Categoria: Approfondimenti

Peter Pan non per scelta ma per forza: nelle pagine di «Gioventù sprecata» i motivi che impediscono ai giovani di diventare adulti

«Mandiamo i bamboccioni fuori di casa», tuonava nell'ottobre 2007 l'ex ministro dell'economia Tommaso Padoa-Schioppa davanti alle commissioni bilancio di Camera e Senato. Definizione discutibile ma concetto valido: arrivata una certa età, bisogna fare un bel passo in avanti e superare la linea che separa i giovani dagli adulti. Ma perché in Italia si fatica a diventare grandi? Se lo chiedono l'economista Marco Iezzi e la giornalista Tonia Mastrobuoni nel sottotitolo del loro libro «Gioventù sprecata» (Laterza, collana Robinson; a destra, la copertina), incentrato su quello che  non è più solo un fenomeno culturale ma un'emergenza sociale che ha radici politiche ed economiche. Il bamboccionismo è il risultato di un Paese che non ha saputo reagire al cambiamento e ancora si crogiola in miti morenti, come quello dell'istruzione "migliore del mondo". «Ultimi a scuola» si intitola infatti il primo capitolo, dedicato alla scuola pubblica, in cui spicca un dato, ripreso da un’indagine dell’Ocse, l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico: su 29 Paesi  l'Italia si classifica vergognosamente 26esima per la qualità della formazione scientifica dei suoi quindicenni. Con un successo scolastico ancora legato alla condizione familiare, aggiungono gli autori, e il 97% della spesa totale che va in stipendi – che però paradossalmente sono tra i più bassi d'Europa. Chi prosegue con l'università deve poi mettere in conto la possibilità di stare «A bagno nel feudo dei baroni». Il problema qui non è tanto  la mancanza di fondi, ma la loro pessima gestione: usati per distribuire posti ad hoc, moltiplicare le cattedre attraverso un assurdo «gigantismo universitario» («che prospettive può avere un laureato in Scienza e tecnologia del packaging e uno in Benessere del cane e del gatto»?) e sfornare stipendi da favola a fine carriera. Mentre rimangono in secca servizi allo studente (0,04% della spesa totale) e ricerca. C'è poi in nocciolo duro della questione: il lavoro. L'Italia si trascina dietro un dato cronico singolare: sebbene sia sotto la media europea per disoccupazione media, primeggia per disoccupazione giovanile. «C'è ancora qualche manager italiano che va in giro gigioneggiando sulla sua condizione di "precario". Con emolumenti da milioni di euro all'anno» ironizzano Iezzi e Mastrobuoni, ma il mito della flessibilità come opportunità  crolla  di fronte alla mancanza di protezione contro l'instabilità lavorativa, ai salari anche qui troppo bassi (1026 euro lo stipendio medio degli atipici calcolato dall'Istat) e all'eccessiva reiterazione nel tempo della condizione, che tiene a bagnomaria la stragrande maggioranza degli under 35. Senza dimenticare la disparità di trattamento pensionistico rispetto alle generazioni precedenti. Un «tradimento compiuto ai danni delle nuove generazioni», il leit motiv del libro. Difficile così diventare indipendenti, prendere casa e fare figli («Donne a casa, culle vuote» il titolo di un altro capitolo). Tanto più se l'imposta flessibilità si scontra con la rigidità del sistema di credito che, nelle parole del presidente dei Giovani Confcommercio Paolo Galimberti, preferisce «finanziare le garanzie, non le idee». Affitti alle stelle, prezzi delle case sempre alti nonostante la bolla immobiliare, mutui inaccessibili: uno studio di Enrico Moretti, professore di Economia alla University of California e fra i protagonisti del libro, ha evidenziato che degli under 35 italiani oltre tre su quattro rimangono a casa con mamma e papà. Perché in «Gioventù sprecata» parlano i fatti ma anche le persone. La seconda parte del libro è dedicata alle interviste. Sei mosche bianche, giovani talenti che dicono la loro e spiegano come ce l'hanno fatta in patria: la biologa Chloé Cipolletta; la regista teatrale Emma Dante; Frida Giannini, direttrice creativa di Gucci; Michel Martone [nella foto a sinistra], oggi 37enne, diventato professore ordinario a trent'anni ; la scrittrice Valeria Parrella;  il direttore generale della Ducati Motor Filippo Preziosi. Poi sei emigrati, eccellenze nostrane che hanno fatto fortuna all'estero: oltre a Moretti ci sono Paola Antonelli, senior curator al MoMA di New York; il dirigente Onu Ugo Bot; Antonio Giordano, chirurgo e oncologo alla Temple University di Philadelphia; Roberto Isolani, banchiere Ubs a Londra; il vicepresidente della Roche Luca Santarelli, a Basilea. Infine sei grandi vecchi, nomi prestigiosi, testimoni della guerra e della rinascita del Paese: Gae Aulenti, Andrea Camilleri, Dario Fo, Margherita Hack, Dacia Maraini. E Mario Monicelli [nella foto a destra], che solo pochi giorni fa, il 29 novembre, a 95 anni si è tolto la vita. Con i giovani il regista era stato tutt'altro che tenero – poco solidali, passivi, assuefatti alle comodità – ma l'obiettivo era quello di spronare: «Il ruolo della politica è sempre stato quello di incitare la speranza e di tenervi tranquilli e farvi credere che le cose andranno meglio. Ma la speranza è una truffa. [...] Non bisogna avere speranze, bisogna avere desideri, mete e traguardi da raggiungere». Hanno pareri diversi, i grandi vecchi, e c'è chi comprende e giustifica, ma per tutti rimane l'amarezza di un enorme vitalità che si sta perdendo. «Gioventù sprecata», appunto. Ma se la diagnosi è chiara, qual è la cura? Sono due le parole chiave: riforme e fiducia. Secondo gli autori, «al momento, un'utopia». Annalisa Di Palo Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- «Non è un paese per giovani», fotografia di una generazione (e appello all'audacia)- Trentenni italiani, la sottile linea rossa tra umili e umiliati nel libro «Giovani e belli»- Giovani, lavoro e stipendi troppo bassi: quando al mutuo ci pensa papà (indebitandosi). Parola di Luigi Furini

Indagine Excelsior, focus Tirocini / Calano gli stagisti nelle grandi imprese, crescono nelle piccole

