Categoria: Approfondimenti

Toscana, l'assessore: «Se con le nuove leggi i tirocini diminuiscono non è un male: scompaiono quelli truffa»

La Toscana è a posto. Almeno per quanto riguarda l'aggiornamento della normativa sui tirocini extracurriculari, anzi, la Regione guidata da Enrico Rossi è la prima della classe: le linee guida concordate in sede di Conferenza Stato - Regioni lo scorso gennaio, mirate a uniformare – secondo quanto previsto da uno specifico punto della riforma Fornero – le varie normative regionali sullo stage, sono letteralmente modellate sulla legge approvata dalla giunta Rossi nel gennaio 2012, che ha introdotto nuove tutele a favore dei tirocinanti. A cominciare dal diritto a ricevere un'indennità mensile.E non a caso l'assessore regionale al lavoro della Toscana, Gianfranco Simoncini, è anche il responsabile del settore Lavoro della Conferenza ed è stato il protagonista, insieme all'ex ministro Fornero, della trattativa per concordare il testo sugli stage. «Noi non abbiamo bisogno di introdurre modifiche alla nostra normativa» conferma alla Repubblica degli Stagisti, «anche perché buona parte delle linee guida hanno fatto riferimento alla nostra legge».In effetti la legge regionale 3/2012 contiene già praticamente tutti i punti che le linee guida prescrivono. La normativa, preceduta dal progetto sperimentale della “Carta dei tirocini e stage di qualità nella Regione Toscana” ha introdotto a partire dalla primavera del 2012 «l’obbligo a carico dei soggetti ospitanti di erogare un importo forfetario a titolo di rimborso spese», poi definito dal successivo regolamento in un minimo di 500 euro lordi al mese, a favore di tutti gli stagisti extracurriculari. Prevedendo novità incisive sul fronte del monitoraggio della qualità formativa, dei controlli e delle sanzioni: alla fine di ogni stage le competenze acquisite devono essere «registrate nel libretto formativo del cittadino»; le Province, attraverso i centri per l’impiego, sono tenute a garantire «il corretto utilizzo dei tirocini  mediante  attività di informazione e di controllo»; e finalmente viene introdotta una sanzione per chi si approfitta degli stagisti: «In caso di mancato rispetto della convenzione e dell’allegato progetto formativo, accertato dall’organo di controllo, il soggetto ospitante non può attivare tirocini per il periodo di un anno dall’accertamento ed è tenuto al rimborso delle quote eventualmente corrisposte dalla Regione». Di più. Lo scorso novembre, su sollecitazione di alcuni uffici stage universitari e centri per l'impiego che avevano richiesto delucidazioni, la Direzione generale Competitivà del sistema regionale e sviluppo delle competenze, settore Formazione e lavoro, ha emesso una lunga circolare che fornisce risposte ai dubbi interpretativi relativi alla legge.Nel documento, firmato dal dirigente responsabile Gianni Biagi, dopo aver ancora una volta chiarito alla voce «applicabilità» che «le disposizioni di cui alla legge e al regolamento si riferiscono esclusivamente ai tirocini non curriculari», si specifica per esempio che il divieto di ripetizione del tirocinio presso il medesimo soggetto ospitante va interpretato «nel senso che lo stesso non deve aver svolto un tirocinio, né deve aver avuto nessun precedente rapporto di lavoro o incarico (prestazione di servizi) con il medesimo soggetto ospitante». Si ribadisce poi che «non può essere attivato alcun tirocinio, anche con riferimento a tirocinanti disabili o svantaggiati, con soggetti ospitanti privi di dipendenti a tempo indeterminato». E più avanti che «possono essere attivati tirocini con soggetti di età superiore ai 30 anni», ma che «per tali soggetti non potrà essere richiesto il contributo regionale» a meno che non appartengano alle categorie dei «soggetti disabili» o «soggetti svantaggiati»: insomma, mentre la Regione rende all'azienda una parte del rimborso spese erogato dal soggetto ospitante se lo stagista è un under 30, non lo fa dopo questa soglia di età.Altra precisazione importante riguarda le aziende che hanno un distaccamento in Toscana, ma non la propria sede legale, che sono comunque tenute a uniformarsi ai dettami della legge toscana: «I soggetti promotori aventi sede al di fuori della Regione Toscana che attivano tirocini che si svolgono sul territorio regionale sono tenuti all’osservanza integrale della normativa regionale in tema di tirocini». Rispetto ai tutor, che la legge toscana ha responsabilizzato, la circolare specifica che deve essere fisicamente presente nella stessa sede dello stagista, e ovviamente «in orario compatibile con l’attività del tirocinante».Una questione poi molto molto sentita sia dai soggetti ospitanti sia dagli stessi stagisti è quella degli aspetti fiscali del rimborso spese. Qui la circolare però fa un passo indietro: «Questa Amministrazione non può fornire chiarimenti vincolanti in materia di imposta sul reddito delle persone fisiche, di competenza dell’Agenzia delle Entrate». Si limita a ricordare che «la normativa fiscale delle borse di studio prevede un generale criterio di imponibilità ai fini dell'Irpef, disposto dall'art. 50, comma 1, lett. c), del Tuir, che assimila ai redditi di lavoro dipendente "le somme da chiunque corrisposte a titolo di borsa di studio o di assegno, premio o sussidio per fini di studio o di addestramento professionale, se il beneficiario non è legato da rapporti di lavoro dipendente nei confronti del soggetto erogante"». Dunque, chiarito che l’importo minimo di 500 euro mensili «deve essere considerato al lordo», la circolare dice correttamente che «sarà la “situazione” fiscale di ciascun tirocinante che determinerà le modalità operative del soggetto ospitante nella sua veste di sostituto d’imposta».Ma dalla circolare emerge un grande problema, già evidenziato dalla Repubblica degli Stagisti e ammesso anche da altri rappresentanti di enti regionali: cioè quello del vuoto normativo sul numero massimo di tirocini attuabili contemporaneamente presso uno stesso soggetto ospitante che non solo la normativa toscana, ma tutte le normative regionali in fieri sono destinate a creare. Si legge infatti che «I tirocini curriculari attivati presso il soggetto ospitante non sono computati nel numero massimo di tirocini attuabili».Queste poche parole aprono la porta a un possibile abuso molto pericoloso: le aziende (e gli enti pubblici) cioè potrebbero attenersi alla normativa per quanto riguarda il numero di tirocinanti extracurriculari ospitati (per esempio: 10 se il massimo previsto è 10), ma poi aggiungere ad libitum tirocinanti curriculari, senza avere qui - di fatto - un tetto massimo. È una delle tante storture generate dall'aver preteso di suddividere gli stage curriculari da quelli extracurriculari, assegnando addirittura a ciascuno dei due insiemi un differente referente competente per legislazione. Prima - con il decreto ministeriale 142/1998 che certamente tanti limiti portava con sè - almeno questa ipocrisia non c'era: i tirocini erano regolati da una sola normativa, i tirocinanti venivano conteggiati tutti insieme e sul numero totale veniva fatta la proporzione con il numero di dipendenti del soggetto ospitante. Ora tutto è nel caos. Le Regioni, supportate dalla Corte Costituzionale, si sono battute per affermare il proprio diritto a esercitare una competenza esclusiva in materia di tirocini: ma solo quelli extracurriculari. Si sono date (nel caso della Toscana) o si stanno dando nuove leggi per regolamentarli. Ma in tutto questo, i tirocini curriculari da chi saranno regolamentati? Urge un intervento statale immediato.Comunque, nel suo piccolo anche su questo la Toscana è avanti: in avanzato stato risulta infatti un "Accordo di collaborazione tra la Regione Toscana, le Università degli studi e gli Istituti di alta formazione e specializzazione toscani per lo svolgimento di tirocini curriculari e non curriculari", che nelle prossime settimane dovrebbe essere approvato. In attesa che il neoministro Carrozza, toscana peraltro anche lei, batta un colpo.Nel frattempo, dalle prime rilevazioni emerge che un effetto della nuova legge - in vigore ormai da un anno - ha comportato una riduzione del numero dei tirocini sul territorio toscano. Tanto che all'inizio di maggio la vicepresidente della Provincia di Prato, Ambra Giorgi, ha invocato una «sospensione delle nuove regole dei tirocini, per rifletterci sopra e lasciare che la recessione si allenti», denunciando che il numero di tirocini attivati nella sua provincia «si è ridotto del 25%» e che «il mercato è paralizzato», anche per colpa della nuova normativa. La richiesta però viene rispedita al mittente dall'assessore Simoncini: «È una sciocchezza. Chi dice "diminuiscono i tirocini rispetto a prima" deve tener conto che prima i tirocini erano utilizzati come strumento di sfruttamento. Non a caso anche in Toscana erano cresciuti sopratutto nel momento della crisi, a fronte di un abbattimento dei contratti di apprendistato: perché venivano utilizzati strumentalmente per far lavorare i giovani sottopagati o non pagati. Quel 25% di tirocini che si sono persi sono quelli di sfruttamento che noi non volevamo». Simoncini è dunque convinto che sia quasi un bene che si abbassi un po' il numero dei tirocini: «Il mio obiettivo non è ridurli, anzi, è incentivarli. Ma come strumento di formazione, non come rapporto di lavoro mascherato».Eleonora VoltolinaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Marche / «Responsabilizzare i tutor e valorizzarli, anche attraverso un compenso»- Emilia / Ancora in alto mare, Cgil: «C'è disaccordo sulle linee guida»- Sicilia / La politica tace. E allora interviene il sindacato- Puglia / C'è già una bozza: «La approveremo entro luglio»- Campania / Il numero massimo di stagisti sarà il triplo del previstoE anche:- La Toscana approva la nuova legge sugli stage: per la prima volta in Italia il rimborso spese diventa obbligatorio- Tirocini extracurriculari, linee guida approvate: le Regioni legiferino entro luglio- Leggi regionali sui tirocini: si va verso il caos e l'anarchia- Simoncini: «Positive le linee guida sugli stage: ora vigilate affinché ciascuna Regione le renda al più presto operative»

