Categoria: Approfondimenti

Università sotto casa addio, io vado in Asia: piccola guida per neodiplomati per studiare in Estremo Oriente

Va dove ti porta il... cinese: sempre più giovani scelgono di imparare questa lingua perché è la più diffusa al mondo, viene parlata nei Paesi economicamente in crescita, e perché è ancora poco conosciuta. Dunque per chi vuole studiare il cinese e cominciare un percorso accademico, una volta terminata la scuola superiore, l’alternativa è: immatricolarsi ad un corso di laurea in Italia oppure recarsi direttamente all’estero, in Asia.La Repubblica degli Stagisti ha scelto di dedicare questa seconda puntata proprio agli atenei asiatici e alla categoria degli undergraduate, ossia coloro che intendono conseguire il bachelor degree, assimilabile alla nostra laurea triennale.Scorrendo il Qs Ranking l’Asia occupa una posizione di tutto rispetto: al ventiquattresimo posto spicca l’università di Singapore, tallonata due posti più in giù da quella di Hong Kong, entrambi ottimi punti di partenza per individuare le condizioni materiali in cui viene a trovarsi uno studente internazionale che decide di trasferirsi in questo continente.A partire dagli aspetti più elementari e per questo essenziali: mangiare e dormire. L’università di Singapore conta circa 37mila studenti provenienti da un centinaio di Paesi differenti e offre un alloggio nel campus a 11mila di loro, compresi anche graduate o postgraduate students, già laureati e iscritti a programmi come Master (corrispondente alla nostra laurea specialistica), Master of Philosophy (MPhil), oppure Doctor of Philosophy (PhD).Gli studenti sono divisi tra tra sei Halls of residence, quattro Student residences e tre Residential colleges, quest’ultimi aperti solo agli ammessi ai due programmi accademici multidisciplinari Usp e Utcp. Oltre al requisito minimo dell’iscrizione ad un corso full-time, uno studente internazionale deve anche esibire alcuni certificati emessi dal governo di Singapore, nella fattispecie da Ica (Immigration and custom authority) e Mom (Ministry of manpower).Dopo aver verificato questi dati è possibile rivolgersi direttamente all’Hostel management office oppure orientarsi col menu a tendina fornito nella pagina web in inglese, dedicata alle tasse per il vitto e l’alloggio, in cui le varie opzioni sono elencate in modo schematico e puntuale in base alla sede residenziale, al tipo di camera prescelta e alla durata della permanenza. Ad esempio una camera singola in halls of residence costa in media, in dollari di Singapore (un dollaro singaporiano equivale a poco meno di 80 centesimi di dollaro statunitense), 1.800 nel primo semestre (circa 18 settimane) e 1.700 per il secondo semestre (17 settimane), per un totale di circa 2mila euro all’anno. Per il vitto, cioè colazione e cena, si paga mediamente una retta di 400 dollari per il primo semestre e 370 dollari per il secondo.In ogni caso sono disponibili dei pacchetti comprendenti varie forme di finanziamento, tra le altre un'indennità, living allowance, di 3.600 dollari all’anno o una borsa di studio annuale di 500.L’università di Hong Kong è altrettanto cosmopolita. Accoglie una novantina di nazionalità all’interno del campus, più di 9mila allievi internazionali, contando anche i postgraduate, ovvero circa il 34% del totale degli iscritti: tra questi la comunità italiana annovera una quindicina di studenti, quattro studenti in scambio e undici docenti la cui età media raggiunge i 42 anni.I dormitori Residence halls costano per i non laureati 11.844 dollari di Hong Kong, pari a 1.100 euro (il dollaro in questo caso vale 13 centesimi di dollaro americano), per l’anno accademico corrente, che dura da settembre alla fine di maggio con la possibilità di svolgere un semestre estivo, dalla fine di giugno alla fine di luglio. Gli undergraduate tuttavia non sono lasciati soli al loro destino e, solo dopo aver inoltrato l’application per il corso di studi, con il medesimo account possono fare domanda per candidarsi alla borsa di studio entrance scholarship, facendo riferimento alla pagina apposita. Gli schemi di finanziamento sono destinati a coprire i costi complessivi dell’esperienza universitaria, sono applicabili tanto ai local students, agli studenti del luogo, quanto ai non-local students, cioè anche a coloro che hanno bisogno del visto per studiare a Hong Kong, sebbene per quest’ultimi il numero di borse sia limitato e le rette previste siano più alte. Basti pensare che per uno studente del luogo le cosiddette tuition fees si aggirano intorno ai 42mila dollari, circa 3mila euro, mentre per il resto del mondo si moltiplicano arrivando a 135mila dollari, ossia più di 12mila euro. A questi numeri occorre sommare il contributo per il soggiorno, più indicativamente ulteriori 55mila dollari, più di 5mila euro, per le varie voci di spesa correlate alla vita quotidiana e allo studio. Pertanto, come per il Nord America, anche i costi degli atenei asiatici sono decisamente elevati e non sono per tutti, specialmente per chi arriva da fuori. E anche qui viene in soccorso la struttura del career center, in questo caso la sezione Careers and placement del Cedars, Centre of development and resources for students, a cui è assegnato, tra i vari compiti, quello di pubblicare non solo le offerte di lavoro ma anche le opportunità di tirocini, con o senza compenso, in vari settori. L’attenzione al collegamento tra lo studio e la preparazione parallela al mondo del lavoro sembra essere una sorta di principio ispiratore totalizzante del sistema formativo: al punto che, attraverso il programma Counselling and person enrichment programme (Cedars-CoPe), gli studenti possono contare su una serie di servizi, quali consulenze o workshop, anche per «costruire la forza del carattere, vivere una vita soddisfacente e psicologicamente sana, e sviluppare attitudini positive e life skills per il loro successo personale cosicché sono in grado di dare un contributo alle loro comunità dimostrando leadership e sensibilità». Questo è ciò che si legge sulla pagina di presentazione del Cedars, dove la filosofia dell’università di Hong Kong campeggia riassunta in modo inequivocabile: «gli studenti dovrebbero cominciare a pianificare presto la loro carriera, preferibilmente nel primo anno di studi». Come Ilaria Ribis, nata a Milano, 20 anni, con diversi stage all'attivo in studi internazionali che operano nel common law, il ramo in cui vorrebbe lavorare dopo la laurea. Per motivi familiari Ilaria ha vissuto in Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Londra e non ha mai studiato in una scuola in Italia. Da un paio di mesi si è trasferita nel campus a Hong Kong perché sta seguendo un dual degree programme in Law istituito dall’università di Hong Kong e dal King’s college di Londra, al termine del quale avrà due lauree in legge: la durata del curriculum è di cinque anni, di cui i primi due a Londra e i restanti tre in Asia. Dove Ilaria vorrebbe restare al termine degli studi: «Hong Kong sta diventando una delle più grandi capitali finanziarie al mondo, penso che sarà molto più facile trovare lavoro e per la mia crescita personale mi interessa imparare la cultura del posto e il cinese». Per la giovane studentessa l’ammissione a un’università così competitiva non è stata una passeggiata: i requisiti infatti non si fermano ad un voto di maturità alto e al possesso della certificazione di lingua inglese. Bisogna dimostrare di avere capacità in un’altra lingua, e soprattutto di eccellere anche in altri ambiti della propria vita: «L’application deve riportare tutte le cose che hai fatto, a livello di volontariato, di stage o di sport». In aggiunta a tutto questo gli affitti della città sono a dir poco stellari, per cui è opportuno fare un colloquio di selezione per i dormitori, ciascuno dei quali ha tradizioni proprie e richiede un certo standard di inquilini.L’università assiste molto lo studente, da una parte aiutandolo a relazionarsi da subito con il mondo lavorativo, tanto che a giurisprudenza si fanno addirittura delle simulazioni delle udienze, in un mini-tribunale. Dall’altra c’è un sostegno materiale a trovare lavoro già durante la fase della formazione, attraverso gli stage curriculari e non solo: «I tirocini di solito si fanno nel penultimo anno di studi perché subito dopo lo stage ti fanno un colloquio di lavoro per poi farti sapere se, quando hai finito l’università, vogliono prenderti a lavorare da loro come avvocato» aggiunge Ilaria «I programmi che sto studiando io non prevedono stage ma sono ben collegati con gli studi legali e facilitano l’accesso. Gli studi vanno dalle università per conoscere gli studenti migliori».Il programma accademico di Ilaria è sviluppato in dieci corsi all’anno e le lezioni si suddividono in lectures, con un centinaio di allievi, e tutorials, ristrette a una ventina di persone, dove si entra più nello specifico delle materie; le prove si articolano in esami scritti due volte a trimestre e in temi da preparare a casa che valgono il 20% del voto finale. Infine il curriculum principale, detto major, può essere affiancato anche da un minor, che «non è una vera e propria laurea ma un’esperienza che lo studente accumula in un’altra facoltà». Ilaria propende per l’idea di specializzarsi in un minor in psicologia, ma ha tempo fino a gennaio per decidere. E come lei sicuramente anche altri abitanti del campus, tra cui diversi italiani: «La maggior parte è qui in exchange, per un anno oppure sei mesi. Molte persone sono venute per fare un’esperienza ma poi decidono di restare perché ne vale la pena».Marta Latini[la foto Nus è di Dominic Soon- licenza creative commons]Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:-Fonderia dei Talenti, gli italiani all’estero hanno uno strumento in più per fare rete e trovare lavoro-Studiare all’estero, ecco tre università top del Nord America: costi da capogiro ma chi vale viene premiato-Quando l’università si rifiuta di attivare lo stage

