Categoria: Approfondimenti

Il presidente della Commissione Lavoro della Camera consegna a Mario Monti i risultati dell'indagine sul precariato - l'audizione di Eleonora Voltolina

Silvano Moffa, deputato e presidente della Commissione Lavoro della Camera, ha pochi minuti fa consegnato al premier designato Mario Monti i risultati dell'indagine conoscitiva svolta nei mesi scorsi dalla sua commissione, incentrata sul mercato del lavoro e sui problemi dei giovani italiani a trovare un'occupazione stabile e ben retribuita.All'indagine ha contribuito la Repubblica degli Stagisti attraverso l’audizione del suo direttore, la giornalista Eleonora Voltolina [scarica qui il testo integrale]. «Quando si parla di precariato non si deve dimenticare che c’è una zona grigia che negli ultimi anni si è espansa a vista d’occhio: quella di chi è fermo sulla porta di ingresso, non è più uno studente ma non è ancora un lavoratore» aveva detto Voltolina in quell'occasione, ricordando che gli stagisti sono circa mezzo milione all’anno e che ad essi vanno aggiunti i circa 200mila praticanti che svolgono il periodo di praticantato per poter accedere ad alcune professioni.«I tirocini sono oggi usati in maniera schizofrenica» aveva denunciato Voltolina: «Da una parte paradossalmente ne sono quasi esclusi i giovanissimi, dall’altra vengono utilizzati molto su persone già adulte: lo stage post-laurea é ancora più frequente dello stage pre-laurea, una asincronia che fa perdere tempo prezioso ai giovani». Sottolineando che oggi lo strumento del tirocinio «è utilizzato ormai per tutti i generi di mestiere: dall'ingegnere al barista, dal giornalista alla commessa».Una situazione incontrollabile anche per mancanza di strumenti di monitoraggio: «Il sistema di attivazione degli stage fa capo a centinaia di diversi enti promotori che non sono in rete tra loro, quindi non si scambiano informazioni. Per questo auspico l'istituzione di una sorta di anagrafe degli stagisti, un database nazionale, o anche su base regionale, che possa convogliare tutti i dati relativi all’attivazione di ogni stage, e che permetta una trasparenza totale».Ai deputati membri della Commissione Lavoro Voltolina aveva evidenziato il problema principale di stagisti e praticanti: «Lavorano gratis». Spiegando che in Italia si è spezzato il legame tra lavoro e retribuzione: «Stagisti e praticanti non sono lavoratori, e per questo non hanno diritto a una retribuzione. Ma a un compenso sì. Perchè ogni persona che dedichi tempo ed energie ad una attività, e che contribuisca attraverso il suo apporto alla quotidianità e al profitto di un’organizzazione, ha diritto a vedere riconosciuto anche economicamente questo apporto».Dopo aver ricordato l’esistenza di un progetto di legge a prima firma Cesare Damiano che prevede per chi ospita uno stagista l’introduzione dell’obbligo a corrispondergli almeno 400 euro al mese di emolumento, come in Francia, Voltolina aveva sottolineato che gli stage gratuiti «sono pericolosi anche perchè alimentano la già preoccupante immobilità sociale del nostro Paese, permettendo che solo i figli delle famiglie abbienti possano affrontare periodi di formazione aggiuntiva non pagata».Rispetto all’attualità, e alla recente circolare del ministero del Lavoro che ha differenziato i «tirocini formativi e di orientamento» da quelli definiti «di cosiddetto inserimento / reinserimento lavorativo», il direttore della Repubblica degli Stagisti aveva lanciato un monito: «Operare una distinzione netta tra formazione e inserimento lavorativo è una forzatura pericolosa. Tutti i tirocini hanno per loro natura in sè una parte di formazione e una parte più o meno importante di obiettivo di inserimento: negarlo è pretestuoso. Anziché spezzettare e differenziare, l’obiettivo dovrebbe essere quello di unificare e semplificare».Eleonora Voltolina aveva poi ricordato che la Repubblica degli Stagisti fa parte di un tavolo, istituito informalmente presso il Parlamento europeo con il coordinamento dello European Youth Forum, che ha stilato una «Carta europea per la qualità degli stage e degli apprendistati» contenente una esplicita condanna della gratuità degli stage, che nei prossimi mesi passerà al vaglio del Parlamento UE. E alla Commissione ha rivolto un appello: «L’Italia non rimanga indietro su questo fronte, e non remi addirittura contro. È urgente adeguare la legislazione in modo da impedire l’utilizzo gratuito e lo sfruttamento degli stagisti, e introdurre un obbligo di rimborso spese per tutti gli stage e i praticantati», ricordando che la Regione Toscana proprio in questi giorni sta lavorando a una legge regionale in questo senso.In chiusura Voltolina aveva allargato il discorso dagli stage  a tutti i giovani precari o senza lavoro, auspicando l’introduzione di un salario minimo – «elemento di civiltà» che potrebbe riportare le retribuzioni dei giovani italiani all’interno dei «paletti chiari espressi nell’articolo 36 della Costituzione» – e di un  contratto unico per andare al di là delle «decine di forme contrattuali attualmente esistenti che generano confusione e disparità di trattamento» e ricondurle a una sola, «con tutele progressive e la certezza di poter godere di quelle garanzie che ad oggi sono precluse alla stragrande maggioranza dei giovani».E ricordando di essere tra i firmatari di una denuncia presentata il 14 settembre alla Commissione europea sulla situazione di apartheid del mercato del lavoro italiano, che potrebbe provocare l’apertura da Bruxelles procedura di infrazione e di diffida nei confronti dell’Italia, Eleonora Voltolina aveva chiuso ponendo una domanda provocatoria alla Commissione: «La situazione drammatica dei giovani italiani è sotto gli occhi di tutti: cosa aspettiamo a intervenire per proteggerli dallo sfruttamento, dalla sottoretribuzione e dal precariato eterno?»Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Stage, un'altra regolamentazione è possibile: il Pd scende in campo con il disegno di legge Damiano- L'apartheid del lavoro italiano al vaglio della Commissione europea: le ragioni di una denuncia- In Italia si guadagna troppo poco: per rendere dignitose le retribuzioni dei giovani bisogna passare dal «minimo sindacale» al «salario minimo»

La Repubblica degli Stagisti lancia quattro proposte alla Regione Lombardia per regolamentare i tirocini in maniera innovativa

