Categoria: Approfondimenti

Dall'ispettore al medico legale: tutte le possibilità di ingresso in Polizia

Per chi sta valutando la possibilità di provare a entrare in Polizia, è utile sapere che sono tre le aree di specializzazione: operativa, tecnica, e poi gruppi sportivi / banda musicale. Quella operativa include la classica figura del poliziotto che opera sulle volanti per le strade o in commissariato. L'area tecnica, invece, comprende tutte quelle figure che si occupano di investigazioni medico-scientifiche. A loro volta, le prime due aree di specializzazione sono suddivise in ruoli d'ingresso.Area operativaIl concorso per agente di Polizia. Il concorso per agente viene bandito ogni anno ed è riservato ai volontari in ferma prefissata di un anno o quadriennale nelle Forze Armate. Da quest’anno e fino al 31 dicembre 2018, il 50% dei posti disponibili sarà coperto attraverso un concorso pubblico per i cittadini provenienti dalla “vita civile”. Per partecipare a questo concorso è necessario avere compiuto 18 anni e non aver superato i 30, godere dei diritti politici, non aver riportato condanne dolose, non essere stati espulsi dalle forze armate ed essere “fisicamente idonei”, sulla base di visite mediche. Il concorso prevede una prova scritta di cultura generale, un test psico-attitudinale, una prova di idoneità fisica e la valutazione dei titoli di servizio per i militari. I vincitori acquisiscono il titolo di allievo agente e vengono avviati a un corso di formazione (con lezioni teoriche e pratiche dalle 8 alle 18) della durata di un anno presso una delle Scuole di Polizia sul territorio nazionale, dopo il quale verranno destinati in una delle province italiane ad eccezione di quella di residenza, di quella di nascita e di quelle limitrofe. L’allievo agente ha una retribuzione lorda di 803 euro al mese. Dopo i 12 mesi, viene nominato agente in prova con uno stipendio di 1.900 euro lordi. Dal momento che l’agente diviene effettivo, il suo stipendio lordo aumenta di appena 56 euro.Nel 2015 sono stati indetti tre bandi per l’assunzione di agenti. Due erano riservati ai volontari in ferma prefissata nelle forze armate (per un totale di 1.557 posti) e uno aperto ai civili (1.050 posti) con priorità alla graduatoria degli idonei provenienti dalla ferma militare. È in svolgimento un concorso aperto per l’assunzione di 491 agenti, mentre si è da poco conclusa la possibilità di presentare domanda per 559 posti riservati ai militari. Non si conoscono, al momento le date dei prossimi bandi.Come diventare ispettori. Per quanto riguarda il concorso per ispettori, possono accedere tutti i cittadini italiani diplomati alla scuola media superiore (diploma che consenta l’accesso all’università), che non abbiano superato i 32 anni di età, che godano dei diritti politici, che non siano stati espulsi dalla forze armate, che abbiano l’idoneità sportiva agonistica per l’atletica leggera. Il concorso consiste in una prova preliminare con risposta multipla sul diritto penale, costituzionale, amministrativo e civile. La prima prova consiste in un elaborato scritto su una tematica di diritto penale, procedura penale e costituzionale. Il superamento della prova dipende esclusivamente dal voto ottenuto. Per accedere alla prova orale è necessario aver riportato la sufficienza. La prova orale consiste in un colloquio su materie giuridiche. La prova si ritiene superata quando la votazione corrisponda almeno alla sufficienza. I vincitori del concorso verranno nominati allievi vice ispettori e dovranno sostenere un corso di 18 mesi. I primi sei mesi sono teorici con classiche lezioni frontali, successivamente le materie divengono pratiche (uso delle armi, difesa personale, ecc.). Negli ultimi sei mesi, nominati vice ispettori in prova, svolgono alcune mansioni sul campo, entrando in contatto con i reparti operativi. L’allievo vice ispettore riceve uno stipendio pari a 1.271 euro lordi. Terminato il periodo di formazione, avviene la nomina di vice ispettore in una regione diversa da quella di residenza con una retribuzione che sale a 2.458 euro.La carriere dirigenziale, il concorso per commissari. Per quanto riguarda il concorso per commissari, i candidati non devono avere più di 32 anni di età, godere dei diritti politici, non aver riportato condanne dolose, non essere stati destituiti o espulsi dalla pubblica amministrazione o dalle forze armate ed essere cittadini italiani. Non esiste limite di età per i concorsi interni tra il personale già in servizio, mentre il limite è 40 anni per coloro che già lavorano nell’amministrazione civile. Al concorso si accede esclusivamente attraverso lauree specialistiche (magistrali) in giurisprudenza, pubblica amministrazione, economia, scienze politiche, ma vengono considerate valide anche quelle “equipollenti”. Il concorso consiste in una prova preliminare (stabilita solo se il numero dei partecipanti è di 50 volte superiore rispetto ai posti messi a disposizione) a risposta multipla su materie giuridiche. Segue il test psico-fisico che viene definito di volta in volta nel bando. Le prove scritte sono due: la prima consiste in un elaborato di diritto costituzionale e pubblica sicurezza. La seconda prova riguarda il diritto e procedura penale. Gli scritti risultano superati se i candidati raggiungono il punteggio complessivo di 21/30 e di 18/30 per ogni test. Superata questa fase, la commissione valuta i titoli dei candidati, definendo un punteggio che concorre a quello finale. La prova orale consiste in un colloquio su materie giuridiche, informatica, lingua straniera a scelta tra quelle indicate sul bando e nozioni di medicina legale. I vincitori vengono nominati commissari e devono seguire presso la Scuola superiore di Polizia un corso equivalente ad un master universitario di secondo livello della durata di due anni con tirocinio operativo presso le strutture della Polizia. Il tirocinio applicativo ha una durata di sette settimane, ripartite nei due anni di studio. Alla nomina di commissario si comincia a ricevere uno stipendio lordo mensile di 2.698 euro. Al termine del corso, chi supera la prova finale ottenendo anche una votazione sufficiente al tirocinio verrà nominato commissario capo. Al termine del percorso, con la nomina lo stipendio raggiunge i 2.780 euro lordi mensili.Area tecnicaOltre all’area operativa, in Polizia si può accedere anche all’area tecnica e ai gruppi sportivi. Per quanto riguarda i concorsi per l’area tecnica, le figure selezionate vengono impiegate nella polizia scientifica per indagini balistiche e in tutte le rilevazioni che richiedono personale specializzato. I ruoli sono cinque: operatore, vice revisore, vice perito, direttore tecnico, medico. I requisiti d’accesso per i posti da operatore sono identici a quelli previsti per gli agenti ordinari. Il concorso prevede un test di cultura generale con particolare attenzione all’informatica e alla lingua straniera. Al superamento della prova, i candidati vengono nominati “allievi operatori tecnici” e vengono formati attraverso un corso di quattro mesi. Non sono previsti, al momento, concorsi per questo ruolo. L’ultimo, indetto nel 2011, era peraltro riservato ai congiunti del personale della Polizia, e  comunque aveva messo a disposizione solamente 15 posti. Per accedere al ruolo di vice revisore tecnico, oltre a quanto previsto per gli operatori, è necessario un diploma professionale almeno triennale in base alle specializzazioni richieste. Il concorso si articola come descritto per gli operatori. Al superamento della prova, anche in questo caso i candidati vengono nominati allievi operatori tecnici e devono seguire con profitto un corso di sei mesi per ottenere la nomina definitiva. Per quanto riguarda il concorso per vice perito, valgono le stesse regole di ammissione del vice ispettore. La prova consiste in un test sulle materie oggetto del concorso. Al superamento avviene la nomina ad allievo vice perito e l’obbligo di formazione in un corso specialistico di almeno sei mesi. Al momento concorsi per questo ruolo non sono stati calendarizzati. Il ruolo di direttore tecnico spetta a psicologi, infermieri, ingegneri, medici, fisici, telematici. Per l’ammissione valgono le stesse regole per l’accesso alla carriera di commissario. Il concorso si svolge con due prove scritte su materie specialistiche, mentre la prova orale include anche nozioni di diritto pubblico e di diritto penale. I vincitori seguono un corso di formazione di 12 mesi. Per questo ruolo, nel 2015 , sono stati messi a disposizione complessivamente 35 posti riservati a ingegneri edili, fisici e biologi.Diventare medico della Polizia. Il concorso per i medici della Polizia, mestiere diventato ultimamente molto visibile grazie ad alcune serie tv, si svolge secondo le regole previste per il concorso per direttore tecnico. Le materie trattate nelle due prove scritte sono patologia medica e chirurgica. All’orale, invece, i candidati si troveranno ad affrontare semeiotica e clinica medica, medicina legale e antropologia criminale. I candidati idonei affronteranno un corso di formazione di 12 mesi. Nel 2015 sono stati messi a disposizione 20 posti.Gruppi sportivi e banda musicaleSportivi in Polizia, entrare nelle “Fiamme oro”. Per quanto riguarda i gruppi sportivi “Fiamme oro” il concorso è per titoli e valutazioni attitudinali. Ogni titolo sportivo conseguito dà diritto ad un punteggio. Concorrono a ciò anche la laurea e corsi di specializzazione. I vincitori devono seguire una formazione di sei mesi. Al termine divengono agenti in prova e, dopo altri sei mesi, vengono nominati effettivi e destinati al settore specifico del gruppo sportivo. Proprio da poco sono scaduti i termini per candidarsi al bando 2016 per accedere al gruppo sportivo “Fiamme oro”, che metteva a disposizione 35 posti per atleti di varie discipline. Nel 2015 sono stati inseriti in organico 62 atleti.La Polizia cerca anche musicisti. Per partecipare al concorso per gli orchestrali della Polizia di Stato è necessario essere diplomati al conservatorio e possedere un titolo di studio di scuola media superiore o equipollente. Il concorso che non prevede limiti d’età, richiede il superamento di tre prove di esame (esecuzione, esecuzione a prima vista e colloquio sulla storia dello strumento suonato), oltre alle prove di idoneità fisica. I vincitori sono nominati allievi vice periti tecnici orchestrali e prestano servizio a Roma; anche per loro subito dopo l'ingresso è previsto un corso di formazione. L’ultimo concorso è stato indetto nel 2009 per sette posti (specialità: tromba, trombino, saxofono e flicorno).