HSD Europe, start-up italiana che aiuta i cinesi a respirare meglio

In Cina ha vissuto qualche mese tra il 2009 ed il 2010, quando lavorava per un'azienda che si occupa di impianti industriali.  Ora a Pechino torna da imprenditore per stringere un accordo con il governo per la vendita di 120mila filtri nasali Sanispira: è tutta italiana la soluzione per respirare meglio in una delle città più inquinate del mondo.Il protagonista di questa storia è Gianpietro Rizzini [a destra nella foto], un ingegnere meccanico bresciano di 35 anni. Dopo la laurea nel 2002 ha iniziato a lavorare per un'impresa che si dedica a progettare e realizzare impianti per le produzioni industriali. Un'occupazione che nel 2008 l'ha portato per nove mesi in Australia e l'anno successivo in Cina. «Sono tornato nel 2010: per me è stata un'esperienza stressante, faticosa e complicata. A quel punto ho deciso di mettermi in proprio». L'evento che gli ha fatto «accendere le lampadine» è stata la conoscenza con il brevetto dei filtri nasali, depositato da un avvocato romano. «L'esperienza a Pechino mi ha reso sensibile a queste tematiche. Quando ho individuato questi apparecchi ho deciso di mettermi in proprio e fondare HSD Europe. Io porto avanti il processo di industrializzazione e commercializzazione, quegli aspetti che dall'idea portano al business».L'idea è quella di un filtro capace di “catturare” le polveri inquinanti così come gli allergeni, aiutando chi lo indossa a respirare meglio. Sanispira appare come una coppia di tronchi di cono collegati da una sottile bandellina esterna, realizzata in silicone medico. La struttura elicoidale interna è ricoperta di biogel e crea una turbolenza che attira le particelle presenti nell'aria, che restano intrappolate grazie alla loro carica elettrostatica. Venduto in farmacia in confezioni da sei al prezzo di 9,90 euro, questo strumento è in grado di intrappolare fino all'82% di particolato. Si capisce quindi l'interesse per un prodotto come questo in una città che a gennaio ha registrato concentrazioni di Pm10 pari a 456 microgrammi per metro cubo, quando la soglia di attenzione scatta una volta superati i 50.A marzo l'ambasciata cinese di Roma ha ospitato la firma del contratto di fornitura di 120mila filtri, destinati a quei lavoratori che operano all'aperto - poliziotti, vigili urbani, taxisti, giardinieri, operatori ecologici, muratori.  Pechino non è l'unica città interessata a questo prodotto: nel 2011 Torino l'ha testato con i vigili urbani volontari, mentre Avellino ha annunciato di volerli rendere obbligatori per gli ausiliari della sosta. Mentre, nel 2012, Rizzini ha ricevuto il premio “Il Talento delle idee”.Fondata nel 2010, HSD Europe è una società a responsabilità limitata con un capitale sociale di 18mila euro. Per crearla Rizzini ha chiesto aiuto ai suoi familiari e alle banche della provincia di Brescia. L'azienda garantisce un'occupazione a sette persone, tutte assunte a tempo indeterminato. HSD è un acronimo che sta per Holding Smart Decive: «in cantiere abbiamo altre idee da sviluppare in futuro», spiega l'ingegnere bresciano, «sono tutte nel settore della salute e della sicurezza. E sono tutte smart».Al momento però l'azienda è concentrata sulla commercializzazione di Sanispira. «Il go to market è uno degli aspetti più delicati. Per noi la pubblicità televisiva non è accessibile, quindi ci concentriamo sulle riviste specializzate e cerchiamo di avere visibilità nelle pagine di economia. Il punto è che quando si ha un prodotto nuovo bisogna andare a solleticare chi potrebbe averne l'esigenza, un processo molto delicato da innescare». Difficile nonostante i concorrenti siano «quattro o cinque a livello mondiale. Anche se il nostro è l'unico ad avere la certificazione di dispositivo di protezione individuale».Pur essendo la sua impresa una start-up, Rizzini non ha voluto passare attraverso realtà come gli incubatori, nella convinzione che «il processo non sarebbe stato rapido dal punto di vista gestionale». Nè è interessato alle agevolazioni del decreto Passera. «Start-up innovative? Noi siamo più avanti per questo discorso, siamo una realtà grande e in questa fase non avremmo vantaggi». Il fatturato, che lo scorso anno ha raggiunto i 600mila euro e che quest'anno dovrebbe portarlo al pareggio di bilancio, sembra dargli ragione. Dopo tre anni di vita, insomma, HSD Europe può tirare un sospiro di sollievo.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere altre storie di start-up? Leggi anche:- Il matrimonio diventa low-cost grazie alla start-up siracusana Progetto Wedding- L'artigianato si vende in Rete grazie alla startup fiorentina Buru-Buru- Solwa, la start-up padovana che purifica l'acqua con l'energia solare- Dalla Romania a Torino per diventare startupper. E italiano- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa

Stage, Regione Marche: «Responsabilizzare i tutor e valorizzarli, anche attraverso un compenso»

