essere quella di rivolgersi al mercato delle agenzie per il lavoro. Ma allora perché il bando parla anche del servizio pubblico? «Ma il cpi lo metton dentro dappertutto, anche se non lo facciamo». Tanto, poi, ci pensano le agenzie interinali.Riccardo SaporitiPer saperne di più su questo argomento leggi anche:- Il regalo alle agenzie interinali nell'attivazione degli stage Les4 di Italia Lavoro- Lavoro e sviluppo 4, milioni di euro ma non si sa a chi: la lista delle aziende c'è ma non si vede. Ministero, e la trasparenza?- Tirocini Les4 di Italia Lavoro, in Puglia nessuno sembra conoscerli. A parte l'agenzia Obiettivo LavoroE anche:- Nuova normativa, i chiarimenti ufficiali del ministero: «Niente tirocini dopo i master, e limite di 6 mesi di durata da applicare al singolo stage»

Dallo studio al lavoro: viaggio negli uffici placement, a sorpresa quasi nessuna università monitora l'esito occupazionale degli stage

Al giorno d’oggi non si può intraprendere un percorso di studi senza preoccuparsi per un futuro professionale. Per questa ragione, uno dei criteri per scegliere in che ateneo iscriversi, potrebbe essere la valutazione preventiva del funzionamento degli uffici placement. Quasi tutte le università, infatti, ne hanno uno e a breve anche quelle che non ne sono provviste dovranno dotarsene per legge. Non solo: la nuova normativa ne impone un potenziamento, per poter svolgere appieno un ruolo sempre più attivo  nell'incontro domanda-offerta e nel collocamento dei laureati nel mercato del lavoro. La Repubblica degli Stagisti ha fatto un «viaggio» alla scoperta di queste realtà, in sei atenei molto differenti fra loro per dimensioni, storia e posizione. E ha scoperto che non si è ancora raggiunta una standardizzazione in fatto di servizi universitari al placement.Il Politecnico di Torino è dotato di un ufficio placement centralizzato e convenzionato con oltre 6mila aziende. Tutti gli studenti dei master effettuano uno stage, ma la percentuale scende se ci si riferisce ai laureandi o laureati: nel 2010, a fronte di 27.519 iscritti, sono stati attivati solo poco più di duemila stage curriculari e 936 extracurriculari. Ma forse questa è una buona notizia, perché significa che le lauree dell’ateneo sono talmente forti da reggere sul mercato senza bisogno del passaggio intermedio dello stage. Il Politecnico organizza ogni anno un career day con una quarantina di imprese in cerca di talenti e sono parecchi gli eventi legati al placement tra cui i cicli di orientamento in uscita e Architetti on the job, incontro specifico tra studenti di architettura e studi di settore.All’università di Pavia l’ufficio orientamento, che ha attivato 3.395 stage nell’ultimo anno (andando a servire quindi circa un settimo dei suoi 22mila studenti), offre specifici servizi come CV check e colloqui di orientamento. L’ateneo garantisce l’incontro di domanda e offerta attraverso una banca dati laureati e una bacheca di offerte di stage e lavoro, in cui le 5mila aziende convenzionate inseriscono le offerte. Il career day attira in media 2mila partecipanti e ospita 80 aziende.È difficile credere che l’università di Bologna con i suoi 76mila iscritti non abbia un vero e proprio ufficio placement, inteso come incrocio tra domanda e offerta, che metta in rete tutti i curricula dei laureati. Invece è così, l’Alma Mater è dotata solamente di un ufficio atto allo svolgimento e all’organizzazione di tre iniziative: Alma orienta, salone dell’orientamento in entrata, il career day e un servizio di orientamento al lavoro grazie al quale «gli studenti possono venire negli uffici per imparare a stendere il cv, prepararsi a colloqui o verificare le proprie attitudini» come spiega Roberto Nicoletti [nella foto a sinistra], prorettore agli studenti. Poi però ciascuna facoltà ha il suo ufficio stage. Sono 14.260 i tirocini curriculari attivati nell’ultimo anno dall’ateneo bolognese e circa 1.500 quelli di orientamento al lavoro (per laureandi o laureati).A Firenze si applica una distinzione tra stage di formazione e di orientamento al lavoro: nell’anno 2010/11 i tirocini totali sono stati circa 6mila, di cui il 90% di formazione. Tutti i 1.167 studenti dei 63 master hanno svolto uno stage. Nella banca dati stage sono registrati 11.405 soggetti ospitanti. Anche Firenze organizza un career day, una settimana di seminari e incontri fra laureandi e laureati e rappresentanti del mondo del lavoro alla quale, l’ultimo anno, hanno partecipato 220 aziende e 1000 laureandi.Spostandoci al sud, all’università di Lecce l’ufficio Career service si occupa solo dei tirocini extracurriculari. Nel 2010, su 3.880 laureati, sono stati attivati solo 332 stage. A causa della carenza di fondi negli ultimi anni l’ateneo non ha più realizzato il career day e si sta appoggiando al Job meeting organizzato dalla Provincia, l’unico, tra quelli considerati, che prevede la partecipazione gratuita delle imprese.Alla Federico II di Napoli Luigi Verolino [nella foto a destra], direttore del centro Softel (Orientamento, formazione e teledidattica), sottolinea la differenza tra lauree forti e deboli: «A Ingegneria e Economia il 94% dei laureati ha un lavoro a due anni dalla laurea e le offerte di stage sono molte. Diversa è la situazione dell’area socio-umanistica». L’ateneo sta dunque cercando di potenziare il servizio placement in quest’ultima. L’università di Napoli però è la sola tra quelle considerate a non offrire alcun tipo di stage all’estero.La Repubblica degli Stagisti ha posto ai sei atenei anche tre domande scomode: la loro posizione rispetto agli stage privi di rimborso spese, le strategie messe in campo per evitare gli stage-sfruttamento, e infine le modalità per calcolare la percentuale di placement, cioè di «buon esito» dello stage dal punto di vista occupazionale. Per quanto riguarda la tutela degli stagisti nessun ateneo ha scelto di imporre alle aziende di garantire un rimborso ma alcuni, come la Federico II, cercano di offrire ai ragazzi un contributo a loro spese in caso di stage non retribuito. Sulle ipotesi di «stage-sfruttamento» le università sembrano non volersi soffermare e tutte spiegano che, in caso di segnalazioni, si attivano immediatamente per cambiare tirocinio all’interessato e valutano la possibilità di togliere la convenzione all’azienda. Ma il dato più negativo riguarda il monitoraggio del placement: sorprendentemente nessuno degli atenei considerati ne effettua uno sull’esito dei tirocini e sulle percentuali di assunzione al termine dello stage.Giulia CimpanelliPer saperne di più sull'argomento, leggi anche: - Università di Torino, la «telenovela» sulle nuove linee guida super restrittive per la gestione dei tirocini- Manovra, la riforma della normativa sugli stage getta gli enti promotori nel caos: e scatta l'anarchia interpretativa - Lo strano caso dei tirocini Mae-Crui revocati e poi ripristinati dall'università di Bologna. Ma il prossimo bando è bloccato fino «a data da destinarsi»