Polizia di Stato, ogni anno 1400 opportunità nella sezione operativa: ecco come candidarsi

Indossare la divisa, e ottenere un posto fisso come “servitore dello Stato”, è ancora un desiderio molto comune tra i giovani italiani. Ed effettivamente il settore delle forze dell'ordine è uno dei pochi che, pur tra i tagli delle spending review, non ha mai smesso di assumere. Le forze dell’ordine sono cinque: la Polizia di Stato, l’Arma dei Carabinieri, la Guardia di Finanza, la Polizia Penitenziaria e infine il Corpo Forestale dello Stato. Quest’ultimo verrà assorbito entro il 1° gennaio 2017 nei Carabinieri, trasformandosi in Comando per la tutela forestale. La Repubblica degli Stagisti comincia oggi un viaggio attraverso queste professioni, raccontando di settimana in settimana le opportunità professionali che ciascun corpo offre, le modalità per candidarsi ai concorsi, le prospettive retributive. Si comincia con le modalità per l'accesso alla Polizia di Stato.Il personale e le specializzazioni. La Polizia occupa complessivamente poco più di 107mila persone. Secondo gli ultimi dati disponibili del 2013, alle dipendenze dalla Polizia ci sono 930 dirigenti, 1.980 commissari, 1.300 vice-commissari e questori, 23.600 ispettori, 20.000 sovrintendenti e 59.600 agenti. A questi vanno aggiunti i tecnici. Le donne in Polizia rappresentano il 15,4% del totale degli effettivi con prevalenza nei ruoli apicali e in quelli tecnici: un dirigente su tre è di sesso femminile, mentre tra gli assistenti tecnici la percentuale sfiora il 50%. Per quanto riguarda la distribuzione geografica, vi è una prevalenza di cittadini residenti nelle regioni meridionali in una percentuale che oscilla tra il 43 e il 46%. La Polizia di Stato è suddivisa in tre specializzazioni. La prima – e quella più conosciuta – è quello “operativa”. Si tratta della classica figura del poliziotto che opera sulle volanti o in commissariato. I ruoli di accesso sono tre: agenti, ispettori e commissari. Per ogni ruolo è previsto un concorso (in genere con cadenza annuale). Ogni  anno sono circa 80 i posti riservati ai nuovi commissari, poco più di 300 quelli riservati agli ispettori e più di 1.000 i posti per agenti. Le altre due specializzazioni riguardano l'area tecnica e i gruppi sportivi e banda musicale.La formazione. Tutti i vincitori, per qualsiasi livello, devono seguire un periodo di formazione prima di entrare in ruolo. «La formazione di tutto il personale, ad eccezione dei dirigenti e dei direttivi dei quali si occupa la Scuola Superiore di Polizia, è curata a livello centrale dalla Direzione centrale per gli istituti di istruzione», spiega alla Repubblica degli Stagisti l’ufficio stampa della Polizia. La formazione in genere si divide in materie attinenti all’ “area didattica” (come il diritto penale, procedura penale, diritto amministrativo ecc.) e in materie attinenti all’ “area addestrativa”. Quest’ultima «è finalizzata all’acquisizione di un adeguato livello di capacità tecnica». Tra le materie affrontate, armi ed esplosivi, pratica armi, addestramento al tiro e così via.Come candidarsi? Chi è interessato ad entrare nella Polizia di Stato deve verificare regolarmente sul sito web nella sezione “Concorsi” l’uscita dei vari bandi. «Un nuovo strumento messo a disposizione per essere sempre informati sui concorsi è l’app per dispositivi mobili Android e Apple, tramite cui è possibile accedere all’area del concorso d’interesse e conoscere tutte le news e informazioni utili per partecipare», spiega Giancarlo Dionisi, direttore dell’Ufficio per le attività concorsuali della Polizia di Stato. In ogni bando è prevista la procedura per fare domanda, con relative tempistiche e materiale da produrre. Da qualche anno, inoltre, «è possibile candidarsi tramite la domanda online disponibile sul portale web dedicato ai concorsi», conclude Dionisi.→ Vai alla seconda parte dell'approfondimento sulla Polizia, con tutti i dettagli sulle varie figure professionali

Innovazione sociale, dalla sharing economy all'attivazione delle fasce più deboli: la sfida è la sostenibilità economica