Legare indissolubilmente apprendistato e tirocinio. Questa la proposta più innovativa che la Repubblica degli Stagisti ha lanciato alla Regione Lombardia in occasione del convegno «Tirocini e apprendistato in Lombardia», che si é tenuto venerdì al Pirellone. Invitata a intervenire insieme ai consiglieri regionali PD Stefano Tosi e Fabio Pizzul, a sindacalisti (Fulvia Colombini per la Cgil, Roberto Benaglia per la Cisl e Claudio Negro per la Uil) e rappresentanti delle imprese del territorio (Daniele Botti per Confindustria, Fabio Ramaiolo per Confapi, Giuseppe Vivace per la Cna) e alla responsabile lavoro del PD in Lombardia Laura Specchio, Eleonora Voltolina ha lanciato all'assessore regionale al lavoro Gianni Rossoni, impegnato in queste settimane nella stesura di una bozza di regolamento regionale in materia di stage, quattro proposte-chiave per risolverne i problemi principali. In maniera innovativa. La Lombardia ha infatti una responsabilità importante: da sola ospita un sesto degli stagisti di tutta Italia. Solo a Milano e provincia vengono attivati oltre 20mila stage ogni anno nelle imprese private; aggiungendo a questo numero gli 8-10mila stage negli enti pubblici, si arriva a oltre 30mila stage a Milano.La prima priorità che la Repubblica degli Stagisti evidenzia è la sostenibilità economica degli stage da parte dei giovani. Il rimborso spese, inteso come premio mensile forfettario, è imprescindibile per garantire questa sostenibilità. La maggior parte dei soggetti ospitanti non lo prevede, scaricando tutti i costi dello stage sulle spalle delle famiglie e impedendo di fatto che chi proviene da nuclei meno abbienti possa fare questo tipo di esperienza; e nello stesso tempo negando il valore del tempo e dell'impegno degli stagisti. La Regione Lombardia non può limitarsi a dire che le imprese possono accordarsi per l'erogazione di un rimborso. Bisogna fare qualcosa in più: prevedere, come in Francia, che tutti i tirocini di durata superiore a due mesi, di qualsiasi tipo e in qualsiasi settore, debbano prevedere un emolumento di almeno 4-500 euro al mese. La Toscana sta portando avanti un progetto del genere: può la Lombardia, che ospita uno stagista su sei, restare indietro su questo tema? Secondo la Repubblica degli Stagisti non può. La seconda priorità è fare in modo che lo stage non continui ad essere il concorrente sleale dell'apprendistato. Ciò avviene oggi soprattutto per le persone con alti titoli di studio: a fronte di soli 30mila contratti di apprendistato attivati ogni anno a favore dei laureati, vi sono indicativamente 250mila stagisti laureandi o laureati in Italia. La sproporzione è evidente! Quindi la Repubblica degli Stagisti lancia una proposta rivoluzionaria: legare indissolubilmente nelle imprese private  il numero degli stagisti al numero degli apprendisti. La Regione potrebbe spostare cioè per le aziende la proporzione numerica, che la normativa nazionale  vigente (il dm 142/1998) parametra sul numero dei dipendenti a tempo indeterminato, al numero dei contratti di apprendistato attivi. Questo avrebbe un doppio effetto positivo: un immediato aumento del numero di apprendistati per permettere a tutte quelle imprese che al momento non ne utilizzano e però desiderano poter continuare ad ospitare stagisti; e un aumento progressivo e costante nel medio e lungo periodo, perché le aziende si "abituerebbero" a fare più spesso contratti di apprendistato ai loro migliori tirocinanti (andando quindi ad aumentare la bassissima percentuale di assunzione dopo lo stage, oggi ferma a uno su dieci) per poter mantenere stabile una proporzione stagisti - apprendisti. Anche gli studi professionali sarebbero fortemente ricompresi in questa logica di circolo virtuoso, perché incentivati a fare contratti di alto apprendistato ai loro praticanti per poter contemporaneamente continuare ad accogliere stagisti.La terza priorità è il controllo e il monitoraggio costante e incrociato dell'utilizzo dei tirocini. A questo proposito già in occasione delle ultime elezioni regionali la Repubblica degli Stagisti aveva lanciato la sua proposta, che oggi ripropone: un database online che contenga tutte le notizie sull'attivazione e l'esito di ognuno degli 80-90mila stage che vengono attivati ogni anno in Lombardia. Una sorta di anagrafe degli stage: un sito web che renda trasparente l'utilizzo di questo strumento. L'accesso a questo sito dovrebbe essere previsto per tutti i soggetti promotori presenti sul territorio: gli uffici stage/placement delle 12 università lombarde, alla sessantina di centri per l'impiego, alle agenzie per il lavoro. A ciascuno di questi soggetti spetterebbe il semplice compito di andare a registrare tutti i dati dell'attivazione di ogni stage: il nome del tirocinante e il suo status (studente, neolaureato, inoccupato, disabile...), il nome dell'azienda, la durata dello stage, il progetto formativo, le condizioni economiche previste. Al momento della fine dello stage, poi, sempre su questo database il soggetto promotore dovrebbe registrare l'esito: e in caso di assunzione dello stagista, riportare anche la tipologia e la durata del contratto stipulato. Salvaguardando i dati sensibili dei singoli stagisti, questa anagrafe dovrebbe essere accessibile a tutti. Ciascun cittadino potrebbe cioè trovare informazioni su ogni azienda, scoprendo quanto e come ha utilizzato e utilizza lo strumento dei tirocini. Questa trasparenza da sola sarebbe un formidabile deterrente agli abusi, perché ogni datore di lavoro avrebbe la chiara consapevolezza che eventuali abusi verrebbero immediatamente smascherati. In quest'ottica, le password per l'accesso alla zona riservata (quella coi nomi) dovrebbero essere date anche ai sindacati, agli enti previdenziali e alle direzioni provinciali del lavoro, per permettere loro attraverso "query" incrociate di individuare le realtà che tendono all'abuso e di orientare di conseguenza le loro indagini.La quarta priorità è vietare gli stage che prevedono l'apprendimento di mansioni non di concetto o quantomeno ridurne drasticamente la durata massima. La Regione dovrebbe quindi vietare o porre a un mese il tempo massimo per tutti quegli stage che prevedono l'apprendimento di mansioni non di concetto: la Repubblica degli Stagisti si riferisce prevalentemente ai settori ricettivo-turistici, a quello della ristorazione, e al commercio all'ingrosso e al dettaglio. Non sono più accettabili i tirocini di tre o addirittura sei mesi per imparare a fare il barman, la commessa o il cassiere al fastfood!Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Stage in Lombardia, i punti controversi della bozza del regolamento regionale: niente rimborso spese obbligatorio, di nuovo 12 mesi di durata e apertura alle aziende senza dipendenti- I sindacati rispondono alla Regione Lombardia: «Nella proporzione numerica tra stagisti e dipendenti non si devono contare anche i precari»E anche:- Contratti di apprendistato in calo, nasce un sito per rilanciarli- Vademecum per gli stagisti: ecco i campanelli d'allarme degli stage impropri - se suonano, bisogna tirare fuori la voce

Tirocini gratis, i giovani si lamentano ma poi li accettano: si scatena la discussione sul blog della prof Giovanna Cosenza

