Youth Guarantee, le richieste delle associazioni giovanili al ministero del Lavoro

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 11 Nov 2013 in Approfondimenti

I rappresentanti dei giovani prendono la parola. Merito dell'iniziativa del ministro del Lavoro Enrico Giovannini che, in vista del via libera - a gennaio 2014 - del programma per la Youth Guarantee (in sintesi, la garanzia di un'offerta di lavoro o formazione ai giovani entro quattro mesi dalla fine della scuola o dall'inizio della disoccupazione), ha chiamato qualche giorno fa a raccolta alcuni esponenti delle associazioni e dei movimenti giovanili, chiedendo loro pareri e proposte in relazione alla bozza di progetto formulata del dicastero. E per cui sono già stati stanziati fondi per 1,2 miliardi di euro. La Repubblica degli Stagisti, che sull'argomento ha elaborato un documento programmatico, era presente al tavolo.
stage lavoro«Lungi dal pensare che si tratti di un intervento miracoloso, il progetto può però considerarsi un mezzo per ridefinire le politiche attive di occupabilità per i giovani, da inserire in un quadro di monitoraggio continuo» ha assicurato il ministro. L'obiettivo è «creare le infrastrutture per il futuro e impulsare una mobilitazione nazionale per l'emergenza lavoro». In questo senso il coinvolgimento delle parti sociali deve essere totale, affinché il programma non fallisca: «Ecco perché in questi giorni ho incontrato prima le associazioni imprenditoriali e oggi vedo voi», ha sottolineato Giovannini.
Le linee guida nel testo del ministero sono ancora scarne, anche se sembrerebbe chiara per il momento la propensione a concentrare tutti gli sforzi sul «preorientamento scolastico, non solo quello della scuola media superiore ma anche di quella inferiore», puntualizza il ministro. Da concepire come uno strumento suddiviso in due tronconi: uno di primo livello, a largo spettro e universale, e un altro 'face to face', quindi  «molto più personalizzato e qualificato, con la logica della presa in carico del soggetto». In sospeso restano quindi tanti elementi: il target di riferimento dei giovani, l'entità delle prestazioni, la creazione di un portale nazionale.
Aspetti su cui la maggior parte dei delegati non ha però presentato proposte mirate, ma solo avanzato considerazioni generali e soprattutto prive di ipotesi sulle coperture finanziarie o sui meccanismi da ingenerare per una Garanzia Giovani davvero funzionante. E talvolta - questa è stata la sensazione - l'occasione è stata usata come pretesto per sottoporre al ministro la richiesta di prendere in considerazione il proprio settore di attività per l'attivazione degli stage. Aprendo al rischio, come ha messo in luce il documento sottoscritto da questa testata, che la Youth Guarantee possa trasformarsi in un ulteriore infoltimento delle troppo corpose fila degli stagisti italiani, già tantissimi (è stato calcolato che siano mezzo milione all'anno), e con scarse prospettive di inserimento (un contratto viene offerto a meno del dieci per cento di loro).
È il caso ad esempio della Coldiretti, rappresentata da Vittorio Sangiorgio: «A causa del regime particolare del comparto agricolo non ci è concesso di ospitare tirocinanti, quando invece ne avremmo bisogno, per esempio nelle campagne che attiviamo sul territorio», segnala. Gli fa eco il portavoce dell'Agia, l'associazione giovani imprenditori agricoli, Matteo Bartolini: «Non possiamo accogliere stagisti perché i meccanismi in cui rientriamo lo escludono» obietta, rivolgendo poi al ministero un appello accorato: «Che gli interventi debbano concentrarsi su una profonda riforma delle condizioni di base del mondo del lavoro, suddiviso in Italia tra la casta di chi ha un'occupazione e chi non ce l'ha ed è privato di qualunque tutela».
Di altra natura invece l'intervento di Jacopo Morelli [nella foto in alto], presidente dei Giovani di Confindustria, che prende la parola per ricordare come «l'unica garanzia di cui si ha davvero necessità è quella sul lungo periodo». Il punto non è, a suo dire, cogliere l'opportunità del fondo messo a disposizione per sfornare altre tornate di stagisti, ma concentrarsi sulla «stabilizzazione», e quindi sui canali da avviare affinché i giovani acquisiscano le competenze di cui devono essere portatori per poi essere accolti dalle aziende: in primis «l'inglese e l'informatica». «Perché se è vero che le imprese danno lavoro» spiega «queste stesse sono anche alla ricerca di risorse fresche e nuove» da tenersi strette. 
Matteo Ragnacci di Generazioni Legacoop puntualizza un altro elemento chiave: «I tirocini devono essere vincolati all'offerta di un contratto, pena il decadimento per la compagnia da tutti i benefici derivanti dall'assunzione». Un'idea per impedire la prassi di sempre, quella dei datori di lavoro che prendono stagisti per poi disfarsene terminato il tirocinio, abbattendo i costi del lavoro dipendente. Ragnacci fa anche un'altra proposta: quella di inserire un «sistema di riconoscimento delle competenze», perché usciti dal percorso di formazione o lavoro le stesse risultino certificate e possano quindi essere riutilizzate sul mercato del lavoro.
La scelta dello stage come strumento principe del progetto è criticata anche dal rappresentante di Link Coordinamento Universitario, Alberto Campailla. «Spesso i tirocini oscurano lavoro dipendente a tutti gli effetti. Se proprio dobbiamo incoraggiarlo» dicono «almeno cerchiamo di intervenire su un punto: le differenze di rimborso tra nord e sud d'Italia. Si passa dai 600 euro di Abruzzo e Toscana ai 300 di Basilicata e Calabria. Cerchiamo di unificare la normativa» propongono, ribadendo infine l'importanza dei centri per l'impiego, «da riformare perché raggiungano standard europei».
Un altro suggerimento interessante arriva da Rebecca Ghio, portavoce del coordinamento di universitari Run, che ha proposto di «utilizzare il servizio civile» come percorso papabile per la Youth Guarantee (idea condivisa da molti dei presenti al tavolo, ndr), e poi «convertire l'esperienza in crediti universitari». Molti dei tirocini curriculari sono «ben poco formativi» e questa sarebbe «una possibilità per i molti ragazzi che preferiscono non farli e al loro posto aggiungere più esami al percorso di studio». Adesso la parola passa al ministero per il progetto definitivo. 

Ilaria Mariotti


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