Indennità minima di 300 euro lordi mensili per i tirocini formativi e di 400 per quelli di inserimento/reinserimento, entrambi con una durata massima di sei mesi. È quanto i circa 6mila giovani che, secondo i dati forniti dalla Regione, ogni anno svolgono un tirocinio extracurriculare nelle Marche si devono aspettare dalla delibera di giunta che recepirà le linee guida sugli stage.  «Rispetteremo la deadline del 24 luglio entro cui tutte le Regioni italiane sono chiamate a legiferare in materia», promette Antonio Secchi, responsabile politiche attive del lavoro. «Abbiamo già un testo che abbiamo sottoposto all’attenzione della Commissione regionale per il lavoro (Crl), la sede di concertazione per la proposta, la valutazione e la verifica delle linee programmatiche e delle politiche in quest'ambito». Le Marche, annuncia Antonio Secchi, affideranno la nuova disciplina sui tirocini a una delibera regionale di giunta (Dgr). «Abbiamo optato per uno strumento normativo più snello perché la materia è già regolamentata dall’articolo 18 della legge regionale 2 del 2005 e dalla Dgr 1007 del 2008 sui tirocini formativi attivati utilizzando il Fondo sociale europeo nel triennio 2007-2013. In particolare quest’ultima introduce norme molto dettagliate e innovative nel panorama italiano in materia di stage, che vorremmo mantenere anche nella nuova delibera». La più grande novità per i tirocinanti marchigiani sarà dunque l’indennità obbligatoria. Le linee guida avevano fissato il minimo mensile a 300 euro lordi, ma le Regioni si erano impegnate, in un documento annesso, ad alzarlo ad almeno 400 euro. Come mai allora nelle Marche l’indennità per i tirocini formativi rimarrà a quota 300? «Siamo assolutamente d’accordo con il principio dell’indennità obbligatoria, non è accettabile che un giovane sia occupato a tempo pieno e non abbia neppure i soldi per sostenere le spese di affitto o di trasporto», afferma Secchi [nella foto]. «Però nella determinazione dell’indennità abbiamo pensato anche a come evitare l’effetto boomerang: in Abruzzo, dove un anno fa è stato introdotto l’obbligo di corrispondere agli stagisti extracurriculari almeno 600 euro al mese, il numero di tirocini attivati è drasticamente calato. Per le imprese è un momento di grande difficoltà, e se introducessimo un’indennità elevata correremmo il rischio di disincentivare l’utilizzo di questo strumento. Invece i tirocini, in base all’esperienza che abbiamo potuto osservare nel nostro territorio, costituiscono uno degli strumenti più idonei a colmare il divario tra le competenze di chi cerca lavoro e quelle richieste dalle imprese. Per questo crediamo che sia uno strumento da qualificare, monitorare e potenziare, non da disincentivare».Qualificare, migliorare, potenziare: ma come? «Per esempio fornendo degli incentivi alle imprese che ne fanno un buon uso: in base alla legge regionale 2 del 2005 la Regione già oggi dà un contributo sia per pagare l'indennità degli stagisti sia per incentivare la stabilizzazione dei giovani al termine del tirocinio. In tanti casi nelle Marche, anche grazie al contributo attivo della Regione, abbiamo assistito a un percorso virtuoso di inserimento dei giovani: 6 mesi di tirocinio formativo indennizzato, poi un contratto di tre anni di apprendistato e infine l'assunzione. Questo iter offre indubbi vantaggi a tutti: all’impresa e al tirocinante, che possono migliorare la propria posizione sul mercato del lavoro, e al territorio, cui è assicurato un utile ritorno in termini di professionalità diffusa», afferma Secchi. Una seconda tipologia di intervento per qualificare i tirocini riguarda poi l'individuazione degli enti promotori: «Già con la delibera del 2008 nella Marche abbiamo deciso non solo di identificarli con precisione, ma anche di “specializzarli” in base alla loro missione. Possono pertanto fungere da enti promotori di tirocini formativi gli enti formativi certificati (scuole, università etc), mentre i centri per l’impiego possono promuovere esclusivamente stage di inserimento/reinserimento; infine le comunità terapeutiche e le cooperative sociali promuovono i tirocini per i soggetti svantaggiate e disabili. Vorremmo fare lo stesso anche nella nuova delibera», spiega Secchi.Un altro importante punto di criticità nell'universo stage è, secondo Secchi, la figura del tutor. «Anche su questo punto, siamo già intervenuti con la delibera del 2008 sui tirocini formativi attivati utilizzando il Fondo sociale europeo e abbiamo introdotto dei principi assolutamente innovativi. Il tutor didattico-organizzativo è il responsabile al quale compete il controllo dei contenuti formativi del tirocinio, il supporto allo stagista in termini di motivazione e orientamento e la verifica degli esiti del percorso. Si tratta di una figura cruciale per evitare gli abusi. Il problema è che però spesso il tutor rimane “un nome su una foglio”: non va a controllare sul luogo di lavoro il regolare svolgimento del tirocinio, a volte non sa neppure che faccia abbia il ragazzo. Con la nostra delibera del 2008 la Regione Marche ha rivoluzionato questa figura: i tutor sono nominati dai soggetti promotori con una procedura di selezione comparativa dei curricula tra coloro che risultano in possesso di competenze certificate. In ogni caso, non possono assistere più di cinque tirocinanti contemporaneamente. Questo consente loro di seguire realmente i ragazzi, effettuando visite periodiche in azienda per verificare il buon andamento del progetto formativo. Nella delibera del 2008 avevamo previsto che, qualora il tutor non fosse un dipendente pubblico, percepisse un compenso per ogni tirocinante seguito. Nella nuova delibera non potremo introdurre lo stesso principio perché abbiamo il vincolo che la norma non produca oneri per lo Stato. Ma vorremmo comunque stabilire un massimo di dieci stagisti per ogni tutor», spiega Secchi. «Inoltre, intendiamo anche introdurre un'ulteriore norma: solo le aziende che dimostreranno di assumere almeno il 50% degli stagisti potranno attivare altri tirocini». E per quanto riguarda invece i circa 9mila stagisti che, secondo il funzionario della Regione, ogni anno effettuano nelle Marche uno stage curriculare, previsto nel loro percorso di studi – scuola, università, master? Le linee guida non li prendono in considerazione, partendo dal presupposto che le Regioni siano competenti solo in materia di tirocini extracurriculari. A febbraio però la Repubblica degli Stagisti attraverso il suo Patto per lo stage aveva proposto che le Regioni concordassero con scuole, università ed enti di formazione del territorio alcune garanzie minime (a cominciare da un'indennità di almeno 250 euro al mese) anche per loro. Cosa ne pensa il funzionario marchigiano? «I tirocini curriculari vengono effettuati dagli studenti iscritti a un corso di studi a integrazione del proprio curriculum. In questo caso, penso che l'aspetto più rilevante sia la qualità del contenuto formativo e non l'indennità. Piuttosto, penso che sia importante regolamentare a livello nazionale un'altra questione molto importante: oggi, dopo la sentenza della Corte costituzionale che ha affermato la competenza regionale in materia di stage extracurriculari, i tirocini curriculari attivati presso un soggetto ospitante non sono computati nel numero massimo di stage attivabili in base al numero di dipendenti. Questo significa che oltre ai limiti massimi indicati dalle singole leggi regionale, ogni azienda potrà prendere un numero indefinito di  tirocinanti curriculari». Per di più gratis! Una situazione paradossale che rischia di vanificare tutti gli sforzi di controllo sugli abusi. «Proprio così. Purtroppo però le Regioni non possono intervenire su questo. Occorre una normativa nazionale che risolva questo pasticcio». di Anna GuidaPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Leggi regionali sugli stage, la Puglia ha già una bozza: «La approveremo entro luglio»- Stage, la Regione Veneto promette «Veglieremo sugli abusi»: ma l'indennità minima sarà bassa- Stage, prime ribellioni alle linee guida: in Campania il numero massimo di stagisti sarà il triplo del previsto- Nuove regole sugli stage, Emilia ancora in alto mare. La Cgil: «C'è disaccordo sulle linee guida»- Nuove norme sui tirocini, in Sicilia la politica tace. E allora interviene il sindacatoE anche:- Simoncini: «Positive le linee guida sugli stage: ora vigilate affinché ciascuna Regione le renda al più presto operative»- Patto per lo stage: perché dalle parole si passi ai fatti