Troppo spazio al turismo nei bandi Leonardo? L'Isfol risponde alle critiche

Ci sono i cento posti offerti dal bando “Tu.Ris.M” riservati ai residenti di Puglia e Abruzzo, i 28 legati al primo flusso del progetto “Pit – Promoting internship on tourism”, i 56 messi a disposizione di under 35 siciliani nell'ambito di “Taste”. Sono solo alcuni dei bandi finanziati tramite il Progetto Leonardo attualmente aperti, che offrono ai partecipanti percorsi formativi nei Paesi dell'Unione europea. Oltre al sostegno economico, queste iniziative hanno in comune anche il settore di riferimento: quello turistico.«Dei 15 usciti negli ultimi 4 mesi, ben 12 hanno come settore di interesse la ricezione turistica. In pratica offrono un tirocinio di 4 mesi per svolgere uno stage in un paese europeo per fare il cameriere o l'accompagnatore turistico», questa la segnalazione arrivata da una lettrice alla Repubblica degli Stagisti: «Non mi sembrano offerte in linea con il progetto. Sembra che l'Isfol elargisca queste sovvenzioni europee a vari enti senza preoccuparsi poi della loro effettiva destinazione».Per capire come stiano effettivamente le cose, la redazione si è rivolta direttamente all'Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, che approva le richieste di inserimento nel Programma Leonardo dei tirocini proposti sul territorio da enti e istituzioni locali. «Da quello che ci risulta non c'è una spiccata preponderanza del settore turistico, anche se probabilmente è uno di quelli che meglio si sposa con un contesto internazionale», spiega Francesca Carta [nella foto in basso], una delle ricercatrici dell'istituto che ha sede in corso d'Italia a Roma.Lo confermano i numeri contenuti nel rapporto “Comenius, Grundtvig e visite di studio – Dati e risultati 2012”, stando al quale degli oltre 17mila progetti IVT (Initial vocational training) attivati lo scorso anno nell'ambito del programma Leonardo, solo il 36% ha riguardato i servizi, settore all'interno del quale rientra anche il turismo. Altri comparti che hanno visto partire percorsi di tirocinio finanziati dall'Ue sono l'ingegneria, la manifattura e le costruzioni, che rappresentano il 18% del totale, le scienze sociali, economiche e giuridiche con il 17%. Seguono educazione (10%), arte (7%), scienze (5%), agricoltura e veterinaria (4%), salute (3%). «Non riceviamo l'indicazione di orientarci verso un determinato settore, le iniziative vengono individuate sulla base della loro bontà». Per questo «può capitare che in un anno ci sia la prevalenza di un settore piuttosto che di un altro. I promotori devono giustificare la loro proposta progettuale sulla base di una specifica esigenza, vuoi territoriale vuoi legata ad una specifica figura professionale. Può succedere che ci si orienti sul turismo perché è un settore che si presta di più alla mobilità transnazionale, ma ultimamente abbiamo avuto anche tirocini legati all'architettura, alle energie rinnovabili e alla cooperazione».Per quale ragione però Isfol accetta di sostenere degli stage per delle professioni che, a partire ad esempio da quelle legate alla ricezione turistica, non richiedono un lungo periodo di formazione on the job e per le quali le persone che le svolgono dovrebbero essere assunte e ricevere un diverso inquadramento sia giuridico che rispetto al trattamento economico? A questa domanda Carta risponde rimandando al sito Isfol, dal quale è possibile scaricare la normativa che ha istituito il programma Leonardo. Nella quale si legge che tra gli obiettivi dell'iniziativa c'è quello di «sostenere coloro che partecipano ad attività di formazione e formazione continua nell'acquisizione e utilizzazione di conoscenze, competenze e qualifiche per facilitare lo sviluppo personale, l'occupabilità e la partecipazione al mercato del lavoro europeo». Tra le quali dunque l'istituto ritiene rientrino anche quelle fornite a chi svolge uno stage come cameriere, barista o addetto alla reception in un albergo.E su quali basi vengono selezionati i progetti? «Gli enti promotori rispondono ad un bando comunitario. L'Isfol si serve di un pool di esperti esterni che effettua una valutazione sulla base di criteri indicati dalla Commissione europea». A decidere è dunque questo gruppo formato da «esperti in materia di formazione professionale o di progetti comunitari e figure professionali che abbiano una competenza rispetto alla specificità del bando». Dodici i professionisti coinvolti quest'anno, scelti attraverso un concorso, ai quali è stato riconosciuto un compenso compreso tra i 3mila ed i 9.900 euro. Si tratta di ricercatori universitari, insegnanti e responsabili di corsi di formazione. E comunque, tornando alle critiche sui troppi stage nel settore turistico, l'Isfol ribadisce che la scelta rispetto ai progetti da finanziare riguarda il possesso dei requisiti richiesti da Bruxelles, e non l'area professionale nel quale saranno inseriti i tirocinanti.Riccardo SaporitiHai trovato interessante questo articolo? Leggi anche:- Ginevra Benini: ecco cosa fa l'Isfol per gli stagisti italiani- Stage attivati dai centri per l'impiego: ecco la radiografia annuale dell'IsfolSai che RdS e Isfol hanno realizzato uno studio sullo stage in Italia? Leggi qui i risultati:-Identikit degli stagisti italiani, ecco i risultati: troppo spesso i tirocini disattendono le aspettative

Studiare all'estero, ecco tre università top del Nord America: costi da capogiro ma chi vale viene premiato

