Categoria: Approfondimenti

Giornalisti a tutti i costi, il business dei mille corsi

Diventare giornalisti con un corso intensivo di 200 ore in formula weekend. È una delle promesse dei tanti corsi e master che, in cambio di laute quote di partecipazione, assicurano ai partecipanti stage in uffici stampa e in piccole e grandi testate giornalistiche. Ufficialmente in Italia sono attive in questo momento soltanto 12 scuole riconosciute dall'Ordine dei giornalisti: durano due anni, danno agli allievi la possibilità di svolgere il praticantato e di sostenere alla fine l'esame di Stato con cui si diventa giornalisti professionisti. Al di là di questi percorsi riconosciuti esiste tuttavia un fitto sottobosco di opportunità formative appositamente pensate da società e agenzie private per quanti sognano di lavorare all'interno di una redazione. Con quali prospettive occupazionali? «Alcuni ex allievi sono stati trattenuti: molti con una proroga del tirocinio, altri con vere e proprie proposte contrattuali», spiega al telefono la società romana Rolls Service, una delle tante contattate dalla Repubblica degli Stagisti nella veste di un utente interessato - in questo caso, al corso in giornalismo della promozione culturale in partenza a maggio. Per 1.600 euro ai corsisti vengono offerti 7 sabati di lezione, 150 ore di studio con tutoraggio, ma soprattutto due mesi di job training. Non ci vuole molto a capire quale sia l'attrattiva principale per il potenziale utente. «Ultimamente abbiamo stipulato una convenzione con la Repubblica online» sottolineano infatti dalla segreteria di Rolls Service.Il programma del master in ufficio stampa e giornalismo multimediale della Ieros Management, che si terrà sempre a Roma a partire da maggio, spiega ancora meglio il "valore" assunto ormai da un'esperienza di stage nel settore. Gli interessati sono infatti chiamati a scegliere tra due diverse formule: una a 1.495 euro che include soltanto le 10 giornate di corso e una a 2.887 euro con cui, oltre alle lezioni, si acquista anche lo stage. Per chi non avesse la voglia, o la possibilità, di calarsi nei panni di stagista, Ieros propone in alternativa una collaborazione occasionale con un'azienda partner retribuita con 1.000 euro «una tantum» (indipendentemente cioè dalla durata della collaborazione). È vero che alla fine si ottiene un bello sconto sul costo del corso, ma agli allievi si sta chiedendo di fatto di pagarsi un'esperienza lavorativa.«100% stage garantiti» assicura sul proprio sito anche Eidos Communication, agenzia di comunicazione e scuola di alta formazione romana che attualmente promuove due "executive master": uno in comunicazione e giornalismo della moda a 6.100 euro, l'altro in giornalismo radiotelevisivo a 6.300 euro (iva esclusa). Dal prossimo settembre 21 aspiranti giornalisti televisivi saranno così impegnati per 10 week end in aula, per poi passare tre mesi di stage in redazioni, uffici stampa e comunicazione. Tra i partner figurano anche Mediaset, La7, SkyTg24 e il Messaggero. «La percentuale di placement è variabile, ma per le precedenti edizioni siamo intorno al 30%». Con quali contratti? «Abbiamo avuto sia collaborazioni esterne che contratti di lavoro veri e propri» garantiscono gli organizzatori. Per quanto difficili da verificare, numeri simili appaiono a dir poco ottimistici rispetto a quelli disponibili ad esempio per gli allievi delle scuole di giornalismo convenzionate con l'Odg: secondo il presidente nazionale Enzo Iacopino solo il 10% degli ex studenti risulta oggi assunto a tempo indeterminato. Gli altri continuano a ricorrere un contratto dopo l'altro e, più spesso, devono accontentarsi di semplici collaborazioni, per lo più mal retribuite. A dare lustro ai corsi privati sono in molti casi proprio i nomi di professionisti eccellenti: tra i docenti del master Eidos compaiono ad esempio due giornalisti del Tg5, due del Messaggero, un vicedirettore Rai. L'anno scorso anche Marco Travaglio ha fatto una breve apparizione all'interno del master in giornalismo d'inchiesta. Ma una volta esaurita la fase di aula, con testimonial più o meno noti, come funzionano i tirocini? Dalla segreteria Eidos si apprende che «per gli iscritti con più di trent'anni non possiamo garantire lo stage: i nostri partner preferiscono profili con età inferiore. In alternativa garantiamo però tre mesi aggiuntivi di collaborazione giornalistica». A differenza di molti altri corsi, questo offre infatti agli interessati la possibilità di una collaborazione (assicurano: «retribuita») di sei mesi con alcune testate online, valida per raccogliere una parte degli articoli necessari per ottenere il tesserino da pubblicista. I trentenni scartati dalle aziende avranno comunque una magra consolazione, dato che dal prossimo 13 agosto è probabile che per diventare pubblicisti si debba svolgere il praticantato e superare un esame di Stato analogo a quello dei professionisti. L'aspirante giornalista dovrà inoltre essere laureato, mentre la maggioranza dei corsi in questione è aperta anche a diplomati.Navigando tra i siti specializzati si trovano poi annunci per workshop e master online, oltre a numerose offerte per esperti in uffici stampa, comunicazione strategica, copywriter... Valutare la qualità formativa di queste iniziative non è semplice. A parte lo stage in redazioni sempre più affollate di tirocinanti, è bene tenere presente che nella maggior parte dei casi ai partecipanti è garantito soltanto un attestato di frequenza finale, il cui valore dipende strettamente dal prestigio di cui gode l'ente formativo. Da questo punto vista l'occasione migliore appare il master in informazione multimediale e giornalismo economico organizzato a Milano da novembre prossimo dal Sole 24 Ore. Che è peraltro indirizzato prioritariamente a chi è già giornalista (pubblicista o addirittura professionista) e prevede una frequenza di trenta giorni spalmati su cinque mesi. Il Sole 24 Ore non rende però noto il costo, nè nella pagina nè nella brochure ufficiale del master: dice solo di aver stabilito una partnership con una banca che permetterà agli studenti di accedere a un "prestito d'onore" per l'intera quota di iscrizione «a condizioni molto agevolate con pagamento della prima rata dopo 6 mesi dalla fine del master». Le condizioni del prestito parlano di una cifra massima di 50mila euro, da restituire in 84 rate da circa 783 euro. È certamente probabile che la cifra per questo master sia inferiore: ma perchè non attuare una politica di trasparenza?A proposito di trasparenza, RdS ha apprezzato una piccola iniziativa promossa nella capitale da "Professione Reporter", un corso organizzato in 50 ore di lezione e un mese circa di stage (600 euro) da Kartabianca, che nei giorni scorsi ha dato la possibilità di partecipare gratuitamente alla prima lezione di corso. Interpellati sugli obiettivi dell'iniziativa, gli organizzatori anzichè promettere mirabolanti percentuali di placement hanno onestamente spiegato che «si tratta di un'esperienza utile ad orientare i partecipanti, aiutandoli a capire prima di tutto se questo lavoro fa davvero per loro». Almeno un po' di realismo.Ilaria CostantiniPer saperne di più su questo argomento leggi anche: - Giornalisti precari, il problema non è il posto fisso ma le retribuzioni sotto la soglia della dignità- Approvate le linee guida per la riforma dell'Ordine dei giornalisti: fino al 13 agosto si continua a diventare pubblicisti senza esame (e senza intoppi)- Riforma dell'Ordine dei giornalisti: verso un ponte di due anni per salvare i pubblicistiE anche:- Disposti a tutto pur di diventare giornalisti pubblicisti: anche a fingere di essere pagati. Ma gli Ordini non vigilano?- La testimonianza di Franca: «Dopo una serie di stage logoranti, la scelta di pagarmi da sola i contributi da pubblicista»- L'avvocato Gianfranco Garancini: «Chi falsifica la documentazione pur di entrare nell'albo dei giornalisti pubblicisti commette reati penali»