A volte, combattendo l'abuso di tirocini, ci si scontra con un nemico imprevisto: gli stessi ragazzi. Capita infatti, e non raramente, che gli stagisti - specie se molto giovani - finiscano per essere "complici" di chi offre loro condizioni non dignitose. Lo sa bene la Repubblica degli Stagisti e altrettanto bene lo sa Giovanna Cosenza, docente di Semiotica all'università di Bologna e membro della commissione tirocini del corso di laurea in Scienze della Comunicazione, che nel suo blog Disambiguando ha pubblicato l'altroieri un post dal titolo molto diretto: «Stage: ma se i giovani nemmeno lo chiedono, un rimborso spese, che si fa?» (corredato da una corrosiva vignetta del bravo Arnald).«Faccio da anni una battaglia quotidiana, su questo blog, in aula, via mail, negli incontri faccia a faccia con gli studenti, per informarli che possono chiedere almeno un rimborso spese per il tirocinio curricolare. La legge non lo prevede, ma se si diffonde la consapevolezza del fatto che si può chiedere e ottenere – mi sono detta – e se i ragazzi cominciano a rifiutare stage non pagati né rimborsati, be’, forse le aziende un po’ alla volta sono costrette ad adeguarsi». La prof si sgola, ma i diretti interessati sembrano non seguire il consiglio. Giustificandosi così: «Non ho osato chiederglielo», «Il titolare della ditta al momento non è intenzionato a corrispondermi alcun rimborso. È una persona tanto buona quanto lunatica e quindi non escludo che alla fine dello stage mi possa retribuire qualche indennità», «Non abbiamo parlato di rimborso, anche perché l’azienda si è convenzionata per mia richiesta non volevo avanzare troppe pretese anche se “sacrosante”», «Non l’ho chiesto perchè credevo non lo desse nessuno».«In tanti anni mi sono fatta una statistica personale» conclude Giovanna Cosenza: «Su 100 ragazzi e ragazze che mi chiedono l’autorizzazione a svolgere un tirocinio curricolare, solo 10 sono già consapevoli, e una 20ina riesco a convincerli io a cambiare azienda, per ottenere almeno un piccolo gettone di rimborso. Ma gli altri 70?».La domanda non resta senza risposta. Sono ben 82 al momento i commenti al post, e quasi tutti sono focalizzati su un punto: bisogna armarsi di forza e coraggio, non farsi intimidire, non vergognarsi a chiedere. «Mi perdoni l’espressione, ma nella mia piccola esperienza, sto imparando che bisogna sempre avere la faccia come il c***» scherza Simone. «Ci hanno convinto che non troveremo mai nulla, quindi ogni occasione professionalizzante noi la cogliamo, grati e stupidi, come se fosse un regalo che ci fanno» riflette Emanuela, pentendosi di aver accettato uno stage non pagato che le ha "fruttato" una "collaborazione" a tempo pieno, 36 ore alla settimana, pagata la miseria di 600 euro al mese.  Ma cambiare la mentalità italiana è impresa ardua: famiglie e scuola sono complici dello status quo. «Il mercato è fatto di domanda e offerta» riassume Federico: «Finché le famiglie continueranno a viziare i propri figli ci sarà sempre qualcuno disposto a lavorare gratis (tanto paga il papi) e questo rovina il mercato per tutti». «Conosco una scuola che organizza dei master che sono fatti bene e terminano con degli stage validi» fa un esempio Skeight «ma comunque i loro organizzatori ti sconsigliano vivamente di chiedere il rimborso». Invece le stesse università potrebbero darsi policy virtuose e ottenere buoni risultati, come conferma Falcon82: «Quando lavoravo come rappresentante degli studenti alla commissione tirocini a Cesena a Scienze dell’Informazione potevamo tranquillamente permetterci di rispedire al mittente le richieste di affiliazione delle aziende che non prevedevano neanche un minimo rimborso spese». Giulia è d'accordo:  «L’università potrebbe prendere l’impegno di non affiliarsi a chi non da nessun tipo di rimborso, e intendo tutte le università d’Italia. Cosa succederebbe se le università non stipulassero più convenzioni di nessun tipo con chi offre stage non pagati? Mi sembra una strada più pratica rispetto all’aspettarsi uno “sciopero” dagli stage non pagati da parte della popolazione studentesca, che sarebbe giusto ma che richiederebbe un enorme sforzo e coraggio da parte di singoli individui, seppure in massa».Ancor più difficile è raddrizzare il sistema economico, che ormai in alcuni settori si basa (letteralmente) sulle prestazioni gratuite: «Il sistema è drogato e dipendente dagli stagisti a basso costo, a tal punto che le strategie aziendali spesso li prevedono come parte integrante» dice Lorenzo. Smilablomma rincara: «Il problema è che finché la legge permette alle aziende di scegliere se pagare o non pagare il tirocinio loro decideranno di non pagare.  la legge che va cambiata. gli studenti non sono ingenui, sono coscienti della loro impotenza», e Maurone fa un forte richiamo alla corporate social responsability: «Chi offre tirocini/lavoro non retribuito è totalmente privo di etica e merita l’isolamento da parte di tutti, dico tutti, i nostri giovani. Queste ditte [fatico a chiamarle aziende] devono rimanere schiacciate dal mercato perché chi è privo di etica non ha diritto di esserci».Ben allarga la riflessione: «Una causa profonda di questi comportamenti è la debolezza, in Italia, di una cultura delle regole, a cominciare da quelle più elementari (non si lavora gratis), e della competizione meritocratica di mercato (valgo tot: se mi vuoi, mi paghi tot, altrimenti cerco un compratore migliore)». Sostenendo il progetto di Pietro Ichino del contratto unico: «Un aiuto per gli stagisti a farsi valere verrà probabilmente dal nuovo Codice del lavoro, che il nuovo governo approverà prossimamente. È fra le cose richieste dall’Europa, e Monti è sempre stato molto favorevole». Ma Jun riporta la discussione anche sul piano dei singoli individui: «Accettare uno stage senza rimborso significa semplicemente ammettere la propria sconfitta davanti al mondo, sminuirsi pur di “stare impegnati” prolungando un periodo della propria vita a discapito di un altro, rendendosi perfettamente sostituibili l’uno all’altro (le fotocopie le san fare tutti). E magari poi anche lamentandosi che dopo vari stage non si trova lavoro. Ma se finora l’hai fatto gratis??».Anche Silvia, Letizia e altri lettori della Repubblica degli Stagisti, si affacciano in Disambiguando per dire la loro. «Non mi pento di aver rifiutato stage gratuiti, perchè credo che ognuno di noi valga» afferma Silvia, invitando a prendere coscienza e ribellarsi: «Bisogna aprire gli occhi ragazzi. Avere il coraggio di dire, no grazie» (anche se non tutti sono convinti, come Ariaora: «Condivido la tua rigidità nel non prostituire i frutti del proprio lavoro. Nel frattempo come fai a vivere?»). Mentre Letizia, che lavora a Bruxelles per lo European Youth Forum, cita la Carta europea per gli stage di qualità (un'iniziativa coordinata dallo EYF e dall'eurodeputata 27enne Emilie Turunen, di cui la Repubblica degli Stagisti, unica organizzazione italiana, è fra i promotori), che «contiene degli standard di qualità per gli stage e vuole essere un contributo concreto per rendere gli stage uno strumento formativo di qualità per tutti i giovani europei e non un’altra forma di lavoro precario formalizzato».Anche perché, come ricorda Elena, lo stage è solo il primo gradino: «Il problema ancora più grave è che questo tipo di mentalità poi ovviamente continua anche con i primi contratti: tantissimi miei coetanei “non osano chiedere” perché danno per scontato che il lavoro, seppur malpagato, sia una concessione che non ci si può permettere di trattare! Si deve solo ringraziare di averne avuto uno, come se fosse piovuto dal cielo. Non c’è nulla di cui meravigliarsi quindi se poi le aziende ci marciano e a chi avanza qualche minima e sacrosanta richiesta rispondono prontamente, «ma di che ti lamenti? ci sono centinaia di tuoi coetanei che vorrebbero fare il tuo lavoro a condizioni molto peggiori! guardati intorno!». Il cambiamento deve partire anche da noi».E voi, che ne pensate?Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Stage gratuiti o malpagati, ciascuno può fare la rivoluzione: con un semplice «no»- Parlamento europeo, risoluzione contro i tirocini gratis e le aziende che sfruttano gli stagisti- Emilie Turunen, pasionaria dei diritti degli stagisti al Parlamento europeo: «L'Italia è fra i Paesi messi peggio» - Un sondaggio dello European Youth Forum svela il prototipo dello stagista europeo: giovane, fiducioso e squattrinatoE anche:- Mantenere i figli è un obbligo per i genitori, anche se sono adulti e vaccinati. Ma chi ci perde di più sono proprio i giovani- La proposta di Ichino per riformare la normativa sugli stage: più brevi e retribuiti- Mai più stage gratis: parte in Toscana il progetto per pagare gli stagisti almeno 400 euro al mese- Stage, un'altra regolamentazione è possibile: il Pd scende in campo con il disegno di legge Damiano- Lo Youth Forum: «Gli stage gratuiti e senza prospettive ci sono in tutta Europa, e spesso sono sacrifici inutili»

Stage, i partiti politici giurano: «Noi non ne abusiamo». Ma sarà vero?