Servizio civile: il bando slitta a settembre e il numero di posti sarà il più basso di sempre

Dal 2007 a oggi i fondi per il servizio civile Nazionale si sono polverizzati: da 296 milioni si è passati a 68,8 milioni nel 2012, meno di un quarto. Tanto che l'anno scorso il bando è stato perfino soppresso. Una circostanza incredibilmente denunciata solo dalla Repubblica degli Stagisti e ripresa poi da pochissime testate, quasi che denunciare questa soppressione fosse un tabù. Eppure il bando del servizio civile è una cosa importante, che decine di migliaia di giovani italiani attendono impazientemente da un anno all'altro.Ebbene, anche per il 2013 le notizie su questo fronte non sono buone. Dopo l'anno «saltato», infatti, vi era stata la promessa che il bando 2013 sarebbe uscito in primavera. Invece non è così: l'uscita è stata rimandata di altri cinque mesi e avverrà a settembre, salvo miracoli. Lo conferma alla Repubblica degli Stagisti Raffaelle De Cicco, direttore del coordinamento nazionale del servizio civile: colpa delle Regioni, afferma, «in ritardo su questioni di ordine tecnico». Oltre al nodo della proroga, la situazione non è neppure destinata a migliorare sul fronte degli stanziamenti: secondo le previsioni si avranno 61 milioni nel 2013, 76 nel 2014 e 77 nel 2015. E a fronte di questi dati Diego Cipriani, responsabile del Servizio Civile Caritas, intervenuto a un recente convegno dell'Arel dal titolo «Una porta aperta sul mondo del lavoro: il servizio civile», fa notare che «il numero di giovani aspiranti a svolgere un anno di servizio civile non è diminuito col diminuire dei posti messi a bando, passati dai 57mila del 2007 ai 20mila del 2011». Nel 2011, «a fronte di 20.157 posti ci sono state ben 86.571 domande, vale a dire più di quattro giovani aspiranti per ciascun posto da volontario. Una fascia crescente di giovani delusi, anche dal servizio civile», sottolinea Cipriani. Il motivo è semplice: la maggioranza dei volontari impiegati proviene dal Centro-sud e isole, e quindi il servizio civile va a tamponare - e potrebbe farlo sempre di più - quelle sacche più corpose di Neet, precari e disoccupati, che proprio lì si annidano. Dati alla mano, nel biennio 2005-2006 i volontari di queste zone d'Italia sono stati 25mila (contro i 10mila del Centro e i 9mila del Nord), poi dimezzati nel 2008 fino a scemare a quota 8mila nel 2011 (quando i giovani delle altre parti del Paese erano meno di 4mila). Pochi posti a disposizione sono un'opportunità sprecata anche secondo Licio Palazzini, presidente di Arci Servizio Civile [nella foto a destra], altro relatore del seminario: «Oggi questo servizio è riservato solo a una piccola minoranza di giovani, il 2,3% dei potenziali, perché non ci sono i soldi». E anche l'aspetto internazionale del servizio civile dovrebbe tornare al centro del dibattito: «Un ragazzo straniero che voglia fare il servizio civile nazionale oggi può farlo, mentre non vale il contrario perché un italiano deve per forza restare qui». Concepire il servizio civile nazionale in un'ottica internazionale secondo Palazzini aiuterebbe anche gli immigrati, «quelli che oggi non possono partecipare in quanto privi di cittadinanza pur essendo nati nel nostro Paese».Il raffronto con l'estero è impietoso anche secondo Edoardo Patriarca, presidente del Cnv e deputato del Pd: «In altri paesi, seppur con modalità diverse, non solo si investono soldi ma si creano anche politiche adeguate. Del resto il servizio civile rientra a pieno titolo nel contesto più ampio delle politiche per i giovani. Non è assolutamente secondario». In attesa che venga pubblicato il prossimo bando Cipriani, Patriarca e Palazzini hanno colto l'occasione del convegno per fare il punto sullo stato attuale. «La situazione degli ultimi anni non autorizza l’ottimismo tenendo conto che nel 2012 non c’è stato un bando ordinario, per la prima volta dal 2001, anno di istituzione del servizio civile nazionale» ha ricordato Cipriani. In base alle dichiarazioni dello scorso anno del ministro Riccardi, si era riusciti a reperire risorse per 50 milioni di euro, che avrebbero consentito l'avvio di quasi 19mila progetti. Questa cifra c'è, e l'entità dei compensi dei volontari non è messa in dubbio: la conferma è dello stesso De Cicco, che giustifica i ritardi solo con una questione di mera programmazione, che è di competenza dalle Regioni. Ma la richiesta al Mef un'integrazione di 70 milioni fino a 120 milioni per ciascun anno «non è stata accolta: infatti, la legge di stabilità ha previsto per quest’anno circa 71 milioni di euro e poco più negli anni a venire». Anzi secondo Palazzini la realtà è ancora più compromessa perché «il bando 2013 potrebbe prevedere meno di 18mila posizioni», sempre a causa all'esiguità dei fondi stanziati: «Sarebbe un'ulteriore doccia fredda per i giovani e per gli enti».  Gli enti e i giovani si aspettano «legittimamente che il prossimo bando contenga almeno 18.810 posti, secondo le proiezioni dell’Ufficio nazionale fatte un anno fa. Già questo numero sarebbe il più basso degli ultimi otto anni: ma se fosse ancora più basso sarebbe difficile da spiegare agli stessi giovani. Mi preoccupa il senso di frustrazione che potrebbe provocare in loro un simile scenario negativo», aggiunge Cipriani. A maggior ragione perché i ragazzi sembrano entusiasti dell'esperienza: «La quasi totalità di chi lo ha fatto lo ritiene molto utile», e – stando alle statistiche – riguarda in buona parte persone tra i 27 e i 28 anni (più del 20% nel 2011, anche se la maggioranza, il 33% è nella fascia 21-23), con un livello di istruzione medio (il diploma nel 68% dei casi e la laurea nel 25%, dati 2011), quindi soggetti che si stanno affacciando al mercato del lavoro. Insomma: sottrarre o mortificare l'opportunità del servizio civile significherebbe un ulteriore affossamento delle già scarse prospettive su cui possono contare i giovani in questo momento storico. I campi di inserimento sono diversi, e ognuno potrebbe essere fonte di futuri sbocchi lavorativi. Dai dati diffusi durante l'incontro all'Arel, la fetta più ampia di volontari risulta inserita nell'assistenza (10mila giovani nel 2011). Gli altri si suddividono però tra ambiente, patrimonio artistico e culturale, educazione e protezione civile. «Si tratta di una formazione personale e di relazione, un'esperienza arricchente che non può essere replicata altrove» ribadisce Patriarca. «La stessa forza di coinvolgimento non c'è nelle scuole o nelle parrocchie, aiuta ad acquisire competenze tecniche e relazionali poi richieste dal mondo del lavoro» assicura. «Se svolto bene, il servizio civile procura indiscutibili benefici non solo ai giovani, ma anche ai destinatari di quel servizio e, più in generale, all’intera comunità» afferma Cipriani [nella foto a destra]. «Tant’è che negli ultimissimi anni non pochi economisti, notisti e intellettuali propongono di estendere questa esperienza a tutti i giovani italiani», continua il responsabile rilanciando il suo sogno: «un servizio civile per 500mila giovani all’anno». Il rischio è invece che, se non rifinanziato, si riduca a un'esperienza di nicchia, «che coinvolgerà non più di 10mila giovani. Una grave forma di disattenzione per le nuove generazioni» sottolinea ancora Patriarca. Per il deputato i ragazzi in partenza ogni anno dovrebbero essere almeno 30mila, e per questo «sarà necessario vigilare sugli stanziamenti per il 2014». Sulla stessa linea Palazzini, per cui «questa riduzione non produce solo un danno economico ma anche sulla visione dei giovani del servizio civile nazionale». L'appello è quindi al nuovo «governo Letta che ha detto nelle sue dichiarazioni programmatiche che vuole impegnarsi per promuovere la nascita degli Stati Uniti d'Europa. Ebbene che inserisca il servizio civile nazionale in quell'obiettivo garantendo almeno 20mila posti all'anno». Più precisa la proposta di Cipriani: «Mi accontenterei di un piano straordinario del governo che in tre anni faccia dimenticare l'ultimo quinquennio, e che riporti almeno a 50mila il numero di volontari impiegabili ogni anno nei progetti. Sarebbe un bel segnale di speranza». Soprattutto ai giovani.Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:- Servizio civile, dalla legge di stabilità nessun aiuto- Servizio civile 2012 soppresso, arriva l'interrogazione parlamentare- Servizio civile, salta il bando 2012: tutta colpa della spending reviewE anche:- «Il Servizio civile non è un modo per ammazzare un anno di tempo o guadagnare qualche soldo», parla l'ex volontario Luca Crispi- Giovanni Malservigi: «Il servizio civile in una casa di riposo mi ha aperto un altro mondo»  