Diario di un precario sentimentale, Assunta Buonavolontà sbarca in libreria

Tra i tanti libri sulla precarietà usciti negli ultimi tempi, Diario di un precario (sentimentale), edito da Ediesse, ha il dono dell’ironia, a tratti anche della comicità. In poco meno di 200 pagine l'autrice Maria Antonia Fama racconta la storia di Assunta Buonavolontà (caso esemplare di nomen omen), brillante neolaureata in Scienze della comunicazione in cerca di impiego e alle prese con le inevitabili disavventure del caso. Porte sbattute in faccia, colloqui di lavoro improbabili e peripezie per sopravvivere con pochi euro al mese. Vedendo che i suoi sforzi nella ricerca di occupazione risultano vani Assunta, fuorisede calabrese trapiantata nella capitale, cade anche in uno stato di "semidepressione": e allora eccola a passare le sue giornate sul divano di un appartamento in condivisione, infilata nel triste pigiama-tuta (un regalo della mamma «per la vita casalinga»), a fantasticare sul suo vero sogno di gloria: quello di diventare attrice. Destinato a infrangersi contro la cruda realtà. «Lo sai tra le mie amiche chi si è trovata meglio di tutte?» scrive Assunta sul diario «Quella che è diventata modella. Già perché ormai essere modella è un prerequisito. Io ho studiato anni per fare l’attrice: soldi buttati». Meglio la chirurgia estetica: «Liposuzione e sollevamento glutei; stiramento dei tendini, per sollevarmi un paio di centimetri; ceretta definitiva del cuoio capelluto dall’attaccatura dei capelli fino a metà cranio per sollevare la fronte». E naturalmente pure «per risollevare le sorti». Anche lo stato di subordinazione delle donne nella società trova spazio nel libro. «Le nostre mamme bruciavano i reggiseni: la liberazione sessuale, l’aborto, il divorzio…» scrive l’autrice: poi sono arrivati gli anni Ottanta insieme alla caduta dei regimi comunisti, ed ecco i McDonald's e i sexy shop fioccare ovunque. «Noi che in quegli anni ci siamo nate, ci siamo ritrovate un po’ così, come i paesi dell’Est dopo la fine del comunismo: più occidentalizzati dell’Occidente. Ma che colpa abbiamo noi se siamo cresciute con Non è la Rai?». Leggerezza e brio sono i due capisaldi di questo libro-commedia dedicato a un argomento tutt’altro che da ridere. Assunta Buonavolontà ce la mette proprio tutta per costruirsi un avvenire. Dà ripetizioni a bambini viziati di buona famiglia, fa da badante a un’anziana, frequenta il cpi («centro di permanenza infinita», lo ribattezza al posto di centro per l’impiego). Passa addirittura un periodo a vendere apparecchi aspira calzini. E si imbatte anche nell’amore, quello di un filosofo dottorando che però dovrà imbarcarsi verso mete lontane, in cerca di un futuro migliore. Un epilogo amaro, a cui si legherà anche il destino della protagonista...Diario di un precario sentimentale è nato come radiogramma nel 2009 su Radio Articolo 1, e poi l'anno successivo è diventato uno spettacolo teatrale, di cui l'autrice è anche interprete. Il libro riserva nuove sorprese rispetto alla messa in scena, strappando un sorriso a chi – se precario e disoccupato - non ha più tanta voglia di piangersi addosso. Una prossima presentazione è prevista mercoledì 11 aprile a Milano, alle 21 alla libreria popolare Tadino in via Tadino 18. Il 24 aprile sarà invece allo spazio Combo di Perugia. Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Diario di una precaria (sentimentale), in scena il dramma ironico di una disoccupata- «Alice senza niente», in un romanzo la vita nuda e cruda dei giovani squattrinati precari italianiE anche:- Se potessi avere mille euro al mese, il libro che racconta l'Italia sottopagata  

Aspiranti imprenditori, una pizza è l'occasione per partire

Sei minuti per presentare il proprio progetto di impresa, un quarto d'ora per chiarire i dubbi della platea, una serata per convincere gli investitori. Il tutto tra una fetta di pizza e l'altra. Questa è Storming pizza, l'innovativa modalità di selezione dei progetti da finanziare scelta da H-Farm, incubatore di impresa con sede a Cà Tron, frazione di Roncade, cittadina in provincia di Treviso.Gli autori delle idee migliori, quelle che convincono lo staff di H-Farm, sono invitati a traferirsi a Cà Tron. Qui trovano uno spazio per insediare i propri uffici, persone che si occupano di tutti gli aspetti burocratici e giuridici, ma soprattutto un finanziamento che può arrivare fino a 300mila euro. Il processo di selezione, pizza a parte, è però molto duro. «Noi riceviamo più di 500 proposte ogni anno, solo nel 2011 sono state 583», spiega Giuseppe Folonari, associate e responsabile del processo di selezione degli investimenti. «Io svolgo una prima scrematura tra le candidature, quindi invitiamo quelle che riteniamo essere le più interessanti a presentarsi durante uno Storming pizza».Un appuntamento formale in un contesto informale, che vede quattro, al massimo cinque idee di business salire sul palco, e poi tutti condividono la pizza. Un momento più rilassato, durante il quale gli aspiranti imprenditori possono prendere direttamente contatto con gli investitori. Con l'obiettivo di convincerne uno a prendere sotto la propria ala lo start-up. In caso di esito positivo, vengono avviati incontri di approfondimento, quindi il progetto viene sottoposto  al comitato investimenti. Se ottiene l'approvazione l'impresa entra a far parte dell'incubatore, ricevendo tutti i servizi e i finanziamenti offerti. Ovvero un ufficio con connessione Internet, un consulente legale, un commercialista, un servizio di segreteria. E naturalmente il contributo economico. Ma pochi ce la fanno: sono solo 32 le imprese finanziate da H-Farm nei suoi sei anni di vita. In altre parole, tra tutte quelle presentate allo Storming pizza, solo un'idea su cento si trasforma in un'impresa.Nato nel 2005 a nel trevigiano, questo incubatore di impresa conta oggi due sedi internazionali, aperte nel 2009 a Seattle negli Stati Uniti e a Mombai in India, più una di rappresentanza a Londra. «Il nostro target è legato ad iniziative nell'ambito digitale, più specificamente alle nuove tecnologie orientate agli aspetti sociali e comunicativi», spiega Folonari. Non a caso, nel portfolio ci sono realtà come Grow the planet, un social network dedicato agli orticoltori, e Responsa, una sorta di enciclopedia delle domande, spazio collaborativo per accumulare conoscenza attraverso un servizio di Question&Answers, ovvero domande e risposte.L'attività svolta da H-Farm è una combinazione di finanziamento e di fornitura di servizi di accelerazione del business. Tra questi ultimi rientrano aspetti legati «all'amministrazione, la contabilità, la consulenza su aspetti legali, finanziari e sulla gestione del personale». L'ufficio stampa cerca poi di dare visibilità alle nuove imprese. Infine c'è il ruolo del mentor, colui che segue lo sviluppo dell'impresa dal suo ingresso nell'incubatore fino al distacco finale, che si concentra sul portare all'azienda clienti e possibili investitori. Questi servizi non sono gratuiti, ma richiedono il pagamento di un canone da parte delle realtà inserite all'interno della 'fattoria'. «Sostanzialmente, questa componente viene gestita in pareggio. Il vero business per noi arriva dalle exit delle società».H-Farm garantisce infatti alle imprese che entrano a far parte dell'incubatore un investimento a fondo perduto compreso tra i 30 ed i 300mila euro. Il finanziamento, erogato anche in più tranche, viene garantito per 12, al massimo per 18 mesi. Dopo tre anni di attività, «cediamo la nostra partecipazione nello start-up». Questo può avvenire sostanzialmente in due modi: o attraverso il coinvolgimento di un fondo, che garantisca un nuovo investimento, oppure con l'ingresso, nella neonata impresa, di un operatore industriale.  Per capire il funzionamento di questo meccanismo, e le dimensioni del giro d'affari, basti l'esempio di H-art, società fondata nel 2005 che si occupa di definire strategie di e-business: la cessione, avvenuta a febbraio del 2009, prevede un piano di pagamenti che, tra il 2012 ed il 2014, porterà nelle casse dell'incubatore di impresa una cifra compresa tra i 2 ed i 3 milioni di euro.Delle 32 le aziende che sono entrate a far parte della 'fattoria', ad oggi 5 sono arrivate al termine del loro percorso di sviluppo e sono state cedute, 2 sono fallite mentre le restanti 25 sono ancora nel portfolio di H-Farm. Ma altre ne arriveranno: è appena partito infatti lo Spring call 2012. Entro il 30 aprile chiunque avesse un'idea di business che rientri nel target di questo incubatore può presentare la propria candidatura. E prepararsi a convincere gli investitori, tra una fetta di pizza e l'altra.Riccardo SaporitiSe ti ha interessato questo argomento, leggi anche:- Imprenditoria giovanile, ecco chi la sostiene- Regione Piemonte, un milione di euro per chi sostiene i giovani imprenditoriE anche:- Ricerca e start-up, centinaia di opportunità di lavoro per giovani imprenditori e ricercatori- Prospettive per i giovani, in Italia si gioca solo in B e C. Per la serie A bisogna andare all'estero