Nell’edizione 2013 del Qs world university ranking, l’autorevole classifica delle ottocento migliori università del mondo, l’Italia non brilla - anche se ha compiuto qualche progresso rispetto al 2012. Al 188simo posto si colloca l’università di Bologna, seguita dalla Sapienza di Roma, alla posizione 196, e dal Politecnico di Milano, al 230simo posto. L’Europa è rappresentata ai vertici della graduatoria da una folta delegazione inglese: in ordine di merito Cambridge, University College London, Imperial College, Oxford. Tuttavia la "vittoria" spetta senza dubbio al Nord America: le università statunitensi dominano dall’inizio e per buona parte della lista, mentre quelle canadesi si inseriscono al diciassettesimo posto con l’università di Toronto. La Repubblica degli Stagisti ha deciso di partire proprio dalle prime posizioni per indagare un po’ più da vicino le caratteristiche del podio e per capire come funzionano gli atenei "numeri uno" su scala globale. In modo particolare prendendo come campione tre eccellenze, ciascuna con un proprio segno distintivo: il Mit, Massachusetts institute of technology, medaglia d’oro riconfermata, l’università di Berkeley che vanta il Nobel per la medicina 2013 del professore Randy Schekman, e l’università McGill di Montreal, che è la prima università canadese in ambito medico secondo la rivista Maclean.Per chi volesse iscriversi a queste università, di cui la prima è privata e le altre due sono pubbliche, è necessario fare una prima distinzione fondamentale tra undergraduate e graduate students: i primi sono studenti iscritti all’università ma che devono ancora conseguire la laurea (degree), i secondi sono già in possesso di un degree e studiano per uno di livello superiore, ovvero un master’s degree o un PhD.Nei vari casi i requisiti di ammissione non si limitano alla burocrazia dei transcripts, i documenti relativi al ciclo di studi precedenti completi di materie e voti, ma sono anche attitudinali e linguistici. I test attitudinali più frequenti sono il Sat e l’Act per gli undergraduate, il Gre per i graduate, mentre gli esami più richiesti per chi non è madrelingua inglese sono il Toefl o l’Ielts, con punteggi minimi differenti stabiliti dalle varie istituzioni. La modalità di selezione passa attraverso una candidatura online, application, spesso accompagnata da un colloquio, la cui scadenza è solitamente piuttosto distante dall’inizio effettivo del corso di laurea: ad esempio nel caso di McGill per gli undergraduate sono già attive le candidature per l’autunno 2014, aperte fino a metà gennaio. E da qualche mese sono già attivi i responsabili Recruitment unit di McGill, come Lindsay Wilmot, che è stata recentemente in visita in Italia: «Il mio compito in qualità di Recruitment and admissions officer è di dare un supporto ai futuri studenti, ai loro genitori e alle scuole superiori. Il nostro gruppo dà delle informazioni sui programmi di McGill, sui requisiti di ammissione e sulla vita nel campus e a Montreal, per aiutare gli studenti a decidere se la nostra università può essere adatta a loro».Nel passare in rassegna le condizioni di studio, la principale difficoltà per chi vuole spostarsi oltreoceano sembra essere di natura finanziaria perché l’ammontare di “tuition costs and fees”, cioè dei costi e delle tasse per l’istruzione, è oneroso, in modo particolare a seconda del corso di laurea e della nazionalità.A McGill le tasse annuali, in dollari canadesi, ammontano in media a più di duemila per gli studenti del Quebec, a circa 6mila per gli altri studenti canadesi e oscillano tra i 14mila e i 35mila per gli studenti internazionali. Nei nove mesi dell’anno accademico 2012-2013 uno studente non laureato al Mit ha sborsato circa 42mila dollari per le tasse, più indicativamente altri 14mila dollari per le spese di sostentamento. I costi per gli studenti laureati sono stati anche più alti perché la maggior parte di essi frequenta l’università per un anno solare e non accademico. A Berkeley per ogni semestre dell’anno accademico corrente le tasse d’iscrizione più basse per un undergraduate arrivano a 7.400 dollari e per un graduate academic a più di 7.800. Quelle più alte, destinate ai non residenti, raddoppiano.Per far fronte a spese tanto ingenti sono previste delle forme di finanziamento di diversa origine: la prima soluzione a cui pensare è quella di presentare domanda per ottenere una borsa di studio o scholarship. Ognuna delle tre università dedica una pagina del proprio sito all’argomento, fornendo informazioni differenziate a seconda della categoria dello studente, non laureato o laureato.In media il Mit assicura un sostegno economico a quasi il 90% dei suoi iscritti: il financial aid package è l’espressione usata per descrivere tutti i tipi di aiuto a disposizione degli undegraduate, unicamente in base alla situazione finanziaria della famiglia di origine. Sono invece i singoli dipartimenti a provvedere in larga parte a finanziare gli studenti laureati, secondo parametri non solo economici ma anche di merito.Ci sono anche iniziative specifiche di ogni ateneo. Ad esempio McGill ha ideato la Entrance scholarship, una borsa di studio, basata sul merito, per gli studenti che si iscrivono per la prima volta a un corso di laurea full-time. Due sono le varianti: una borsa di un anno di 3mila dollari non rinnovabile e borse superiori, del valore anche di 5mila o 10mila dollari, a cui ci si può candidare annualmente.Per quanto riguarda gli studenti internazionali, è sempre opportuno che si rivolgano all’International office. Berkeley mette nero su bianco nella pagina web che trovare una borsa per gli studenti stranieri è “challenging”, una vera e propria sfida. Infatti essi non possono usufruire delle borse statali, federali e dell’università: il consiglio è di rivolgersi a organizzazioni private anche del paese di provenienza oppure di contattare il proprio dipartimento per farsi spiegare quali sono i fondi a cui poter aspirare.Oltre alle borse ci sono altri canali: donazioni, prestiti, premi, tirocini, attività di insegnamento e ricerca, opportunità lavorative. Queste ultime possono essere conosciute nel dettaglio rivolgendosi al personale career services, nel caso specifico il Gecd del Mit, il Career center di Berkeley e il Career planning center di McGill, punti di riferimento che aiutano gli studenti nello sviluppo della propria carriera.Uno degli aspetti salienti della vita nelle università americane è la struttura del campus, che fornisce alcuni servizi come il vitto e l’alloggio, sotto l’amministrazione di un housemaster. La condivisione della quotidianità favorisce la coesione e l’integrazione: al Mit ad esempio più di 3mila studenti non laureati alloggiano in un campus mentre quasi 1.900 laureati vivono nei complessi residenziali e un’ottantina nei dormitori degli undergraduate in qualità di tutor. Come è facile desumere, il primo vero requisito per intraprendere un percorso accademico all’estero è l’organizzazione, a partire dalle molteplici insindacabili deadlines da tenere d’occhio con attenzione. E poi avere determinazione e forza di volontà. Due qualità non rare dato che la comunità studentesca delle università in questione è molto variegata e comprende anche una discreta percentuale di studenti e docenti italiani.Il Mit per il 2012-2013 ha accolto una quarantina di laureati di nazionalità italiana e McGill 75 nuovi studenti, registrando un aumento progressivo in questi anni, considerando i 48 iscritti nel 2007; l’università canadese annovera inoltre una dozzina di docenti italiani di ruolo, una ventina di figure a contratto come lecturer, assistant professor, adjunct professor o visiting scholar, la cui età media oscilla tra i 33 e un massimo di 47 anni.Tra questi c’è Marta Cerruti, 35 anni, da sempre con un unico obiettivo: essere professoressa universitaria. Dopo gli studi in chimica a Torino, dove ha fatto anche il dottorato, per sua scelta si è trasferita come post-doc in North Carolina e poi a Berkeley. Ora è assistant professor all’università McGill e deve fare domanda a maggio 2014 per diventare “professore associato” confermato a vita.Lo stipendio è di gran lunga più di alto di quello che otterrebbe un assistente o un ricercatore in Italia. Ma non solo. A Montreal vengono assunte persone che hanno idee valide, come ce ne sono anche qui, ma dalle nostre parti latitano i fondi per realizzarle. E l’Italia le manca, dal punto di vista affettivo e familiare, tuttavia, a meno che le cose non cambino drasticamente, «sarebbe impossibile trovare una posizione accademica che mi soddisfi tanto quanto quella che sto avendo adesso». In termini di prospettive e di condizioni economiche dato che un assistant professor può guadagnare dai 60mila ai 100mila dollari l’anno, ovvero tra i 40mila e i 70mila euro.E soprattutto di lavoro, vale a dire di ruoli di responsabilità. Marta studia nuovi biomateriali per vari tipi di protesi, materiali che vengono impiantati nel corpo: era quello che voleva fare ed è per questo che si è candidata per la posizione aperta nel suo dipartimento, Department of mining and materials engineering, dove poi è stata selezionata nel 2009, lo stesso anno in cui sono stati assunti altri due professori, uno dagli Stati Uniti e uno dall’Inghilterra. «Quasi sempre prendono gente da fuori» aggiunge Marta «Se hai fatto il dottorato a McGill è quasi impossibile essere assunto a McGill». Perché è importante spostarsi e misurarsi con realtà diverse per accrescere la propria formazione.E ricorda ancora quando è arrivata nella sua attuale università: «Mi hanno dato una stanza piuttosto grande, vuota, in cui ho costruito il mio laboratorio. Partendo da zero ho dovuto trovare tutti i fondi. Sono il leader del mio gruppo, sono io che scelgo che studenti assumere e le direzioni di ricerca».Marta la chiama, semplicemente, libertà. Solo questa, oggi, basterebbe alle università come titolo di merito universale, al di là del blasone di ogni possibile classifica.Marta Latini[la foto del Mit è di Aleksandr Zykov - modalità creative commons]Per saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Fuga dei cervelli, il 73% dei ricercatori italiani all’estero è felice e non pensa a un rientro- Università, ricerca al collasso: e il paradosso è che i dottorandi vengono considerati studenti- Un tarantino a Cambridge: «Qui in Inghilterra se vali ti assumono, perché in Italia no?»

Servizio civile, bando riaperto per gli stranieri. Il deputato Chaouki: «Evitiamo le guerre tra poveri»