Sarà l'esito di anni di crisi finanziaria, sarà che il progresso non si può fermare: fatto sta che nuovi modelli di sviluppo sociale si stanno affermando a livello trasversale, tra pubblico e privato, profit o non. Perfino nel nostro paese, spesso restio a rinnovarsi, si fanno spazio sistemi economici all'avanguardia, che sono diventati l'oggetto di analisi del secondo Rapporto sull'innovazione sociale. Autore dello studio il CeRIIS, centro di ricerca che fa capo alla Luiss e a ItaliaCamp, associazione il cui scopo è «collegare chi ha una buona idea con quanti hanno la forza economica, culturale e politica di realizzarla». Al centro dell'indagine quelle «iniziative volte a soddifare i bisogni della collettività, tutto ciò la cui stella polare è la soluzione di bisogni collettivi» ha spiegato all'incontro di presentazione alla Camera organizzato da Agenzia giovani Matteo Caroli, direttore dell'ente. Le modalità operative «devono però essere diverse, con modelli nuovi e più efficaci di quelli in uso» ha precisato, «generando un cambiamento che migliora la situazione precedente». Una sfida che è soprattutto nelle mani dei giovani perché - ha ricordato Giacomo D'Arrigo, presidente dell'Agenzia nazionale giovani, «il tema generazionale è strettamente connesso a quello dell'innovazione. La si può fare anche attraverso il programma Erasmus+ (che l'agenzia gestice, ndr), dando ai giovani strumenti per investire su loro stessi». Anche in Italia – si diceva - qualcosa si muove, nonostante le «resistente culturali» a cui ha fatto cenno il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio [nella foto] introducendo la presentazione. Qui «non è facile convincere le imprese per esempio a vendere in e-commerce o a cambiare nome per essere più accattivanti». La maggior parte dei 500 progetti presi in esame si concentra da noi sulla sharing economy (19%), l'assistenza (17%) e l'integrazione sociale (16%), rileva l'analisi. Mentre la tipologia di innovazione si concentra su tecnologie che coinvolgono il prodotto o servizio offerto, oppure il processo organizzativo adottato, a pari merito con un cambiamento delle relazioni dentro il tessuto produttivo.Spesso si riscontra in queste esperienze «un nuovo modo di lavorare insieme: pur facendo mestieri differenti c'è una condivisione di valori, si gioca insieme a una sfida» ha sottilineato Caroli. È questo più che la tecnologia in sé a segnare l'innovazione sociale in Italia. Un microcosmo in cui una delle maggiori difficoltà riscontrate è la sostenibilità economico-finanziaria (su questo il rapporto è impietoso: «La maggior parte delle iniziative, il 54%, risulta scarsamente sostenibile») e che continua a concentrarsi principalmente nel non profit: proprio le organizzazioni di questo tipo «emergono come protagoniste dell'innovazione sociale, sia come attuatori che come promotori delle iniziative di tutte le tipologie innovative».Ma a dimostrazione che innovazione non coincide solo con tecnologia e Internet, l'imprenditrice Anna Fiscale [nella foto sotto], ha raccontato l'esperienza della sua cooperativa da cui è partito nel 2013 Progetto Quid, con l'obiettivo di dare nuova vita alle rimanenze di tessuto delle aziende di abbigliamento. «Metri e metri di considerati come scarto per un piccolo difetto vengono lavorati da donne con passati difficili: sono ex detenute, persone che hanno subito violenza, ex prostitute» racconta la Fiscale. «Andiamo anche a far risparmiare l'azienda perché su un chilo di tessuto spenderebbe circa 20 centesimi per lo smaltimento». Al momento i dipendenti sono 30, con un fatturato di mezzo milione di euro.Per ottenere la piena sostenibilità la cooperativa si appoggia a aziende tradizionali come Calzedonia, Diesel, Carrera, «che ci commissionano linee di commercio etico per poi essere distribuiti nei canali di vendita classici, garantendo così continuità lavorativa ai nostri dipendenti». Con prezzi «competitivi, come quelli di Zara». Un modello vincente da prendere a esempio come perfetta compenetrazione tra profit e non.Altro caso quello di Antonio Loffredo, parroco di uno dei luoghi più difficili di Napoli, il Rione Sanità. «Da noi il disagio dura da due secoli, ma il quartiere ha un patrimonio storico-artistico strepitoso e giovani che sono un'opportunità. Attraverso il nostro progetto questi ragazzi», per lo più senza una scolarizzazione adeguata, «sono riusciti a riqualificare le catacombe della zona attraendo circa 100mila visitatori all'anno contro le poche migliaia del passato». Senza ricevere neppure un euro di fondi pubblici. Non mancano sperimentazioni anche nel pubblico. Un caso è quello del patrimonio immobiliare, illustrato da Roberto Reggi, direttore dell’Agenzia del demanio (40mila beni circa per 60 miliardi di euro). «Con OpenDemanio avete tutti e 32mila i fabbricati di proprietà dello Stato in visione con Google view e l'indicazione dell'uso di queste strutture, se disponibili o no per progetti di valorizzazione. La tecnologia qui ci è servita a far conoscere le opportunità». C'è ancora molta strada da fare. Il percorso da intraprendere è verso «l'individuazione e valorizzazione di quelle imprese che sappiano creare valore, facendone beneficiare i dipendenti, la comunità in cui si inseriscono» ragiona Federico Florà, presidente di ItaliaCamp, «senza dare troppo peso alla distinzione profit - non profit». Le linee guida del futuro dovrebbero essere finalizzate, conclude il rapporto, «a aumentare la consapevolezza presso i decision maker, i soggetti economici rilevanti, e a creare contesti favorevoli alla nascita e all'investimento delle iniziative». Solo così l'innovazione sociale potrà diventare strutturale nel nostro paese. Ilaria Mariotti 

Cassieri e banconisti, stage al posto di contratti: ancora abusi nella grande distribuzione

Un periodo di formazione in azienda affiancato da un tutor che insegna un mestiere: questo in teoria dovrebbe essere lo stage. Nella pratica però... non sempre. È vero che le recenti riforme al mercato del lavoro abbiano messo un freno: «Dopo le regolamentazioni introdotte dal governo Monti e con le leggi regionali, abbiamo notato un arresto nel ricorso spropositato allo strumento» spiega alla Repubblica degli Stagisti Luca De Zolt di Filcams, rete della Cgil per il terziario, il turismo e i servizi. Ma se ne continua a abusare. Spesso nella grande distribuzione, servendosi di tirocinanti al posto di lavoratori contrattualizzati. Il comparto può contare in Italia su circa 60mila esercizi e 450mila dipendenti, secondo gli ultimi dati di Federdistribuzione, e ha ospitato nel solo 2014 oltre 41mila stagisti: praticamente quasi uno stagista su otto, tra coloro che hanno svolto un tirocinio in una impresa privata in quell'anno, lo ha fatto in un esercizio commerciale. Per la precisione, nel commercio all'ingrosso sono stati impiegati nel 2014 14.440 stagisti, mentre nel commercio al dettaglio ne sono stati impiegati poco meno di 27mila. Totale appunto 41mila: ma solo 5mila di questi giovani sono stati poi contrattualizzati (i dati sono tratti dall'indagine Excelsior di Unioncamere). A documentare la situazione vi sono diverse recenti testimonianze sul forum di questo giornale. «Vengo contattata dal titolare di un'azienda di un supermercato e mi viene proposto un tirocinio come cassiera: io accetto, sono disposta a imparare» scrive Tilly. Nonostante, va ammesso, di formazione per un lavoro da cassiera non si avverta grande necessità, al di là di qualche giorno per apprendere le mansioni base. E invece: «Un supermercato mi ha proposto di fare uno stage di sei mesi con un rimborso di 400 euro. Dico di sì in attesa di meglio e anche per apprendere un mestiere» confessa Niki, che aggiunge: «Lavoro sette ore al giorno per sei giorni con domenica di riposo», vale a dire 42 ore a settimana.Le varie normative in materia (a partire dalle Linee guida concordate in sede di Conferenza Stato - Regioni nel gennaio 2013) non pongono un limite preciso al numero di ore da trascorrere nell'azienda ospitante, ma in onore al buon senso non si dovrebbero superare le 38-40 ore settimanali standard. Niki al contrario è in buona compagnia. Anche un altro lettore, impegnato in uno stage annuale in un supermercato, si lamenta dei «turni massacranti»: «Qualche volta sono arrivato a nove ore di fila, sempre con 15 minuti di pausa. Comincio a lavorare la domenica con turni spezzati. Ad agosto cinque giorni di vacanza». E ancora: «Almeno un giorno alla settimana, fino a un massimo di tre, devo lavorare fino alle 22, o dalle 6 di mattina)». Come Cristian, che «ha le chiavi del supermercato per aprire la mattina alle quattro», per 400 euro mensili.E la formazione? Molte volte i tutor latitano. A riprova del fatto che lo stagista di fatto sostituisce un lavoratore, basti pensare che spesso tiene aperta una cassa e svolge in autonomia lo stesso lavoro degli altri cassieri contrattualizzati. Tilly ripercorre il suo primo giorno: «Lunedì comincio e una delle dipendenti mi piazza alla cassa facendomi vedere come funziona. Impossibile memorizzare nell'arco di nemmeno un'ora. Resta lì un po', poi se ne va dicendomi se ho bisogno di chiamarla. Arriva gente e io vado nel panico». Lo stesso per Niki («Sono in cassa da sola e ho visto i presunti tutor affiancarmi solo il primo giorno. Mi rivolgo in caso di necessità agli altri ragazzi») e Cristian («Vengo schiaffato continuamente in cassa principale»).Se secondo i sindacati di settore «nella grande distribuzione organizzata l'utilizzo dello stage rimane limitato» chiarisce De Zolt, è pur vero che «nelle aziende più piccole è difficile entrare in possesso di dati e i lavoratori sono più deboli». Gli abusi continuano perciò «nel turismo e nei piccoli esercizi commerciali, dove lo stage vale come sostituzione del lavoro dipendente con costi ridotti». Il rischio non è nei grandi gruppi, «anche perché le aziende hanno adesso altre forme contrattuali a basso costo e con scarsi vincoli, come i vouchers, che nel terziario sono ormai un'emergenza», ma nelle piccole realtà come quella di Tilly: «In tutto siamo due stagisti su poco più di una decina di dipendenti (scaffalisti e cassieri)». Quelle dove i controlli sono più complicati, terreno fertile per gli abusi.La conferma arriva dalla Filcams di Torino: «Siamo certi dei dati sull'organico per le aziende in cui siamo presenti con iscritti e delegati e per cui possiamo rivendicare il diritto di informazione almeno annuale, oltre al controllo interno che solo i lavoratori possono fornire» rammenta Isabella Liguori. «L'unico obbligo per legge» continua «riguarda il personale in somministrazione: annualmente le aziende devono dare alle organizzazioni sindacali il consuntivo dei contratti di somministrazione attivati l'anno precedente, ma non esiste un simile atto dovuto per altre tipologie contrattuali». Né tantomeno per gli stage, che possono così continuare a svolgersi in un sottobosco pressoché fuori controllo. «Per un'organizzazione sindacale non è facile venire in contatto con i giovani che entrano nei luoghi di lavoro attraverso uno stage» ragiona De Zolt. «Lo stagista vive la sua condizione in modo transitorio, spesso sotto il ricatto/speranza di una possibile trasformazione dello stage in lavoro dipendente. Per questi motivi i casi di segnalazione diretta al sindacato sono molto limitati».Da parte loro le associazioni di categoria si schierano contro gli abusi. «Siamo contrari a questo tipo di stage sbagliati» dice alla Repubblica degli Stagisti Donatella Prampolini, presidente della Fida, la federazione dei venditori al dettaglio. «Crediamo molto nel lavoro e tendiamo a costruire rapporti 'familiari' all'interno delle nostre aziende, per cui se investiamo su una persona è per formarla e farla diventare un punto di riferimento per la clientela» assicura. La formula migliore per farlo «sono i tre anni di apprendistato», non lo stage. Le fa eco la la direzione della Confcommercio di Milano: «I nostri associati sono stati sensibilizzati sulle reali finalità del tirocinio attraverso incontri, seminari e una guida disponibile online. Esistono altri strumenti per trasferire competenze idonee a svolgere una mansione, come l'apprendistato». E se le assunzioni post tirocinio del comparto sono così scarse è «per la crisi che ci ha colpito. Se ci si trova di fronte alla necessità di una scelta, si toccano prima i nuovi entrati, non i contratti a tempo indeterminato» spiega Prampolini. Ma anche se i rappresentanti dei piccoli e grandi esercizi commerciali hanno questa posizione, e la predicano ai propri associati, basta un giro sul web per trovare proposte al limite della legalità. Perfino sul sito di Garanzia Giovani, quello preposto – almeno nelle intenzioni – a trovare buone offerte occupazionali per i giovani. È di qualche settimana fa un annuncio per «un ragazzo che abbia voglia di fare un tirocinio formativo di sei mesi, anche senza alcuna esperienza, come commesso di banco». Per ClicLavoro, sito ufficiale del ministero del Lavoro, la giustificazione è che «le opportunità di tirocinio sono inserite direttamente dalle aziende o dagli operatori accreditati, che gestiscono in autonomia il processo di selezione». Mentre il controllo qualità dello stage «è affidato al soggetto promotore e la conformità rispetto alle disposizioni nazionali e regionali è monitorata da appositi organi».La lista degli stage per ruoli di basso profilo è purtroppo ben lunga. Subito dopo i cassieri e i banconisti, vengono i commessi dell'abbigliamento. «Nelle aziende del Gruppo Inditex come Zara, Massimo Dutti, Bershka, ci risulta un uso ancora diffuso degli stage anche per mansioni ripetitive e a scarso contenuto formativo» denuncia De Zolt. Lo ribadiscono anche le storie che i lettori postano nel forum del giornale. Tra le più recenti: «Mi chiamo Flavia, ho 25 anni e sto finendo finalmente uno stage di cinque mesi presso un negozio d'abbigliamento»; «Sto svolgendo uno stage presso un negozio in cui devo fare 40 ore con la domenica come giorno di riposo settimanale». E ancora: «Da una settimana lavoro come tirocinante presso un negozio di grandi elettrodomestici, faccio tutto ciò che fa un commesso normale con il rimborso misero di 500 euro». Basterebbe prevedere, per questo tipo di mansioni, una durata massima molto ridotta, magari 8 o 10 settimane, differenziando dunque gli stage in base al ruolo professionale da apprendere. E dunque la domanda è: perché nessuno prova a battere questa strada?Ilaria Mariotti 