Stage, nuove norme regionali: sì all'obbligo di rimborso in Toscana e Abruzzo, no in Lombardia

Alcune Regioni italiane dicono stop agli stage gratuiti, mentre in altre questa pratica continua ad essere legale. È la conseguenza paradossale della competenza regionale in materia di formazione, e quindi di tirocini formativi: a seconda della città dove un giovane fa il suo stage, già oggi può godere di differenti diritti. Primo tra tutti quello, importantissimo, di poter contare - o non contare - su un compenso per la sua prestazione. D'ora in poi dunque ci saranno stagisti di serie A, toscani o abruzzesi, che vedranno riconosciuto il valore del proprio tempo e impegno nell'ambito del tirocinio attraverso una gratificazione economica non più a discrezione del soggetto ospitante, ma garantita dalla legge; e stagisti di serie B, in Lombardia e altrove, che invece non potranno rivendicare nulla.Ad aprire la pista è stata la Regione Toscana [nella foto, il presidente Enrico Rossi], che già nel 2011 ha dato avvio all'iter per l'approvazione di una legge regionale che, tra le altre cose, introducesse per la prima volta in Italia, sul modello francese, l'obbligo di erogare un rimborso spese agli stagisti. Non a tutti a dir la verità: restano fuori i tirocini curriculari, quelli cioè svolti dagli studenti durante un percorso di studi (università, master, corsi di formazione). Ma la norma vale per tutti i tirocini extracurriculari. Dopo l'approvazione a fine gennaio della legge regionale che prescriveva «l’obbligo a carico dei soggetti ospitanti di erogare un importo forfetario a titolo di rimborso spese», in Toscana si è aperta la fase di redazione del regolamento che supporta questa legge dettagliando alcuni aspetti, tra cui appunto l'ammontare minimo del rimborso spese. «Per assicurare una adeguata tutela ai tirocinanti sono disciplinati gli obblighi e i compiti dei vari soggetti coinvolti nel rapporto di tirocinio, i diritti e gli obblighi dei tirocinanti, nonché i contenuti della convenzione stipulata fra il soggetto promotore e il soggetto ospitante» si legge nel testo, messo a punto nel corso del mese di marzo «ed è determinato l’importo forfetario a titolo di rimborso spese a carico dei soggetti ospitanti nella misura di 500,00 euro mensili lordi». Il 30 marzo il regolamento è stato pubblicato sul Burt (il Bollettino ufficiale della Regione Toscana), entrando in vigore il giorno successivo.E la Toscana ha già un emulo: anche la giunta regionale abruzzese ha recentemente emanato un documento con nuove «Linee guida per l'attuazione dei tirocini nella Regione Abruzzo». Il 12 marzo infatti, con la deliberazione n. 154, il presidente Gianni Chiodi (PdL) ha approvato oltre alle linee guida un allegato in cui al punto 1.16 («Facilitazioni benefici e rimborsi spese») è previsto che «Il soggetto ospitante deve garantire al tirocinante un rimborso spese il cui ammontare non può essere, in ogni caso, inferiore ad euro 600,00 mensili». Con una ulteriore aggiunta: «L'ammontare di tale rimborso deve essere comunque idoneo a coprire tutti i costi di trasporto sostenuti con mezzi pubblici per raggiungere la sede del tirocinio nonché il costo sostenuto dal tirocinante per il vitto, l'alloggio ed altre spese varie connesse al tirocinio».   Ma la regione che in assoluto ha più stagisti di tutta Italia è la Lombardia: da sola nel solo 2011 ne ha ospitati più o meno 90mila, sommando i 65mila "certi" delle imprese private - censiti ogni anno da Unioncamere Excelsior - a una stima di 10-20mila negli enti pubblici e di almeno 7mila nelle associazioni non profit. Un sesto degli stagisti di tutta Italia sono dunque in questa Regione, eppure la giunta guidata da Roberto Formigoni [nella foto insieme all'assessore al lavoro Gianni Rossoni] non ha ritenuto di doverli proteggere dallo sfruttamento. Approvando proprio nei giorni scorsi (il 20 marzo) un regolamento che, oltre a riportare a ben 12 mesi la durata massima dei tirocini extracurriculari (che invece il governo Berlusconi ad agosto, con l'art. 11 del decreto legge 138, aveva ridotto a 6) e a riparametrare la proporzione tra stagisti e dipendenti comprendendo tra questi non solo gli assunti a tempo indeterminato ma anche  i lavoratori «a tempo determinato o con contratto di collaborazione non occasionale della durata di almeno 12 mesi, i soci lavoratori o liberi professionisti associati», ignora completamente la questione della sostenibilità economica degli stage per i giovani. Tanto che c'è un solo riferimento al rimborso spese, nella parte dedicata alle convenzioni, dove si dice che esse che devono «prevedere obbligatoriamente le regole di svolgimento del tirocinio nonché i diritti e i doveri di ciascuna delle parti coinvolte, ivi compresa la previsione del valore del rimborso spese o indennità di partecipazione eventualmente spettante al tirocinante». Eventualmente.«I suggerimenti che i sindacati avevano formulato in via unitaria per migliorare il testo sono stati ignorati» si rammarica Fulvia Colombini, segretaria Cgil Lombardia, al telefono con la Repubblica degli Stagisti: «E non si pensi che il fatto di non aver previsto un compenso obbligatorio a favore degli stagisti, come invece è stato fatto in altre regioni, sia stata una dimenticanza: si tratta di una precisa scelta politica». Una scelta che condanna quindi le decine di migliaia di stagisti che svolgono periodi formativi in Lombardia a restare alla mercé dei soggetti ospitanti (aziende private, enti pubblici, organizzazioni non profit), che potranno continuare a decidere autonomamente se erogare un compenso oppure no.Per evitare questa leopardizzazione dei diritti, specialmente in una fase delicata come quella della transizione dalla formazione al lavoro, la Repubblica degli Stagisti si appella ancora una volta al ministro Fornero e al viceministro Martone. È più che mai necessaria e urgente una definizione di standard minimi nazionali per la gestione dei tirocini, a cominciare dall'introduzione di un rimborso spese obbligatorio (e non solo per i tirocini extracurriculari, ma anche per quelli curriculari). Nel testo-bozza di riforma, che in questi giorni il governo sta trasformando in un vero e proprio ddl su cui poi Camera e Senato saranno chiamati a pronunciarsi, si legge che il governo Monti ha intenzione di elaborare «misure rivolte a delineare un quadro più razionale ed efficiente dei tirocini formativi e di  orientamento, al fine di valorizzarne le potenzialità in termini di occupabilità dei giovani e prevenire gli abusi, nonché l’utilizzo distorto dell’istituto, in concorrenza con il contratto di apprendistato. Ciò tramite la previsione di linee guida per la definizione di standard minimi di uniformità della disciplina sul territorio nazionale». Ma bisogna dire al più presto in cosa il governo pensa di far consistere queste linee guida, se pensa per esempio di includere anche l'obbligatorietà di un rimborso spese minimo a favore degli stagisti, o il divieto di fare stage extracurriculari. Altrimenti le Regioni continueranno a legiferare ognuna per conto proprio, come già hanno iniziato a fare, condannando i giovani alla pessima prospettiva del "città che vai, diritti che trovi".Eleonora VoltolinaPer saperne di più leggi anche:- Tirocini, il costituzionalista: «Lo Stato potrebbe fare una legge quadro»- Riforma del lavoro, il testo apre a nuove linee guida nazionali sugli stage- La Toscana approva la nuova legge sugli stage: per la prima volta in Italia il rimborso spese diventa obbligatorioE anche:- Stage in Sicilia, primo passo verso la legge di iniziativa popolare- Chi c'è dietro la nuova legge della Regione Toscana sugli stage? Un gruppo di ventenni

Emergenza stage anche in Usa, un giornalista si chiede: come sarebbe un mondo senza più stagisti?