Una nuova bufera si abbatte sul Servizio civile. Dopo la scure sui finanziamenti, la soppressione del bando 2012 e le incertezze sulla pubblicazione di quello attuale, era finalmente arrivato il momento della partenza - o dell'inizio dei progetti in patria - per migliaia di giovani italiani (quest'anno circa 8mila). Una sentenza del Tribunale di Milano ha però sparigliato le carte in tavola, dichiarando «discriminatoria» la clausola che riserva ai soli cittadini italiani il diritto di partecipare al bando. A decidere è stata la sezione Lavoro del Tribunale di Milano, giudice Fabrizio Scarzella, accogliendo lo scorso 19 novembre il ricorso di quattro candidati di origine straniera ma residenti in Italia da anni. In sostanza ragazzi delle cosiddette "seconde generazioni" che, con l'assistenza dei legali Alberto Guariso e Livio Neri, hanno ottenuto dai giudici milanesi la riapertura dei termini del bando, perché, si legge nella sentenza, «Allo straniero residente in Italia» è concesso «di concorrere al progresso materiale e spirituale della società e all’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale» come a qualunque altro italiano e nel rispetto delle finalità proprie del Servizio civile nazionale». Non è la prima volta che il tribunale si pronuncia in questo senso. Già a gennaio 2012 il ricorso di un ragazzo pakistano aveva bloccato l'avvio del servizio per quasi ventimila ragazzi perché - in quel caso - la richiesta era arrivata a bando chiuso e graduatorie pubblicate. Scatenando così un putiferio. Ma lì la procedura – in un primo momento sospesa – era stata infine riavviata per permettere ai ragazzi di iniziare il servizio. Adesso invece «le selezioni sono ancora in corso, gli enti accreditati stanno ancora intervistando i ragazzi e non c'è niente di nuovo né di definito» spiegano dalla segreteria del Servizio civile, rassicurando che «appena ci saranno novità sul bando ne verrà data notizia sul sito». Tutto fermo quindi. Chi sta facendo le preselezioni passerà allo step successivo senza - pare - nessun cambiamento. Anche se nel frattempo i non residenti italiani potranno presentare domanda entro la fine di novembre e – in caso il loro punteggio sia superiore – subentrare in graduatoria a chi è già stato assegnato a un progetto. A chiarire questo aspetto è Claudio Di Biasi, responsabile dell'Associazione Mosaico, un ente di gestione del servizio civile. «È possibile che uno straniero che faccia richiesta grazie alla riapertura dei termini disponga di più punti rispetto a un cittadino italiano che si è candidato entro il 4 novembre (data di chiusura del bando 2013)». Queste non sarebbero le uniche conseguenze prodotte dall'ordinanza milanese. «Il nostro ente» ragiona Di Biasi «ha in programma la definizione delle graduatorie entro il 10 dicembre. Se a Roma decideranno effettivamente di dare seguito alla sentenza allungare la scadenza per i privi di cittadinanza, ci sarà uno slittamento nell'invio delle graduatorie (dovranno essere recepite le domande presentate da stranieri e dovrà essere effettuata la selezione per loro); e dell'avvio al Servizio civile dei selezionati. Tradotto significa un ritardo variabile da alcune settimane ad alcuni mesi». Non poco se si tiene conto che le candidature sono lievitate negli anni, complici disoccupazione e crisi economica. E che chi si aggiudica i progetti, oltre all'opportunità formativa, riceve anche un rimborso di 433 euro netti mensili, che salgono di quindici euro al giorno per i progetti all'estero. Di Biasi racconta il suo caso: «Due anni fa avevamo ricevuto circa 500 candidature per 200 posizioni di servizio civile. Quest'anno, sempre per 200 posti, le domande pervenute sono oltre 1.000, di cui 1 (una) presentata da privo di cittadinanza». A parte gli aspetti più tecnici, a Di Biasi non convince neppure la volontà politica che a suo dire si cela dietro la sentenza. L'idea è che «alcune realtà operanti a favore degli immigrati, soprattutto di area cattolica, abbiano studiato a tavolino la vicenda, e abbiano utilizzato l'argomento servizio civile in modo strumentale». Inoltre «il Servizio civile aperto ai privi di cittadinanza con la difesa della Patria non ha nulla a che fare» sostiene Di Biasi, ventilando «le conseguenze gestionali che ne derivano, prima tra tutte la sua totale regionalizzazione». Non si sbottona più di tanto il ministro per l'integrazione Cecile Kyenge, pur essendo - come scontato – favorevole all'apertura agli stranieri. «Bene la decisione del Tribunale di Milano. È un bel passo per me, vuol dire che si riconosce l'importanza di un certo percorso. Al di là della riforma del Servizio civile, un tribunale si è pronunciato e questo verrà sicuramente guardato con attenzione dal mio ministero» ha dichiarato all'Ansa.  Ora «vedremo gli sviluppi di questa decisione del giudice di Milano», ha aggiunto. Un altro rischio – sottolinea il deputato Khalid Chaouki, classe 1983, eletto in quota Pd - è di «alimentare guerre tra poveri». «Il Servizio civile» precisa alla Repubblica degli Stagisti «è un’opportunità preziosa, un’esperienza importante, e io credo che si debba lavorare per aprire ad un numero sempre maggiore di giovani questa opportunità, non per costruire recinti e steccati». Chaouki fa poi una precisazione sul concetto di stranieri. Questi ragazzi sono stati definiti «pienamente cittadini dalla sentenza del tribunale di Milano» a prescindere dalla loro cittadinanza, talvolta non ottenuta per colpa dei ritardi della burocrazia.  «Ragazzi nati e cresciuti in Italia, magari arrivati qui da piccolissimi, e dunque italiani di fatto ma stranieri per legge» sintetizza. Sono «nuovi italiani che non devono 'essere integrati', lo sono già» perché «frequentano licei e università italiane, parlano spesso diverse lingue e sono il volto di questa Italia plurale». «Escluderli è un atto palesemente discriminatorio» afferma  Chaouki in accordo con il Tribunale di Milano. Il punto adesso è capire se la decisione del tribunale non sia discriminatoria nei confronti di chi è già stato selezionato e rischia di vedersi surclassato da nuovi candidati in lizza, italiani o stranieri che siano. Pericolo facile da arginare. Sarebbe bastato adeguarsi all'ordinanza del 2012 e nessuno ne avrebbe pagato le conseguenze. Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Servizio civile, si parte: 19mila giovani tirano un sospiro di sollievo per il rientrato allarme scatenato dalla sentenza "antidiscriminazione"- «Aprire l'accesso al servizio civile agli stranieri? Attenzione, può portare cortocircuiti». Parla Claudio Di Blasi dell'associazione Mosaico- Servizio civile, salta il bando 2012: tutta colpa della spending review- Dopo un anno di stop riparte il servizio civile: ma i posti sono solo 15mila    

Youth Guarantee, le richieste delle associazioni giovanili al ministero del Lavoro

I rappresentanti dei giovani prendono la parola. Merito dell'iniziativa del ministro del Lavoro Enrico Giovannini che, in vista del via libera - a gennaio 2014 - del programma per la Youth Guarantee (in sintesi, la garanzia di un'offerta di lavoro o formazione ai giovani entro quattro mesi dalla fine della scuola o dall'inizio della disoccupazione), ha chiamato qualche giorno fa a raccolta alcuni esponenti delle associazioni e dei movimenti giovanili, chiedendo loro pareri e proposte in relazione alla bozza di progetto formulata del dicastero. E per cui sono già stati stanziati fondi per 1,2 miliardi di euro. La Repubblica degli Stagisti, che sull'argomento ha elaborato un documento programmatico, era presente al tavolo. «Lungi dal pensare che si tratti di un intervento miracoloso, il progetto può però considerarsi un mezzo per ridefinire le politiche attive di occupabilità per i giovani, da inserire in un quadro di monitoraggio continuo» ha assicurato il ministro. L'obiettivo è «creare le infrastrutture per il futuro e impulsare una mobilitazione nazionale per l'emergenza lavoro». In questo senso il coinvolgimento delle parti sociali deve essere totale, affinché il programma non fallisca: «Ecco perché in questi giorni ho incontrato prima le associazioni imprenditoriali e oggi vedo voi», ha sottolineato Giovannini. Le linee guida nel testo del ministero sono ancora scarne, anche se sembrerebbe chiara per il momento la propensione a concentrare tutti gli sforzi sul «preorientamento scolastico, non solo quello della scuola media superiore ma anche di quella inferiore», puntualizza il ministro. Da concepire come uno strumento suddiviso in due tronconi: uno di primo livello, a largo spettro e universale, e un altro 'face to face', quindi  «molto più personalizzato e qualificato, con la logica della presa in carico del soggetto». In sospeso restano quindi tanti elementi: il target di riferimento dei giovani, l'entità delle prestazioni, la creazione di un portale nazionale.Aspetti su cui la maggior parte dei delegati non ha però presentato proposte mirate, ma solo avanzato considerazioni generali e soprattutto prive di ipotesi sulle coperture finanziarie o sui meccanismi da ingenerare per una Garanzia Giovani davvero funzionante. E talvolta - questa è stata la sensazione - l'occasione è stata usata come pretesto per sottoporre al ministro la richiesta di prendere in considerazione il proprio settore di attività per l'attivazione degli stage. Aprendo al rischio, come ha messo in luce il documento sottoscritto da questa testata, che la Youth Guarantee possa trasformarsi in un ulteriore infoltimento delle troppo corpose fila degli stagisti italiani, già tantissimi (è stato calcolato che siano mezzo milione all'anno), e con scarse prospettive di inserimento (un contratto viene offerto a meno del dieci per cento di loro). È il caso ad esempio della Coldiretti, rappresentata da Vittorio Sangiorgio: «A causa del regime particolare del comparto agricolo non ci è concesso di ospitare tirocinanti, quando invece ne avremmo bisogno, per esempio nelle campagne che attiviamo sul territorio», segnala. Gli fa eco il portavoce dell'Agia, l'associazione giovani imprenditori agricoli, Matteo Bartolini: «Non possiamo accogliere stagisti perché i meccanismi in cui rientriamo lo escludono» obietta, rivolgendo poi al ministero un appello accorato: «Che gli interventi debbano concentrarsi su una profonda riforma delle condizioni di base del mondo del lavoro, suddiviso in Italia tra la casta di chi ha un'occupazione e chi non ce l'ha ed è privato di qualunque tutela». Di altra natura invece l'intervento di Jacopo Morelli [nella foto in alto], presidente dei Giovani di Confindustria, che prende la parola per ricordare come «l'unica garanzia di cui si ha davvero necessità è quella sul lungo periodo». Il punto non è, a suo dire, cogliere l'opportunità del fondo messo a disposizione per sfornare altre tornate di stagisti, ma concentrarsi sulla «stabilizzazione», e quindi sui canali da avviare affinché i giovani acquisiscano le competenze di cui devono essere portatori per poi essere accolti dalle aziende: in primis «l'inglese e l'informatica». «Perché se è vero che le imprese danno lavoro» spiega «queste stesse sono anche alla ricerca di risorse fresche e nuove» da tenersi strette. Matteo Ragnacci di Generazioni Legacoop puntualizza un altro elemento chiave: «I tirocini devono essere vincolati all'offerta di un contratto, pena il decadimento per la compagnia da tutti i benefici derivanti dall'assunzione». Un'idea per impedire la prassi di sempre, quella dei datori di lavoro che prendono stagisti per poi disfarsene terminato il tirocinio, abbattendo i costi del lavoro dipendente. Ragnacci fa anche un'altra proposta: quella di inserire un «sistema di riconoscimento delle competenze», perché usciti dal percorso di formazione o lavoro le stesse risultino certificate e possano quindi essere riutilizzate sul mercato del lavoro. La scelta dello stage come strumento principe del progetto è criticata anche dal rappresentante di Link Coordinamento Universitario, Alberto Campailla. «Spesso i tirocini oscurano lavoro dipendente a tutti gli effetti. Se proprio dobbiamo incoraggiarlo» dicono «almeno cerchiamo di intervenire su un punto: le differenze di rimborso tra nord e sud d'Italia. Si passa dai 600 euro di Abruzzo e Toscana ai 300 di Basilicata e Calabria. Cerchiamo di unificare la normativa» propongono, ribadendo infine l'importanza dei centri per l'impiego, «da riformare perché raggiungano standard europei». Un altro suggerimento interessante arriva da Rebecca Ghio, portavoce del coordinamento di universitari Run, che ha proposto di «utilizzare il servizio civile» come percorso papabile per la Youth Guarantee (idea condivisa da molti dei presenti al tavolo, ndr), e poi «convertire l'esperienza in crediti universitari». Molti dei tirocini curriculari sono «ben poco formativi» e questa sarebbe «una possibilità per i molti ragazzi che preferiscono non farli e al loro posto aggiungere più esami al percorso di studio». Adesso la parola passa al ministero per il progetto definitivo.  Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Una «dote» per trovare lavoro e 400 euro al mese di reddito di inserimento: la proposta di Youth Guarantee - Restituire l’Imu o restituire un futuro ai giovani? Rosina, Garnero e Voltolina sostengono la Youth Guarantee - Youth Guarantee anche in Italia: garantiamo il futuro dei giovani - Giovani, la cultura è l'asset per ripartire: Giovannini annuncia 1 miliardo e 200 milioni per la Youth Guarantee 