Riforma terzo settore, al via il rilancio del servizio civile. Con qualche criticità da risolvere

Si allargano gli orizzonti del servizio civile, da progetto di nicchia a opportunità formativa per decine di migliaia di giovani. A quindici anni dalla sua nascita, e dopo qualche battuta di arresto (nel 2012 il bando non uscì per mancanza di fondi), sembra essere tornato al centro degli obiettivi di governo. La sua riforma è all'interno di quella del Terzo settore in discussione in queste ore. L'ampliamento dei finanziamenti già c'è stato, con l'approvazione del decreto legge 185/15 e lo stanziamento di ulteriori 100 milioni di euro al fondo nazionale. Soldi che arrivano anche da Garanzia Giovani, come ha precisato Calogero Mauceri [nella foto a destra], capo del dipartimento Gioventù e servizio civile, in occasione della giornata conoscitiva del servizio civile rivolta ai giornalisti organizzata dal Forum nazionale servizio civile, presieduto da Enrico Maria Borrelli. Si tratta di «progetti in grado di introdurre cambiamenti positivi nelle nuove generazioni e dunque nella società»: di qui l'impiego dei fondi che l'Europa destina al miglioramento della condizione dei Neet. Per i 18-29enni è un anno di impegno a supporto dello Stato – con rimborso mensile di 433 euro – negli ambiti dell'assistenza, della protezione civile, dell'ambiente, della tutela del patrimonio artistico-culturale e dell'educazione culturale. L'idea è però quella di renderlo progressivamente "universale" con la creazione di 100mila posti, aprendolo a chiunque lo voglia sperimentare. Tra le novità più recenti il lancio di Odysseus, da destinare alle aree di crisi, e Ivo4All, progetto sperimentale di servizio civile all'estero. «Sono 90mila le domande complessive pervenute fino a oggi» fa sapere Francesca Bonomo della commissione per le Politiche della Ue alla Camera e tra i relatori del convegno [nella foto a sinistra]. Per il bando 2016 i posti sono 40mila. Un buon risultato se si considerano «il picco del 2006 con 48mila posti e lo stallo successivo». Obiettivo del rilancio non solo la crescita dei numeri, ma il superamento delle criticità del programma. Uno dei problemi resta infatti «la difficoltà nella governance» che la Bonomo non nasconde essere «divisa tra responsabilità regionali e nazionali». E poi il tema del riconoscimento delle competenze non formali: il servizio civile «non è lavoro, ma fornisce capacità di risolvere problemi, di lavorare in squadra, l'acquisizione di un sistema di valori da utilizzare in esperienze successive». Non a caso «uno su tre dopo i mesi di servizio civile viene impiegato nell'ente che lo ha immesso nel progetto, mentre in due su tre si rileva maggiore inclinazione a essere inseriti in un contesto occupazionale grazie alle competenze non riconosciute». E infine migliorare la programmazione, fino a poco fa «non chiara e a singhiozzo». Poiché il servizio civile va inteso come difesa della patria attraverso la partecipazione attiva, avrebbe poco senso «introdurne l'obbligatorietà: deve esserci una volontarietà alla base perché si tratta di un percorso di valori» ribadisce la Bonomo. Oltre alle emergenze ambientali o di legalità, i progetti garantiscono «inclusione, e sono particolarmente importanti in questa fase storica di paura dell'altro». Per questo è stata inserita l'apertura «agli stranieri regolarmente soggiornanti». La prevenzione dell'emarginazione sociale che colpisce alcune sacche di gioventù straniera – uno degli scenari dietro gli attentati degli ultimi mesi – potrebbe passare anche da qui. Il rischio è però che se ne faccia un uso distorto, come sostituzione del lavoro. Prova ne siano «le polemiche scoppiate dopo il bando del ministero dei Beni culturali per l'impiego di volontari rimborsati con i fondi di Garanzia giovani» ricorda Giulia Narduolo, deputata della commissione Cultura alla Camera (qui l'articolo sul pasticcio dei tirocini allo stesso ministero). Ma bibliotecari e archivisti non devono allarmarsi perché «il ruolo è quello di dare una mano in servizi che le attività comunali non fanno». Si tratta, nella visione della Narduolo, di «lavoro non qualificato che può essere utile per giovani un po' sperduti o anche con problemi familiari». Del resto «non si può dare la colpa al volontario, che deve essere per forza formato con qualche tipo di occupazione» ha commentato Borrelli: «Non è lui a togliere il lavoro».Vanno però rafforzati i criteri di selezione degli enti perché talvolta «si finisce per  svolgere mansioni che poco hanno a che fare con il servizio civile»: l'obiezione sollevata da un giornalista permette a Borrelli di affrontare questo aspetto scivoloso specificando che «non esiste un'assoluta obiettività: a contare non è tanto il titolo accademico quanto la motivazione». Il servizio civile va inteso per quello che è, «non uno strumento di welfare – non a caso è sotto la Presidenza del consiglio – ma un percorso di cittadinanza attiva e di ausilio a un lavoro già avviato nelle amministrazioni» chiude Alessandro Sansoni, consigliere nazionale dell'Ordine dei giornalisti. Auspicando che, al fine di evitare abusi, «l'ufficio nazionale faccia più controlli sulla serietà degli enti e sulla qualità dei progetti messi in campo». Ilaria Mariotti 