È uscito pochi giorni fa il focus «Formazione continua, tirocini e stage attivati nel 2009» di Unioncamere, dedicato all'utilizzo dei tirocini da parte delle imprese private italiane. Si tratta di un approfondimento tematico dell'indagine Excelsior 2010 che prende in esame i circa 322mila stage realizzati nel corso del 2009 e ne analizza alcuni aspetti.Un primo dato significativo è che il numero delle imprese che si rendono disponibili ad ospitare stagisti è in continua crescita: nel 2009 sono state quasi 223.700, «pari al 14,8% dell’universo delle imprese che costituiscono il campo di osservazione dell’indagine Excelsior». Un aumento apparentemente inarrestabile: «Nell’ultimo triennio la quota di imprese che ha ospitato tirocinanti e stagisti si è progressivamente accresciuta: era stata dell’11,9% nel 2007, è salita al 12,8% nel 2008 e si è portata al 14,8% nel 2009; particolarmente significativo l’aumento di due punti percentuali avvenuto nell’ultimo anno, nonostante sia stato proprio questo l’anno di maggiore intensità del ciclo recessivo». In pratica oggi siamo a «quasi 1,4 stagisti per impresa, con un rapporto di 28 ogni mille dipendenti».La crisi ha poi posto un freno alla crescita a due cifre del numero degli stagisti che si era registrata negli ultimi anni, senza però riuscire a bloccarla del tutto. Secondo i ricercatori di Unioncamere questa è una buona notizia: «Gli andamenti osservati sono in larga parte di segno positivo: aumenta la quota di imprese che hanno ospitato tirocinanti e stagisti, aumenta il loro numero, aumenta il rapporto tra il numero degli stagisti e il numero dei dipendenti delle imprese, aumenta la quota di stages e tirocini che le imprese hanno trasformato o intendono trasformare in vere e proprie assunzioni». La percentuale degli stagisti assunti è in effetti aumentata dal 2008 al 2009 di due punti, ma rimane comunque molto bassa: 11,6%, che significa poco più di uno stagista su dieci.Resta invariata la maggiore propensione delle grandi imprese a ospitare stagisti rispetto a quelle piccole: «La quota delle imprese disponibili a ospitare tirocinanti e stagisti aumenta, come facilmente prevedibile, all’aumentare delle dimensioni aziendali, dall’11,6% di quelle fino a 9 dipendenti a quasi il 66% di quelle con almeno 250 addetti». Eppure sotto ci sono mutamenti significativi: Excelsior rileva «un leggero incremento di quota relativa alle piccole imprese (dal 10,4 all’11,6%), un incremento decisamente sostenuto di quella riferita alle medio-piccole, da 10 a 49 dipendenti (dal 14,3 al 22,3%), un incremento quasi altrettanto marcato tra le medio-grandi, da 50 a 249 dipendenti (dal 40,1 al 45,4%); al contrario, solo per le imprese maggiori, con almeno 250 dipendenti, la quota interessata a inserire tirocinanti e stagisti si è ridotta, passando dal 70,8 al 65,8%». Questi dati si aprono a più interpretazioni. I ricercatori di Unioncamere li leggono positivamente: «Piccole e medie imprese sembrano sempre più disponibili a questo “compito” formativo, probabilmente scoprendone anche i vantaggi in vista di future assunzioni, mentre le imprese maggiori hanno forse dovuto ridurre la propria disponibilità, essendo già gravate da problemi di esuberanza di personale e impegnate in processi riorganizzativi: situazioni non certo ideali anche per i giovani aspiranti a svolgere tirocini e stage». Può anche darsi, però, che le grandi imprese (specialmente le multinazionali, spesso regolate da policy aziendali internazionali) abbiano scelto di prendere nel 2009 meno stagisti perché in un momento di crisi non erano sicure di poter offrire loro uno sbocco lavorativo al termine dello stage, mentre le piccole  imprese abbiano scelto di ignorare questo aspetto. Questa lettura trova un riscontro nel dato relativo alla tipologia di aziende che ospitano più stagisti: le imprese che erogano «servizi dei media e della comunicazione» per esempio, che spesso sono società con pochi dipendenti a tempo indeterminato e un gran numero di collaboratori a partita Iva o a progetto, hanno una propensione ad accogliere stagisti più che doppia rispetto alla media (31,9% a fronte di 14,8%, per un totale di quasi 4mila stagisti), così come la tipologia «Sanità, assistenza sociale e servizi sanitari privati» (32,1%, circa 25mila stagisti). Peccato che la loro propensione ad assumere sia invece più bassa della media: solo 9,6 stagisti su 100 tra quelli ospitati dalle agenzie di comunicazione ottengono un contratto, solo 8,9 su 100 nell'ambito sanitario-assistenziale.Leggere il dato dell'aumento del numero degli stagisti e dell'aumento della disponibilità delle imprese ad ospitarli come positivo tout-court è pericoloso, perchè si rischia di non considerare tutta quella consistente fetta di imprese, specialmente piccole e piccolissime, che hanno compreso la grande convenienza degli stagisti e li accolgono a braccia aperte per poter disporre di manodopera - o cervellodopera - a basso costo. Questi aumenti saranno davvero positivi quando ad essi corrisponderà un aumento significativo delle percentuali di assunzione dopo lo stage, ancora drammaticamente basse, specialmente se si considera che una persona su tre nello stage cerca espressamente una via di ingresso nel mercato del lavoro.Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento leggi anche:- Corsa agli stage, la crisi mette un freno. Primi dati del nuovo Rapporto Excelsior: 322mila tirocinanti l'anno scorso nelle imprese private italiane- In tempo di crisi i tirocini aumentano o diminuiscono?- Uno stagista su cinque è in Lombardia, uno su quindici a Milano: anteprima dal dossier Formazione dell'indagine Excelsior 2010

Il Natale risveglia la voglia di stagisti in profumerie e saloni di bellezza. Tirocini «sospetti» anche in tabaccherie e fast food