Col crowdfunding si sostengono anche le start-up

Ancora aspetta di essere definito a livello normativo, ma ha già permesso di raccogliere qualcosa come 13 milioni di euro. È un mondo in fermento quello del crowdfunding, realtà polimorfica che permette a progetti di più varia natura di cercare finanziamenti in rete, anche da singoli privati cittadini che scelgono di sostenere idee che ritengono interessanti.Un settore che sarà al centro della sesta edizione del Festival del fundraising, in programma da oggi, martedì 14, fino a venerdì 17 al Gran Hotel Terme di Castrocaro, in provincia di Forlì-Cesena. La manifestazione è curata da Valerio Melandri, docente alla facoltà di Economia e direttore del master in Fundraising per il nonprofit e gli enti pubblici dell'università di Bologna, e si articola in oltre 80 appuntamenti dedicati al tema della raccolta di finanziamenti. Un comparto in cui, secondo i dati dell'associazione “Festival del fundraising” che promuove l'iniziativa di questi giorni, due occupati su tre sono donna e il 70% ha meno di 45 anni. La maggior parte degli addetti lavora in Lombardia, Lazio ed Emilia-Romagna.Stando ai dati elaborati dall'ufficio placement del master in fundraising dell'Alma Mater, il 48% di chi lavora in questo settore guadagna meno di 15mila euro netti l'anno, mentre la stessa percentuale ha un reddito compreso tra i 15 ed i 25mila euro annui. Solo il 4% riesce a superare questa soglia. E del resto l'83% degli occupati lavora all'interno di organizzazioni nonprofit, mentre meno di uno su dieci è inserito in un'azienda profit che si occupi di raccogliere fondi. Una percentuale che, con l'approvazione del decreto Passera, è verosimilmente destinata a salire.Una delle questioni affrontate nella normativa riguarda infatti la possibilità per le start-up innovative di accedere alla «raccolta di capitali di rischio tramite portali on line», come recita l'articolo 30. La legge ha dato mandato alla Consob di definire le regole per il crowdfunding: l'autorità di controllo sulla Borsa avrebbe dovuto pubblicarle entro lo scorso 19 marzo, ma alla fine dello stesso mese ha allungato i tempi avviando una consultazione online,  che si è conclusa lo scorso 30 aprile, incentrata su una bozza di regolamento. Il tema al centro della questione riguarda le garanzie offerte ai piccoli investitori. Verosimilmente nel giro di qualche settimana dovrebbe essere pubblicato il regolamento, così da rendere operativa anche questa parte della cosiddetta Agenda digitale.Non che il mondo del crowdfunding resti ad aspettare con le mani in mano: erano ben 16 [vedi foto sotto] le piattaforme attive a novembre dello scorso anno, e altre cinque in fase di lancio. La più “antica”, Produzioni dal basso, ha iniziato ad operare nel lontano 2005. A censirle ci hanno pensato Daniela Castrataro e Ivana Pais: la prima è cofondatrice di Crowdfuture, conferenza dedicata alla raccolta di finanziamenti online, e direttrice della società di consulenza Twintangibles, la seconda è docente di Sociologia economica alla Cattolica di Milano.Stando alla loro "Analisi delle piattaforme di crowdfunding italiane", due terzi dei soggetti attivi  hanno scelto il modello reward-based o donation-based. In pratica, il finanziatore dona una somma di denaro ricevendo in cambio dei premi messi in palio da chi cerca fondi. In questa categoria rientrano anche delle piattaforme settoriali, come Musicraiser e Cineama, che raccolgono fondi rispettivamente per la produzione di dischi e di film. Pur essendo la realtà più numerosa, questo tipo di piattaforma ha raccolto negli anni un milione di euro sui 13 totali veicolati dall'intero settore.Dieci sono arrivati dai meccanismi di social-lending, per cui chi investe offre un prestito e si aspetta di vederselo restituire. Le piattaforme equity-based, per cui il finanziatore ottiene in cambio dei suoi soldi una quota nella società che sostiene con le proprie risorse, hanno invece permesso di raccogliere 2 milioni di euro. Meglio, la piattaforma: l'unica realtà studiata appositamente per agevolare le start-up operante in Italia è SiamoSoci, realtà milanese che raccoglie un pubblico di circa 700 potenziali investitori ed è già riuscita a garantire un finanziamento a sei aziende.È questo il modello sul quale punta il decreto Passera per sostenere le imprese innovative. Ad oggi, scrivono Castrataro e Pais, una delle principali difficoltà per il settore è rappresentato dal fatto che «molti addetti ai lavori reputano il corrente quadro legislativo restrittivo e poco chiaro». Alla Consob il compito di chiarirlo, per dare spazio anche in Italia ad un settore che, secondo la piattaforma statunitense Massolution, ha raccolto 2,7 miliardi di dollari nel solo 2012, con un incremento dell'81% rispetto all'anno precedente. Una somma che nel 2013 secondo le previsioni dovrebbe raggiungere i 5,1 miliardi. Quanta parte riuscirà a fare l'Italia dipende anche dalla rapidità con cui l'autorità di vigilanza sulla Borsa, già in ritardo di un paio di mesi, definirà le regole per le start-up innovative che vogliono cercare risorse attraverso il crowdfunding.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi saperne di più sul crowdfunding e sul decreto Passera? Leggi anche:- Crowdfunding e registro delle start-up innovative: il punto sul decreto Passera- Il decreto per le start-up è legge. E comincia già a far discutere- Start-up, la task force lavora a criteri più inclusivi e accelera sul decreto attuativo- «Restart Italia», con il decreto Sviluppo bis arrivano (quasi tutte) le proposte per le start-up- «L'Italia riparta dalle start-up»: ecco il piano del ministro PasseraVuoi conoscere altre storie di start-up? Leggi anche:- Confrontare online i preventivi degli artigiani: l'idea di tre amici emiliani è «Fazland»- Il matrimonio diventa low-cost grazie alla start-up siracusana Progetto Wedding- L'artigianato si vende in Rete grazie alla startup fiorentina Buru-Buru- Solwa, la start-up padovana che purifica l'acqua con l'energia solare- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa

Nuove norme sui tirocini, in Sicilia la politica tace. E allora interviene il sindacato

È la regione del Sud in cui viene attivato il maggior numero di stage. Eppure ad oggi non è dato sapere come l'applicazione della riforma Fornero cambierà la vita dei quasi 30mila tirocinanti che ogni anno attivano percorsi di formazione sia nel pubblico che nel privato in Sicilia.Secondo l'Indagine Excelsior 2012, realizzata da Unioncamere sulla base dell'ottavo Censimento generale dell'industria e dei servizi redatto dall'Istat nel 2001, sono 16.530 gli stage che hanno preso il via nel 2011 all'interno delle aziende private siciliane. Inoltre la Repubblica degli Stagisti stima che le amministrazioni pubbliche dell'isola ospitino ogni anno circa 10mila percorsi formativi e che altri 3mila abbiano luogo nelle realtà che operano nel non-profit. Rispetto al titolo di studio di questi stagisti dalla rilevazione di Unioncamere - limitatamente alle imprese private - emerge che il 42,3% sia laureato; e per quanto riguarda la possibilità di essere assunti, appena il 7,2% ottiene una proporsta di contratto al termine dello stage.  La Conferenza Stato-Regioni ha fissato per il prossimo 24 luglio la data entro la quale le singole regioni, alle quali una recente sentenza della Corte costituzionale ha confermato l'esclusiva potestà legislativa in termini di formazione professionale, devono definire la «congrua indennità» dovuta ai tirocinanti per effetto dell'articolo 12 della riforma Fornero del mercato del lavoro, e molte altre garanzie in favore degli stagisti e misure di contrasto all'abuso.Quale sia la situazione in Sicilia, però, è difficile saperlo. Squilla a vuoto il telefono di Anna Rosa Corsello, dirigente del settore formazione professionale di Palazzo dei Normanni, mentre il presidente dell'Assemblea regionale siciliana Giovanni Ardizzone in due settimane non ha trovato tempo per rispondere alle domande della Repubblica degli Stagisti. Stesso risultato con i componenti della V Commissione dell'Ars, quella cioè che dovrebbe discutere la legge regionale proposta dalla giunta di Rosario Crocetta - ammesso che ve ne sia una - prima che arrivi al parlamento siciliano.A tutti la redazione della RdS ha scritto un'email chiedendo chiarimenti in merito, ma le risposte sono state molto poche.  Annunziata Luisa Lantieri (Grande Sud) ha inviato una conferma di lettura della mail, ma poi è scomparsa; Francesco Cascio (Pdl) ha lasciato che fosse la sua addetta stampa a far sapere che l'ex presidente dell'Ars non aveva dichiarazioni da rilasciare in merito. Antonio Venturino (M5S) ha risposto tramite la sua pagina Facebook, invitando a contattare il suo ufficio per fissare un appuntamento, ma anche in questo caso poi il telefono ha squillato a vuoto. Disponibile (a parole) ad un appuntamento anche Margherita La Rocca Ruvolo (Udc). Giovanni Greco (Mpa), vicepresidente della commissione, ha invece fatto sapere, tramite il suo ufficio stampa, che il suo partito ha presentato un emendamento alla finanziaria regionale approvata nella notte tra il 30 aprile e il 1 maggio. Un documento interessante, visto che chiede l'istituzione di un fondo per finanziare i rimborsi ai tirocinanti. A quanto ammonta? «In questo momento non lo ricordo esattamente», spiega al telefono Greco, «però posso assicurare che ha ottenuto l'approvazione dell'Ars». In realtà, la manovra finanziaria non parla di fondi per finanziare la congrua indennità degli stagisti. L'articolo 68 si limita infatti a modificare la legge 51/2002 in materia di tirocini. In particolare, viene fissato il numero massimo di stagisti che un singolo datore di lavoro può ospitare contemporaneamente: due per chi ha meno di cinque dipendenti, quattro se gli assunti sono tra i sei e i venti, una quota non superiore al 20% per le imprese con più di 21 lavoratori. Anche la Sicilia dunque sceglie di comportarsi come la Campania, "insubordinandosi" rispetto alla Conferenza Stato-Regioni e allontanando la sua regolamentazione sugli stage dai paletti stabiliti nelle linee guida. Una scelta, quella di aumentare il numero massimo di stagisti, che va ovviamente a vantaggio dei "soggetti ospitanti", cioè coloro che ospitano gli stagisti, offrendo formazione ma anche godendo dell'apporto dei giovani. «Il problema è fare in modo che non si utilizzi il tirocinio per mascherare il lavoro dipendente» riflette Andrea Gattuso, membro della segreteria dei giovani della Cgil siciliana.Oltre a questo, gli aspetti da normare sono molti di più, a cominciare dal rimborso per i tirocinanti. Cosa intende fare in proposito la giunta regionale? La Repubblica degli Stagisti ha provato a chiederlo a Nelli Scilabra [nella foto sotto], la giovane assessore alla Formazione professionale della giunta Crocetta. Anche in questo caso, nonostante i ripetuti tentativi condotti attraverso il suo ufficio stampa, non è stato possibile ottenere risposte in merito. Eppure l'esponente dell'esecutivo siciliano aveva in passato dimostrato sensibilità sul tema: «A fine febbraio, durante un incontro pubblico, abbiamo ottenuto importanti aperture da parte sua. Ci ha garantito che a breve sarebbe iniziato l'iter legislativo e che si sarebbe partiti dalla base della nostra legge di iniziativa popolare» racconta Gattuso. Nel marzo dello scorso anno infatti il sindacato, insieme ad alcune associazioni studentesche, ha raccolto 10mila firme e presentato una proposta di legge di iniziativa popolare con paletti precisi in tema di tirocini: rimborso spese minimo di 400 euro finanziato grazie ad un apposito fondo regionale di 10 milioni di euro, sei mesi comedurata massima degli stage, divieto di attivarli per quelle professioni che non richiedano periodi formativi articolati.  E ancora, incentivi alle aziende che assumano al termine del tirocinio.In questi giorni i confederati si preparano a tornare all'attacco per sollecitare lo sblocco di 452 milioni di euro legati al cosiddetto “Piano Barca”, un accordo siglato tra la regione e il ministero della Coesione territoriale. A fermare la pratica, il fatto che ancora non sia stato deciso come destinare i 282 milioni destinati alla formazione professionale. All'interno del provvedimento ci sono però anche 33 milioni di euro per il progetto “Formazione giovani in impresa”: 9 sono destinati a incentivi per le assunzioni, 24 per i rimborsi ai tirocinanti, «con un importo che dovrebbe aggirarsi intorno ai 400 euro». Mentre la politica tace è insomma il sindacato a portare avanti la battaglia perché in Sicilia vengano riconosciuti i diritti degli stagisti: «La nostra legge rispetta quasi tutti i criteri delle linee guida approvate dalla Conferenza-Stato regioni, è un testo organico e chiediamo che si parta da lì», conclude Gattuso. Il quale mercoledì 15 maggio sarà ascoltato dalla Commissione Lavoro dell'Ars, di fronte alla quale avrà modo di ribadire le proprie richieste. E ricordare di come l'assessore Scilabra si sia impegnata pubblicamente per l'approvazione della legge di iniziativa popolare presentata dalla Cgil, anche se modalità e tempistiche restano avvolte dal mistero. L'unico elemento di certezza, almeno stando alle dichiarazioni pubbliche, è legato al fatto che sembra che in Sicilia l'idea sia che debba essere la regione e non le imprese che ospitano i tirocini a versare il rimborso agli stagisti. Scelta ovvia per i percorsi formativi nella pubblica amministrazione, meno per quelli attivati nelle imprese private. Le quali si troverebbero una risorsa in azienda a costo zero. Solo congetture però al momento. Anche perché, come racconta la consigliera del Movimento5Stelle Valentina Zafarana, unica a rispondere alle domande di RdS, «la trattazione del decreto non è ancora arrivata in commissione». Ci sono ancora poco più di due mesi per approvarlo, e il tempo scorre.Riccardo SaporitiVuoi saperne di più sulla situazione in Sicilia? Leggi anche:- Sicilia, 12mila firme per una legge sui tirocini di qualità- Stage in Sicilia, primo passo verso la legge di iniziativa popolareVuoi conoscere la situazione nelle altre regioni d'Italia? Leggi anche:- Nuove regole sugli stage, Emilia ancora in alto mare. Cgil: «C'è disaccordo sulle linee guida»- Leggi regionali sugli stage, la Puglia ha già una bozza: «La approveremo entro luglio»- Stage, la Regione Veneto promette «Veglieremo sugli abusi»: ma l'indennità minima sarà bassa- Stage, prime ribellioni alle linee guida: in Campania il numero massimo di stagisti sarà il triplo del previsto