Colloquio in Tetra Pak, istruzioni per l'uso

Praticamente ogni giorno capita di tenere in mano un oggetto “tetra pak” - quei contenitori in materiale speciale, interamente riciclabile, fatti per conservare alimenti e bevande. Dietro quell'oggetto c'è un'azienda molto nota: Tetra Pak appunto, multinazionale di matrice svedese che in Italia ha sede a Rubiera, in provincia di Reggio Emilia, e a Modena. A migliaia di giovani piacerebbe lavorarci – anche per l'atmosfera internazionale che si respira, e che si traduce in molti programmi di carriera che prevedono periodi all'estero. Come ci si può candidare al meglio per provare a entrare in quest'azienda, che fa parte del network della Repubblica degli Stagisti dal 2010 e ha vinto per due anni di fila il premio RdS Award per il miglior rimborso spese (800 euro netti che diventano 1.100 per chi risiede a più di 40 km dalla sede dell'azienda – oltre a mensa gratuita, noteboook e accesso alla palestra aziendale)? Maria Elisa Berselli, HR recruitment specialist, risponde in questa puntata della rubrica «Colloquio, istruzioni per l'uso!» svelando importanti particolari della procedura di selezione. Arrivata in Tetra Pak nel 2011, la Berselli si occupa di selezioni per le aziende del gruppo in Italia e in Europa e di progetti di employer branding.Quali sono i profili che ricercate di più? Quelli tecnico – scientifici ed economici. Nello specifico dei ragazzi e ragazze neolaureati,  per esperienze di stage e per i nostri programmi Graduate, “Young Talent” e “TOP”,  cerchiamo giovani pronti a sviluppare competenze sia in area ingegneristica che di project management, nelle aree di servizio tecnico e a contatto con il cliente, cosi come in quelle di marketing.Come funziona il vostro iter di selezione?Prevede un primo colloquio telefonico, che ha l’obiettivo principale di sondare la motivazione, la comprensione del ruolo e la conoscenza della lingua inglese. A questo primo contatto segue un colloquio approfondito in azienda, o un assessment di gruppo per neolaureati, con i recruiter. C’è poi un ultimo step di selezione con i manager di linea, per sondare ulteriormente le conoscenze tecniche e conoscere il futuro o la futura dipendente!Gradite il formato standard “europass” per i cv?Preferiamo i curricula personalizzati. É scontato dirlo, ma devono essere scritti in modo chiaro e corretto, con le esperienze che pensate possano dire qualcosa di piu’ importante di voi, dalla piu’ recente alla più datata. E’ importante anche inserire il titolo o almeno l’argomento della tesi di laurea ed eventuali specializzazioni o project work che avete svolto durante il percorso. Un altro punto importante e’ la lunghezza del cv, pensiamo che due pagine siano sufficienti. Se volete inserire una lettera di presentazione, non fate un riassunto delle vostre esperienze ma scrivete la motivazione per cui siete interessati al ruolo.Ha fatto riferimento a colloqui di gruppo. Sì, sia per le posizioni di stage che per i programmi Graduate è previsto un assessment, composto da diverse prove, di gruppo e individuali, volte a vedere come i candidati lavorano in team, quali sono le conoscenze tecniche che hanno acquisito e qual è la loro capacità creativa e di innovazione. A testimonianza del forte investimento che l’azienda fa sui giovani neolaureati, alla fase finale di selezione partecipa anche il top management aziendale.E anche l'inglese è fondamentale, giusto?Sì, almeno una delle prove o dei colloqui si svolge in questa lingua, per testare la conoscenza ma anche perchè in azienda lavorano persone che provengono da più di 30 nazionalità diverse, per cui è molto facile che il Line Manager che partecipa al colloquio non parli italiano. Anche per questo motivo chiediamo che i cv vengano inviati in inglese. Apprezzate le autocandidature oppure preferite che ci si candidi solamente ai vostri annunci?In effetti, la modalità più efficace è applicare per le singole posizioni. Le autocandidature sono comunque benvenute; la modalità di candidarsi a una posizione in Tetra Pak è tramite il sito alla sezione career and open positions. Qui i candidati possono consultare l’elenco di tutte le posizioni aperte, in Italia e nel mondo, e anche inserire la propria autocandidatura in inglese. Anche le posizioni di tirocinio e di tesi sono inserite sul sito. Usate i canali dei social network per entrare in contatto con giovani candidati? A livello globale Tetra Pak sta potenziando sempre di più la propria visibilità e la comunicazione attraverso i principali social network, Linkedin e Facebook.Ricercate molto profili tecnico scientifici? Sì, Tetra Pak e’ un’azienda fortemente orientata all’innovazione tecnica e tecnologica e molti dei profili che inseriamo sono Ingegneri, di ogni corso di studi, nelle funzioni di ricerca e sviluppo. E le ragazze con profilo tecnico scientifico sono benvenute! Sempre di più negli ultimi anni vediamo con piacere che il numero di ragazze provenienti da studi tecnico-scientifici che si candidano sta aumentando. Recentemente abbiamo inserito diverse ragazze nelle aree di project management, comunicazione, marketing e ricerca e sviluppo.Vi sono competenze che ricercate nei candidati ma che faticate a trovare?Non è sempre facile trovare dei candidati con una ottima conoscenza della lingua inglese e che abbiano fatto esperienze all’estero. Questo è un aspetto che dal nostro punto di vista aggiunge sicuramente valore alla propria esperienza, che può essere didattica, come un ciclo di studi – ad esempio il conseguimento della laurea specialistica,  un corso o un master seguito all’estero – piuttosto che la partecipazione al progetto Erasmus. Ma anche un'esperienza personale è interessante e deve essere menzionata, come ad esempio un periodo passato a svolgere lavori non strettamente legati al proprio campo di studi, o a prestare attività presso un’associazione.L'errore che non vorreste mai veder fare a un candidato?Un candidato che mostri scarsa curiosità, motivazione e voglia di imparare, cosi come il fatto che sia poco preparato sul ruolo per cui ha applicato. Apprezziamo davvero tanto i candidati che partecipano al colloquio con entusiasmo e voglia di mettersi in gioco. Il nostro consiglioè inoltre quello di ripassare i contenuti dell’annuncio prima di partecipare alla selezione e magari cercare qualche informazione sull’azienda, anche andando semplicemente sul sito.Come date i vostri feedback?Teniamo aggiornati i candidati sul processo di selezione, tramite email per coloro che hanno applicato e hanno partecipato alla prima fase di selezione. I candidati finalisti ricevono invece un feedback telefonico dal recruiter, sugli aspetti principali che sono emersi in fase di colloquio come i principali punti di forza e le aree di miglioramento.