Cos’è esattamente uno stage e che impatto ha sulla nostra vita? Le conseguenze economiche politiche e sociali degli internship per chi li fa e per tutti gli altri sono al centro del libro Intern nation: how to learn nothing and earn little in the Brave new economy di Ross Perlin, pubblicato pochi mesi fa dalla Verso [nell'immagine a destra]. Perlin è un giornalista e scrittore newyorkese 29enne. Dopo aver studiato a Princeton, Tsinghua University e Stanford, sta ora svolgendo in Cina ricerche per la sua tesi di dottorato in linguistica alla University of London.Intern nation, un libro sorprendentemente simile a quello scritto in Italia nel 2010 da Eleonora Voltolina (La Repubblica degli Stagisti – Come non farsi sfruttare, edizioni Laterza) nasce da un’inchiesta durata tre anni su una pratica dilagante e non regolamentata che solo in America coinvolge ogni anno da uno a due milioni di giovani. «Ho scritto questo libro per esplorare un unico tema: gli stage sono un nuovo modo di lavorare, una pratica recente e dinamica con enormi conseguenze per l’istruzione superiore, l’accesso al mondo dei colletti bianchi, l’ineguaglianza sociale e il futuro del mondo del lavoro».L’internship è un fenomeno storicamente recente (i primi negli Stati Uniti apparvero all’inizio del secolo scorso ed erano dedicati agli studenti di medicina) ma utilissimo per le industrie dato che fa loro risparmiare ogni anno 600 milioni di dollari. Infatti per un’azienda mettere in piedi un programma di stage significa «una continua fornitura di lavoratori specializzati e non pagare contributi e costi d’assunzione». Questo tipo di internship è però illegale secondo il Fair labor standars act, la legge che regola i rapporti professionali negli Stati Uniti. Come da noi, anche in America può non essere previsto un rimborso spese a favore del tirocinante, a patto che si offra formazione. Ma solo ed esclusivamente formazione: senza insomma che lo stagista diventi produttivo. Il punto è che pochi conoscono questa legge e che non c’è controllo; secondo Perlin [nella foto], «il non rinforzare il FLSA da parte del governo rientra in un disegno più grande di lasciar decadere le protezioni del New deal in nome della deregolamentazione del mercato del lavoro». «Il fallimento di misurare od occuparsi del problema dell’esplosione degli stage è sintomatico» continua l’autore: «semplicemente leggi e regolamenti non sono al passo con i tempi. L’indifferenza dei sindacati rivela la loro apatia e la loro mancanza di una posizione solida nel mondo dei colletti bianchi».Non vigilano neanche le università americane, pur obbligando i propri studenti a fare internship per potersi laureare (nel 1992 solo il 17% dei laureati aveva fatto uno stage, quindici anni dopo erano già il 50%); e ormai sotto questa etichetta si trova di tutto. L’occasione è troppo ghiotta perché le aziende se la lascino sfuggire - specie in periodo di crisi economica. Così Perlin descrive come un colosso del calibro della Disney grazie al suo College program ogni anno riesca reclutare ben 8mila studenti. Questi ragazzi sciamano da tutti gli Stati Uniti verso i famosi parchi divertimenti, dove si trovano a fare i commessi, servire hamburger e patatine ai turisti o raccogliere immondizia. La formazione che si ottiene è di tale pochezza che molti abbandonano il programma prima della fine - ma migliaia di altri continuano a iscriversi, incantati dalla possibilità di mettere nel curriculum il nome di un’azienda prestigiosa.Perlin immagina un mondo senza internship: negli uffici non ci sarebbe nessuno a fare fotocopie, portare il caffè o gestire la posta, le associazioni no profit dovrebbero scegliere se destinare fondi a un impiegato o a una buona causa, i politici si troverebbero senza portaborse… Se però è indubbio che governi e università devono vigilare e iniziare a considerare gli stagisti come lavoratori, anche i ragazzi per primi devono cambiare mentalità e rendersi conto della propria importanza. Pretendere gli stessi diritti degli impiegati li aiuterebbe a farsi valere in tribunale contro ditte scorrette e otterrebbero benefit come l’assicurazione medica, fondamentale in un regime di sanità privata come quello americano. Cresciuti con l’idea che l’internship sia necessario per laurearsi e lavorare, spesso si sentono fortunati quando ne ottengono uno anche senza rimborso. Invece è necessario non accontentarsi e pretendere una giusta paga, non solo per sé ma anche per tutti quelli che sono stati licenziati e sostituiti da stagisti e per chi l’internship non la può fare perché deve mantenersi. Idealmente riuniti in un’associazione internazionale, Perlin spera in uno sciopero mondiale che faccia capire a tutti e agli stagisti per primi quanto siano fondamentali oggi nell’economia.Valentina NavonePer saperne di più su questo argomento leggi anche gli articoli:- Nicola Zanella, autore del libro "Il brainstorming è una gran caxxata": «Gli stage servono a far lavorare gratis la gente» - La Repubblica degli stagisti di Eleonora Voltolina- Stage gratuiti o malpagati, ognuno può fare la sua rivoluzione: con un semplice «no»