Stage alla Curcio: chi sono gli enti promotori?

Stage svolti da casa propria. Con il proprio computer, senza il supporto o la guida di colleghi o tutor, in solitudine. Revisionando per ore e ore in un file di testo pagine di vecchie enciclopedie, correggendo i refusi e aggiornando le informazioni. Questa è la segnalazione arrivata sul Forum della Repubblica degli Stagisti in merito ai tirocini presso Armando Curcio Editore [da non confondere con un'altra casa editrice, la Curci]. Una situazione sostanzialmente confermata dalla vicepresidente dell'azienda, che ha dichiarato anzi di aver avviato negli ultimi mesi nell'ambito di un particolare progetto editoriale, un'iniziativa congiunta Microsoft-Curcio, l'ingresso in qualità di stagisti di ben 15 giovani. 15 stage attivati a fronte di una dozzina di assunti a tempo indeterminato, più altrettanti collaboratori, è però una proporzione letteralmente "sproporzionata", a partire dalla normativa cui ancora si può fare riferimento (il dm 142/1998). Poiché ogni tirocinio, per esistere in maniera legale, ha bisogno - oltre che di un soggetto "ospitante", in questo caso la Curcio - anche di un soggetto promotore, la Repubblica degli Stagisti ha deciso di approfondire la questione. Come è stato possibile che nell'arco di pochi mesi questa casa editrice sia riuscita ad attivare un numero tanto elevato di stage presso un'azienda con un numero così esiguo di dipendenti? È verosimile che la Armando Curcio Editore abbia reperito stagisti prendendone un po' da ciascun ufficio stage delle università romane, un po' dai centri per l'impiego e ancora da enti privati (a cui è consentito di fungere da enti promotori)?Primo step: chiedere alla ragazza che con il suo post sul Forum ha fatto partire il caso chi fosse l'ente promotore del suo stage. Ma la risposta è sorprendente: «Non lo so, e non so nemmeno se ce ne fosse uno» è quel che sostiene Marta F., raccontando di non aver firmato nessun documento né prima né durante lo stage. A certificare il suo rapporto con la società ci sono solo le mail inviate dai responsabili e l'attestato finale [nella foto in basso]. È vero che la convenzione non va per forza controfirmata dallo stagista, e quindi potrebbe esistere senza che Marta ne avesse mai vista una copia, ma il fatto che invece nessun progetto formativo sia passato per le mani della stagista fa venire il sospetto che il tirocinio non abbia proprio nessuna pezza d'appoggio. A maggior ragione perché Marta assicura di aver letto l'annuncio sul sito di Jobsoul (annuncio che però è al momento irrintracciabile) ma di non aver fatto domanda per loro tramite, essendo laureata da più di dodici mesi e non potendo dunque prendere parte a uno stage in convezione con un'università. È lei stessa a spiegare di aver scavalcato i servizi del portale, facendo domanda direttamente alla casa editrice. Dunque l'università in questo caso non c'entra. E neppure Jobsoul, i cui referenti spiegano di «non aver mai ricevuto finora segnalazioni ma anzi di essere disponibili ad accoglierne proprio per prevenire comportamenti aziendali poco etici». È chiaro dunque che il sito di placement post-universitario in questo caso è stato un mero tramite tra università e azienda. A questo punto la Repubblica degli Stagisti si è messa alla ricerca. E ha rintracciato solo una università che ammette di aver attivato stage presso Curcio a favore di propri studenti o neolaureati. Si tratta di Tor Vergata: Caterina Bagni, responsabile dell'ufficio stage della facoltà di Lettere di Tor Vergata, riconosce dopo molto insistenze che il suo ufficio ha attivato due tirocini, «uno didattico curriculare e uno post laurea» con la Curcio Editore negli ultimi sei mesi. E siccome chi rende lo stage legale e lo promuove - gli enti promotori - è obbligato a stilare un progetto formativo, a indicare un tutor (in totale devono essere due, insieme a quello dell'ente ospitante) e a garantire un'assicurazione, la Repubblica degli Stagisti ha chiesto alla Bagni se fosse a conoscenza delle irregolarità riscontrate dalla redazione. La risposta «È tutto secondo le procedure previste a norma di legge e corredato dagli atti ufficiali necessari», purtroppo, suona un po' ponziopilatesca: «Vanno fatte denunce in casi come questi ed è l'ispettorato del lavoro a muoversi». Ma su una cosa la Bagni sente di mettere la mano sul fuoco: «I tirocini che noi attiviamo sono in presenza» e non da casa. Eppure.Tutte le altre università romane si tirano fuori dalla questione, dichiarando di non aver mai promosso negli ultimi mesi tirocini presso la Curcio. A Roma Tre, che ha un ufficio stage centralizzato, la responsabile Marina Mariantoni è sicura: «Mai attivato stage con questa azienda». Anzi: «Se ci sono queste irregolarità, i ragazzi vengano a lamentarsi da noi». Una convenzione con la Curcio loro ce l'hanno, come si evince da una ricerca sul sito Jobsoul: probabilmente però finora non sono mai partiti progetti di tirocinio. E la Sapienza? Niente neppure su questo fronte. Dice Simona Tortora dell'ufficio stage di Lettere: «Non ho mai attivato stage con questa società». E però rilancia: «I ragazzi si devono pure aiutare da soli e se hanno problemi con l'ente ospitante lo devono dire. Certo è che se si muovono senza dietro un'università lo fanno a loro rischio e pericolo». E alla domanda sui provvedimenti che prenderebbe in caso di segnalazioni negative è sicura: «Io me lo segno così quando mi arriva il progetto formativo chiamo e chiedo. E in caso non mi convinca non lo approvo». Neppure le università private ne sanno qualcosa: né Luiss («Noi non ne sappiamo nulla») né Lumsa («Sono molto rigida» dice alla Repubblica degli Stagisti la responsabile dell'ufficio stage Raffaella Mecangeli «se so di casi del genere io li elimino»).  Ma l'elenco dei possibili enti promotori è lunghissimo. Ci sono innanzi tutto i centri per l'impiego, alcuni dei quali - contattati dalla redazione - hanno deciso di non collaborare trincerandosi dietro lo schermo della privacy. «Non sono notizie che possiamo dare così» riferiscono dal cpi di Primavalle, dimenticandosi forse di essere un ente pubblico e che la richiesta non riguarda dati sensibili come nomi e cognomi dei partecipanti ai progetti, tale da poter sollevare questioni di riservatezza. La stessa reazione dal cpi di Roma Tre: «Noi non forniamo questi dati» chiudono dal centralino. E anche Sportello Stage, ente no profit (ma a pagamento per le aziende), si chiude a riccio sulla domanda: «C'è la privacy, ma mandateci una mail». A cui però non arriva risposta. La Repubblica degli Stagisti sente anche Porta Futuro, e la referente Giorgia Cianfirglia si tira subito fuori: «Da quando abbiamo aperto non ci siamo mai occupati di stage con la Curcio». Un coro unanime di no, insomma. Ma allora chi sono gli enti promotori di questi stage? Esistono? Saperlo con certezza è impossibile perché si dovrebbero contattare singolarmente gli enti che potrebbero ricoprire questo ruolo, che spaziano dal pubblico al privato e sono potenzialmente centinaia. Oppure bisognerebbe parlare con tutti gli stagisti assegnati finora al progetto Curcio-Microsoft e sapere da loro se hanno firmato progetti formativi e per conto di chi. Ma con Repubblica degli Stagisti si è fatto avanti finora una sola ex stagista. L'ultimo tentativo è chiederlo direttamente al soggetto ospitante in questione: e cioè la Armando Curcio Editore. Dalla vicepresidente Siciliano arriva una conferma generica - l'esistenza di convenzioni con Roma Tre e Tor Vergata - ma non il dettaglio rispetto ai 15 stage in questione. Dunque il dubbio resta: sono stati tutti regolari, muniti di convenzione, progetto formativo e copertura assicurativa i 15 tirocini realizzati alla Armando Curcio Editore negli ultimi mesi? Oppure si è tralasciato questo passaggio? Ilaria MariottiPer saperne di più su questo argomento, leggi anche:  - Stagisti-correttori di bozze alla Armando Curcio Editore: il «lavoro» è da casa e senza rimborso- Stagisti in massa (e da casa loro) alla Curcio, la vicepresidente: «Formazione di base»E anche: - La responsabile didattica del master della Cattolica: «Aziende selezionate sulla base di criteri di serietà della formazione»- Problemi con lo stage: vanno segnalati subito all'ente promotore