Progetto Neet: le proteste arrivano in parlamento

«Continuare a imparare, rimanere attivi, accrescere le proprie capacità»: sono questi gli elementi su cui puntare per creare benessere e sviluppo secondo l’indagine Piaac (Programme for the international assessment of adult competencies) dell’Ocse, curata in Italia dall’Isfol su incarico del ministero del lavoro. L’analisi evidenzia che i soggetti culturalmente più deboli siano i neet, i giovani tra i 16 e i 29 anni, quindi parte della platea – in questo caso di 24-35enni - a cui è dedicato il progetto Amva – giovani laureati neet di Italia Lavoro. Un bando pensato dallo stesso ministero che ha dato incarico dell’indagine Piaac e che ha commentato come «allarmanti» i risultati secondo cui le competenze alfabetiche fondamentali per la crescita individuale siano per gli adulti italiani ben al di sotto della media degli altri paesi, specie per i neet. I dati mostrano che rimanere in questa condizione a lungo pregiudica ogni possibilità successiva di trovare un lavoro. E questo spiegherebbe il boom di domande arrivate fino ad ora per il Progetto Neet. Italia Lavoro fa chiarezza con i numeri aggiornati al 16 ottobre: 8.393 le aziende partecipanti e 19.361 i neet iscritti - di cui più di 7mila solo in Sicilia – che hanno presentato 210mila candidature, «a dimostrazione di una chiara flessibilità nei criteri di ricerca di occupazione, molti giovani hanno espresso più domande» recita il comunicato stampa. Delle aziende registrate, quasi 6mila hanno inserito una o più vacancies e la metà sono in Sicilia. A fare più richieste sono i giovani tra i 27 e i 29 anni, con il picco di 2.462 richieste dai 28enni, e la stragrande maggioranza dei partecipanti, quasi 14mila, è donna. Numeri che non sono definitivi, visto che il bando è ancora aperto, e che fanno impallidire rispetto alla cifra dei soli 3mila tirocini attivabili. Visti i numeri presenti nell'indagine Piaac il ministero avrebbe però dovuto conoscere bene la situazione dei giovani neet e quindi prevedere il boom di domande e gestire in maniera adeguata il programma. E invece, mentre i 24-35enni di Campania, Calabria, Puglia e Sicilia aspettavano l’ora e il giorno x per collegarsi al sito cliclavoro e candidarsi, il portale andava in tilt passando da un’utenza media di 8mila persone a più di 67mila, con oltre 300 utenti al secondo come Grazia Strano, direttore generale mercato del lavoro del Ministero, dichiarava in un’intervista esclusiva alla Repubblica degli Stagisti. Moltissimi giovani per giorni non sono riusciti a registrarsi e nonostante il bando non prevedesse alcuna corsa all’adesione, di fatto molti tirocini in poche ore risultavano già assegnati. Le proteste hanno, quindi, invaso i social network e alla fine sono approdate anche in Parlamento, dove il 10 ottobre Erasmo Palazzotto, deputato di Sel, ha presentato un’interrogazione a risposta scritta al ministro del lavoro per sapere «quali misure, se non la revoca, intenda adottare per eliminare le iniquità cui hanno dato vita gli evidenti vizi che hanno contraddistinto le procedure selettive concluse dalle aziende prima che il portale ClicLavoro acquisisse piena funzionalità». Alla Repubblica degli Stagisti Palazzotto dichiara: «Ci sono alcuni punti oscuri nel bando: il primo è lo strumento di controllo che agisce sulle imprese. La procedura selettiva è, infatti, ad assoluta discrezione delle aziende che possono mettersi d’accordo con i partecipanti al bando e assumere parenti e amici o, addirittura, prendere con formula di tirocinio un lavoratore che prima era in nero. E poi, come è possibile che ci siano imprese che fanno domanda per i tirocini e non hanno niente a che vedere con le lauree previste dal bando e sono anche molto dequalificanti? L’esempio eclatante è a Catania, dove la Tezenis cercava addetti alle vendite. Come è possibile che non ci sia nessuna selezione delle imprese che partecipano?» Domanda che la Repubblica degli Stagisti aveva già fatto a Italia Lavoro, ottenendo questa risposta: «Noi interveniamo solo a valle, cioè una volta che tirocinanti e aziende si sono trovati esclusivamente sul sito Cliclavoro». Palazzotto mette l’accento su un’altra questione: il costo di tutta l’operazione. «Parliamo di un tirocinio che dovrebbe inserire nel mondo del lavoro i giovani laureati del sud. Si sprecano 10milioni di euro, i soldi stanziati per il bando, per una cosa che durerà qualche mese e allevierà le sofferenze di qualcuno senza produrre nessun miglioramento strutturale. Finito il tirocinio si troveranno nelle stesse condizioni di prima. Equivale quindi a un ammortizzatore sociale, allora sarebbe stato meglio usare questi soldi per una forma di reddito di cittadinanza». Palazzotto, poi, non capisce come mai il ministero non aspettasse l’effetto clicday. «Ritenere che non ci sarebbe stato un assalto con la condizione sociale di oggi delle regioni del sud vuol dire non avere la capacità di leggere quello che sta succedendo. C’è stata una grande incompetenza. Se hanno messo a bando 3mila posti di tirocinio e hanno i dati di quant’è il bacino potenziale dei partecipanti, beh dovevano immaginarsi che il primo giorno ci sarebbe stato il clicday. Ed è assurdo pensare che con risorse di questa esiguità si potesse fare un programma che durava fino a tutto il 2013. È come dare in pasto a una popolazione affamata qualche brioche». L’interrogazione presentata dal deputato di Sel era a risposta scritta, quindi senza vincoli di replica. Palazzotto però non si perde d’animo, «abbiamo gli strumenti per sollecitare le risposte, se in 20 giorni non arriveranno, si può fare un intervento per insistere. Penso comunque che concorderò con dei colleghi della Commissione lavoro la possibilità di presentarla con risposta orale in Commissione dove devono per forza dare una risposta. La trasparenza delle procedure selettive deve essere fondamentale» torna a ripetere con foga il deputato «e allora bisogna capire perché nel primo giorno ci sono state più di 4mila domande per 3mila posti e non si è stati in grado di fornire a tutti la possibilità di accedervi allo stesso modo». Erasmo Palazzotto è sensibile al tema perché ha 30 anni, è di Palermo e viene quindi da una di quelle regioni a cui era destinato il progetto con i più alti livelli di disoccupazione giovanile. «La maggior parte dei miei amici e colleghi vivono questa condizione, sono stati loro a raccontarmi questo scandalo, a dirmi “ho vinto il tirocinio ma è vergognosa la modalità del bando”». Così arriva la proposta del deputato Palazzotto: revocare il bando e riproporlo in maniera più trasparente garantendo le stesse opportunità perché «le regole e i diritti dovrebbero essere uguali per tutti». E provare a risolvere il problema dei neet con «forme di assistenza contro l’esclusione sociale, come un reddito minimo garantito che permetta a chi oggi non ha le risorse per potersi costruire un futuro, di avere il minimo per mantenere la dignità umana. Investire poi sul rilancio della nostra economia con l’innovazione non con l’assistenzialismo, come fa questo bando che dà soldi alle aziende e lascia a loro l’arbitrarietà di spenderli come e con chi vogliono».Agli esclusi dal bando neet non resta quindi che aspettare gli ulteriori sviluppi dell’interrogazione e vedere se, in seguito alle molteplici proteste sollevate da più parti, non si decida veramente di revocare il bando e farne uno nuovo. Se anche questo non dovesse accadere, l’unica soluzione è aspettare il decreto lavoro a cui sta lavorando il ministro Giovannini che dovrebbe contenere provvedimenti specifici proprio sui Neet, condizione sociale ben rappresentata anche in tutte le statistiche Istat, di cui il ministro era presidente e di cui, certamente, conoscerà bene ogni specificità. Marianna LeporePer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- «Ecco perché è aperto solo ad alcune lauree», Italia Lavoro spiega i criteri del progetto Neet - Stage per Neet, 140mila motivi perché il ministero del lavoro si vergogni del flop- Tirocini per laureati, Cliclavoro in down per i troppi accessi: non si parte proprio col piede giusto...- Blocco delle candidature al bando di stage per Neet, il ministero: «Troppi accessi, non ce lo aspettavamo»E anche:- Progetto Neet: per 3mila giovani del Sud sei mesi di tirocinio pagati dallo Stato. Ma servono davvero?- Progetto Neet, caos su Cliclavoro: ma il ministero rassicura gli aspiranti stagisti