Donne e libere professioni, un binomio ancora difficile

Correva l'anno 1919 e per la prima volta le donne venivano ammesse all'esercizio delle libere professioni e al pubblico impiego. È passato quasi un secolo - e che secolo - eppure la strada per la piena affermazione lavorativa della donna è ancora lunga. Tra i dieci ordini nazionali con più iscritti, nel 2011 solo uno - quello dei consulenti per il lavoro - è stato presieduto da una donna, Marina Calderone [sotto, durante la cerimonia di insediamento]: con un consiglio, però, tutto al maschile. Il testo di  riforma sulle libere professioni, parte della più ampia legge di conversione sulle liberalizzazioni definitivamente approvata la settimana scorsa dal Parlamento, del resto non apre spiragli di cambiamento: nessuna misura ad hoc per incentivare il lavoro delle libere professioniste. Una buona occasione per riparlare, a dispetto del principio dell'ubi maior minor cessat, di una questione nella questione: «Libere professioni al femminile» (Palomar, 78 pagine) di Letizia Carrera, 42 anni, da dieci ricercatrice in Sociologia all'università di Bari, che zooma nel mondo del lavoro femminile alla ricognizione dei punti di criticità e dei mutamenti nel mondo delle partite iva in rosa. Avvocate (perché «intervenire sul "sessismo linguistico" significa incidere sulla realtà stessa»), commercialiste, architette, consulenti per il lavoro, giornaliste, ingegnere, psicologhe: oggi le giovani donne italiane in teoria posso fare il mestiere che vogliono. Sì, ma a quale prezzo?«Ho sempre la figura di una moneta, che gira e gira su se stessa, e bisogna solo sperare che non cada, perché da una parte c'è la carriera e dall'altra la vita familiare»: così racconta un'avvocata, una delle ottanta voci femminili raccolte nel libro. Che è appunto frutto di una ricerca sul campo, commissionata al comitato Pari opportunità dell'università di Bari dalla consigliera regionale di parità Serenella Molendini e condotta in Puglia tra il 2010 e il 2011. La Carrera, membro del comitato ed esperta di questioni di genere (ha firmato anche «Donne e lavoro» e «Le donne distanti. Tempi luoghi modi della partecipazione politica») incrocia dati teorici e dati empirici di prima mano per evidenziare i maggiori freni all'affermazione delle donne in questo particolare segmento del settore autonomo. Come per tutto il mondo del lavoro, il sesso tutt'oggi influenza le scelte formative, scrive Carrera. Se tra gli iscritti all'albo nazionale degli psicologi oltre l'80% sono donne (ma a presiedere il consiglio è un uomo, e uomini sono anche vicepresidente, tesoriere e segretario), tra gli ingegneri la percentuale crolla al 12. Poco meglio le avvocate, solo il 19% del totale, e le commercialiste, meno di un terzo. Insomma, le donne continuano a studiare per fare mestieri da donna, più compatibili con l'immagine sociale di caregiver, titolare del lavoro di cura e dell'assistenza, che con quella maschile di breadwinner: chi, letteralmente, porta il pane a casa. Del resto, meno tempo per il lavoro vuol dire meno guadagni, e anche nel settore autonomo il gender pay gap - il differenziale salariale tra uomini e donne - è una realtà. «La libera professione ti occupa tutta la giornata, non stacchi mai. Appena ho avuto l'opportunità sono passata in azienda» racconta una programmatrice, che si è così sollevata anche dall'onere di costruire e mantenere un pacchetto clienti, elemento cruciale di una qualsiasi libera professione. Per il quale la diffidenza maschile è tutt'altro che un lontano ricordo: «Mi chiedono di fare un lavoro ma poi non lo posso firmare, perché mi dicono che il committente vuole un uomo» afferma un'ingegnera. Non mancano comunque le voci fuori dal coro, come quella di una giornalista (nubile) secondo cui è «solo una questione di volontà. Se uno vuole farcela ce la fa! A volte penso che questa cosa delle donne sia un alibi». Se però il cliente scappa durante un'astensione obbligata per maternità (obbligata dalle circostanze, non certo dalla legge), altro che alibi. In fatto di figli, sono le libere professioniste più di tutte ad autoimporsi un aut aut: «Le donne si trovano a dover scegliere e quindi scelgono. Se ci tieni al lavoro non c'è spazio per altro, figurati per i figli. Rischi solo di essere una cattiva madre e di non riuscire neanche bene nel lavoro» riassume un'ingegnera 45enne. O, di rinvio in rinvio, il "momento giusto" passa («Non c'era tempo allora e ora ovviamente è tardi!» esclama una psicologa 48enne). Ma quanti neo papà, ad esempio, chiedono il congedo? Il ddl di riforma del mercato del lavoro approntato lo scorso venerdì dal ministro Fornero - o meglio, ministra - lo prevede in maniera obbligatoria per tutti i padri lavoratori al capitolo 7 ("Interventi per una maggiore inclusione delle donne nella vita economica"), per «favorire una cultura di maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli all’intero della coppia». Congedo obbligatorio, dunque, ma flash: solo tre giorni, contro il suggerimento dell'Europa che in più occasioni ha ipotizzato due settimane. Meglio poco che niente? In questo caso forse sì.La parità è sicuramente lontana ma, del resto, è solo parte della soluzione. Come sottolinea la consigliera Molendini, bisogna andare oltre: rivoluzionare il modello stesso di lavoratore e lavoratrice. Lavoro di cura e lavoro retribuito per il mercato non sono realtà conflittuali da tenere in equilibrio, ma parte di un tutto, per entrambi i sessi. Un "doppio sì" è possibile - sì alla maternità e alla paternità, sì al lavoro - ma solo a patto che lo Stato si faccia carico di serie misure di welfare, perché le esigenze di una nuova famiglia devono poter trovare risposta anche al di fuori delle vecchie famiglie, quelle d'origine dei genitori. Un aiuto prezioso, che non tutti però hanno la fortuna di avere.  Annalisa Di PaloPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Per risollevare l'economia bisogna ripartire dalle donne- L'apartheid del lavoro italiano al vaglio della Commissione europea: le ragioni di una denuncia- Sempre più numerosi i giovani che aprono la partita Iva: i consigli dell'esperto Dario Banfi a tutti gli aspiranti freelance