«Quando leggo che si può fare un tirocinio anche per fare il benzinaio, mi chiedo se questo serva a formare la gente o piuttosto a tenerla all'interno di un'impresa senza doverla pagare» aveva detto poche settimane fa la ministra della Gioventù Giorgia Meloni a Stagisti TV, in una videointervista dedicata allo spinoso tema dell'ingresso dei giovani italiani nel mondo del lavoro. Eppure il caso citato dalla ministra non è isolato. Solamente nelle ultime settimane, alla redazione della Repubblica degli Stagisti sono arrivate alcune segnalazioni quantomeno ambigue.La prima rispetto a uno stage offerto da una tabaccheria di Mestre (Venezia). La lettrice Silvia aggiunge nella sua email una riflessione: «È lecito proporre uno stage in una tabaccheria? Dov'è la formazione? E soprattutto un centro per l'impiego non dovrebbe vagliare le offerte e la loro attendibilità ed evitare di proporre palesi offerte di sfruttamento?». Nel caso specifico, lo stagista sarebbe tenuto a presentarsi in tabaccheria, in via Podgora, alle 7:30 del mattino - uno degli orari di punta per questo tipo di esercizi commerciali - e restarci fino alle 13. La seconda segnalazione riguarda una nota catena di profumerie, Marionnaud, che sta cercando tirocinanti per numerosi punti vendita in Veneto, Toscana e Lombardia [10 solamente in provincia di Brescia, 20 nella sola città di Milano v. l'immagine dell'inserzione a fianco]. Negli annunci, disseminati dall'agenzia Step Ricerca e selezione del personale su tanti siti specializzati che permettono la pubblicazione di annunci gratuiti, viene esplitamente specificato che la mansione degli stagisti sarà quella di «commessi». In alcuni di essi viene precisato che non ci sarà «possibilità di assunzione al termine», in altri che lo stage durerà «dal 29 novembre al 31 dicembre 2010» per un impegno complessivo di «40 ore settimanali». Ed è proprio questo l'aspetto meno chiaro dell'offerta: uno stage di un solo mese, guardacaso  dicembre. Quello in cui le profumerie notoriamente lavorano di più, prese d'assalto per i regali natalizi, e in cui servono più persone per servire i clienti e impacchettare le scatole di profumi e creme di bellezza. E allora il sospetto si fa legittimamente strada: non è che Marionnaud stia cercando di risparmiare sul costo del personale, prendendo decine di stagisti anziché fare contratti a tempo determinato per coprire il periodo caldo natalizio? La Repubblica degli Stagisti ha provato a chiederlo alla direzione del personale dell'azienda, senza però ricevere risposta.Sempre per il periodo natalizio, un altro lettore evidenzia che un parrucchiere di Senigallia, in provincia di Ancona, ha poco tempo fa pubblicato un annuncio di ricerca di un tirocinante, specificando addirittura «no perditempo» nel testo. Tra l'altro, l'annuncio non reca nè il nome del parrucchiere nè quello dell'eventuale agenzia per il lavoro intermediaria, configurandosi come irregolare in quanto non conforme alla normativa [a questo proposito, v. il contributo di Roberto Marabini direttore del sito Lavoratorio.it].Infine, un'inserzione per 13 stage di 6 mesi in varie sedi di una catena di fast food, con lavoro «su turni», per imparare a preparare i prodotti in vendita (cioè mettere un hamburger sulla piastra) e a utilizzare la cassa (battere uno scontrino). Non si sa quale sia questa catena, ma il soggetto promotore è l'Afol est di Milano. La segnalazione di questo annuncio arriva sulla pagina Facebook Carta dei diritti dello stagista da parte di Eva, che commenta lapidaria: «Ma come si permettono? Incredibile dove siamo arrivati».Come la ministra Meloni, anche la Repubblica degli Stagisti si chiede se questo serva a formare la gente o piuttosto a tenerla all'interno di un'impresa senza doverla contrattualizzare e pagare. E propende purtroppo per la seconda ipotesi.Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Tanti stage impropri, nessuna segnalazione agli ispettori. Perché? Due testimonianze- Intervista alla ministra Giorgia Meloni: «Più controlli per punire chi fa un uso distorto dello stage. Ma i giovani devono fare la loro parte e denunciare le irregolarità»- «Non abbiamo ispettori da mandare nelle aziende»: parla il responsabile dell'ufficio stage dell'università CattolicaE anche:- Normativa sugli stage, la Repubblica degli Stagisti vigila: un caso di illegalità «sventato» grazie alla segnalazione di un lettore- Vademecum per gli stagisti: ecco i campanelli d'allarme degli stage impropri - se suonano, bisogna tirare fuori la voce- La proposta della Repubblica degli Stagisti al ministro Sacconi: imporre a chi sfrutta gli stagisti di fare un contratto di apprendistato

«Vivendo altrove, il confronto fra l’Italia e altri paesi diventa impietoso. E illuminante». In un libro le storie degli italiani che fuggono all'estero

Viaggi e avventure di giovani espatriati raccontati da una giovane espatriata: Vivo altrove, libro scritto da  Claudia Cucchiarato [nella foto a destra - leggi l'intervista] e pubblicato quest’anno da Bruno Mondadori, ha un sottotitolo un po' da manuale di sociologia ma molto attuale: «Giovani e senza radici: gli emigranti italiani di oggi». Dove il centro sta in quella parola un po’ desueta, emigranti, che riporta alla mente vecchie fotografie ingiallite, valige di cartone, e i vaglia con cui gli zii d’America da lontano mantenevano figli e nipoti. Oggi i giovani in fuga dall’Italia non si sentono esattamente emigranti. Sono figli della generazione Erasmus e dell’Europa post Schengen, molti di loro hanno fatto esperienze all’estero già durante gli studi: trasferirsi da Bari a Milano o da Bari a Bruxelles non fa grande differenza. E anche il motivo che spinge a partire non è più lo stesso: cent’anni fa era fame in senso stretto, fame di lavoro e di un salario che permettesse di mandare avanti la famiglia; oggi è fame di esperienze, libertà, nuovi orizzonti.Claudia Cucchiarato parla con cognizione di causa e per esperienza personale: veneta, laureata all’università di Bologna, a 26 anni ha deciso di trasferirsi a Barcellona e lì è rimasta, appagata da una carriera giornalistica bilingue (scrive in spagnolo su La Vanguardia, il più importante quotidiano catalano, e in italiano su Repubblica e Unità) e da una vita piena di amici tra cui tanti, tantissimi espatriati italiani – che in città sono più o meno 40mila. Non solo perchè Barcellona va di moda, ma anche perché «chi emigra in Spagna si sente "un po’ come a casa". Non avverte le difficoltà che in altri paesi si possono riscontrare nella comprensione della lingua, nella lunghezza e nel costo del viaggio per far visita alla famiglia a Pasqua o a Natale, nella distanza culturale e sociale». L’anno scorso Cucchiarato ha deciso di allargare lo sguardo e approfondire la tematica, costruendo un sito e parallelamente un libro (che oggi ha una sua fanpage anche su Facebook) per raccogliere le storie di chi come lei ha scelto di vivere all'estero. «Una generazione fluida e in qualche modo sfortunata» si legge nell’ultimo capitolo «che non ha avuto, o ha creduto di non avere, le stesse opportunità che erano state a portata di mano per le generazioni precedenti. Una generazione di italiani che in patria si sono sentiti esclusi, non valorizzati. O che comunque hanno visto ben poche porte aperte davanti a loro. E che quindi hanno deciso di andarsene». E così ecco Davide che da Milano scappa a Barcellona e poi a Berlino, Alvise che per amore da Venezia si sposta a Monaco, Laura che decide di fare il grande salto dopo aver visto in Parlamento un senatore italiano mangiare mortadella per irridere il premier Prodi, Matteo che passa dal Portogallo all’Inghilterra alla Spagna, il napoletano Andrea quasi esterrefatto nel raccontare che uno dei più importanti studi di architettura di Rotterdam lo ha assunto semplicemente sulla base del suo curriculum, senza agganci o raccomandazioni.  Emigranti del nuovo millennio, talvolta anche in coppia: come i veneti Alessandro e Lidia che mano nella mano passano dalla facoltà di Scienze della comunicazione dell’università di Padova  a fare i camerieri a Madrid e Londra, per poi planare a Parigi dove ora lui fa il commesso in una boutique che vende abat-jour mentre lei frequenta un master e contemporaneamente lavora in un ufficio reclami di compagnie aeree. Senza dimenticare chi scappa dall’Italia per non diventare un «serial stagista»: e qui c’è spazio anche per la Repubblica degli Stagisti e per alcuni dei risultati emersi dal sondaggio Identikit degli stagisti italiani.Sedici capitoli, una settantina di «emigranti» messi a nudo, molti numeri per inquadrare il fenomeno al di là dei dati ufficiali dell’Aire (l’anagrafe degli italiani residenti all’estero) cronicamente incapace di monitorare in maniera efficace gli italiani che vivono altrove. E per uscire dal cliché dei «cervelli in fuga» che rischia di ridurre questi emigranti alle figure di geniali – e lontani – ricercatori universitari: in realtà ormai il fuggi-fuggi è generale. «Sono i "neo-migranti", gente che parte "per dimenticare", per lasciarsi alle spalle un paese che sta stretto, che non piace» scrive Cucchiarato: «Gente che vorrebbe cambiare l’Italia, ma non sa come fare e non sa se potrà farlo in futuro. E quindi cambia paese, se ne va, alla ricerca di maggiori stimoli o di un’alternativa». L’aspetto più preoccupante sta tutto in una frase alla fine del libro: «Di colpo, vivendo altrove, il confronto fra l’Italia e altri paesi – con regole e relazioni diverse – diventa impietoso. E illuminante». Questo confronto spiega perché quasi nessuno dei protagonisti pensa di rientrare in Italia, quantomeno nel breve periodo. Uno spreco di risorse, di energie, di talenti. Una perdita netta per l’Italia.Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Claudia Cucchiarato, la portavoce degli espatriati: «Povera Italia, immobile e bigotta: ecco perché i suoi giovani scappano»E anche:- Prospettive per i giovani, in Italia si gioca solo in B e C. Per la serie A bisogna andare all'estero- Caro Celli, altro che emigrare all’estero: è ora che i giovani facciano invasione di campo e mandino a casa i grandi vecchi