Dopo la notizia bufala degli stage all’Italia dei Valori e la polemica sollevata "ad arte" dal caso degli stagisti a 400 euro del Partito democratico, la Repubblica degli Stagisti ha deciso di vederci più chiaro: ed è andata a bussare alla porta dei sei principali partiti politici italiani chiedendo se prendono - e come trattano - gli stagisti. Ne è emersa una realtà poco nitida: Lega, Udc e Idv dichiarano di non fare mai uso di stagisti, Pdl e Fli affermano di accoglierne solo negli uffici parlamentari ma non nel partito, il Pd di prenderne saltuariamente nella sede nazionale ma assicurando qualità formativa e rimborso spese. Ma praticamente tutti ammettono di non sapere con certezza cosa succede nelle sezioni locali.Ad esempio Francesco Sciotto [nella foto a sinistra], ufficio stampa del Pdl, assicura che mai, dai tempi di Forza Italia a oggi, il principale schieramento di centro destra «si è avvalso di stagisti», almeno a livello nazionale. Quello che accade all’interno delle sezioni locali è invece un fatto a sé, «su cui la sede di Roma non vigila». Invece il gruppo parlamentare Pdl di stagisti ne accoglie eccome - anche se Fabio Mazzeo, capo ufficio stampa del gruppo parlamentare alla Camera, precisa: «qui all’ufficio stampa ne abbiamo avuti al massimo 6 o 7 negli ultimi tre anni, su un organico di undici dipendenti. Questo perché noi non vogliamo sfruttare nessuno». Il problema è che il principale partito della maggioranza non prevede nemmeno un euro di rimborso spese, solo «qualche facilitazione per la mensa». E però Mazzeo giura che «i tirocinanti reclutati da noi, tutti neolaureati e selezionati tramite convenzioni universitarie, non fanno certo fotocopie, ma lavorano per davvero, e alla fine dell’esperienza trimestrale trovano quasi tutti occupazione». Chi facendosi strada da solo, chi grazie alle referenze acquisite. All’ufficio legislativo, chiude l'ufficio stampa, avviene più o meno la stessa cosa perché la policy è netta: «Non si deve abusare degli stage». Ironia della sorte, proprio in queste ore è circolata la notizia di un bando per stage a Palazzo Chigi destinato a neolaureati, con un rimborso di appena 250 euro (350 per i fuorisede). L'istituzione al momento presieduta dal premier Silvio Berlusconi garantisce quindi sì un compenso, ma davvero esiguo - e questa volta Il Giornale chiude un occhio, non rilanciando la notizia (come per la vicenda del Pd). Francesco Davanzo, responsabile del personale del Pd, racconta invece la politica democratica in fatto di stagisti partendo da un principio: «È necessario prendere persone esterne, altrimenti il partito rischia di diventare un mostro ripiegato su se stesso». Spiega quindi che finora, «per gli stage attivati dal partito, si è sempre cercato di rispettare la proposta di legge Damiano». Il che vorrà dire d'ora in poi limitare anche la durata del tirocinio a un massimo di sei mesi. Per ora comunque, a parte l’ufficio grafico, il Pd non ha all’attivo stage. In quanto al passato, l’anno scorso sono state attivate tre borse di studio annuali al dipartimento economico per un importo di circa 10mila euro, ma si tratta di un fatto isolato. Eppure anche al Pd ci sono stati degli stage non pagati: quando l’offerta proviene da enti esterni come per il caso di un master - precisa il responsabile - la si valuta e poi si stabilisce l'eventuale trattamento economico. «Sono però solo episodi circoscritti».  Udc e Idv attestano che finora non hanno mai avuto stagisti. Alessia Di Fabio, ufficio stampa del partito di Antonio Di Pietro, specifica che «tutti quelli che lavorano al partito sono sotto contratto, e che neppure in futuro si prenderanno tirocinanti perché non ci sono possibilità di inserimento».Anche la Lega Nord si attesta su una linea simile. Nadia Dagrada dell’amministrazione federale garantisce  alla Repubblica degli Stagisti che il partito «non utilizza tirocinanti perché si troverebbero a maneggiare dati molto sensibili». «Chi lavora qui lo fa per militanza» dice «non avrebbe senso una richiesta di stage dall’esterno». Eccetto che per i tesisti, a cui viene data la possibilità di documentarsi e di frequentare il partito per motivi di studio.C'è poi il caso di Fli. Il partito, nato l'estate scorsa a seguito dello "strappo" del presidente della Camera Gianfranco Fini, «non si avvale di stagisti perché non ci sono possibilità di inserimento» afferma l’addetto stampa del partito Luigi De Gennaro [nella foto a sinistra]. Eppure una lettrice aveva appunto segnalato sul wall del gruppo Repubblica degli Stagisti su Facebook un annuncio per uno stage gratuito di sei mesi per il gruppo parlamentare Fli. In effetti alla Camera dei Deputati il gruppo parlamentare non disdegna la possibilità di prendere stagisti tramite l’università. L’annuncio in questione fa riferimento alla seconda edizione di questo programma: e, se è vero che anche qui non c’è traccia di rimborso, una buona notizia è che almeno le due stagiste precedenti sono state assunte con contratto a progetto (per circa mille euro mensili).Insomma, da questa ricognizione emerge che lo stage è un elemento estraneo alla maggioranza delle forze politiche, più inclini invece a servirsi di lavoro volontario e militanza. Ma come la mettiamo con le sedi locali? Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Il Pd apre due posizioni di stage: 400 euro al mese per un part time. E sul web scoppia un'incredibile polemica- Urgono nuove regole per proteggere tirocinanti e praticanti: tante idee della Repubblica degli Stagisti nel disegno di legge di Cesare Damiano E anche:- Stage gratuiti, Caterina versus Flash Art: il botta e risposta con Giancarlo Politi. E il web si rivolta

Precari sottopagati oggi, anziani sottopensionati domani? Ecco come stanno veramente le cose: meglio prepararsi al peggio