Riforma del lavoro, ecco punto per punto cosa riguarda i giovani

Da venerdì c'è un testo che illustra i contenuti della riforma del mercato del lavoro prossima ventura, così come immaginata dal governo Monti e proposta al Parlamento, che ora la dovrà discutere e probabilmente modificarla. Il 90% del dibattito pubblico, politico e televisivo si è incentrato nelle ultime settimane su un unico punto: la modifica dell'articolo 18, quella parte dello Statuto dei lavoratori che impone il reintegro, nelle aziende con più di 15 dipendenti, di chi contesta in Tribunale di aver subito un licenziamento illegittimo, cioè non motivato da «giusta causa o giustificato motivo». La Repubblica degli Stagisti, ben consapevole che l'articolo 18 non tocca che un'infinitesima parte dei lavoratori under 40, vuole invece focalizzare l'attenzione sulle disposizioni che toccano e riguardano davvero i giovani. E lo fa senza voli pindarici: a partire dal testo.  Contratti a tempo determinato  Sui contratti a tempo determinato (punto 2.1), innanzitutto, la prima proposta del ministro Fornero è evitare l'odiosa "pausa" di 15-20 giorni che le aziende usano per mettersi al riparo dalle cause quando fanno più contratti consecutivi alla stessa persona: «Il contrasto ad un’eccessiva reiterazione di rapporti a termine tra le stesse parti è perseguito tramite l’ampliamento dell’intervallo tra un contratto e l’altro a 60 giorni nel caso di un contratto di durata inferiore a 6 mesi, e a 90 giorni nel caso di un contratto di durata superiore (attualmente, 10 e 20 giorni)». Una misura sicuramente positiva. Inoltre «si stabilisce che ai fini della determinazione del periodo massimo di 36 mesi (comprensivo di proroghe e rinnovi) previsto per la stipulazione di contratti a termine con un medesimo dipendente vengano computati anche eventuali periodi di lavoro somministrato intercorsi tra il lavoratore e il datore/utilizzatore». Questo impedirà di saltabeccare da contratto diretto a contratto tramite agenzia interinale, eludendo la normativa, sempre con il solito obiettivo odioso di mettersi al riparo da possibili grane giudiziarie. D'altra parte però il limite dei 36 mesi apre uno squarcio poco promettente: potrebbe formarsi in breve tempo un piccolo esercito di "licenziati del 35esimo mese".Apprendistato e lavoro intermittenteSaltando il contratto di inserimento - perché il testo dice chiaramente che le risorse qui verranno concentrate «sui lavoratori ultra cinquantenni disoccupati da almeno 12 mesi», quindi non sui giovani - si passa all'apprendistato (punto 2.3) che viene indicato come il contratto su cui puntare per inserire gli under 30 nel mercato. Il testo Monti-Fornero propone l'introduzione «di un meccanismo in base al quale l’assunzione di nuovi apprendisti è collegata alla percentuale di stabilizzazioni effettuate nell’ultimo triennio (50%)», ma nulla viene detto sulle piccole imprese, quelle che prendono solo uno o due apprendisti all'anno: anche loro dovranno assoggettarsi a questo 50%? E quelle che in tutti questi anni non ne hanno mai presi? Sempre sull'apprendistato, altre due disposizioni sono l'innalzamento «del rapporto tra apprendisti e lavoratori qualificati dall’attuale 1/1 a 3/2» e la «durata minima di sei mesi del periodo di apprendistato». Per il resto, Monti e Fornero fanno riferimento al testo unico licenziato dal precedente ministro, Maurizio Sacconi, nel 2011.Per quanto riguarda il contratto di lavoro intermittente (punto 2.5), il deterrente all'abuso viene individuato nell’obbligo a «effettuare una comunicazione amministrativa preventiva, con modalità snelle (sms, fax o PEC), in occasione di ogni chiamata del lavoratore». Contratto a progettoAl punto successivo, il 2.6, c'è poi finalmente il lavoro a progetto. Per scoraggiare i datori di lavoro dall'abusare dei cocopro, il governo immagina di imporre una «definizione più stringente del “progetto”, che non può consistere in una mera riproposizione dell’oggetto sociale dell’impresa committente». Viene proposta una limitazione, seppur solo «tendenziale», all'utilizzo di questa tipologia contrattuale per «mansioni non meramente esecutive o ripetitive così come eventualmente definite dai contratti collettivi, al fine di enfatizzarne la componente professionale». Introducendo poi «una presunzione relativa in merito al carattere subordinato della collaborazione quando l’attività del collaboratore a progetto sia analoga a quella svolta, nell’ambito dell’impresa committente, da lavoratori dipendenti fatte salve le prestazioni di elevata professionalità»: in questo modo si dovrebbe evitare che le aziende inseriscano i nuovi entranti col cocopro mentre i dipendenti più anziani, incaricati di svolgere le stesse mansioni, sono invece correttamente inquadrati con contratti di lavoro subordinato. Infine, per questa tipologia di contratti non verrebbero più consentite le «clausole individuali che consentono il recesso del committente, anteriormente alla scadenza del termine e/o al completamento del progetto». Insomma nessun lavoratore a progetto potrebbe più essere licenziato prima della fine dello contratto. Ma la cosa forse più interessante di tutte rispetto al contratto a progetto è che Fornero si smarca dai suoi precedessori berlusconiani, e in particolare dal leghista Roberto Maroni, proponendo una interpretazione molto rigida rispetto alla sanzione da comminare ai datori di lavoro che fanno i furbi con questa tipologia: «È proposta, infine, una norma interpretativa sul regime sanzionatorio, che chiarisce, d’accordo con la giurisprudenza di gran lunga prevalente (ma superando la posizione già assunta dal Ministero del lavoro con la precedente circolare n. 1/2004), che in caso di mancanza di un progetto specifico il contratto a progetto si considera di lavoro subordinato a tempo indeterminato». E fine dei giochi.Discorso a parte invece per le novità rispetto ai contributi: «un incremento dell’aliquota contributiva IVS degli iscritti alla gestione separata Inps, così da proseguire il percorso di avvicinamento alle aliquote previste per il lavoro dipendente». Ma purtroppo questo aumento graverà con tutta probabilità sulle spalle dei lavoratori.Partite IvaAltra modalità frequentissima di lavoro autonomo - che però spesso maschera normali rapporti di lavoro dipendente - è la partita Iva (punto 2.7). Qui Monti e Fornero propongono l'introduzione di «norme rivolte a far presumere, salvo prova contraria (ferma restando, cioè, la possibilità del committente di provare che si tratti di lavoro genuinamente autonomo), il carattere coordinato e continuativo (e non autonomo ed occasionale) della collaborazione». Ad alcune condizioni ovviamente: che «essa duri complessivamente più di sei mesi nell’arco di un anno», che «da essa il collaboratore ricavi più del 75% dei corrispettivi (anche se fatturati a più soggetti riconducibili alla medesima attività imprenditoriale)» e infine che «comporti la fruizione di una postazione di lavoro presso la sede istituzionale o le sedi operative del committente». Sì ma cosa succederà, nelle intenzioni del governo, in caso venga appurato che le tre condizioni sussistono e che quindi la persona inquadrata come partita Iva è in realtà, salvo prova contraria, un collaboratore coordinato e continuativo, e sopratutto non autonomo? Qui il testo apre a un'insperata prospettiva: «Qualora l’utilizzo della partita Iva venga giudicato improprio, esso viene considerato una collaborazione coordinata e continuativa (che la normativa non ammette più in mancanza di un progetto), con la conseguente applicazione della relativa sanzione di cui all’art.69 comma 1 del Dlgs 276/03». Il comma citato, per la cronaca, prescrive che «i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa instaurati senza l'individuazione di uno specifico progetto, programma di lavoro o fase di esso […] sono considerati rapporti di lavoro subordinato a tempo indeterminato sin dalla data di costituzione del rapporto». Insomma, una bomba: in queste poche righe il testo Monti-Fornero sembra abolire i cococo e prescrivere che tutte le collaborazioni coordinate e continuative debbano essere riqualificate come rapporti a tempo indeterminato. Forse la Repubblica degli Stagisti pecca di ottimismo? L'auspicio è che non arrivi qualcuno a smentire, sminuire, circoscrivere.Associazione in partecipazione e lavoro accessorioIl punto successivo (2.8) è dedicato al contratto di associazione in partecipazione: «Si prevede di preservare l’istituto solo in caso di associazioni tra familiari entro il 1° grado o coniugi», quindi finalmente di vietare che con questa tipologia i negozianti possano assumere commessi al di fuori del contratto nazionale del commercio (opzione sempre più frequente: una storia così per esempio è raccontata nel capitolo «Contratti, al potere la fantasia» nel libro Se potessi avere mille euro al mese).Per quanto riguarda il lavoro accessorio (2.9), il governo intende «restringere il campo di operatività dell’istituto e a regolare il regime orario dei buoni (voucher)». Con una buona notizia che però più che i giovani riguarda gli immigrati di qualsiasi età: «Si intende inoltre consentire che i voucher siano computati ai fini del reddito necessario per il permesso di soggiorno». Tirocini formativiInfine, gli stage: come già anticipato, il punto centrale è che il governo vuole emettere delle «linee guida per la definizione di standard minimi di uniformità della disciplina sul territorio nazionale». Si va quindi verso una nuova normativa che aggiorni sia il dm 142/1998 sia il recente articolo 11 del decreto legge 138/2011, che tante polemiche ha sollevato sopratutto a causa della successiva circolare ministeriale. Resta però aperto il nodo dei contenuti di queste linee guida: il ministro ha dichiarato in più di un'occasione di avere intenzione di abolire gli stage post-formazione e quelli gratuiti, ma in questo primo testo non vi sono dettagli. Ammortizzatori socialiUn'altra grande parte di riforma che andrà a toccare i giovani sarà quella che riguarda gli ammortizzatori sociali e in particolare l'introduzione dell'Aspi, l'assicurazione sociale per l’impiego (punto 4.1). Però attenzione a cantare vittoria. «L’ambito di applicazione viene esteso – tra i lavoratori dipendenti - agli apprendisti e agli artisti, oggi esclusi dall’applicazione di ogni strumento di sostegno del reddito». Considerando che i contratti di apprendistato attivati annualmente sono poco più di 200mila, e che gli artisti sono più o meno lo stesso numero, significa che l'ampliamento del raggio d'azione della copertura in caso di disoccupazione viene estesa davvero pochissimo. Risulta a questo punto poco comprensibile come la Fornero in conferenza stampa, la settimana scorsa, abbia potuto parlare di un passaggio «da 3 a 12 milioni di potenziali aventi diritto»: sulla base di quali conteggi? Inoltre, poco sotto si legge anche che i requisiti per accedere all'Aspi saranno fin troppo stringenti: «2 anni di anzianità assicurativa ed almeno 52 settimane nell’ultimo biennio». A parte il fatto che per un artista lavorare "ufficialmente" per 6 mesi all'anno è molto raro, resteranno comunque fuori tutti coloro che hanno lavorato a singhiozzo - o con tipologie contrattuali differenti, per esempio alternando contratti a progetto a somministrazione a tempi determinati. Tutte queste esclusioni non permettono dunque di considerare l'Aspi un vero sistema «universalistico», anche se la sua introduzione rimane un fattore molto positivo, così come la modulazione del contributo e la limitazione nel tempo, orientata a configurarlo non come una misura assistenzialistica "eterna", ma come un sostegno temporaneo durante la ricerca di nuovo lavoro. Il governo si affretta a precisare che «con riferimento ai collaboratori coordinati e continuativi, pur esclusi dall’ambito di applicazione dell’Aspi, si rafforzerà e porterà a regime il meccanismo una tantum oggi previsto». Al punto 4.2 infatti viene illustrato il meccanismo della «MiniAspi», cioè i trattamenti brevi: «Viene del tutto modificato l’impianto dell’attuale indennità di disoccupazione con requisiti ridotti, condizionandola alla presenza e permanenza dello stato di disoccupazione». Almeno Monti e Fornero si rendono conto dell'assurdità di pagare questo sussidio con un anno di ritardo: «L’indennità viene pagata nel momento dell’occorrenza del periodo di disoccupazione e non l’anno successivo». Requisito di accesso: «la presenza di almeno 13 settimane di contribuzione negli ultimi 12 mesi (mobili)».A fronte di tutto questo, la riforma prevede un aumento della contribuzione: «Aliquota aggiuntiva del 1,4% per i lavoratori non a tempo indeterminato.Lavoro femminileUn ultimo aspetto rilevante per i giovani è «la disposizione volta a contrastare la pratica delle cosiddette “dimissioni in bianco”» (punto 7.1), troppo spesso richieste alle giovani donne al momento dell'assunzione per tutelarsi in caso di futura gravidanza, e il rafforzamento del «regime della convalida delle dimissioni rese dalle lavoratrici madri». Per le neomamme c'è anche «l’introduzione di voucher per la prestazione di servizi di baby-sitting»: cioè una serie di buoni erogati dall'Inps, richiedibili «dalla fine della maternità obbligatoria per gli 11 mesi successivi in alternativa all’utilizzo del periodo di congedo facoltativo per maternità», per pagare una tata. Un segnale culturale importante, ma davvero troppo debole nella sua formulazione, è il congedo di paternità obbligatorio «riconosciuto al padre lavoratore entro 5 mesi dalla nascita del figlio», ma per un periodo davvero irrisorio: «tre giorni continuativi».Politiche attive e servizi per l'impiegoUn discorso a parte meriteranno le misure contenute nell'ultimo paragrafo del documento, quello dedicato alle politiche attive e ai servizi per l'impiego, che il governo si ripromette di riformare radicalmente. È indubbio che una maggior efficacia ed efficienza dei cpi comporterebbe un netto miglioramento della vitalità del mercato domanda-offerta di lavoro e andrebbe a tutto vantaggio dei giovani. Ma questa parte della riforma è al momento solamente abbozzata. In sostanza la riforma Fornero contiene molti spunti interessanti dal punto di vista dei giovani: sarebbe però potuta essere più incisiva, sopratutto dal punto di vista dello sfoltimento delle tipologie contrattuali (abolendone qualcuna), dell'universalizzazione del sussidio di disoccupazione, dell'intensificazione dei controlli - come giustamente si è fatto per il contrasto all'evasione fiscale. Il timore è che anche in Parlamento tutto il dibattito si concentri sulla questione dell'articolo 18, e venga lascia da parte la discussione di modifiche che potrebbero migliorare la vita di un numero molto maggiore di cittadini lavoratori.Eleonora VoltolinaPer saperne di più sulla riforma del lavoro, leggi anche:- Ma rilanciare l'apprendistato non basta- Abolire gli stage post formazione: buona idea ministro, ma a queste condizioni- Riforma del lavoro, il testo apre a nuove linee guida nazionali sugli stage- Riforma del lavoro, inutile senza quella degli stageE anche:- Università come agenzie per il lavoro a costo zero: una deriva da scongiurare- Tirocini, il costituzionalista: «Lo Stato potrebbe fare una legge quadro»- Apprendistato: coinvolge pochissimi laureati e spesso non garantisce vera formazione