Per i disabili le opportunità di stage diminuiscono del 25%: i dati della Cgil in esclusiva per la Repubblica degli Stagisti

Gli stage riservati a persone disabili si sono ridotti del 25% nel corso degli ultimi quattro anni. Lo evidenziano i dati elaborati dalla Cgil per la Repubblica degli Stagisti.Se nel biennio 2006-2007 i portatori di handicap avevano effettuato più di 8.700 tirocini in tutta Italia, nel nel periodo 2008-2009 il totale si è ridotto a circa 6.600: un quarto in meno. Segno che la crisi ha inciso profondamente proprio sulle categorie più deboli e meritevoli di tutela, come i disabili o gli stranieri. E anche la disoccupazione cresce di conseguenza, con un +10% circa nel corso dell'ultimo anno. I disabili in Italia oggi sono 3 milioni, di cui il 60% donne, e sono presenti nel 14% delle famiglie italiane. Solo 210mila sono occupati, altri 768mila sono iscritti al collocamento, mentre 185mila sono studenti.I dati Cgil sono ulteriormente divisi tra tirocini formativi e tirocini finalizzati all’assunzione. Proprio i primi hanno determinato il drastico calo, scendendo dai 5.140 del 2006-2007 ai 2.615 del biennio successivo, con una diminuzione del 50%. Viceversa, i tirocini finalizzati all'assunzione sono cresciuti un po', dai 3.600 del 2006-2007 ai 4mila del 2008-2009. Determinante l’impegno di imprese e aziende, che hanno inserito in questo modo 3.500 disabili contro i 500 del settore pubblico.«È evidente che siamo in un periodo di crisi economica, ma non è possibile che a pagare siano sempre le fasce più deboli: tutti dobbiamo avere pari opportunità», afferma Nina Daita [nella foto a sinistra], responsabile dell’Ufficio politiche per la disabilità della Cgil nazionale. «Il fatto che diminuiscano gli stage e al contempo aumenti la disoccupazione tra disabili è preoccupante», aggiunge. «Il governo dovrebbe impegnarsi a tutelare le categorie più deboli ancor prima che quelle forti. Se hanno trovato tanti soldi per sostenere le banche durante la crisi, non dovrebbero mancare i fondi anche per i disabili. E invece si parla di un passaggio dall’integrazione sociale all’assistenzialismo, un passo indietro che ci riporterebbe agli anni degli istituti e delle scuole protette. È una misura che l’Italia non può permettersi, dal punto di vista culturale ancor prima che economico».I dati dell’Ufficio politiche per le disabilità Cgil tracciano un quadro desolante che, ancora una volta, evidenzia le disparità di trattamento per queste fasce di lavoratori tra meridione e settentrione: degli oltre 7.700 stage per disabili tra il 2006 e il 2009, ben 6.500 (l’85% del totale) hanno avuto luogo nel Nord e solo 1.200 nel Centro e Sud Italia. Da sottolineare, però, che i tagli legati alla crisi hanno riguardato soprattutto le Regioni settentrionali: nel Sud, infatti, i tirocini sono rimasti sostanzialmente stabili dai 629 del 2006-2007 ai 600 del 2008-2009, mentre al Nord il calo è stato di oltre 2.500 posti.In questa situazione, le iniziative per promuovere l’inserimento di persone diversamente abili nel mondo del lavoro acquistano un peso ancor maggiore. È il caso della giornata Diversitalavoro, che si terrà a Roma presso la sede di Bnl-Bnp Paribas di via Crescenzo del Monte 27 dalle ore 10 alle 17 del 18 novembre. L'appuntamento è rivolto a tutti i lavoratori appartenenti a categorie protette, inclusi stranieri e disabili, che avranno modo di incontrare i recruiter di aziende come Accenture e LeRoy-Merlin (due società che hanno aderito anche al Bollino Ok Stage della Repubblica degli Stagisti). Sul sito dell'evento sono già disponibili oltre 45 annunci di lavoro in aziende di ogni settore e Regione d'Italia. L'edizione precedente, tenutasi a Milano lo scorso aprile, aveva riscontrato oltre 350 partecipazioni e aveva portato al collocamento di un centinaio di lavoratori disabili in 18 diverse aziende.Lodevole anche il progetto portato avanti dalla provincia di Brindisi lo scorso aprile per inserire 20 stagisti disabili presso le Asl locali e farne assumere almeno la metà. E il corso da addetti alla segreteria per lavoratori diversamente abili organizzato dall'Enaip di Rieti (l'ente nazionale Acli istruzione professionale), che prevede per i partecipanti oltre 120 ore di stage presso enti, associazioni e cooperative, con un'indennità oraria di 2,9 euro lordi (il bando si è chiuso l'8 novembre). Sempre all'inizio di novembre, poi, ha preso il via la nuova campagna di collocamento mirato della Provincia di Firenze, attraverso la quale l'Amministrazione locale vuole informare privati, aziende ed enti pubblici in merito alle opportunità di inserimento delle persone disabili nel mondo del lavoro. Secondo Elisa Simoni, Assessore provinciale per il lavoro, «Con il crollo delle occupazioni, la crisi ha cambiato radicalmente la nostra concezione di cosa significa lavorare ed ha agito anche sulla nostra capacità di dare risposte alle numerose a variegate esigenze delle persone. L’azione del Collocamento Mirato è un ulteriore strumento che mettiamo in campo per aumentare, anche di poche unità, le possibilità di inserimento lavorativo di persone disabili e categorie protette». Tre i principali strumenti adottati dalla provincia: l'attività di orientamento al lavoro per i disabili, la consulenza alle aziende sugli obblighi di legge e sulle agevolazioni pubbliche, e l'attività di segnalazione diretta alle imprese dei candidati migliori per le loro esigenze.Peccato che ad ogni esempio virtuoso si contrapponga un caso di sfruttamento. L’ultimo è avvenuto a Treviso, dove quattro individui – tra cui un ex carabiniere e sua moglie marocchina - avevano messo in piedi un sistema di falsi tirocini formativi presso aziende odontotecniche locali. Nessuno stage, ovviamente: solo un trucco per attrarre stranieri nel Paese, con la promessa di una futura assunzione nelle aziende complici e l'ottenimento del conseguente permesso di soggiorno. In cambio, gli immigrati avrebbero pagato tra i 5 e i 10mila euro per il falso tirocinio. I quattro organizzatori sono stati condannati con rito abbreviato a pene comprese tra i 4 e gli 11 anni di carcere. Sempre a Treviso, un'inchiesta gemella durata più di un anno aveva portato a maggio a una serie di perquisizioni in aziende locali di vari settori. Il meccanismo della truffa, invariato, avrebbe fruttato quasi dieci milioni di euro. Venti gli indagati - di cui 8 stranieri - per associazione a delinquere finalizzata alla truffa.Meno stage per i disabili, aumento della disoccupazione, sfruttamento degli immigrati: se la crisi può fornire una spiegazione a questi fenomeni, non deve comunque diventarne giustificazione. E sarebbe forse auspicabile una maggiore tutela delle fasce più deboli del mercato del lavoro. Andrea Curiat Per saperne di più, leggi anche:- A Milano il career day Diversitalavoro: per stranieri e portatori di handicap in cerca di impiego, contro ogni discriminazione;- Giovanni Padovani, ex stagista al Parlamento europeo: «Ancora oggi i disabili devono affrontare, oltre alle barriere architettoniche, anche quelle occupazionali»