Grazie alla collaborazione tra Lo Spazio della Politica e la Repubblica degli Stagisti, questo articolo di Andrea Garnero viene pubblicato in contemporanea su entrambi i siti.Ogni volta che bisogna metter mano al portafoglio, il Governo pensa a ritoccare le pensioni. Dopotutto si tratta di oltre il 40% dell’intera spesa pubblica italiana (20% del Pil). Che impatto avrà per la nostra generazione un aumento dell’età pensionabile in termini di lavoro e pensioni future?Cominciamo con lo sfatare un mito: i “senior” (usiamo questa definizione politically correct visto che nessuno si definisce vecchio in Italia) non rubano posti di lavoro ai giovani. Alzare l'età pensionabile non ha come conseguenza la riduzione delle opportunità lavorative per i giovani. Anzi l'evidenza empirica dice piuttosto il contrario. La ragione è che l'economia non è una scatola chiusa: non c’è un numero fisso posti di lavoro da ripartire. Le opportunità lavorative crescono con la ricchezza economica e il consumo e i pensionati tendono a risparmiare di più e consumare di meno. Di conseguenza se ci sono più pensionati l'economia "gira" di meno e quindi ci sono meno posti di lavoro per i giovani e viceversa. Questo ovviamente non è vero per il settore pubblico in cui i posti di lavoro sono effettivamente fissi e anche in riduzione di questi tempi di austerity.Ma i giovani alla fine avranno una pensione? Questione critica che solo marginalmente dipende da un eventuale innalzamento dell’età pensionabile. Il dibattito che avevamo già affrontato un anno fa su questo sito si è riacceso nelle ultime settimane con l’uscita di due nuove, e apparentemente contradditorie, pubblicazioni. La prima è un libro di Walter Passerini e Ignazio Marino, Senza Pensioni, uscito per Chiarelettere. La loro analisi prevede per i giovani nati negli anni ‘80 una pensione al 30-40% dell’ultimo salario per i parasubordinati e tra il 50% e il 70% per i dipendenti pubblici e privati, ma con picchi di 10-20-30% per alcune categorie professionali. L’analisi di Stefano Patriarca dell’Inps contesta le stime pessimistiche e prevede una copertura pensionistica al 70% per i lavoratori dipendenti, tra il 40% e il 60% per i parasubordinati.Nonostante le contraddizioni giornalistiche le stime, pur diverse, non divergono del tutto. Per calcolare le future pensioni, infatti, è necessario fare ipotesi sulla crescita economica dei prossimi trenta-quarant'anni, immaginare la carriera salariale del singolo, eventuali interruzioni lavorative, senza contare le frequenti riforme del sistema. I due studi fanno ipotesi diverse e questo spiega parte delle divergenze. Comunque, se si traduce la percentuale in euro si torna ai valori già presentati un anno fa (tra gli 800 e i 1.300 euro). Il problema non è il sistema pensionistico in sé, ma il funzionamento del mercato del lavoro che non garantisce più un reddito continuo. L’innalzamento delle aliquote per i parasubordinati (co.co.pro & co.) sicuramente è un passo per ridurre la differenza tra i diversi contratti (oltre a eliminare un perverso incentivo ad assumere usando questi forme contrattuali più economiche. Inoltre, le stime normalmente sono fatte per carriere omogenee. Se, invece, come più probabile si passa da un lavoro all’altro cambiando ambito professionale è probabile che si verseranno contributi in diverse casse previdenziali. Oltre all’Inps, infatti, quasi ogni ordine ha la propria cassa e i parasubordinati, pur essendo dipendenti, hanno una gestione separata. Se poi a questi dati si aggiunge l’aumento della mobilità all’estero, quale sarà il montante totale della pensione dopo aver pagato i contributi in diversi Paesi?Rimangono inoltre aperte due questioni chiave: primo, l’Italia dovrà ridurre nei prossimi anni la spesa fino a tre punti del Pil e visto che le pensioni rappresentano quasi il 40% della spesa corrente, l’intervento legislativo sarà ancora una volta inevitabile. Tuttavia non basterà alzare l’età pensionabile, ma servirà un vero “attivamento” dei senior e una formazione efficace per permettere loro di rimanere al lavoro. Il vero problema, infatti, è cosa facciamo fare ai senior sul posto di lavoro. Un insegnante di 65 anni riesce a catturare l’attenzione e appassionare la generazione di allievi nativi di internet? Un ingegnere di 65 anni è capace a far funzionare i robot di nuova generazione della fabbrica? Un impiegato di 65 anni star dietro agli sviluppi del software dell'azienda? Se la risposta è no, il senior diventerebbe un “peso” per l’azienda che farebbe di tutto per disfarsene. E come si protegge una persona licenziata a 60 anni che difficilmente potrebbe trovare un altro lavoro? Cosa succederebbe alla già scarsa produttività italiana?Seconda considerazione: una corretta informazione dei lavoratori sulle future pensioni è un diritto del cittadino e un dovere dello Stato che agisce come una banca o assicurazione per i risparmi dei lavoratori. In Svezia, che ha un sistema molto simile al nostro, lo Stato spedisce a casa la cosiddetta “busta arancione” che informa periodicamente i lavoratori sui risparmi accumulati e le previsioni sulla pensione futura. In Italia per problemi tecnici (la difficoltà a cumulare i contributi delle varie casse) e problemi politici (il rischio di rivoluzione paventato da Mastrapasqua) non è ancora stato fatto.Infine, due consigli pratici ai giovani (e non solo) lavoratori: in attesa della “busta arancione” andate all’Inps (o alla vostra cassa di riferimento) oppure in un patronato e fatevi l’estratto conto dei contributi. Questo aiuterà a farvi un’idea e soprattutto a trovare possibili errori e a fare due calcoli sull’opportunità di riscattare la laurea. Secondo, abbiate chiaro in mente che la pensione pubblica non basterà più. Occorre quindi risparmiare (anche se per chi prende 800 euro al mese quest’invito sfiora il ridicolo) per una previdenza complementare. Neanche questa è la panacea a tutti i mali perché i fondi pensione investono sui mercati finanziari che non sono una garanzia di rendimento certo. Tuttavia, tertium non datur, a meno di voler lavorare fino all’ultimo giorno della propria vita…Andrea GarneroPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- «Caro Gesù Bambino, ti chiediamo una pensione per i precari»: il direttore della Repubblica degli Stagisti e altri quattro giovani scrittori lanciano una proposta- Emergenza contributi silenti: le idee in campo per risolvere il problema delle pensioni di domani dei precari di oggiE anche:- «Le mie pensioni»: quanto prenderanno domani i precari di oggi?- Nelle pagine del Rapporto sullo stato sociale un allarme sulla questione giovanile: e tra 15 anni la previdenza sarà al collasso

Blogdemocrazia, l'era digitale ha cambiato il modo di comunicare e di agire nella società. E la Repubblica degli Stagisti ne è un esempio significativo

Nell’era del web 2.0 la democrazia passa anche attraverso i flussi di notizie veicolati dai nuovi media. Ma i blog e i social network possono sostituire i tradizionali luoghi del dibattito pubblico? A questa domanda cerca di rispondere Blogdemocrazia (Carocci, 17,60 euro), saggio della giornalista Paola Stringa che si interroga sui nuovi possibili utilizzi della rete. E tra i case history di blog partecipativi l’autrice cita anche la Repubblica degli Stagisti (alle pagine 59 e 60) a esempio di come il web, oltre a costituire massa critica,  sappia e possa anche capitalizzare risorse. «Una nuova forma di sociologia web 2.0», riflette Stringa, vicina al modo di agire che «vent’anni fa era prerogativa di un sindacato». Secondo la scrittrice, che racconta come nel 2007 Eleonora Voltolina iniziò scrivendo in un blog le sue esperienze formative e trasformando poi nel tempo il diario online in un giornale, la Repubblica degli Stagisti è oggi un «mezzo di servizio» dove non si raccolgono solo storie negative vissute sul lavoro, ma si dà vita a «issues» in alcuni casi finite perfino in Parlamento. La Stringa si sofferma anche sull’iniziativa Bollino OK Stage, considerata «la novità più importante», comparandola al marchio che danno le agenzie di rating ai titoli quotati in Borsa. «Un decalogo di comportamenti virtuosi a garanzia di chi fa tirocinio in azienda» che a oggi – dice – ha dimostrato un certo peso anche nel mondo dell’offline vista l’adesione di un folto gruppo di imprese. Più avanti l’autrice solleva la questione della capacità del web di diffondere idee e movimenti superando ogni barriera geopolitica. E lo fa partendo dai paesi arabi sconvolti dalle rivoluzioni, in qualche caso - come la Libia - tramutate in vere e proprie guerre. Si parla della Cina, ricordando la censura di Google, e si arriva al caso iraniano e alle proteste giovanili filtrate attraverso i cinguettii di Twitter, a Cuba e al celebre blog Generación Y della dissidente Yoani Sánchez [nella foto]. Non si giunge però a una risposta, né si conduce il lettore verso una unica possibile via di riflessione. Il saggio si limita ad analizzare con metodologia compilatoria, riportando teorie di studiosi ed esperti, la potenza del web nel trasmettere informazioni e creare correnti di pensiero. La Stringa contesta poi anche i limiti dell’era digitale: per primo la simbiosi che si è instaurata tra i cosiddetti «nativi digitali» e la pubblicazione di informazioni personali sui social network abbattendo tutti i paletti della privacy. Nonostante questo ponga un’enorme mole di dati a disposizione di mercati sempre più interessati a intercettare i gusti di potenziali consumatori, e distrugga ogni possibilità di oblio. «Con tutte queste informazioni quotidiane i social network diventano dei grandi contenitori di memoria a disposizione della collettività» col risultato che «ogni giorno Facebook e le altre reti assorbono ricordi, immagini e pensieri». Ma, osserva ancora la Stringa, c’è un altro pericolo a cui si va incontro. Il sovraccarico informativo che ha prodotto internet, con i milioni e milioni di dati che ogni giorno lo attraversano, non solo aumenta la superficialità ma «azzera la possibilità di condurre un serio dibattito pubblico basato sul confronto puntuale delle informazioni del giorno prima o dell’anno precedente». Con il risultato che «nell’era digitale si vive della stessa imprecisione dell’era orale» grazie a «una forma mentis collettiva che è portata più facilmente a dimenticare». Una conclusione inquietante sugli eccessi della rete.Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- L'autrice di Blogdemocrazia: «La Repubblica degli Stagisti fa oggi quello che faceva il sindacato 30 anni fa»E anche:- 1° settembre 2007: tre anni fa nasceva la Repubblica degli Stagisti  

