Le aziende cercano grafici e ingegneri del web: ma non ce ne sono

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 20 Set 2012 in Approfondimenti

Gli esperti lo chiamano skill shortage (letteralmente 'mancanza di competenze') ed è uno dei paradossi del mercato del lavoro italiano. A fronte di numeri sulla disoccupazione in continua crescita (le ultime stime Istat arrivano al 35% per i 15-24enni) esistono infatti dati altrettanto allarmanti sui posti di lavoro che restano scoperti ogni anno per l'impossibilità da parte delle aziende di reperire risorse adeguate: secondo l'ultimo rapporto Unioncamere nel solo 2011 sono sfumate ben 117mila occasioni di lavoro. Ma a essere interessate dal fenomeno – e questa è la vera notizia - non sono soltanto le professioni più strettamente manuali (falegnami, piastrellistri, carpentieri...) - per lo più snobbate da chi ha una formazione accademica e a ragione si orienta su altro - ma anche mestieri che richiedono una preparazione teorica, perfino universitaria.

Come è possibile? La Repubblica degli Stagisti vuole fare luce sulla questione attraverso una serie di focus sulle professioni che rimangono ai margini della domanda di lavoro. Dai numeri di Unioncamere emerge che uno dei settori colpiti è quello dell'informazione e comunicazioni, dove è il 3% delle offerte di lavoro a restare senza risposta, lasciando vacanti posti di lavoro come ingegneri delle comunicazioni, gestori e grafici web, designer. Secondo il rapporto più di un quinto delle posizioni aperte nelle aziende (il 22% del totale delle assunzioni) riguarda questo settore, eppure tali risorse sono considerate di difficile reperimento per ridotto numero dei candidati o loro inadeguatezza. Per la maggior parte di queste imprese (di cui l'insieme principale, circa 20mila, è situato al Nord Ovest) il motivo è che poche persone esercitano la professione o sono interessate a esercitarla. Una percentuale, pur molto ridotta (il 2%), pensa di rivolgersi quindi a personale immigrato per mancanza di italiani dotati delle necessarie competenze.

«Non mi stupiscono questi dati» riconosce Luigia Carlucci Aiello, preside della facoltà di Ingegneria dell'informazione, Informatica e Statistica (così accorpata nel 2010 a seguito del riordino dell'ateneo), della Sapienza di Roma. «Per quanto riguarda l'occupazione le rilevazioni di Almalaurea che riguardano i nostri studenti sono estremamente positive. Il tempo che passa tra il conseguimento del titolo e il primo impiego è il più basso tra tutti i tipi di lauree, si parla di due o tre mesi, e lo stipendio iniziale medio è di quasi 1300 euro al mese sia per i laureati di primo che di secondo livello». Questo a un anno dalla laurea, poi «la retribuzione cresce più rapidamente».

E in effetti, per gli ingegneri delle comunicazioni lo scoglio della disoccupazione non sembra costituire un problema: secondo il consorzio Almalaurea, nel 2011, a un anno dalla laurea, il 78,6% dei laureati è occupato. A Lettere e filosofia, da sempre accusata di essere un raccoglitore di futuri disoccupati, si arriva al 49,3. «Se tutti trovano lavoro vuol dire che c'è una forte domanda da parte del mercato. Si tratta di professioni stimolanti, il che è un ottimo incentivo per proseguire in questo tipo di lavoro», dichiara la preside. Un ingegnere del settore informazioni e comunicazione si occupa infatti della progettazione dei sistemi di trattamento e trasporto delle informazioni, tutt'altro che qualcosa di meccanico o ripetitivo. È lui a progettare apparati e dispositivi per il digitale e per Internet (come non pensare qui ai geni della Silicon Valley?). Ed è chiaro che in una società sempre più digitalizzata ci sarà un crescente fabbisogno di competenze scientifiche come queste. Eppure le immatricolazioni a questa facoltà (alla Sapienza) sono state nell'ultimo anno accademico 1708 (e in mezzo ci sono anche gli iscritti a Informatica e Statistica), contro i 2577 di Ingegneria civile e industriale e i 5243 di Lettere e Filosofia. 

Se si guarda ai dati nazionali invece, gli iscritti a Ingegneria dell'informazione (per l'anno accademico 2010-2011) sono 7mila, contro i 16mila immatricolati a Ingegneria (intesa nel suo complesso), le 179mila nuove leve di Lettere e Filosofia e i 195mila di Giurisprudenza. Insomma, tutto secondo la consuetudine. Per la Aiello una spiegazione plausibile è che «le tradizioni sono dure a morire. Se l'ingegneria civile esiste da secoli, l'ict ha più o meno cinquant'anni, e questo può influenzare le famiglie, che preferiscono indirizzare i propri figlio verso discipline più consolidate». Tendenzialmente infatti gli studenti dell'ict, a suo dire, non provengono da famiglie con un background professionale nello stesso settore.
«Per iscriversi da noi, a una facoltà innovativa, servono dunque più grinta e coraggio» chiosa la preside. Forse ancora una volta il problema è da ricercare nell'orientamento offerto ai ragazzi prima di iscriversi all'università. A loro andrebbe suggerito un percorso con sbocchi professionali certi e non una strada che porti solo all'arricchimento culturale o a inseguire un sogno, per poi alla fine stupirsi se il povero laureato non ha granché voglia di cimentarsi a fare magari il falegname. Come se questo si potesse improvvisare, dopo anni di investimenti sulla propria formazione accademia.

Dello stesso parere anche Ivan Lo Bello [nella foto a destra], vicepresidente di Confindustria con delega all'Education, che a proposito degli ultimi dati Ocse recentemente ha puntato il dito sui percorsi formativi poco orientati al mercato: «Troppi giovani scelgono percorsi di  studio destinati alla diso
ccupazione. Troppe  aziende  non  trovano i tecnici che cercano. Le specializzazioni tecniche devono crescere nel nostro sistema educativo che è ancora troppo condizionato da stereotipi del passato e poco attento alla domanda delle imprese».

Il fenomeno dello skill shortage in questo settore, e più in particolare nella grafica del web, non se lo spiega neppure Alberto Iacovoni [nella foto], l'architetto che dirige lo Ied (Istituto europeo di design) di Roma: «I nostri corsi di grafica web non hanno così grande successo, nonostante siano di stretta attualità. Basta vedere quante risorse economiche vengono investite sul web, che ormai assorbe grande quantità dell'economia e sviluppa ricchezza». Chi studia queste materie matura pure competenze interdisciplinari, spiega alla Repubblica degli Stagisti, «perché deve sì conoscere la grafica ma anche sapere quali tecnologie si nascondono dietro il web e le sue strategie. I video virali ne sono un classico esempio». Eppure, nonostante la diffusione dei social network e l'enorme dispendio di energie quotidiane davanti a uno schermo, i giovani preferiscono restare sul tradizionale e di fronte a un diploma «moderno come il corso di media design o il master in web design scelgono corsi come fotografia o grafica».

I numeri dello scorso anno parlano chiaro: 10 gli iscritti a Media Design e 15 quelli a Video Design, contro i 30 di Fotografia e i 44 di Graphic Design. «Sembra che a questa professione manchi appeal, o che sia passata di moda», commenta. Iacovoni ammette anche che «spesso riceviamo dalle aziende richieste che non riusciamo a evadere», molte di queste alla ricerca di un buon sito aziendale. E pronte ad accogliere personale disponibile a svolgere un'attività creativa e spesso ben remunerata. Tutte informazioni che potrebbe fornire un servizio di orientamento strutturato a dovere, se solo esistesse.

Ilaria Mariotti


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