Uno studente dell'alberghiero chiede: «È legale che io debba pagare 150 euro per fare uno stage?». Risponde l'avvocato degli stagisti

Prosegue «L'avvocato degli stagisti», rubrica bisettimanale della Repubblica degli Stagisti curata da Evangelista Basile e Sergio Passerini, avvocati dello studio legale Ichino Brugnatelli. Basile e Passerini approfondiscono di volta in volta casi specifici sollevati dai lettori. La domanda anche questa settimana arriva dal Forum. «Sono uno studente di un istituto alberghiero e per svolgere uno stage formativo hanno chiesto un pagamento di una quota di circa 150 euro per chi svolge l'attività fuori regione; lo stesso hanno chiesto a me che invece svolgerò lo stage nella mia città in un azienda da me stesso contattata. Vorrei chiedere se è giusto che io paghi e se c'é una legge che dice che lo stage richiede una "tassa" da pagare».Le ragioni della richiesta di denaro formulata al lettore per la partecipazione a uno stage non sono chiare e meriterebbero di essere approfondite; in linea generale, è però possibile escludere che le norme che nel nostro ordinamento disciplinano i tirocini formativi e di orientamento possano di per sé giustificare richieste di denaro a chi è interessato a partecipare a uno stage.Com’è noto e come da sempre afferma la giurisprudenza, la finalità specifica e preminente dell'addestramento professionale e dell'immediata e diretta strumentalità dell'inserimento ai soli fini dell'apprendimento – tipica dello stage – è in linea di massima compatibile con l'assenza di un compenso per il tirocinante, essendo la copertura assicurativa antinfortunistica e quella relativa alla responsabilità civile verso terzi gli unici oneri posti a carico del oggetto ospitante lo stagista. Infatti, ai sensi del dell’art. 1 comma 2 del decreto ministeriale 142/98, il tirocinio formativo o di orientamento «non costituisce rapporto di lavoro», e quindi il soggetto ospitante non è in linea generale tenuto a pagare alcuna retribuzione né contribuzione al tirocinante (tale soggetto può invece decidere di erogargli un compenso, quale rimborso spese per gli oneri sostenuti, che è assoggettato alla ritenuta d’acconto a fini Irpef).Non si rinviene invece alcuna norma di legge che preveda l’obbligo dello stagista di corrispondere una certa somma per poter utilmente iniziare la propria attività lavorativa, nemmeno per ciò che concerne la copertura assicurativa INAIL o quella relativa alla responsabilità civile verso terzi, che sono a carico dell’ente promotore (fatta eccezione per il caso delle strutture pubbliche competenti in materia di collocamento, per le quali talvolta sarà il datore di lavoro a farsi carico di tali oneri). Gli unici obblighi che lo stagista deve rispettare sono quelli di seguire le indicazioni dei tutor e fare riferimento agli stessi per qualsiasi esigenza di tipo organizzativo; rispettare i regolamenti aziendali e le norme in materia di igiene, sicurezza e salute sui luoghi di lavoro; e mantenere la riservatezza sui dati, le informazioni o le conoscenze sui processi produttivi acquisiti durante lo svolgimento del tirocinio.È bene dunque che chi si appresta a svolgere uno “stage” ponga particolare attenzione a eventuali richieste di denaro, perché tali richieste non hanno fondamento nelle norme di legge e regolamentari che disciplinano lo stage; se queste richieste hanno altre giustificazioni (come, per esempio, l’acquisto di materiale didattico necessario allo svolgimento del percorso formativo), tali diverse giustificazioni devono essere chiaramente esplicitate e documentate, e la loro legittimità deve essere valutata caso per caso.Sergio Passeriniavvocato associato dello studio legale Ichino BrugnatelliPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- La Repubblica degli Stagisti ha una nuova rubrica: «L'avvocato degli stagisti» curata da Evangelista Basile e Sergio Passerini dello studio Ichino Brugnatelli - Posso fare uno stage se sono titolare di partita Iva? Risponde «l'avvocato degli stagisti», la nuova rubrica dedicata agli aspetti giuridici dello stageE anche:- Guai a chi vi chiede soldi in un'inserzione di lavoro: quinta puntata della videorubrica di Roberto Marabini dedicata a chi cerca un impiego