Servizio civile, tempo di selezioni: al sud si sgomita, al nord posti vuoti. E anche il volontariato diventa un ammortizzatore sociale

Venerdì scorso, il 21 ottobre, si è chiuso il bando per oltre 20mila posti di Servizio civile e adesso migliaia di giovani incrociano le dita per gli esisti delle prime graduatorie. Cosa è lecito aspettarsi? Quante possibilità ci sono di farcela? La risposta si evince dalle righe di due documenti ufficiali, il bando stesso e la relazione che l'Unsc per legge presenta ogni anno al Parlamento: se in generale è sempre più difficile accedere ad un progetto di Servizio civile, al Sud la competizione è agguerrita, mentre al nord non tutti i posti disponibili vengono assegnati. La risposta quindi è: «dipende». Dal luogo per cui ci si candida.  Nel documento presentato dal sottosegretario Carlo Giovanardi a giugno dell'anno scorso si legge che a livello nazionale è aumentato il rapporto tra domande pervenute e posti a bando: se nel 2007 a fronte di 107mila ragazzi avviati al servizio sono arrivate circa il doppio delle candidature, nel 2010 questo rapporto è salito a 3,70. Per ogni posto cioè arrivano ormai mediamente quasi quattro domande: 54mila per 14700 giovani in servizio [provenienti solo in parte dal bando ordinario, in scadenza in autunno, e per il resto dai bandi autofinanziati, straordinari e da quello ordinario dell'anno precedente; la relazione fa riferimento all'anno solare, ndr]. Nell'avviso 2011 c'è inoltre da mettere in conto una grossa novità, passata piuttosto in sordina: si allarga la platea degli elegibili, pur restando invariato il numero di posti a disposizione. L'età massima è stata alzata da 28 a 29 non compiuti (nel 2005 era passata da 26 a 28) mettendo potenzialmente in gioco altri 700mila ragazzi e ragazze, che si aggiungono ai 6 milioni e mezzo già idonei per età. Verosimilmente quindi quest'anno sarà ancora più difficile passare le selezioni. L'ultimo dato a disposizione, si diceva, è di 3-4 candidati per ogni posto. Mediamente. Perché tra nord e sud c'è un abisso: il 60% delle domande per il 2010 riguardava progetti da realizzare nel meridione e nelle isole - e di qui quasi sempre sono partite le candidature; solo il 16% è per progetti in avvio dall'Emilia Romagna in su (prima volta in tre anni che il settentrione "fa peggio" del centro). La disparità si inasprisce considerando appunto i posti disponibili nelle diverse aree geografiche, tutt'altro che proporzionali - il 45% al sud, circa il 25% al nord e il 30% al centro: uno «squilibrio strutturale tra domanda e offerta» che lascia vacanti alcuni posti al nord e alza il livello della competizione al sud, dove le chances di successo si aggirano intorno al 20%. Le regioni più propense al Servizio civile? Campania e Sicilia, ciascuna con il 16% dei volontari totali.  Sul perché la relazione parla chiaro: «La ragione di questo fenomeno è probabilmente da ricercare nel contesto sociale ed economico di questa parte del Paese costretta a confrontarsi quotidianamente con i problemi di disoccupazione e della mancanza di lavoro. A fronte di motivazioni altruistiche non sono da sottovalutare motivazioni più strumentali come il compenso economico e l’ingresso nel mondo del lavoro» - nonostante dai questionari di fine servizio emerga che più della metà dei ragazzi sceglie il volontariato innanzitutto per ragioni di solidarietà. L'analisi del resto è avvallata da un altro dato, il minor tasso di abbandono nelle regioni del sud: Calabria e Campania quelle dove si lascia di meno, con un'incidenza del 9% contro il 18% del centro - il dato più alto. «Nelle zone ove esistono più occasioni di lavoro» si legge ancora «il numero dei giovani che lasciano il servizio civile è più numeroso». È ormai innegabile che al Servizio civile siano state appioppate funzioni di ammortizzatore sociale. Difficilmente sostenibili in futuro: la crisi infatti - «non solo finanziaria» - ha letteralmente prosciugato le risorse economiche. Nel 2007 la legge finanziaria aveva riservato al fondo una dotazione di quasi 300 milioni di euro, che sono diventati circa 265 l'anno successivo, 210 nel 2009 e 170 nel 2010. Nuovo minimo storico quest'anno: 110 milioni di euro, un terzo rispetto a solo quattro anni prima, e oltre la metà di posti in meno. A quanto pare però il peggio deve ancora venire: è di questi giorni la notizia secondo cui nel 2012 il taglio potrebbe essere, ancora una volta, impietoso: 40% di fondi in meno, che porterebbe la dotazione a 69 milioni di euro e dimezzerebbe i posti a disposizione, riducendoli a 10mila - su un bacino potenziale di destinatari che supera i 7 milioni di unità. Una scure. Annalisa Di Palo Per saperne di più, leggi anche: - Leonzio Borea, direttore dell' Ufficio servizio civile nazionale: «Offriamo ai giovani un'esperienza preziosa, ma abbiamo sempre meno fondi»- «Il Servizio civile non è un modo per ammazzare un anno di tempo o guadagnare qualche soldo», parla l'ex volontario Luca Crispi- Prospettive per i giovani, in Italia si gioca solo in B e C. Per la serie A bisogna andare all'estero - Istat, pubblicato il nuovo rapporto sull'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro: situazione preoccupante sopratutto al Sud

Laureato da più di 12 mesi? Non ci interessi. Il meccanismo perverso che rischia di escludere un'intera generazione dal mercato del lavoro