Ricercatori precari, per l'Ue non va più bene: a rischio milioni di euro di fondi europei destinati all'Italia

Oggi in tutta Italia è in corso una giornata di mobilitazione nazionale dal titolo “Per una nuova primavera delle università” (su twitter: #primaverauniversita), promossa dalla Crui – la conferenza dei rettori delle università italiane – con lo scopo di «riaffermare il ruolo strategico della ricerca e dell'alta formazione per il futuro dell'Italia». Eppure quasi nessuno sa che c’è una spada di Damocle che pende sulle teste dei ricercatori e assegnisti di ricerca in Italia e che, complice il silenzio della politica, rischia di bloccare i fondi europei per tutta la vasta schiera di figure che affollano il “pre ruolo” in ambito universitario. Perché a fine ottobre dello scorso anno la Commissione europea, nell’Annotated model grant agreement, ha stabilito che gli assegni di ricerca, i contratti di collaborazione continuativa e i contratti a progetto non sono previsti come costi ammissibili per le rendicontazioni dei progetti Horizon 2020.  La Repubblica degli Stagisti ha approfondito la questione con Antonio Bonatesta, segretario nazionale dell’associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani. Partendo innanzitutto dai numeri: i finanziamenti concessi all’Italia nel corso del 2014 con Horizon 2020, il programma che l’Unione europea destina all’innovazione e alla ricerca per il settennato 2013-20, sono stati pari a circa 353 milioni di euro, per un totale di quasi 600 progetti messi a punto grazie anche a figure come quella dell’assegnista di ricerca. Fino all’ottobre del 2015 i progetti italiani sono stati presentati «con dentro i contratti di collaborazione e con gli assegni di ricerca e sono stati anche pagati. Poi nell’ottobre 2015» spiega Bonatesta «l’ufficio legale della direzione ricerca della Commissione europea ha sollevato dei problemi di compatibilità». E dall’autunno dello scorso anno praticamente si è in trattativa per trovare una soluzione. «La Commissione europea contesta la validità di questi contratti all’interno dei progetti Horizon perché sarebbero di natura parasubordinata, quindi non hanno un vincolo di subordinazione, ma soprattutto non possono essere rendicontati con un costo orario» aggiunge il segretario Adi. L’assegno di ricerca, infatti, è rendicontato sulla base del raggiungimento del risultato, non sul numero di ore impiegate per raggiungerlo. «Mentre l’Unione europea per la rendicontazione di questi fondi chiede proprio la natura subordinata di questi contratti. Questo è il vero problema, che poi ha due facce. La prima è che le tante figure giuridiche che popolano il pre-ruolo accademico e che ancora non sono strutturate nelle università avranno delle difficoltà nell’intercettare nei prossimi anni i fondi messi a disposizione dall’Unione europea, a causa di questo problema di compatibilità. La seconda faccia è la questione “minacciata” della retroattività della decisione della Commissione europea. Potrebbe esserci il rischio» paventa Bonatesta «che il provvedimento venga applicato anche per il passato e che quindi l’Italia abbia non poche difficoltà nel pagare quelli che sono stati i contratti erogati attraverso gli assegni di ricerca». Un’opzione su cui però il condizionale è d’obbligo, perché al momento c’è un negoziato in corso tra Europa e Italia per cercare di trovare una soluzione almeno su questo punto. L’Adi però non vede nella decisione dell’Unione europea un’azione volta a tagliare le gambe ai ricercatori, quanto piuttosto «un input ben preciso dato all’Italia per rivendicare la figura del pre ruolo che sia noi, sia altre organizzazioni e sindacati, chiediamo ormai da tempo. E prima di tutto riformare la figura dell’assegnista di ricerca che, avendo un contratto parasubordinato e non subordinato, manca di varie tutele: in primo luogo l’indennità di disoccupazione». Un problema che secondo il segretario nazionale dell’associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani non è scollegato. Perché spesso tra un contratto e l’altro passano mesi in cui il ricercatore non percepisce un reddito. «E il fatto che per gli assegnisti di ricerca sia previsto solo un contratto parasubordinato non ci mette nelle condizioni di ricevere l’indennità di disoccupazione. Motivo per cui noi stiamo portando avanti questa battaglia. Non solo. Ora scopriamo che oltre a queste lacune non abbiamo nemmeno la compatibilità con i fondi Horizon 2020! A questo punto non c’è altra soluzione per l’Italia che intervenire sul sistema normativo e trasformare l’assegno di ricerca in un contratto post doc di natura subordinata. Quindi più consistente e tutelato dal punto di vista delle garanzie sociali per l’indennità di disoccupazione e dal punto di vista previdenziale, ma anche in grado di interfacciarsi con i fondi europei». C’è però un’altra questione non di poco conto sul tavolo: se l’Unione europea dice nero su bianco che i contratti parasubordinati attivati oggi ad assegnisti di ricerca e ricercatori non vanno bene, dall’altra il Convegno dei direttori generali delle università italiane (Codau) e l’Agenzia per la promozione della ricerca europea (Apre) hanno risposto all’Europa che per la legge italiana queste tipologie di contratti sono assimilabili a quelli subordinati. «Mi fa piacere che i direttori generali delle università dicano, o siano convinti, o cerchino di convincere la Commissione europea che gli assegni di ricerca siano dei contratti di lavoro subordinato. Ci fa piacere che ci sia questa posizione. Però allora c’è una dissonanza di voci con cui l’Italia si confronta con l’Europa. Se fossi io il commissario europeo alla ricerca» continua Bonatesta per far capire la gravità della situazione «mi metterei le mani nei capelli a sentire il Codau dire una cosa e il ministro del lavoro l’esatto opposto». Bonatesta si riferisce al caso dell’interrogazione parlamentare in cui si chiedeva al ministro Poletti perché la DIS-COLL (la disoccupazione per collaboratori) non potesse essere estesa anche ai dottorandi o assegnisti di ricerca. Proprio in quel caso il ministro «Ha detto chiaramente che l’assegno di ricerca era un contratto di lavoro parasubordinato», spiega il segretario Adi che continua. «È l’Italia che è confusa. Il ministro dice una cosa mentre l’Apre e il Codau un’altra. C’è grande confusione. Perciò noi diciamo che è assolutamente necessario intervenire dal punto di vista legislativo e rivedere tutte queste figure assecondando l’input che viene dall’Europa».  Perché le soluzioni, secondo l’associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani, sono due: o la commissione europea rinuncia a questo rilievo e si trova un escamotage per ricomprendere gli assegni di ricerca così come sono, o decide di mantenere fermo il suo rilievo e governo e parlamento italiano devono approvare una riforma che porti l’assegno di ricerca a livello di un contratto post doc di natura subordinata. «Uno dei due deve cedere. Noi auspichiamo che l’input della Commissione serva per un intervento legislativo. Anche perché esiste già un disegno di legge, il 1873 cosiddetto “ddl Pagliari”, in discussione al Senato che prevede una serie di modifiche al sistema del pre-ruolo e che deve ancora essere sgrossato visto che è carico di emendamenti anche di senso contrario», spiega Bonatesta. Il ddl, infatti, prevede l’unificazione delle due figure di ricercatore a tempo determinato con un’unica figura pre ruolo e «auspichiamo che al suo interno si possa operare per trasformare l’assegno di ricerca in contratto post doc di natura subordinata. Questo è il nostro auspicio, se il governo non agisce o la commissione europea cede allora ci saranno grosse ripercussioni perché nei progetti italiani non si potranno pagare assegni di ricerca ma solo consulenze esterne. Ed è poi necessario rivedere la figura del ricercatore, perché oggi chi fa ricerca vive un periodo di precariato che dura circa 12 anni, al netto dei periodi in cui si è senza contratto visto che non c’è nessun obbligo a rifarli appena scadono». Una via crucis di precariato che non fa altro che innalzare l’età dei ricercatori in Italia: se nel 2006 l’età media di ingresso in ruolo era di 36 anni oggi è di oltre 42. «Abbiamo tantissimi assegnisti di ricerca over 40 e poi dall’altra parte un ministro che dice che non sono lavoratori ma studenti. Perciò chiediamo che si intervenga su questa struttura lunghissima e folle, eliminando le due figure e inserendo un contratto post doc di natura subordinata e non più parasubordinata». E sa da una parte sembra un fatto positivo che la politica voglia occuparsi di questo problema con una legge, dall’altra il fatto che siano ormai molti mesi che il provvedimento è depositato in Senato non spinge ad essere ottimisti. Per questo nelle prossime settimane cominceranno varie attività per cercare di far reagire il governo. «Il contesto universitario è in fibrillazione. C’è stata la protesta e il boicottaggio della valutazione della qualità della ricerca (Vqr) dove i docenti che aderivano protestavano non solo per gli scatti stipendiali ma per un’idea di università differente. C’è stata la campagna per l’estensione della DIS COLL, la campagna Perché noi no, c’è la petizione del professor Parisi, Salviamo la ricerca italiana, che ha raggiunto quasi 100mila firme. Ecco, noi contiamo di inserire tutte le istanze dei giovani ricercatori all’interno di questo clima di fermento che ormai c’è nelle università italiane». Purtroppo, però, non ci sono dei termini di legge entro i quali il governo deve intervenire. I tempi massimi «sono quelli del rispetto che dovrebbe avere per i giovani ricercatori che si trovano a svolgere il loro lavoro in una condizione deprimente e di sottovalutazione. Finendo per riflettere l’incertezza lavorativa anche sul piano esistenziale. Perciò chiediamo di fare presto, perché la situazione è esplosiva». A dirlo sono i numeri: la platea su cui interviene il problema del percorso pre ruolo e in particolare il caso Horizon 2020 conta circa 65mila ricercatori. Che sono pronti a manifestare e far sentire la loro voce, per non finire sui giornali solo quando ottengono grandi risultati scientifici una volta fuggiti dall’Italia. Marianna Lepore