Quando l'eredità genitori-figli è un peso: un libro spiega perché l'Italia soffre di «immobilità diffusa». Con qualche idea per cambiare

Homo faber fortunae suae dicevano gli antichi, ma l'uomo è davvero artefice del proprio destino? Quando si parla di opportunità - di istruzione, lavoro, futuro - non tutti hanno in mano le stesse carte. La linea di partenza è mutevole: qualcuno eredita delle zavorre, altri invece viaggiano sospettosamente spediti. Al centro del problema c'è la famiglia di origine e la ricchezza economica, culturale e sociale che da questa si eredita: una vera e propria discriminante in Italia, che traccia il profilo di un Paese immobile, dove l'esistente si perpetua ed è difficile crescere e conquistare posizioni migliori. Questa la tesi sostenuta nel libro «Immobilità diffusa» (Il Mulino, collana Studi e Ricerche), sottotitolo «Perché la mobilità intergenerazionale è così bassa in Italia». Perché «la situazione famigliare - titolo di studio, occupazione e ricchezza dei genitori - predetermina in molti casi il destino dei figli». A partire dalla scuola per arrivare al lavoro. In barba all'articolo 3 della Costituzione e alla sua auspicata «rimozione di ostacoli di carattere economico e sociale che [...] impediscono il pieno sviluppo della persona». Le trecento pagine del volume, molto tecniche, sono il risultato di una ricerca commissionata dal ministero del Lavoro e delle politiche sociali che ha coinvolto una ventina di sociologi ed economisti coordinati da Daniele Checchi, docente di Economia dell'istruzione e Economia del lavoro all'università Statale di Milano (a fianco nella foto). I primi capitoli sono un focus sul sistema di istruzione. Pur ammettendo un aumento di mobilità scolastica, l'analisi descrive una scuola sostanzialmente classista, in cui i figli di genitori più ricchi e/o acculturati sono avvantaggiati rispetto agli altri: scelgono «indirizzi secondari "migliori"» (i licei piuttosto che gli istituti tecnici), hanno  maggiori probabilità di ottenere titoli alti, migliore rendimento, minori percentuali di abbandono. E si scopre che nel successo scolastico a fare la differenza sono più i fattori socio-economici -  lavoro svolto ed agiatezza dei genitori - che quelli culturali, come il loro titolo di studio. Lo stesso vale in fatto di lavoro. I "figli di papà" trovano più facilmente il primo impiego, grazie alle conoscenze della famiglia (un "legame forte") e possono contare su una solida rete di protezione in caso di insuccesso, mentre gli altri si rivolgono ad amici e conoscenti ("legami deboli"), con risultati più scarsi e zero ammortizzatori. Parlando di imprenditoria poi, si scopre che l'azienda è sempre più un affare di famiglia che in famiglia si cerca di tenere, e le barriere all'ingresso per gli estranei sono alte. Con poche eccezioni, come gli ingegneri e gli architetti. Che fare per invertire la rotta? Si arriva così all'ultima parte del volume,  in cui gli autori indicano le soluzioni: politiche sociali e riforme. Cioè: sostegno alla formazione sin dalla scuola primaria; istituzione di un biennio unificato nella scuola secondaria per rimandare il momento cruciale della scelta di indirizzo; creazione di un'«anagrafe degli studenti» che tenga traccia delle carriere studentesche e, con l'incrocio di dati, garantisca interventi finanziari anche in assenza di una domanda diretta. Più borse di studio e prestiti universitari, sul modello della graduate tax: non una tassa per lo studente, ma un prestito da restituire una volta laureati. E ancora: accesso a prezzi contenuti nel mercato delle case in affitto, sviluppo dei canali informali di ricerca del lavoro, sostegno alla disoccupazione. Del resto non si tratta solo di giustizia sociale: in gioco c'è anche la crescita economica del Paese. Come scrive nella prefazione Raffaele Tangorra, direttore generale per l'inclusione e i diritti sociali al ministero, «una società che si prende cura dei suoi "cittadini in crescita" fin dalla più tenera età, supportandoli negli anni della formazione e aiutandoli a superare le barriere [...] che derivano dalla condizione familiare, è socialmente più giusta e anche economicamente più efficiente». Annalisa Di Palo    Per saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Umberto Veronesi, la fatica delle donne e dei figli suoi: ma in verità sono i figli di nessuno che fanno una fatica bestiale per emergere  - Un esercito immobile: l'editoriale di Alessandro Rosina su giovani disoccupati e precari

Uno stagista su cinque è in Lombardia, uno su quindici a Milano: anteprima dal dossier Formazione dell'indagine Excelsior 2010