Riforma del lavoro, il testo apre a nuove linee guida nazionali sugli stage

Finalmente c'è un testo. La riforma del mercato del lavoro di Elsa Fornero da venerdì sera è nero su bianco: 26 pagine che intendono ridisegnare il diritto del lavoro e gli ammortizzatori sociali. Ora la palla passa al Parlamento.Ma cosa dice la riforma rispetto agli stage? Il paragrafo che li riguarda si trova a pagina 8, al punto 2.10, e dice: «Nel rispetto dei profili di competenza regionale, si individuano, unitamente alle regioni stesse, misure rivolte a delineare un quadro più razionale ed efficiente dei tirocini formativi e di  orientamento, al fine di valorizzarne le potenzialità in termini di occupabilità dei giovani e prevenire gli abusi, nonché l’utilizzo distorto dell’istituto, in concorrenza con il contratto di apprendistato. Ciò tramite la previsione di linee guida per la definizione di standard minimi di uniformità della disciplina sul territorio nazionale. Potranno in ogni caso essere previste misure, riconducibili alla esclusiva competenza dello Stato, volte a disciplinare i periodi di attività lavorativa che non costituiscono momenti del percorso di tirocinio formativo, ad evitare un uso strumentale e distorto delle attività esclusivamente lavorative svolte nel tirocinio».Il governo insomma ufficializza ciò che la Repubblica degli Stagisti denuncia da oltre tre anni, e cioè che con l'attuale regolamentazione gli stage sono talmente più convenienti di qualsiasi altro contratto da affossare automaticamente l'utilizzo dell'apprendistato. È certamente positivo che si impegni a contrastare gli abusi e le distorsioni, e che si riprometta di definire gli standard minimi nazionali: sembra il preludio alla nostra richiesta di una legge quadro in grado di garantire a tutti i giovani italiani condizioni uguali in tutte le regioni italiani, evitando che la regolamentazione vada a macchia di leopardo e che vi siano macroscopiche differenze di diritti, doveri e regolamentazione di accesso da un territorio all'altro.Meno comprensibile è invece il passaggio sui «periodi di attività lavorativa» all'interno del tirocinio: come andrebbero individuati questi periodi? Lo stage è per sua natura un momento di formazione «on the job», che prevede che il giovane impari facendo. Che significa dunque il riferimento alle «attività esclusivamente lavorative svolte nel tirocinio»? La frase risulta criptica: lo stesso stage potrà essere in parte normato a livello regionale, per le ore in cui lo stagista ascolta e guarda il tutor e apprende, e in parte normato a livello statale, per le ore in cui mette in pratica ciò che ha appena imparato? Il rischio forte qui è di creare bizantinismi e livelli sovrapposti di regolamentazione e competenza, il che va nel senso opposto rispetto a quello di semplificare e garantire agli stagisti regole certe.Da rilevare, infine, che nel testo non appaiono le due grandi novità annunciate la settimana scorsa dal ministro Fornero, prima nella trasmissione «Che tempo che fa» e poi nella conferenza stampa di presentazione della riforma. E cioè l'intenzione di abolire gli stage post-formazione, permettendo gli stage solo se svolti durante un percorso formativo, e quella di contrastare gli stage gratuiti. Il fatto che le due disposizioni non appaiano nero su bianco non significa che il ministero guidato da Fornero e Martone non abbia intenzione di portare avanti queste proposte: bisognerà vedere però a questo punto cosa prevederanno le linee guida. Cioè attendere ancora.Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Abolire gli stage post formazione: buona idea ministro, ma a queste condizioniE anche:- Università come agenzie per il lavoro a costo zero: una deriva da scongiurare- Riforma del lavoro, il ministro Fornero: «Non andrà in vigore prima del 2013»

Padova, le linee guida sui tirocini di qualità ci sono ma non vengono applicate

La Provincia di Padova ha approvato delle innovative linee guida per garantire tirocini di qualità. Peccato che non le applichi. O meglio, che le faccia valere solo per quei progetti di stage che vengono organizzati direttamente dai centri per l'impiego. Per tutti gli altri, che pure passano attraverso i cpi (che funge, come si dice tecnicamente in questi casi, da «soggetto promotore» del tirocinio) le linee guida restano lettera morta.Accade così che gli oltre 400 stage partiti in provincia di Padova tra la fine del 2011 e l'inizio del 2012 nell'ambito del bando regionale Welfare to Work, che pure ha visto i centri per l'impiego impegnati direttamente nell'attivazione, siano partiti senza rispettare in pieno il contenuto della delibera votata nel novembre scorso dalla giunta provinciale.Per fortuna almeno il criterio del rimborso spese è rispettato: la borsa mensile di 600 euro supera quella imposta dalle linee guida, che richiede un emolumento minimo di 300 euro per i diplomati e di 400 euro per i laureati. Ma lo stesso non si può dire per quanto riguarda l'impegno a promuovere «esclusivamente tirocini che abbiano un effettivo contenuto di orientamento e formativo», altro elemento qualificante del documento approvato dalla giunta provinciale. «Gli stage erano anche per camerieri, parrucchieri, commessi, idraulici: mi chiedo dove stia il progetto formativo», denunciava qualche settimana fa una lettrice sul forum della Repubblica degli Stagisti. I progetti attivati hanno in effetti riguardato anche professioni per le quali non è necessario un periodo di formazione lungo addirittura quattro mesi, che rischia anzi di trasformarsi in un vantaggio solo per l'azienda.Ma perché la provincia ignora così platealmente la propria deliberazione? «Si tratta di due questioni distinte» ha spiegato alla Repubblica degli Stagisti Giorgio Santarello [a destra nella foto, insieme all'assessore Barison], responsabile della direzione lavoro della provincia di Padova. «Noi come ente abbiamo approvato queste linee guida per tutti coloro che vogliono che i loro progetti di stage siano promossi dai centri per l'impiego, mentre Welfare to Work è un progetto speciale promosso con la Regione Veneto». E su quest'ultima iniziativa Santarello dice che «le linee guida non valgono». Secondo lui insomma le garanzie minime per gli stagisti nel padovano viaggerebbero a targhe alterne: sarebbero valide per i progetti di stage realizzati dalla a alla z dai cpi della provincia, e sparirebbero per i progetti lanciati da altri, anche se poi resi operativi dai centri per l'impiego. E la politica cosa dice? È d'accordo con questa interpretazione l'assessore Massimiliano Barison? Con lui, responsabile della Formazione e del Lavoro della provincia di Padova, la Repubblica degli Stagisti avrebbe voluto approfondire la questione. Senz'altro importante, visto che nel solo 2010 sono stati 5.145 gli stage attivati in questo territorio, di cui circa un quarto promossi dal cpi. Ma nonostante i ripetuti tentativi di contattarlo l'assessore non ha mai trovato il tempo per rispondere: secondo la sua segreteria era «impegnato in una vertenza». Per giorni e giorni.Ha risposto invece Paolo Giacon, il consigliere provinciale del Partito Democratico che con la sua mozione aveva innescato in autunno il processo sfociato nell'approvazione delle linee guida. «Se tutto questo corrisponde al vero, direi che non è possibile: il problema è infatti la qualità dello stage, elemento fondamentale». Perché «magari uno accetta 200 euro in meno, ma per un progetto che davvero lo qualifichi. Mentre qui si apre a professioni per le quali non serve un tirocinio, ma esistono altre tipologie di contratto». L'esponente dell'opposizione si ripromette di verificare come siano andate realmente le cose: «Presenterò una richiesta di accesso agli atti per capire cosa sia successo».Riccardo SaporitiPer saperne di più su questo argomento leggi anche:- La Regione Veneto avvia Welfare to Work: 1.250 stage con rimborso di 600 euro al mese per gli under 30- Oltre mille tirocini attivati in un mese: in Veneto stagisti a caccia di aziende- Provincia di Padova, la giunta detta le linee guida: stop agli stage gratuiti e niente stagisti nelle imprese non virtuoseE anche:- La legge 34/2008 della Regione Piemonte su mercato del lavoro e stage- La Toscana approva la nuova legge sugli stage: per la prima volta in Italia il rimborso spese diventa obbligatorio