Mercoledì 5 ottobre, Milano, università Statale: il cortile della sede principale in via Festa del Perdono si riempie di stand di aziende ed enti di formazione. È il giorno del career day: studenti e neolaureati sono invitati dal Cosp, il centro universitario di orientamento allo studio e alle professioni, a raccogliere informazioni sulle opportunità di lavoro e lasciare il proprio cv. Nello spazio della Repubblica degli Stagisti, invitata alla manifestazione, parecchi giovani arrivano per chiedere informazioni sui paletti della nuova legge sugli stage e in particolare su quello dei 12 mesi: «È vero che non possono prendermi in stage se mi sono laureato da più di un anno?». I ragazzi dicono che agli stand gli addetti alle risorse umane sembrano saperne meno di loro: alcuni non conoscono nemmeno l'esistenza della circolare ministeriale che il 12 settembre ha riaperto l'accesso ai tirocini anche per persone disoccupate o inoccupate, istituendo ex novo la categoria dei «tirocini di cosiddetto reinserimento - inserimento lavorativo» (e differenziandola da quella dei «tirocini di formazione e orientamento»).Mercoledì 12 ottobre, sempre Milano, stavolta università Cattolica. Mercoledì 19 ottobre, Roma, facoltà di economia di Torvergata. Anche qui vanno in scena i career day, anche in queste due occasioni la Repubblica degli Stagisti è presente con uno stand. Qualcosa però è cambiato. I giovani denunciano: «In gran parte degli stand sono stato scartato a priori, solo perché sono laureato da oltre 12 mesi. Hanno detto che è per la legge nuova». I più svegli raccontano di aver provato a obiettare, a far presente che essendo disoccupati o inoccupati sarebbero potuti essere inquadrati con i tirocini di inserimento. Ma senza sortire effetti: «Qualcuno nemmeno conosce la nuova categoria. Ma la maggior parte dice che gli uffici legali pongono il veto a che si utilizzi questa fattispecie». E allora cosa offrono le aziende ai giovani che hanno superato, magari di pochissimo, il confine dei 12 mesi? La circolare parla chiaro: il divieto di attivare stage formativi dovrebbe incentivare le imprese a offrire contratti di apprendistato. Maddeché, direbbero a Roma. Le aziende non ci pensano neppure, e a questi candidati troppo vecchi per il «formativo» chiudono la porta in faccia. Non prendono nemmeno il cv.Così  si sfoga una neopsicologa che vorrebbe lavorare nelle risorse umane: «Mi sono laureata a ottobre 2010, ho fatto subito il tirocinio obbligatorio di un anno per potermi iscrivere all'albo. E ora che sono psicologa professionista, nessuna azienda  è disposta a prendermi perché sono fuori tempo massimo per fare lo stage formativo». E quello di inserimento? «A uno stand mi hanno spiegato a chiare lettere che i loro legali hanno paura della parola inserimento: temono che venga fuori in un secondo tempo qualche vincolo di assunzione, che ovviamente nei formativi non sussiste. Vogliono stare tranquilli al 101% che nessuno potrà mai chiedergli niente: e per questo sono anche disposti a scartare d'ora in poi tutte le candidature di gente laureata da più di 12 mesi».Altra giovane donna, stesso problema. «L'anno scorso a maggio, dopo la laurea, sono partita per l'estero. Ero tranquilla rispetto alla possibilità di fare qualche stage per inserirmi nel mercato al mio ritorno: la normativa precedente non poneva limiti». Così la ragazza parte, fa una preziosa esperienza all'estero, di quelle che i direttori HR amano tanto. Al ritorno in Italia, la doccia fredda: «Tutti gli stand mi stanno rimbalzando, il coro è unanime: vista la nuova legge,vogliono solo laureati entro i 12 mesi. Altri contratti? Ma non scherziamo, tutti dicono che si parte invariabilmente dallo stage».Il problema non è solo personale per questi giovani "rigettati". È un dramma sociale perché qui si rischia di cancellare dal mercato del lavoro una intera generazione, quella che si è laureata tra il 2008 e il 2010 e non è ancora riuscita a collocarsi.In effetti gli addetti ai lavori confermano: «Il legal ci ha imposto di limitarci agli studenti e ai neolaureati entro un anno». Cosa può aver spingere gli uffici legali ad assumere una posizione tanto rigida? Le ipotesi sono tre. Uno: hanno paura di quella parola, «inserimento», e temono che eventuali leggi regionali possano stressare il concetto introducendo vincoli, come per esempio la trasformazione di una data percentuale minima di tirocini di inserimento in - appunto - inserimenti in organico.Due: gli avvocati, diffidando della circolare e considerando valida solamente la legge - che parla solo di «tirocini di orientamento» e non prevede che possano essere attivati a favore di disoccupati - attendono eventuali provvedimenti regionali ad hoc in grado di dare «diritto di cittadinanza» a questi nuovi tirocini.Terza ipotesi, la più cupa. In un momento di crisi economica, limitare lo screening delle candidature ai primi 12 mesi dalla laurea permette di avere candidati forse un po' meno «esperti», ma sicuramente meno pretenziosi: a un 23enne si possono offrire condizioni che un 26-27enne magari rifiuterebbe, o accetterebbe obtorto collo pressando poi per una stabilizzazione. Seguendo questo ragionamento, il rischio è che l’applicazione della nuova legge vada a danneggiare proprio la penultima generazione – quella tartassata prima dai tagli a scuola e università, poi dalla crisi – facendo sì che venga scartata a priori e condannandola alla disoccupazione.Appare chiaro che, se il ministero del Lavoro intende davvero sostenere l'occupazione giovanile e incentivare l'utilizzo dei contratti di apprendistato, alle parole deve far seguire i fatti.  Alle aziende che stanno rifiutando i giovani che hanno terminato di studiare da oltre 12 mesi vanno date indicazioni chiare. Anche loro meritano un'opportunità, che si chiami (alla peggio) tirocinio di inserimento o che si chiami (auspicabilmente) contratto di apprendistato. Una cosa è certa: non possono essere lasciati per strada. Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Nuova normativa sui tirocini nella manovra di Ferragosto, il diario di bordo: tutti gli articoli, gli approfondimenti e le interviste della Repubblica degli Stagisti

Lo scandalo dei giornalisti pagati cinquanta centesimi a pezzo. Il presidente degli editori a Firenze: «La Fieg non dà sanzioni. E poi, cos’è un pezzo?»