Nel 2009 hanno fatto un'esperienza di stage nelle imprese private circa 322mila persone:  61.800 di queste, cioè oltre il 19%, nelle imprese lombarde. Quasi uno stagista su cinque è in Lombardia, uno su quindici a Milano. Il dato emerge dall'indagine Excelsior 2010 di Unioncamere, "censimento" delle persone che hanno fatto un'esperienza di tirocinio nelle imprese private italiane nel corso del 2009. Il dossier specifico su formazione e tirocini dell'indagine Excelsior verrà reso pubblico a Verona il 25 novembre nel corso della fiera Job & Orienta; i dati relativi alla Lombardia sono stati presentati in anteprima dal direttore della Repubblica degli Stagisti Eleonora Voltolina stamattina nel corso della trasmissione «Buongiorno Regione» del Tg3 Lombardia.I 61.800 stagisti "lombardi" (anche se una grossa fetta in realtà proviene da altre regioni) sono concentrati prevalentemente nella provincia di Milano: 21.700, pari a oltre un terzo del totale. Il numero è significativo ma in flessione rispetto all'anno precedente, quando gli stagisti censiti a Milano dall'indagine Excelsior erano stati oltre 25mila. Alle spalle di Milano si pongono Brescia con 8mila stagisti e Bergamo con 6.880. Le province con meno stagisti sono invece Lodi (1.110), Sondrio (1.160) e Cremona (1.580). Il 70% va in imprese con meno di 50 dipendenti (quindi tre stagisti su quattro vengono ospitati in micro e piccole imprese); questa percentuale si riduce al 60% se si prende in considerazione solamente Milano. Per quanto riguarda l'area di attività dell'azienda, un 30% va a fare stage nella macroarea "Industria", che comprende l'industria in senso stretto (quindi: Estrazione di minerali; Industrie alimentari, delle bevande e del tabacco; Industrie tessili, dell’abbigliamento e calzature; Industrie del legno e del mobile; Industrie della carta, della stampa ed editoria; Industrie chimiche e petrolifere; Industrie della gomma e delle materie plastiche; Industrie dei minerali non metalliferi; Industrie dei metalli; Industrie meccaniche e dei mezzi di trasporto; Industrie delle macchine elettriche ed elettroniche; Industrie di beni per la casa, tempo libero e altre manifatturiere; Produzione e distribuzione di energia, gas e acqua) e il settore delle costruzioni. Il grosso degli stagisti lombardi (70%) fa invece la sua esperienza formativa in un'impresa della macroarea "Servizi", che può operare in uno dei seguenti ambiti di attività: Commercio al dettaglio; Commercio e riparazione di autoveicoli e motocicli; Commercio all’ingrosso; Alberghi, ristoranti e servizi turistici; Trasporti e attività postali; Informatica e telecomunicazioni; Servizi avanzati alle imprese; Credito, assicurazioni e servizi finanziari; Servizi operativi alle imprese; Istruzione e servizi formativi privati; Sanità e servizi sanitari privati; Altri servizi alle persone; Studi professionali.Ultimo - e fondamentale - aspetto, l'esito dello stage. Quanti stagisti ottengono un contratto di lavoro al termine dell'esperienza formativa? A livello nazionale Excelsior rileva un 11,6% di tirocini trasformati in assunzione. In Lombardia il dato è lievemente più basso (11,1%), ma con grandi differenze da provincia a provincia. Quella più virtuosa è Milano, dove 16,3 stage ogni 100 si trasformano in contratto; seguono Lecco (13,3%), Sondrio (12,8%) e Lodi (12,6%). La provincia dove è più difficile che lo stage diventi un lavoro è invece Bergamo, dove solo il 5,4% degli stagisti viene assunto: un vero e proprio crollo rispetto all'anno precedente, quando nella stessa provincia la percentuale di assunzione rilevata era quasi doppia (9,6%). Magre prospettive anche per gli stage svolti nelle province di Como (6,9%), Pavia (8%) e Mantova (8,1%).Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Corsa agli stage, la crisi mette un freno. Primi dati del nuovo Rapporto Excelsior: 322mila tirocinanti l'anno scorso nelle imprese private italiane- Rapporto Excelsior 2009: sempre più stagisti nelle imprese italiane, sempre meno assunzioni dopo lo stage- Quanti sono gli stagisti italiani? Tutti i dati regione per regione, tratti dall'indagine Excelsior 2009E anche:- Identikit degli stagisti italiani, ecco i risultati: troppo spesso i tirocini disattendono le aspettative- In tempo di crisi i tirocini aumentano o diminuiscono?

Istat, pubblicato il nuovo rapporto sull'ingresso dei giovani nel mercato del lavoro: situazione preoccupante sopratutto al Sud

A fine settembre l'Istat, Istituto nazionale di statistica, ha diffuso i risultati dell'indagine «Ingresso dei giovani nel mercato del lavoro», avviata l'anno precedente per fotografare nel periodo aprile-giugno 2009 la situazione di quasi 14 milioni di italiani tra i 15 e i 34 anni che passano dal mondo della formazione a quello dell'occupazione. Lo scopo è quello di migliorare l'informazione sul tema: «le difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro sono determinate dalla scarsità dei canali di informazione», oltre che «dalle inefficienze del sistema pubblico di intermediazione». Non a caso il 55% dei giovani dopo gli studi trova lavoro tramite parenti e amici (i "canali informali") e meno del 5% si serve di centri per l'impiego e agenzie del lavoro (i "canali formali professionali"); nel mezzo, con il 20% a testa, quanti inviano candidature spontanee o rispondono a inserzioni su web e stampa. Lo stage è una delle vie per muovere i primi passi nel mondo del lavoro, soprattutto per chi ha alti livelli di istruzione: se tra i diplomati il 22% dopo svolge almeno un programma di tirocinio, tra i laureati la percentuale si alza al 36% e, tornando indietro all'università, si scopre poi che ben il 41% dei laureati tra il 2007 e il 2009 ha svolto almeno uno stage mentre studiava. Nei primi anni del 2000 - continua il rapporto - erano il 35%. L'indagine evidenzia poi come in Italia i momenti di alternanza studio-lavoro - nei quali si fa rientrare anche l'apprendistato - vengano utilizzati poco nella formazione secondaria, quando invece la tendenza auspicabile sarebbe quella di anticiparli il più possibile come "ipoteca" per il futuro.  Parlando di contratti di lavoro, l'Istat dà numeri preoccupanti: tra i laureati del biennio 2007-2009 quasi la metà non ha mai avuto esperienze di lavoro, contro il 24,9% del biennio 2005-2007 e il 14,2% di quello 2003-2005: un dislivello del 34% in quattro anni. La disoccupazione, pur aumentando per tutti, è direttamente proporzionale al grado di istruzione: più si studia, più difficilmente si trova lavoro. Non si tratta del resto solo di quantità di lavoro disponibile: avere un buon titolo di studio non assicura un lavoro ad alta specializzazione - quasi la metà dei diplomati e laureati del secondo trimestre 2009 hanno un titolo superiore a quello richiesto per il la loro attività. Chi un impiego ad ogni modo ce l'ha, ma a tempo determinato, dopo ha alte probabilità di rimanere a casa: nel biennio 2007-2009 il 64% degli occupati a termine sono scivolati nell'area dell'inoccupazione. C'è poi il capitolo Mezzogiorno, dove il livello di criticità è ancora più alto. Si studia di meno: più di un terzo si ferma alla licenza media (la maggior parte sono uomini), mentre ottiene un diploma il 55,3%, a fronte del 72,4% del centro e del 68,7% del nord. E si lavora di meno: solo poco più della metà del campione al momento della rilevazione ha dichiarato di aver avuto esperienze di lavoro dopo gli studi, contro l'83% del centro-nord. Ci si mette anche di più per iniziare a lavorare: i meridionali impiegati entro un anno dalla fine degli studi sono il 15,8% del totale nazionale, contro il 38,7% del nord e il 34,9% del centro. Tra questi pochi fortunati, sempre meno donne: ben il 55,7% a studi conclusi rimane con le mani in mano, contro il 33,7% degli uomini. Molto più alta, infine, la percentuale di inattivi e disoccupati: 20% al nord, 48% al sud. Peccato che lo stage in questa rilevazione non emerga come fenomeno distinto dagli altri, anzi venga addirittura assimilato all’apprendistato. Ma stage e apprendistato sono cose diverse, che non andrebbero messe nello stesso calderone. Se rimane il principio comune del learning by doing, cambiano infatti i diritti: l'apprendistato è un vero e proprio rapporto di lavoro, con tanto di stipendio, contributi e ferie, tutte chimere per un tirocinante. Sarebbe stato utile avere invece dall’Istat un quadro specifico dello stage per capire quali prospettive occupazionali apre, e forse anche strategico per decidere quanti soldi pubblici investire in questi programmi formativi, e con quali modalità. Chissà, magari sarà per la prossima volta.   Annalisa Di Palo(e grazie ad Arnald per la vignetta)   Per saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Giovani e disoccupazione, binomio sempre più stretto: l'Istat traccia un quadro cupo per le nuove generazioni in cerca di lavoro - Dalla parte dei laureati - lo stage serve per trovare lavoro? - Ingegneria ma non solo: quali sono le lauree più utili per trovare lavoro?   E anche: - Identikit degli stagisti italiani, ecco i risultati: troppo spesso i tirocini disattendono le aspettative - Luci e ombre del contratto di apprendistato - una buona occasione, ma preclusa (o quasi) ai laureati