Giovani, la cultura è l'asset per ripartire: Giovannini annuncia 1 miliardo e 200 milioni per la Youth Guarantee

Quando manca potere contrattuale e si è deboli sul piano lavorativo «è difficile trovare le energie per attivarsi» verso nuovi fronti del mercato occupazionale: parola del ministro del Lavoro Enrico Giovannini alla lezione "Energie al lavoro" tenuta la settimana scorsa al Maxxi, nell'ambito del ciclo di conferenze sul tema dell'innovazione pensato da Giovanna Melandri, deputata del Partito democratico e già ministro della Cultura, che oggi - senza farsi mancare qualche polemica - è anche presidente della Fondazione Maxxi. Tante le noti dolenti emerse nell'incontro, in cui si è parlato del dramma che vive il mercato occupazionale attuale, delle «condizioni di impiego offerte dai datori di lavoro che depauperano le energie» - come le ha chiamate Giovannini - e di quali potrebbe essere la exit strategy per uscire dal tunnel. Partendo da quel 40% di disoccupati giovani e dai Neet, «uno su quattro in Italia, per un costo di 25 miliardi in Italia e 155 in tutta l'Europa». Qualche rimpianto sui tempi che furono, ma anche una possibile visione di futuro: durante il dibattuto non sono mancati gli spunti da cogliere. Tra i tanti argomenti trattati anche quello della Youth Guarantee, il programma voluto dall'Europa per rilanciare l'occupazione giovanile, per cui il ministro ha dato alla Repubblica degli Stagisti e a tutta la platea una grande notizia: a fronte della cifra che era circolata in questi mesi, 400-600 milioni di euro, lo stanziamento finale che l'Ue garantirà all'Italia è molto maggiore. Un miliardo e duecento milioni, ha annunciato Giovannini: una notizia molto importante per un progetto ambizioso e strategico - tanto è vero che la stessa Repubblica degli Stagisti ha formulato un'ipotesi di utilizzo dei fondi. Che Giovannini ha promesso di studiare: «Ascolterò voi come tutte le parti sociali» ha detto, «vi conosco e so che ogni tanto mi date in testa ma ci sta» ha poi aggiunto tra il serio e il faceto. Sempre sulla questione Garanzia Giovani, ancora solo abbozzata, entro fine anno «avremo un quadro molto più dettagliato». Quello che il ministro per il momento dice è che 500 milioni dovrebbero andare direttamente ai giovani, mentre l'altra metà dovrebbe essere destinata «agli investimenti di accompagnamento», come la retribuzione degli orientatori o quella per la piattaforma di intermediazione. E l'intermediazione non è un piano secondario: «In Italia si è abituati ad accedere alle offerte non tanto per raccomandazione quanto per passaparola, perché tra le altre cose i centri per l'impiego non funzionano» ammette Giovannini. Myrta Merlino, conduttrice del programma L'aria che tira e moderatrice dell'evento, esemplifica lo stato di decadenza in cui versa il mercato occupazionale descrivendo la redazione del suo programma: «Lavoriamo allo stesso piano del palazzo, a La7, noi, con giovani precari i cui contratti scadono a ogni stagione, e i giornalisti del tg, tutti stabilizzati e assunti. È una sitazione sempre più stridente». Come invertire allora la rotta? È sull'inattività che bisogna lavorare, «perché questa contiene una componente depressiva e io sono convinta che oggi l'Italia è un po' depressa» riflette Giovanna Melandri, ex ministro della Cultura, mentre «noi dobbiamo contrastare questa realtà con energie positive, perché ce ne sono». La deputata si dice convinta che si possa ripartire puntando su quattro diversi settori finora sottoutilizzati e che invece sono in grado di creare «buona occupazione» per un vero e proprio «Piano Marshall» dell'occupazione. Il primo è la cultura, «intesa in senso ampio», quindi design, audiovisivo, turismo, architettura. Quanto a quest'ultima, illuminante è l'esempio di Bogotà e del suo sindaco. Racconta Giovannini di come il primo cittadino della città colombiana, per contrastare l'elevatissimo tasso di criminalità e di pedoni morti per colpa del traffico incontrollato, abbia «creato una rete di marciapiedi abbattendo circoli di golf e spazi per le auto e facendo così tornare la gente a camminare per le strade». È così «che l'architettura può ridefinire la nostra vita», dice. Occorre far capire ai giovani che «si può essere anche imprenditori sociali o culturali, e che oltre alla ricerca del lavoro si può anche costruirselo da sé». Con le istituzioni «a supporto». I finanziamenti alla cultura, tuona poi la Melandri, sono stati «dimezzati tra il 2001 e il 2006: quando ero titolare del dicastero, alla fine degli anni Novanta, avevamo disponibilità per circa 3 miliardi, poi tagliati fino a un miliardo e due a oggi. E a quell'epoca aggiunge l'occupazione in ambito culturale cresceva anche di due cifre, del 10-11%». Al secondo posto si dovrebbe puntare sulla «green economy, nel segmento che si muove tra architettura e progettazione urbana». E ancora sulla «digitalizzazione dell'economia, su cui tutto il mondo sta investendo mentre noi ancora non siamo cablati», e l'«economia sociale», quella del volontariato e del no profit, anche questa in fase di ascesa, incluso il versante dell'impresa low profit. Anche l'industria tradizionale, come il manufatturiero, va immessa nel calderone delle proposte, e la maniera giusta per rilanciarla sarebbe «incrociarla con questi asset strategici». Il problema odierno è però che l'abbondanza di prima non c'è più e «che bisogna fare di più con di meno» sintetizza la Melandri, ricorrendo a strumenti come per esempio «il tax credit, che garantisce risultati immediati». Le fa eco Giovannini ribadendo che, terminata l'epoca in cui si credeva «che il lavoro nascesse dalla spesa pubblica», l'unica strada percorribile resta quella dei privati: «Mentre il mondo sta crescendo, noi restiamo fermi». Per risalire la china insomma «dobbiamo cogliere le opportunità che si creano con spirito imprenditoriale e idee». Ma è proprio questo «quello che noi siamo incapaci di fare in modo collettivo». Gli investimenti «in capitale umano e in ricerca e sviluppo» sono fattori cruciali che l'Italia ha costantemente ignorato. «Quando ero all'Ocse di Parigi, dieci anni fa, i dati mostravano che questo Paese aveva un profondo bisogno di investire in se stesso, e invece ci siamo cullati nell'idea che grazie all'euro e alle imprese finanziarie ce l'avremmo fatta». Quello, racconta il ministro, era il momento da sfruttare per investire - «grazie ai bassi tassi di interesse» - e adesso «paghiamo gli errori commessi». Il fronte del capitale umano è stato «dimenticato dalle imprese» ragiona Giovannini, ricordando come le percentuali di investimento in formazione dei dipendenti siano crollate. E bacchetta quel mondo dell'industria, arroccato nell'egoismo, che storce il naso di fronte alla richiesta di metterci del proprio, investendo sui giovani e sulle risorse umane in generale, e a cui «si concedono incentivi fiscali in cambio della formazione offerta ai ragazzi» come nel caso dell'apprendistato. Nel corso dell'incontro, tra una polemica e l'altra sulla legge di stabilità («non era meglio fare delle scelte e concentrare gli sforzi tutti da una parte?» chiede Merlino in riferimento alla cosiddetta 'manovrina') e sull'incarico che ebbe Giovannini di studiare i tagli alla politica, si aprono anche spiragli di vita personale: il ministro parla alla platea dei suoi nove anni «facendo il più bel lavoro al mondo per il mio campo» come direttore del dipartimento statistico dell'Ocse a Parigi, dove passava la settimana lavorativa, per poi tornare nel weekend a Roma dalla famiglia. E poi la scelta di rientrare «per rimettere le mani in pasta e dare una mano a questo Paese». Dei due figli, di 25 e 31 anni, il primo studia ancora ed è all'estero, il secondo lavora per una multinazionale, e pur avendo base in Italia viaggia di continuo. «Nessuno mi crederà ma non l'ho aiutato. Il lavoro l'ha trovato mandando curriculum in giro». Le storie personali così si intrecciano al dibattito generale. I giovani italiani, alla fine, non chiederebbero altro che di poter avere le stesse opportunità del figlio del ministro. Poter mandare il proprio cv, essere valutati in base a merito e competenze, e ottenere un lavoro correttamente contrattualizzato e dignitosamente retribuito. Su questi obiettivi al Maxxi tutti d'accordo, relatori e platea: ma adesso al ministro sta il compito più arduo, e cioè realizzare nel concreto i principi e le buone intenzioni. Anche grazie a quel miliardo e duecento milioni di fondi europei sulla Garanzia Giovani.Ilaria Mariotti[la foto del Maxxi è di Roberto Ventre - modalità creative commons]Per saperne di più su questo argomento, leggi anche: - Youth Guarantee anche in Italia: garantiamo il futuro dei giovani- Stage per Neet, 140mila motivi perché il ministero del lavoro si vergogni del flop- Progetto Neet: per 3mila giovani del Sud sei mesi di tirocinio pagati dallo Stato. Ma servono davvero?- Solo un giovane su dieci viene assunto dopo lo stage: «il mondo deve sapere» anche questo- Luci e ombre del contratto di apprendistato - una buona occasione, ma preclusa (o quasi) ai laureati  