La settimana scorsa a Firenze si sono dati appuntamento oltre trecento giornalisti precari, chiamati a raccolta dall'Ordine dei giornalisti e dalla Fnsi per discutere dei problemi della professione. Appuntamento clou dei due giorni la tavola rotonda «Cinquanta centesimi a pezzo: è dignità?», molto attesa anche per la presenza di Carlo Malinconico, presidente della Fieg - la Federazione italiana editori giornali - a confronto con il segretario della Fnsi Franco Siddi ed Enzo Carra, relatore della proposta di legge sull'equo compenso giornalistico. Moderatore Giancarlo Ghirra, segretario dell'Odg.Più di duecentocinquant'anni anni in quattro: non propriamente i protagonisti del dramma della sottoretribuzione, dato che l’età media dei discussant era 63 anni. Ma tant’è.Malinconico ammette subito in apertura che «il problema degli articoli pagati troppo poco sussiste: non tutti possono essere assunti all'interno di una redazione, quindi l'apporto dei collaboratori è fondamentale». E assicura che la Fieg «pensa che il compenso debba essere correttamente proporzionato alla quantità e qualità del lavoro svolto». Sulla definizione di «proporzionato» Malinconico però non si sbilancia: «Non tutti i pezzi sono uguali, noi chiediamo di differenziare. Questo comunque non vuol dire tollerare gli abusi».Franco Siddi registra con soddisfazione la dichiarazione di intenti aggiungendo però che «il tempo corre e c'è esasperazione». La cosa più difficile per il sindacato, riflette, è quella di «cessare di dare l'illusione che ci sia posto per tutti». Bisogna «parlare crudo» e dire che si dovrà «ridurre il numero dei collaboratori per permettere che quelli che rimangono vengano pagati meglio. Qualcuno resterà fuori». «I pezzi pagati 2,5 euro sono uno scandalo» affonda «non permettono nemmeno di rientrarci della telefonata o del biglietto dell'autobus».Sull'equo compenso interviene il deputato Enzo Carra, dichiarandosi ottimista rispetto all'iter del disegno di legge: «Penso che possa essere approvato rapidamente alla Camera. In un paio di passaggi potrei chiedere l'approvazione per via legislativa in commissione Cultura. A dicembre potrebbe già passare al Senato ed essere approvato prima della fine della legislatura, anche in caso si andasse, auspicabilmente, ad elezioni anticipate». Carra definisce la proposta «tacitiana» per la sua brevità: «È basata sull'articolo 36 della Costituzione e rimanda a una corrispondenza nella retribuzione tra freelance e giornalisti con contratto di lavoro subordinato». Proprio quello, per inciso, che non va giù agli editori.Il moderatore ricorda che «soltanto in Italia il lavoro autonomo è pagato meno di quello subordinato». E aggiunge «Ho sentito editori che dicono "ma io ti faccio scrivere, la visibilità è la tua retribuzione"», riportando poi a Malinconico  [nella foto a sinistra, durante la tavola rotonda] una domanda che gli arriva dal pubblico: «Lei accetterebbe che suo figlio prendesse due euro per un pezzo?». Lui preferisce svicolare: «Il mio figlio più giovane è laureato in giurisprudenza e sta facendo la pratica legale in uno studio a Milano: credetemi, neanche lì si scherza». Il messaggio: non mettiamo la croce solo sugli editori, i giovani sono sottopagati in tutti i settori. Ghirra obietta: «Nella nostra professione però questo assume un risvolto ancor più grave perché un giornalista sottopagato è un giornalista meno libero». Siddi annuisce: «Bisogna mettere in moto un progetto e cambiare le cose. Ci vorrà del tempo. Ma non si può tollerare che vi siano casi in cui vengono tagliati i compensi ai collaboratori ma aumentati i bonus e le gratifiche ai manager».Il tempo della tavola rotonda stringe, il pubblico rumoreggia. Sono tutti giornalisti e da bravi giornalisti vogliono fare domande, il moderatore è in difficoltà, poi accetta di dare spazio a tre interventi. Il primo è un rappresentante del Coordinamento giornalisti precari della Campania che in un minuto riassume i temi-chiave. «Da un nostro monitoraggio emerge che il 60% degli articoli è scritto dai collaboratori e che mediamente questi collaboratori portano a casa 300 euro al mese. Due domande a Malinconico: i 50 centesimi a pezzo del titolo di questo convegno sono dignitosi? E che sanzioni applicherà la Fieg a quei suoi iscritti che pagano così poco?».Malinconico risponde arroccato: «Non credo proprio che la Fieg debba dare sanzioni, noi obiettivamente non ne diamo. Dobbiamo avere un ruolo illuminato di guida». E sulla congruità del compenso si attira fischi e schiamazzi: «Cinquanta centesimi a pezzo: ma se mi parlate di "pezzo" non so di cosa stiamo parlando». La sala rumoreggia. Il tempo è finito e tutte le domande sono ancora aperte. Intanto trecento giornalisti hanno scoperto che il presidente degli editori non sa cosa sia un pezzo: e questa è una notizia.Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Giornalisti precari alla riscossa: a Firenze due giorni di dibattito per approvare una Carta deontologica che protegga dallo sfruttamento- Articoli pagati 2,50 euro e collaborazioni mai retribuite. Ecco i dati della vergogna che emergono da una ricerca dell'Ordine dei giornalisti- Crisi dell'editoria: per i neogiornalisti il futuro è incerto - Pianeta praticanti- Giornalisti freelance, sì alla reintroduzione del Tariffario: ma i compensi minimi devono essere più realistici. E vanno fatti rispettare con controlli e sanzioniE anche:- Disposti a tutto pur di diventare giornalisti pubblicisti: anche a fingere di essere pagati. Ma gli Ordini non vigilano?- Un'aspirante giornalista: «Una testata non voleva pagare i miei articoli: ma grazie alla Repubblica degli Stagisti e a un avvocato ho ottenuto i 165 euro che mi spettavano»

Mai più rassegnati e indifferenti, i giovani devono cambiare l'Italia: è l'appello di un 95enne nel libro «Ribellarsi è giusto»

Massimo Ottolenghi è un ex partigiano di 95 anni con lo spirito di un ventenne. Lo si percepisce dall’appello alle nuove generazioni lanciato nel suo libro Ribellarsi è giusto (Chiarelettere 2011, 12 euro), che ricorda molto il recente caso editoriale francese Indignatevi! del 93enne partigiano Stéphane Hessel, un opuscolo di una trentina di pagine che Oltralpe ha venduto ben 650mila copie. Ottolenghi, come Hessel, sfoga tutta la sua disapprovazione nei confronti della attuale situazione socio-politica del proprio Paese, chiamando i giovani a una rivolta per cambiare le cose. Un po’ come nella prima metà del secolo scorso fecero lui e i ragazzi della sua epoca con la Resistenza, quando Ottolenghi [nella foto in basso], ebreo di origini torinesi, fu prima militante nel Partito d’Azione e poi  magistrato e avvocato civilista. «Noi non ce l’abbiamo fatta» è l’ammissione dell’autore «adesso tocca a voi». Tocca insomma ai giovani di oggi, quelli che possono organizzarsi tramite Internet come dimostrano le rivolte nei Paesi arabi, prendere in mano le redini della situazione e agire per epurare le colpe dei padri. Ottolenghi infatti non solo vuole incoraggiare alla ribellione, ma fa anche un inconsueto mea culpa riconoscendo gli errori delle generazioni precedenti che «non hanno saputo scindere fino in fondo il bene dal male» e  «preparare la generazione» successiva. Suggerisce quindi ai lettori di inventare il futuro a propria immagine, «non secondo quella dei padri che sono incapaci di andare oltre questo fango». E di farlo senza andare dietro un simbolo o una bandiera: basta ispirarsi alla troppo spesso dimenticata Costituzione del 1948, frutto proprio delle lotte iniziate con la generazione di Ottolenghi.Come ebreo ed ex resistente, lui ne sa qualcosa di cosa significhi vivere sotto una dittatura: nel libro si succedono i ricordi delle umiliazioni subite a seguito dell’emanazione delle leggi razziali sotto il regime fascista. Per questo, per evitare una nuova Shoah - stavolta dei diritti - reputa sia necessario creare una «frattura», una discontinuità con il passato attraverso l'epurazione del presente. Secondo l’autore si tratta di un passo «irrinunciabile per una rilegittimazione storico-politica e morale». Il rischio è altrimenti quello di andare incontro a una deriva antidemocratica. Ottolenghi si scaglia anche contro i tagli alla scuola pubblica, causa di un lento logorio che sta distruggendo il nostro sistema culturale, e che per l'ex magistrato sono l'odiosa conseguenza dell'esercizio del potere, favorito invece dall’ignoranza. Mentre l'istruzione e la capacità di giudicare rappresentano un pericolo per chi è al comando. E un altro ostacolo da combattere è la cultura dell’illegalità, estesa ovunque nel nostro Paese, e che ormai «non fa più notizia», dice Ottolenghi. Per questo va sostenuta la bistrattata magistratura e il capo dello Stato, unici baluardi contro l’inosservanza delle leggi.Insomma, l’appello di questo quasi centenario è netto e vigoroso: mai rassegnarsi e mai essere indifferenti. L’indignazione deve farci essere «partigiani» e procedere verso un nuovo risorgimento e una nuova liberazione. I giovani di una volta l’hanno già fatto. Se lo dice un uomo che ha vissuto da protagonista i principali eventi storici che ci hanno portato ai nostri giorni, c’è da credergli.Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - «Non è un paese per giovani», fotografia di una generazione (e appello all'audacia)- Oggi in tutta Italia manifestazioni a difesa della Costituzione. Senza dimenticare l'articolo 36, che sancisce il diritto a retribuzioni dignitose