Tirocini per inoccupati: compatibili con il lavoro, ma solo se occasionale

All'apparenza potrebbe sembrare una contraddizione: un tirocinio per disoccupati - previa iscrizione a un centro per l'impiego – e in contemporanea un lavoro che non sia full time. Eppure per la legge è possibile (ad alcune condizioni). A chiederne conto, sul forum della Repubblica degli Stagisti, sono diversi lettori. Tra loro Simona: «Sono in uno stage annuale con borsa di studio di 350 euro come inoccupata. Volendo concorrere per un assegno di ricerca universitario, perderei lo stato di inoccupazione e di conseguenza il requisito di accesso al tirocinio?». Dubbio simile a quello di una utente che si firma user: «Ho iniziato da un paio di mesi uno stage a tempo pieno presso uno studio di architettura come disoccupata, indennità 600 euro». Il problema arriva quando la contattano per un lavoro come «insegnante di corsi di grafica presso un'altra azienda». Sarebbe «solo il sabato quindi non andrebbe a sovrapporsi allo stage».La domanda sulla compatibilità tra stage come disoccupato e occupazioni parallele (piccole collaborazioni, partecipazione a bandi di concorso etc.) è piuttosto ricorrente, e per questo la Repubblica degli Stagisti ha deciso di approfondire verificando le posizioni di alcuni centri per l'impiego. Patrizia Paganini, dirigente alle Politiche attive del lavoro di Bologna, chiarisce che «a oggi non c’è più la differenza tra disoccupazione e inoccupazione». Dicotomia sparita «grazie al decreto 150/2015 e alla relativa circolare 34/2015, che hanno superato le vecchie definizioni di disoccupato e inoccupato» confermano dalla direzione Lavoro di Firenze. E infatti all'articolo 19 compare una nuova nozione: «Sono considerati disoccupati i lavoratori privi di impiego che dichiarano la propria immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il centro per l'impiego». Viceversa si perde «lo stato di disoccupazione, acquisito in quanto privo di lavoro» prosegue la Paganini, «se si svolge un'attività lavorativa autonoma, subordinata o parasubordinata». Il punto è che se si è assunti come dipendenti o con contratti da parasubordinati, difficilmente si avrà modo di portare avanti un tirocinio. Quasi mai le tempistiche saranno compatibili (nonostante - va precisato - la legge consenta la contemporaneità di tirocinio e lavoro, purché i turni non coincidano). Il vero nodo sorge allora quando l'occupazione è in autonomia, sciolta cioè da vincoli di orario e luoghi di lavoro, tale da non interferire con un eventuale stage svolto nello stesso momento. A dare maggiori dettagli sulle tipologie di lavoro che fanno decadere lo status di disoccupati, confliggendo perciò con gli stage attivati a favore della categoria, è il dipartimento fiorentino: «Sono equiparati al lavoro autonomo il lavoro non accessorio e l'esercizio di impresa». Invece il lavoro accessorio – quello occasionale in sostanza - è compatibile con lo status di disoccupato («secondo l'articolo 49 del decreto 81/2015»), al pari di «quelle fattispecie, ancorché remunerate, che non costituiscono rapporto di lavoro quali ad esempio tirocini, work experience, borse di studio, borse lavoro, servizio civile e attività di pubblica utilità».Nessun problema dunque per la lettrice Simona, che vedrebbe rientrare il suo caso tra quelli elencati nell'articolo: tirocinio per disoccupati e assegno di ricerca possono convivere. «Il tirocinio non decade perché lo status occupazionale non cambia» assicura la Paganini. Più complicato sarebbe il caso di Sabrina, che dovrebbe affidarsi a una consulenza specifica. A spiegarlo è Annamaria Rossetti, coordinatrice dell'area giovani di Afol ovest, la rete dei centri per l'impiego di Milano: «Alcune circostanze sono da valutare anche con l'Inps o con un tutor specializzato. Bisogna interpretare la condizione della persona nel suo complesso». Perché non basta a dirimere il caso neppure l'entità del reddito: «Non esistono più le soglie massime per mantenere lo stato di disoccupazione» aggiunge la dirigente bolognese, «salvo per gli iscritti al collocamento disabili, il cui reddito massimo per la conservazione dell’iscrizione è di 4.800 euro se il lavoro è autonomo e 8mila euro se l’attività lavorativa è subordinata». Esistono tuttavia situazioni in cui la normativa va «applicata in modo più stringente, come nel caso di Garanzia Giovani» evidenzia l'Afol, dove di mezzo ci sono soldi pubblici. Fa eco la dirigente di Bologna: in tal senso «fanno eccezione i tirocini in Garanzia Giovani, in quanto il tirocinante iscritto al programma non deve perdere il requisito di Neet, dunque non può essere impegnato in un'attività lavorativa né essere inserito in un percorso scolastico o formativo». Niente da fare dunque per la lettrice Alessia, beneficiaria di un tirocinio Garanzia giovani, che chiedeva sul nostro forum «se è possibile nel contempo instaurare un rapporto di lavoro, magari con la formula meno vincolante della 'prestazione d'opera'». Ilaria Mariotti 

In cerca di lavoro? Occhio alle indagini preassunzionali, il web può confermare o smentire un cv

Mostrarsi migliori di quel che si è: la tentazione c'è, sopratutto quando si è in cerca di lavoro e si mandano curriculum a destra e a manca sperando di essere convocati a colloquio. Infiorare di qua, ingigantire di là, minimizzare i punti deboli, inventare qualche esperienza inesistente, trasformare una conoscenza sommaria di una lingua in livello “proficiency”, una semplice consulenza in un ruolo pressoché dirigenziale. Millantare, insomma. Attenzione: potreste essere scoperti. Perché le aziende, sopratutto quelle più grandi, ricorrono sempre più spesso a una pratica poco conosciuta: la verifica delle informazioni. In gergo tecnico si chiama “indagine preassunzionale” e nella versione evoluta “profilazione”.In un periodo come questo, in cui c’è molta offerta di forza lavoro e relativamente poca richiesta, la corrispondenza con le caratteristiche psicologiche e attitudinali ritenute necessarie per una data posizione aperta è, sempre di più, considerata un pre-requisito essenziale nell’ambito della selezione del personale.L’attività di profilazione del candidato, svolta dagli esperti  delle risorse umane su elaborazione delle informazioni personali reperibili in rete e in particolare analizzando le interazioni sui social network, serve a valutare il grado di affinità tra il profilo ideale ricercato dall’azienda e quello del candidato. Ciò significa che se non si gestisce in maniera saggia la propria presenza online, in tutti gli ambiti raggiunti dai motori di ricerca, il rischio è di non poter accedere alla fase di valutazione relativa alle competenze professionali. «La profilazione è considerata un trattamento particolarmente rilevante e delicato dal Codice della Privacy proprio per la sua peculiarità di invasività, volta alla ricostruzione di un vero e proprio profilo del soggetto interessato, al fine di ricavarne giudizi e valutazioni relativi alla selezione lavorativa» spiega alla Repubblica degli Stagisti Francesco Traficante, esperto di data protection e privacy online e fondatore della società Microell che offre questi servizi dal 1999: «Per questo sarebbe d’obbligo la notificazione preventiva ai sensi dell’articolo 37 del Codice della Privacy. La corretta procedura di selezione dovrebbe svolgersi fornendo al candidato idoneo consenso informato, in cui siano esplicitamente indicate le finalità di trattamento dei dati, le eventuali modalità delle attività di profilazione, le fonti di raccolta dei dati personali, social e motori di ricerca ad esempio e la potenziale presenza di esperti in selezione del personale, o comunque di soggetti terzi coinvolti». Tutto ciò per ora accade solo in alcune aziende multinazionali, quelle in cui vige una policy di forte trasparenza in merito all’iter selettivo ed è prevista la firma, in sede di colloquio, di documenti di manleva o autorizzazione ad hoc per lo svolgimento di questa tipologia di approfondimenti informativi. Nel resto dei casi si fa (forse un po' sbrigativamente) riferimento all’autorizzazione al trattamento dei dati personali ai sensi del decreto legilsativo 196/2003, quello appunto citato da Traficante, la dicitura che inseriamo in fondo al cv.Dal 2018, con l’arrivo  dell’atteso nuovo regolamento europeo in materia di data protection, la notificazione preventiva - nell’ottica di un alleggerimento degli oneri burocratici dell’impresa -  probabilmente non sarà più obbligatoria. Verranno invece introdotti nuovi istituti e tutele rafforzate per garantire la conformità di questi delicati processi.Ma nel frattempo meglio imparare in fretta come salvaguardare la propria reputazione da incursioni non gradite. Quali sono gli aspetti a cui bisognerebbe prestare maggiore attenzione quando si interagisce sui social network? «Una risposta univoca non è possibile perché dipende dalle caratteristiche desiderate nel profilo ricercato» suggerisce Traficante: «Possono però essere parametri importanti i toni e i contenuti che veicoliamo sui social, il nostro orientamento politico, eventuali attività di volontariato e anche le passioni sportive che, se troppo estreme, vengono ritenute indici di aumentata possibilità d’infortunio con conseguente assenza lavorativa». Insomma un appassionato di parapendio potrebbe essere scartato, in una selezione, perché ritenuto a rischio più di un pigro con l'hobby del collezionismo di francobolli. «L’unico strumento efficace per autotutelarsi risulta una corretta e specifica configurazione della privacy di tutti gli account, in modalità privacy by design e cioè avendo cura di impostare secondo le nostre esigenze i parametri di visibilità di ogni elemento che rendiamo pubblico» continua Traficante «con la consapevolezza che potrà essere utilizzato per valutazioni del nostro profilo professionale. Oppure si può optare per la totale assenza dal web, alternativa però ormai difficilmente praticabile nell’era di internet».Le attività tradizionali di verifica delle informazioni del cv e quelle più specifiche relative alla profilazione vengono in molti casi affidate a società esterne per un esito obiettivo e professionale e una maggiore tutela del candidato. Ad Anna Vinci, consulente legale in Axerta spa, un'agenzia che si occupa proprio di investigazioni aziendali in Italia, la Repubblica degli Stagisti ha chiesto quanto siano diffuse effettivamente queste pratiche nel mercato del lavoro italiano. La risposta è stata sorprendente: ben il 60% delle aziende interpellate ha utilizzato nel 2015 queste prassi, nel 43% dei casi elaborando la verifica internamente e nel 37% affidandola a consulenti specializzati.Le cosiddette indagini preassunzionali, così sono definite in gergo tecnico le attività di verifica dell’esattezza delle informazioni riportate nel cv, con riscontri sulla reputazione nei precedenti posti di lavoro del candidato e note ricavate dai suoi profili social on line, costituiscono il 4% del fatturato di Axerta. I costi di questo tipo di servizi per le aziende vanno da poche centinaia di euro per i profili standard, fino a 2-3mila euro per il top management. Insomma, un investimento che le aziende scelgono di fare, pur di essere sicure di capire bene chi hanno davanti. É il segno che sempre più le persone vengono selezionate e giudicate per quello che sono, e non soltanto per ciò che sanno o che hanno fatto nella propria vita professionale. Un bene o un male?Katia Nesci

Preparare una cena da chef a casa propria? La start-up Fanceat fa questo e altro (compreso far diventare socia una stagista)

Cucinare come uno chef stellato piacerebbe a tutti. La startup Fanceat promette di permettere a chinque di portare in tavola in soli 30 minuti una cena da tre portate. «In realtà all'inizio avevamo pensato ad un servizio di consegna della spesa a domicilio» racconta il 26enne Carlo Alberto Danna, uno dei fondatori: «Cercavamo una soluzione al problema di mangiare sempre le stesse cose. Poi abbiamo capito che le persone avrebbero finito per acquistare ogni volta i medesimi prodotti». E così si è passati direttamente alla consegna della cena. Laureato in management delle amministrazioni pubbliche alla Bocconi, il giovane imprenditore ha iniziato l'avventura parlando della sua idea ad un amico. Il quale, a sua volta, lo ha messo in contatto con Tommaso Cremonini, ingegnere gestionale anche lui 26enne, che stava lavorando su un progetto analogo. «Abbiamo deciso di collaborare, ma ci mancava la parte creativa e durante un incontro organizzato da Ied e dal Politecnico di Torino abbiamo conosciuto Giulio Mosca». Un grafico di 24 anni cui inizialmente i due startupper volevano proporre una collaborazione freelance, «poi abbiamo visto che era davvero bravo e gli abbiamo chiesto se voleva entrare nel team. E lui ha accettato». Avanzamenti di carriera di questo tipo sembrano essere la regola a Fanceat: nella compagine societaria è entrata da pochi mesi anche Nathalie Tayag (24), anche lei grafica. «È arrivata da noi come stagista, ma quando abbiamo ricevuto il primo round di investimento ne abbiamo approfittato per farla diventare socia a tutti gli effetti». Una "promozione" ben gradita dalla diretta interessata: «Sono molto felice di far parte di Fanceat: una realtà giovane, dinamica, in continuo cambiamento, all'interno della quale ho la possibilità di dire la mia ed essere ascoltata» dice la Tayag alla Repubblica degli Stagisti: «Il fatto di essere diventata socia è per me motivo di orgoglio, ma anche la naturale conseguenza del rapporto che c'è tra di noi in ufficio. Siamo amici prima di essere colleghi: capacità, impegno e meriti vengono riconosciuti e premiati».Tutto è stato possibile grazie un finanziamento seed da 50mila euro che un cliente, entusiasta del servizio fornito dalla start-up, ha deciso di effettuare. «Ci ha permesso di aumentare il capitale sociale da 6 a 10mila euro» spiega Danna, «ma anche di pagarci uno stipendio, seppur misero, e di cominciare a investire nello sviluppo del prodotto e nel marketing». Già, ma di preciso di cosa si occupa Fanceat? In pratica permette di ordinare da un ristorante gli ingredienti di una cena da tre portate, da cucinare direttamente a casa propria. Le preparazioni più lunghe o complesse, ad esempio la pasta fresca, arrivano già pronte, in qualche caso precotte. Il tutto all'interno di «box coibentati, gli stessi che si usano per il trasporto dei medicinali, che mantengono temperature anche di parecchi gradi sotto lo zero».Una volta ricevuto il pacco, basta collegarsi al sito di Fanceat e seguire la videoricetta che guida i clienti passo passo dalla cottura all'“impiattamento” – parola che con il successo di Masterchef è diventata ormai di uso comune. Ad oggi sono 13 i ristoranti che lavorano per questa start-up, situati principalmente a Torino dove ha sede l'azienda, oggi incubata in I3P. «I menù sono ideati dagli chef e partono direttamente dalle loro cucine». Per i cuochi questa collaborazione è un modo per aumentare i clienti e le entrate – Danna e soci trattengono solo una quota del 25% sul costo pagato dall'utente – ma anche per farsi conoscere e, perchè no, sperimentare nuove portate. Chi compera i box Fanceat, infatti, ha la possibilità di recensire sul portale i menù, sia per il gusto che per la facilità nel prepararli. Senza dimenticare che «noi realizziamo foto e video gratuitamente per i locali, oltre ad impegnarci in un'attività di marketing sia on che off line». Registrata come start-up innovativa a gennaio dello scorso anno – anche se le prime consegne non sono avvenute che a maggio 2015 – questa realtà infatti si avvale della collaborazione, oltre che dei quattro soci, anche di due operatori video e di una consulente finanziaria. Il bilancio del primo anno di attività «si è chiuso ovviamente in passivo per via degli investimenti sostenuti, ma stiamo recuperando: i costi di acquisizione dei clienti si abbassano sempre di più, le vendite sono più frequenti. Il break even dovrebbe arrivare l'anno prossimo o al massimo tra due». E c'è da scommetterci che, quando arriverà, i quattro founder festeggeranno con una cena ordinata sul loro portale.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.it