Sbankando si impara: a scuola di microcredito da Londra a Rimini

Un'idea che viene dal Bangladesh, un business model che arriva dall'Inghilterra e una realtà imprenditoriale che sta muovendo i primi passi con successo in Italia. A Rimini il progetto di educazione finanziaria Sbankiamo compie un anno di attività. Trasformare un'idea imprenditoriale in realtà è l'obiettivo del progetto che Lucia Genangeli, 28 anni e Paola Bonadonna, 30, hanno realizzato in collaborazione con Eticredito, la Caritas e altre realtà della zona di Rimini. Si tratta di un esempio di eccellenza a livello nazionale che ha coinvolto in un anno più di mille ragazzi solo a Rimini. «Sbankiamo è nato dall'incontro con l'organizzazione londinese MyBnk e dalla volontà di alcune realtà del territorio di fare qualcosa per i giovani della nostra città», dice la Genangeli, raccontando di aver conosciuto Lily Lapenna - vincitrice del Youth Global Leader e CEO di My Bnk - leggendo un articolo di giornale. «Ci è piaciuto il suo approccio e siamo andati a vedere cosa fa My Bnk a Londra. Abbiamo cercato di prendere il meglio della loro esperienza e del loro approccio all'educazione finanziaria e lo abbiamo portato qui in Italia». L'obiettivo principale di My Bnk, che Sbankiamo ha deciso di adottare, è l'alfabetizzazione finanziaria che consiste in parte nell'apprendimento di base degli strumenti finanziari per rapportarsi in modo consapevole con le banche e la finanza e in generale nell'affrontare con i ragazzi temi centrali della vita adulta che possano aiutarli a relazionarsi in modo sereno con i soldi, con i debiti e con i progetti da realizzare.Lucia  Genangeli spiega che nel primo anno di start up Sbankiamo ha affrontato il tema del lavoro a partire da come si legge una busta paga, come si valuta una proposta di lavoro e come si fa a mettersi in proprio. Per il secondo anno si affronterà un discorso pratico sul microcredito e l'imprenditorialità. Ma l'obiettivo finale è quello di integrare queste attività con quelle della scuola.  Ed è proprio l'istruzione ad accomunare più di ogni altra cosa il progetto di Sbankiamo con il suo modello ispiratore My Bnk. Lily Lapenna [nella foto] a Londra presta anche denaro ai giovani inglesi, ma per il momento il progetto Sbankiamo non lo fa ancora. Per ora in Italia è stata esportata la parte di educazione finanziaria per i giovanissimi. Ma non è escluso che in futuro arrivino anche i  finanziamenti per le attività dei giovani di Sbankiamo che hanno intrapreso un percorso si formazione su questi temi.«L'istruzione finanziaria è uno strumento importantissimo perché la crisi che siamo vivendo non è dovuta solo alla cattiva condotta delle banche ma anche al fatto che noi come consumatori non siamo abbastanza informati e quindi spesso prendiamo delle decisioni finanziarie sbagliate», ne è convinta Lily LaPenna, la Ceo di My Bnk e vincitrice del Youth Global Leader. La «banchiera dei giovani», così chiamano in Inghilterra, ha 33 anni, è di origini italiane ma è cresciuta a Londra, dove ancora oggi vive e presta denaro ai ragazzi che hanno voglia di imparare a gestirli. A 27 anni ha fondato My Bnk, che oggi conta 25 dipendenti. Durante gli studi universitari Lily era stata in Bangladesh, conoscendo le donne imprenditrici che in virtù di prestiti modesti mettono in piedi delle piccole imprese e si abituano a gestire i propri soldi in modo saggio, «più saggio di quanto si faccia in Inghilterra!». Prima di fondare My Bnk aveva anche lavorato per la Brac Bangladesh Rural Advancement, la più grande Ong del mondo creata da Fazle Hasan Abed. Lily Lapenna preferisce l'approccio di Abed al microcredito piuttosto che quello di Yunus: «Abed non parla solo di credito ma anche di istruzione e assicurazione, sanità e accesso all'istruzione». L'istruzione in effetti è il pallino di Lily Lapenna, secondo lei la scuola oggi non prepara come dovrebbe al mondo del lavoro e da qui discende la maggior parte dei problemi. «Le nostre generazioni hanno preso denaro in prestito dal futuro. Le generazioni future non beneficeranno della stessa qualità di vita della quale godiamo al momento. L’apatia dei giovani è spesso accompagnata dalla disoccupazione». La “banchiera dei giovani” è convinta che il modo migliore per interrompere questo ciclo sia quello di permettere ai ragazzi di gestire piccoli progetti imprenditoriali, renderli cittadini più intraprendenti, e trasformarli nella forza lavoro della nazione. La gestione del denaro potrebbe essere integrata nell’insegnamento della matematica, e l’aspetto decisionale con la storia, la geografia e le materie umanistiche. Alternativamente, si potrebbero creare corsi al di fuori del curriculum scolastico istituzionale.   «La piattaforma finanziaria di My Bnk è solida perché diversificata. Non applichiamo nessun tasso di interesse al microcredito offerto perché riteniamo che il valore del nostro prestito risieda nell’educazione offerta. Il nostro è un modello di prestito che non si basa sul tasso di interesse, ma sull’educazione. I nostri giovani beneficiari, tuttavia, capiscono bene che il denaro ha un costo, e che si tratta di un prestito. Il tasso di restituzione dei nostri fondi è del 97%. Dare responsabilità ai ragazzi produce risultati». Lily Lapenna ha fiducia nei giovani e l'invito che rivolge loro è sempre quello di avere l’audacia di compiere il primo passo per trarne un insegnamento, senza lasciarsi scoraggiare se un’idea che non funziona. Per essere più chiara e diretta su questo punto Lily cita anche Samuel Beckett: «Hai sbagliato? Non importa, sbaglia di nuovo, ma la prossima volta sbaglia meglio».Sofia LoreficePer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Chance ai giovani, Bangladesh - Italia uno a zero