Posso fare uno stage se sono titolare di partita Iva? Risponde «l'avvocato degli stagisti», la nuova rubrica dedicata agli aspetti giuridici dello stage

Prosegue «L'avvocato degli stagisti», rubrica bisettimanale della Repubblica degli Stagisti curata da Evangelista Basile e Sergio Passerini, avvocati dello studio legale Ichino Brugnatelli. Basile e Passerini approfondiscono di volta in volta casi specifici sollevati dai lettori. La domanda di questa settimana arriva dal Forum. «Ciao a tutti, sono stata selezionata per uno stage presso un'agenzia per il lavoro a Roma. Il problema è sorto al momento dell'attivazione, poichè mi è stato detto che non posso fare lo stage perchè in possesso di una partita Iva e supero i 4.800 euro all'anno. Mi è stato consigliato di chiuderla, ma non mi è possibile. Vorrei sapere se si tratta di una normativa nazionale o se si tratta di normative proprie dell'ente di attivazione dello stage. Cosa posso fare?»Non esiste nel nostro ordinamento giuridico una norma di legge che escluda dal novero dei possibili beneficiari del tirocinio formativo chi sia titolare di una partita Iva o percepisca un reddito annuale superiore all’importo indicato alla lettrice da chi le ha negato lo stage.  È possibile che l’azienda e l’ente promotore concordino che lo stage venga offerto solo a soggetti privi di altri redditi di lavoro autonomo o subordinato - ma questa è appunto una scelta, che tra l'altro avrebbe dovuto essere resa nota  preventivamente ai candidati allo stage. L’azienda non può comunque fondare il suo rifiuto sulle norme di legge nazionali applicabili in materia.I requisiti soggettivi richiesti dalla legge per accedere ai tirocini  sono infatti quelli indicati dall’art. 18 della legge n. 196/1997 e dall’art. 7, comma 1, del decreto ministeriale 142/1998, vale a dire l’assolvimento dell’obbligo scolastico e l’appartenenza a una delle seguenti categorie di soggetti: studenti della scuola secondaria; inoccupati o disoccupati; allievi degli istituti professionali di Stato, di corsi di formazione professionale, studenti frequentanti attività formative post-laurea, anche nei diciotto mesi successivi al completamento della formazione; studenti universitari e di dottorati di ricerca e scuole o corsi di perfezionamento e specializzazione, anche nei diciotto mesi successivi al termine degli studi; persone «svantaggiate» (invalidi fisici, psichici e sensoriali, ex degenti di istituti psichiatrici, soggetti in trattamento psichiatrico, tossicodipendenti, alcolisti, minori in età lavorativa in siuazioni di difficoltà familiare, condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione); portatori di handicap.Tra i potenziali beneficiari di stage possono inoltre essere ricompresi anche i soggetti occupati, per i quali il periodo di tirocinio dovrà tuttavia coincidere con una fase di sospensione del rapporto di lavoro; l’esperienza formativa dovrà essere compiuta presso un datore di lavoro diverso da quello dal quale dipendono e dovrà essere finalizzata alla formazione in mansioni differenti da quelle svolte presso l’azienda già datrice di lavoro. Tale ulteriore ipotesi è desumibile dall’art. 5 della legge n. 53 del 2000, che prevede a favore dei lavoratori con almeno cinque anni di anzianità di servizio presso lo stesso datore di lavoro la possibilità di «richiedere una sospensione del rapporto di lavoro per la formazione per un periodo non superiore a undici mesi, continuativo o frazionato, nell’arco dell’intera vita lavorativa». La stessa disposizione definisce congedo per formazione quel periodo di sospensione dal lavoro «finalizzato al completamento della scuola dell’obbligo, al conseguimento del titolo di studi di secondo grado, del diploma universitario o di laurea, alla partecipazione ad attività formative diverse da quelle poste in essere o finanziate dal datore di lavoro». Nessuna norma di legge, inoltre, vieta al soggetto che presenti i requisiti soggettivi sopra elencati e che sia titolare di un rapporto di lavoro subordinato a tempo parziale di impegnare la parte libera della propria giornata in uno stage presso un’azienda diversa da quella dalla quale dipende, sempre che l’esperienza formativa abbia per oggetto mansioni differenti da quelle già svolte. Si pensi al caso di un rapporto di lavoro a tempo parziale "verticale", che impegna cioè solo alcuni giorni alla settimana o al mese o solo qualche mese durante l’anno: i soggetti titolari di tali rapporti di lavoro potranno senz’altro accedere a stage compatibili – per l’impegno richiesto – con il loro tempo libero.  Allo stesso modo nel novero dei beneficiari dei tirocini formativi rientrano anche coloro che rendono prestazioni di lavoro autonomo e che sono titolari di partita Iva. Si pensi, sempre per esempio, a uno studente universitario appassionato di musica, che pubblichi i suoi articoli su alcune riviste specializzate e che per tali articoli venga compensato verso emissione di fattura: non vi sarebbe motivo per negargli la possibilità di fare uno stage.Concludendo: per l’accesso a un’esperienza formativa basta avere, se non ci sono indicazioni diverse nel bando o nella convenzione di stage, semplicemente i requisiti soggettivi individuati dalle leggi sopra citate. Non sono rilevanti né la contemporanea titolarità di partita Iva né la contemporanea sussistenza di rapporti di lavoro autonomo o subordinato, purché compatibili. È chiaro che, in ogni caso, il tirocinio non potrà avvenire presso la stessa azienda per la quale lo stagista già lavora o per mansioni che egli svolge già da tempo e per le quali, quindi, non sarebbe neppure ipotizzabile alcuna finalità formativa. Sergio Passeriniavvocato associato dello studio legale Ichino BrugnatelliPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- La Repubblica degli Stagisti ha una nuova rubrica: «L'avvocato degli stagisti» curata da Evangelista Basile e Sergio Passerini dello studio Ichino Brugnatelli