Tirocinio: una parola, tanti significati

Negli ultimi tempi si parla moltissimo di tirocini. Ma si rischia anche di fare confusione. Ecco una breve panoramica per sapere sempre di cosa si parla.Tirocini di formazione. Definizione completa: «tirocini formativi e di orientamento». Sinonimo più utilizzato: «stage». Con questo termine si indicano i tirocini più diffusi e noti, quelli che possono essere svolti in qualsiasi settore professionale, necessitando solo per l'attivazione di una convenzione e di un progetto formativo sottoscritto da un soggetto promotore (ad esempio un'università, un centro per l'impiego, un'agenzia per il lavoro) e un soggetto ospitante (cioè la struttura che ospiterà lo stagista: un'impresa privata, un ente pubblico, un'associazione non profit). Questo tipo di tirocini può essere svolto da chiunque stia compiendo un percorso di studi (es. studenti delle superiori, o universitari, o allievi di corsi e master), e in questo caso la durata massima è 12 mesi, oppure da chi abbia conseguito un diploma o una laurea da meno di 12 mesi. In questo caso la durata massima non può superare i 6 mesi, compresa l'eventuale proroga. I tirocini formativi e di orientamento sono normati dal dm 142/1998 e da alcune leggi regionali, e recentemente integrati dall'articolo 11 del decreto legge 138/2011 (poi trasformato in legge 148/2011). Il ministero del lavoro ha anche diramato lo scorso settembre una circolare (24/2011) contenente alcune indicazioni rispetto a una tipologia "parallela" di tirocini, definita «di cosiddetto reinserimento / inserimento lavorativo», aperta a persone disoccupate o inoccupate senza più il vincolo dei 12 mesi dal diploma o dalla laurea. Ma è in corso un dibattito sulla validità delle indicazioni di questa circolare, che tecnicamente non è una fonte di diritto. In generale, i tirocini formativi dovrebbero essere riservati a persone ancora prive di esperienza lavorativa. Il soggetto ospitante è tenuto a mettere a disposizione un tutor che segua assiduamente il percorso formativo in itinere. Anche il soggetto promotore deve designare un tutor, responsabile della procedura. Per questo tipo di tirocini non è previsto l'obbligo di erogare un rimborso spese a favore del tirocinante.Tirocini professionali. Definizione completa: "tirocini per l'accesso alle professioni regolamentate". Sinonimo più utilizzato: «praticantato». Qui si passa nel campo delle professioni cosiddette «regolamentate», che sono circa 150: quelle più classiche sono l'avvocato e il commercialista, ma sono compresi anche giornalisti e notai, ingegneri e geometri, architetti e farmacisti, controllori del traffico aereo, estetiste, maestri di sci e di snowboard, paesaggisti e restauratori, podologi e fisioterapisti. Nonché tutte le specialità mediche. L'elenco completo è allegato alla direttiva 2005/36/CE recepita con il decreto legislativo 206/2007. Per alcune di queste professioni è richiesto lo svolgimento di un tirocinio professionale, che il governo Monti si è ripromesso di sveltire e snellire. Nel decreto liberalizzazioni appena licenziato dal Senato e attualmente all'esame della Camera vi sono due riferimenti a questo tipo di tirocini, all'interno dell'articolo 9. Il primo riferimento sta dentro al quarto comma: «Al tirocinante è riconosciuto un rimborso spese forfettariamente concordato dopo i primi sei mesi di tirocinio». Il secondo riferimento è invece l'intero comma 6, in cui si legge: «La durata del tirocinio previsto per l’accesso alle professioni regolamentate non può essere superiore a diciotto mesi; per i primi sei mesi, il tirocinio può essere svolto, in presenza di un’apposita convenzione quadro stipulata tra i consigli nazionali degli ordini e il Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca, in concomitanza con il corso di studio per il conseguimento della laurea di primo livello o della laurea magistrale o specialistica. Analoghe convenzioni possono essere stipulate tra i consigli nazionali degli ordini e il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione per lo svolgimento del tirocinio presso pubbliche amministrazioni, all’esito del corso di laurea. Le disposizioni del presente comma non si applicano alle professioni sanitarie, per le quali resta confermata la normativa vigente». Attenzione però: la legge non è ancora passata, quindi l'equo compenso e le altre disposizioni non sono ancora operative.Tirocini formativi attivi. Anche conosciuti con l'acronimo «tfa», sono una novità della gestione Gelmini del ministero dell'Istruzione e costituiscono al momento l'ultimo passaggio del percorso per poter insegnare nelle scuole secondarie di primo e di secondo grado. Si tratta di  corsi di durata annuale istituiti dalle università. Essi attribuiscono, tramite un esame finale – che ciascun candidato sostiene davanti a una commissione composta da docenti universitari, un insegnante “tutor” in ruolo presso gli istituti scolastici e un rappresentante dell’ufficio scolastico regionale o del ministero – il titolo di abilitazione all’insegnamento. I tfa sono organizzati in tre gruppi di attività: insegnamenti di materie psico-pedagogiche e di scienze dell’educazione; un tirocinio svolto a scuola sotto la guida di un insegnante tutor, comprendente una fase osservativa e una fase di insegnamento attivo; insegnamenti di didattiche disciplinari che vengono svolti in un contesto di laboratorio mirante a stabilire una stretta relazione tra l’approccio disciplinare e l’approccio didattico. L’accesso ai tfa è a numero chiuso ed è programmato annualmente dal ministero, secondo la previsione di esigenze di personale a livello regionale.  All'inizio di marzo il ministero ha reso noti i numeri per l’anno accademico 2011/2012: i posti disponibili per le immatricolazioni al tfa per l’insegnamento nella scuola secondaria di primo grado sono 4.275, definiti in ambito regionale per ciascun ateneo; per la scuola secondaria di secondo grado i posti sono invece 15.792. Possono partecipare alle selezioni per l'accesso i laureati vecchio ordinamento, i laureati specialistici o magistrali e i diplomati Isef (solo per i tfa in scienze motorie). In più sono ammessi, senza dover sostenere alcuna prova, anche i «congelati Ssis». Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Aspiranti professionisti, con le liberalizzazioni si riduce la durata del praticantato. Ma scompare l'equo compenso- Alle nuove norme sui praticanti manca l'equo compenso, lo dice anche la commissione giustizia del Senato