Il Politecnico lancia CupCake, la ricetta per le start-up creative

Prendere 16 tra i migliori talenti creativi in circolazione, aggiungere competenze imprenditoriali, mescolare con un'esperienza in un incubatore all'estero per tre mesi, servire alla prossima edizione del Salone del Mobile di Milano. È questa la “ricetta” di “CupCake – Creativity and design for new markets and new needs”, un progetto lanciato dalla Fondazione Politecnico di Milano in collaborazione con la Regione Lombardia.«In molti casi i designer ed i creativi non hanno un'ambizione imprenditoriale, preferiscono lavorare su commessa, per conto di altri», spiega Domenico Pannofino, responsabile del progetto per conto della Fondazione, «la nostra volontà di attrarre questo tipo di competenze è molto forte». Al punto che «è nostro interesse che queste idee imprenditoriali si traducano in vere e proprie start-up». Alle quali PoliHub, l'acceleratore d'impresa del Politecnico, guarderà con grande interesse. «L'incubazione non sarà automatica, ma sarà riconosciuto un vantaggio a queste realtà» nella selezione delle candidature per l'ingresso all'interno della struttura guidata dal professor Andrea Rangone.«Di solito lavoriamo con persone che portano avanti progetti ad alto contenuto tecnologico, ora vogliamo far entrare nella nostra realtà anche dei soggetti con delle abilità e delle competenze creative», prosegue Pannofino. Eppure la selezione per entrare in Polihub è sempre stata molto dura. Ma sono proprio le caratteristiche richieste a chi partecipa a “CupCake” che potrebbero favorire l'ingresso all'interno dell'incubatore...Non tanto per i requisiti per l'iscrizione, aperta a disoccupati e inoccupati in possesso di laurea di primo livello, residenti o domiciliati in Lombardia ed iscritti ad un Centro per l'Impiego, con un livello di conoscenza dell'inglese non inferiore al livello B1 del Cefr. Quanto perché uno degli elementi che sarà preso in considerazione nella scelta dei 16 partecipanti è proprio il loro respiro internazionale, la loro capacità di essere «adattabili e replicabili in diversi contesti», come si legge nel bando del concorso.Ovvero di offrire risposte a nuovi mercati, come quelli dei paesi Brics, incontrare nuovi target ed aprire a livello internazionale nuovi spazi di business. L'obiettivo finale è quello di aiutare queste start-up ad inserirsi nel meccanismo delle esportazioni verso i cosiddetti mercati in rapida crescita, un giro d'affari che il Sole24Ore ha stimato nel 2011 in qualcosa come 9,8 miliardi di dollari. «PoliHub si focalizza tendenzialmente su iniziative imprenditoriali ambiziose e con alto potenziale di crescita. Da questo punto di vista, è fondamentale avere un orizzonte internazionale».Non è tutto. Perché se i rami di queste nuove aziende saranno proiettate al di là dell'oceano o comunque in un altro continente, le radici dovranno essere ben salde in Lombardia, che dovrà rimanere la sede operativa delle start-up. «Se i progetti manifesteranno un certo tipo di connessione con il tessuto produttivo regionale saranno selezionati».Le idee, che potranno spaziare in ambiti che vanno dalla comunicazione al design, dalla moda al digitale, dovranno essere presentate compilando un modulo on-line sul sito di “CupCake” entro le 24 del 10 ottobre. Tra tutti i candidati ne verranno selezionati 25, che svolgeranno un colloquio con il personale della Fondazione tra il 21 ed il 25 ottobre.Sulla base di questi incontri saranno scelti i 16 che tra novembre e febbraio svolgeranno uno stage all'interno di un incubatore di imprese creative in un Paese europeo. Il progetto coprirà le spese di viaggio, di alloggio, di trasporto e assicurative. E fornirà un contributo di 9 euro al giorno per il vitto. Sia durante il periodo all'estero che una volta rientrati in Italia, gli startupper saranno seguiti da due tutor: uno è un membro dello staff di PoliHub, che li seguirà sotto il profilo della definizione degli aspetti industriali e commerciali, l'altro fa parte del Dipartimento di Design del Politecnico e si occuperà degli elementi legati strettamente al prodotto.Tra marzo ed aprile queste due figure lavoreranno con i 16 vincitori per finalizzare i prototipi e prepararli ad un evento di presentazione di fronte a imprenditori e potenziali investitori che si svolgerà nell'ambito del Salone del Mobile di Milano. Una vetrina, appunto, internazionale per 16 start-up creative chiamate a conquistarsi una fetta di mercato.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere altre iniziative milanesi legate alle start-up? Leggi anche:- Milano e la Lombardia, terreno fertile per le start-up- Milano capitale delle start-up grazie a Polihub e Tag Milano- A Milano 600mila euro per permettere alle start-up di "FareImpresaDigitale"Vuoi conoscere le storie di alcune di start-up? Leggi anche:- Micro4You, la start-up che aiuta le api. E le opere d'arte- Appeatit, la start-up che rende il pranzo una vera pausa- Tacatì, la start-up che porta l'e-commerce a chilometro zero- Da Singapore a Milano, la start-up che fa le scarpe al mercato- Recuperano metalli in modo economico ed ecologico: e vincono il premio Marzotto- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa

Il Politecnico lancia CupCake, la ricetta per le start-up creative

Prendere 16 tra i migliori talenti creativi in circolazione, aggiungere competenze imprenditoriali, mescolare con un'esperienza in un incubatore all'estero per tre mesi, servire alla prossima edizione del Salone del Mobile di Milano. È questa la “ricetta” di “CupCake – Creativity and design for new markets and new needs”, un progetto lanciato dalla Fondazione Politecnico di Milano in collaborazione con la Regione Lombardia.«In molti casi i designer ed i creativi non hanno un'ambizione imprenditoriale, preferiscono lavorare su commessa, per conto di altri», spiega Domenico Pannofino, responsabile del progetto per conto della Fondazione, «la nostra volontà di attrarre questo tipo di competenze è molto forte». Al punto che «è nostro interesse che queste idee imprenditoriali si traducano in vere e proprie start-up». Alle quali PoliHub, l'acceleratore d'impresa del Politecnico, guarderà con grande interesse. «L'incubazione non sarà automatica, ma sarà riconosciuto un vantaggio a queste realtà» nella selezione delle candidature per l'ingresso all'interno della struttura guidata dal professor Andrea Rangone.«Di solito lavoriamo con persone che portano avanti progetti ad alto contenuto tecnologico, ora vogliamo far entrare nella nostra realtà anche dei soggetti con delle abilità e delle competenze creative», prosegue Pannofino. Eppure la selezione per entrare in Polihub è sempre stata molto dura. Ma sono proprio le caratteristiche richieste a chi partecipa a “CupCake” che potrebbero favorire l'ingresso all'interno dell'incubatore. Non tanto per i requisiti per l'iscrizione, aperta a disoccupati e inoccupati in possesso di laurea di primo livello, residenti o domiciliati in Lombardia ed iscritti ad un Centro per l'Impiego, con un livello di conoscenza dell'inglese non inferiore al livello B1 del Cefr. Quanto perché uno degli elementi che sarà preso in considerazione nella scelta dei 16 partecipanti è proprio il loro respiro internazionale, la loro capacità di essere «adattabili e replicabili in diversi contesti», come si legge nel bando del concorso.Ovvero di offrire risposte a nuovi mercati, come quelli dei paesi Brics, incontrare nuovi target ed aprire a livello internazionale nuovi spazi di business. L'obiettivo finale è quello di aiutare queste start-up ad inserirsi nel meccanismo delle esportazioni verso i cosiddetti mercati in rapida crescita, un giro d'affari che il Sole24Ore ha stimato nel 2011 in qualcosa come 9,8 miliardi di dollari. «PoliHub si focalizza tendenzialmente su iniziative imprenditoriali ambiziose e con alto potenziale di crescita. Da questo punto di vista, è fondamentale avere un orizzonte internazionale».Non è tutto. Perché se i rami di queste nuove aziende saranno proiettate al di là dell'oceano o comunque in un altro continente, le radici dovranno essere ben salde in Lombardia, che dovrà rimanere la sede operativa delle start-up. «Se i progetti manifesteranno un certo tipo di connessione con il tessuto produttivo regionale saranno selezionati».Le idee, che potranno spaziare in ambiti che vanno dalla comunicazione al design, dalla moda al digitale, dovranno essere presentate compilando un modulo on-line sul sito di “CupCake” entro le 24 del 10 ottobre. Tra tutti i candidati ne verranno selezionati 25, che svolgeranno un colloquio con il personale della Fondazione tra il 21 ed il 25 ottobre.Sulla base di questi incontri saranno scelti i 16 che tra novembre e febbraio svolgeranno uno stage all'interno di un incubatore di imprese creative in un Paese europeo. Il progetto coprirà le spese di viaggio, di alloggio, di trasporto e assicurative. E fornirà un contributo di 9 euro al giorno per il vitto. Sia durante il periodo all'estero che una volta rientrati in Italia, gli startupper saranno seguiti da due tutor: uno è un membro dello staff di PoliHub, che li seguirà sotto il profilo della definizione degli aspetti industriali e commerciali, l'altro fa parte del Dipartimento di Design del Politecnico e si occuperà degli elementi legati strettamente al prodotto.Tra marzo ed aprile queste due figure lavoreranno con i 16 vincitori per finalizzare i prototipi e prepararli ad un evento di presentazione di fronte a imprenditori e potenziali investitori che si svolgerà nell'ambito del Salone del Mobile di Milano. Una vetrina, appunto, internazionale per 16 start-up creative chiamate a conquistarsi una fetta di mercato.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere altre iniziative milanesi legate alle start-up? Leggi anche:- Milano capitale delle start-up grazie a Polihub e Tag Milano- Arriva lo StartupBus: parte il viaggio verso il successo- A Milano 600mila euro per permettere alle start-up di "FareImpresaDigitale"Vuoi conoscere le storie di alcune di start-up? Leggi anche:- Micro4You, la start-up che aiuta le api. E le opere d'arte- Appeatit, la start-up che rende il pranzo una vera pausa- Tacatì, la start-up che porta l'e-commerce a chilometro zero- Da Singapore a Milano, la start-up che fa le scarpe al mercato- Recuperano metalli in modo economico ed ecologico: e vincono il premio Marzotto- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa