Ospedali a caccia di infermieri e operatori sanitari. O almeno così sembrerebbe, perché i dati sul fenomeno del mismatch tra domanda e offerta di lavoro, su cui la Repubblica degli Stagisti torna a indagare, sono apparentemente discordanti per quanto attiene il settore sanitario. I numeri relativi al 2011 forniti da Unioncamere, che parlano di uno stock di occasioni lavorative andate in fumo (per mancanza di risorse da inserire) pari a ben 117mila unità, attribuiscono a questo settore il 7% dei posti rimasti senza copertura. Più di 8mila tra infermieri, ausiliari, tecnici di smaltimento e altre figure (non mediche): in base alle stime dello stesso ente pubblicate a settembre le aziende intervistate avevano previsto 30mila assuzioni per il 2012, un'enormità considerando che quelle del settore media e comunicazione superano di poco le 4mila. Le cronache del resto confermano: è di qualche giorno fa la notizia dell'ospedale Grassi di Ostia, talmente in crisi di personale nel reparto di neonatologia da lanciare l'allarme per la possibile insorgenza di errori medici. In pochi anni, dal 2004 al 2011, si è passati qui da 1200 a 2mila nascite (anche grazie all'apporto dei residenti immigrati), mentre il numero di infermieri per turno è rimasto invariato: solo tre, quando ne servirebbe almeno uno o due in più a detta del sindacato Uil Flp.
Le statistiche dell'impiego sono altrettanto chiare in questo senso: Almalaurea colloca il gruppo sanitario sul gradino più alto delle lauree con maggiore tasso di occupazione. Nel 2007 i laureati del settore medico-sanitario, a un anno dalla laurea, avevano un lavoro nell'84,4% dei casi, il doppio del gruppo secondo classificato - quello dell'educazione fisica (i laureati in ambito letterario o giuridico non superano invece il 20%). Nel 2010 invece i laureati del settore sanitario freschi di titolo si sono confermati leader nella classifica degli occupati, ma con un netto calo (73,5%), come probabile effetto della crisi economica. Nel 2011 comunque si è tornati a salire, raggiungendo quota 93%. Risultati davvero incoraggianti a fronte dei quali però le iscrizioni alle facoltà per professioni sanitarie (28 in totale, escluse le private) risultano in diminuzione del 3% rispetto all'anno scorso: 123mila le domande per il 2011, quasi 4mila in meno quest'anno. Nonostante poi anche le aspettativa di reddito siano di tutto rispetto: per gli infermieri si va dai 1.300 ai 1.800 euro al mese, a seconda del livello.
«In Italia abbiamo circa 330mila infermieri registrati all'ordine e che risultano attivi» spiega Angelo Mastrillo dell'Osservatorio per la formazione universitaria delle professioni sanitarie del Miur [nella foto sotto]. Gli infermieri rappresentano il 63% degli operatori del settore (i censiti nel 2011 sono 583mila, tra cui 40mila fisioterapisti, 30mila tecnici di laboratorio, 23mila tecnici radiologi, 16mila ostetriche, solo per indicarne alcuni). «Con un turn over al 3%, occorrerebbero circa 10mila nuove leve all'anno per coprire i posti che si liberano, ma in Italia si formano circa 15mila professionisti ogni anno», ragiona Mastrillo «e se prima premevo sul ministero per ampliare l'organico ospedaliero, ora me ne guardo bene vedendo i tanti ragazzi disoccupati». È evidente infatti che se il fabbisogno stimato è 10mila unità, 5mila laureati restano fuori. Eppure la richiesta di infermieri non è affatto in declino, tutt'altro. Dov'è il bandolo della matassa dunque? Tutta colpa del taglio dei posti letto. Ne è convinto Andrea Bottega, segretario nazionale del Nursind, sindacato nazionale degli infermieri: «I piani di rientro, la trasformazione della chirurgia in day surgery e le varie riorganizzazioni ospedaliere hanno bloccato le assunzioni nelle pubbliche amministrazioni». E questo benché «nel nostro paese la diffusione di infermieri per abitanti sia inferiore alla media europea, a tutto vantaggio dei medici. Che peraltro all'estero sono di meno». Per uscirne «bisogna che il sistema si assesti perché in questo modo scarseggiano i servizi sul territorio e le persone ammalate sono costrette a ricorrere a servizi privati». In buona sostanza: via il personale sanitario dagli ospedali, malgrado le esigenze di assistenza a chi si ammala siano sempre maggiori. E anche gli aspiranti infermieri o tecnici sanitari, da un lato rassicurati dalle statistiche che danno una "quasi certezza" di trovare lavoro subito dopo il titolo, sembrano voler fare marcia indietro perchè sono spaventati, dall'altro lato, dalla stretta sulle assunzioni nel pubblico. «I concorsi sono sempre strapieni» quindi non sono i candidati a mancare, «ma con una dotazione di organico stabilita in base ai posti letto», il personale assunto non può che diminuire, lascia intendere Bottega.
I problemi non mancano neppure sul piano dello stipendio per chi lavora nelle cooperative, dove finisce quel 20% di infermieri - spesso immigrati - non assorbito dalle pubbliche amministrazioni. «Qui hanno gioco facile a corrispondere salari inferiori rispetto a quelli percepiti dai colleghi italiani. Inoltre in questi casi a pagare è comunque il pubblico, i cui ritardi si ripercuotono inevitabilmente sulle buste paga».
Insomma il caso non sarebbe di quelli in cui il mismatch tra domanda e offerta di lavoro è imputabile ai servizi (mancanti) di orientamento o alla scarsa propensione dei ragazzi a cimentarsi con professioni di questo tipo. «È un mito da sfatare valido forse anni fa, ma ora non più», assicura Mastrillo. I giovani specializzati nel settore ci sono, e la richiesta del mercato è elevata. In mezzo però ci sono il blocco del turn over e la spendig review, che sta forse presentando un conto troppo salato alla sanità.
Ilaria Mariotti
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