Nel mondo delle start-up la questione meridionale non esiste

Da Cagliari a Catania passando per Salerno: Startupper viaggia verso Sud per raccontare la storia di tre acceleratori d'impresa. E spiegare come l'ecosistema sembri non conoscere alcuna questione meridionale. Anzi, ci sono aziende che dal Nord sono scese nel Mezzogiorno per essere incubate.È successo in Sardegna dove la milanese Eximia, start-up che si occupa di prodotti legati alle radio frequenze, ha scelto di crescere all'interno di The Net Value [a destra il logo]. Per non parlare di Daniele Calabrese che, dopo aver lavorato alla Banca mondiale, si è trasferito a Cagliari per dare vita a Soundtracker. E del resto per le tecnologie legate al digitale il capoluogo sardo rappresenta un terreno molto fertile: qui all'inizio degli anni Novanta nacque CRS4, centro di ricerca voluto dalla regione e coordinato dal premio Nobel Carlo Rubbia. Una realtà che ha favorito nel 1994 la nascita di Video on line, uno dei primi provider italiani e di Tiscali nel gennaio del 1998.Ed è stato proprio uno dei cofondatori di questa azienda, Mario Mariani, a dare vita nel 2009 a The Net Value. «Potrà apparire singolare, ma in questo territorio ci sono bravi sviluppatori, competenze diffuse e anche l'opportunità di avere dei finanziamenti», spiega Roberto Massa, membro del team di TNV. «Per quanto ci riguarda», aggiunge, «noi accompagniamo le start-up lungo il percorso di crescita». I servizi offerti, in cambio di un ingresso come soci di minoranza nel capitale sociale, vanno dall'aiuto nella selezione del personale alla consulenza sotto il profilo commerciale. Oltre al mentorato offerto da alcuni imprenditori italiani e stranieri. «Noi vogliamo dare una dimensione internazionale alle nostre aziende e anche per questo abbiamo scelto di avere un sito esclusivamente in lingua inglese». Sono circa una trentina i progetti passati attraverso questo acceleratore, che attualmente incuba 17 aziende.Sono invece tre quelle che hanno trovato spazio all'interno di 56Cube [nella foto sopra il logo], progetto lanciato alla fine di ottobre dello scorso anno a Fisciano (Salerno) da Digital Magics, incubatore milanese che ha scelto la Campania per espandere la propria attività. E lo ha fatto stringendo un accordo di collaborazione con l'università di Salerno, che mette le proprie competenze a disposizione degli startupper. Nato per contribuire allo sviluppo di imprese innovative nel settore Internet, 56Cube svolge un doppio ruolo: da un lato è venture capitalist, garantisce cioè un primo finanziamento alle start-up, dall'altro è incubatore, nel senso che offre una serie di servizi alle aziende che ospita e le accompagna nella ricerca di capitali ed investitori privati. «Ci rivolgiamo a tutti i creatori del Sud Italia che abbiano un'idea innovativa e vogliano fare impresa nell'economia digitale», spiega il fondatore e amministratore delegato Gennaro Tesone, «grazie alle competenze condivise con l'Università di Salerno e Digital Magics saremo in grado di sviluppare modelli di business di successo».Partirà invece tra aprile e maggio l'incubatore lanciato da StartupCT, la realtà voluta dai giovani della Confindustria catanese per favorire lo sviluppo di nuove imprese. Nato come realtà informale la scorsa estate, grazie ad una collaborazione con Indigeni digitali e l'incubatore universitario Youth Hub, «si è occupato di attività di animazione del territorio. Ora però ci prepariamo ad un passo importante», spiega Antonio Perdichizzi, presidente dei giovani imprenditori etnei. Il riferimento alla nascita del vero e proprio acceleratore d'impresa, che nascerà in collaborazione con il progetto Working Capital di Telecom Italia. Una sinergia che cresce in un territorio che si dimostra molto fertile: due delle aziende che saranno incubate hanno infatti già trovato un finanziamento. La prima è Flazio, che ha ricevuto 280mila euro da un fondo privato e 120mila da alcuni imprenditori catanesi, la seconda è AppsBuilder, fondata da startupper di Torino e Milano che in Sicilia hanno però trovato un investimento pari a 1,5 milioni di euro.«Crediamo fortemente che sul tema della creazione d'impresa, nei settori giusti, la nostra regione possa giocarsi le sue carte alla pari di altri territori», spiega Perdichizzi. Convinto che l'ecosistema sia in grado di superare tutti gli ostacoli che un'azienda possa incontrare da queste parti. «Noi andiamo nelle scuole a parlare ai ragazzi e ci sentiamo dire che la burocrazia e la legalità sono dei vincoli. Ma le start-up li superano tutti: sul digitale la burocrazia non è così perigliosa e oggi la mafia non colpisce i social network. E per quanto riguarda il credito, come insegnano tante storie di successo, si può partire da zero ma i fondi per sostenere le buone idee si trovano». Indipendentemente dal fatto che un'azienda nasca nella Silicon Valley, in val padana o alle pendici dell'Etna.Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi saperne di più sugli incubatori di impresa? Leggi anche:- Aspiranti imprenditori, una pizza è l'occasione per partire- H-Farm. Boox e Nanabianca, un'«alliance» per sostenere le start-up- Milano capitale delle start-up grazie a Polihub e Tag MilanoVuoi conoscere alcune storie di start-up? Leggi anche:- L'artigianato si vende in Rete grazie alla startup fiorentina Buru-Buru- Solwa, la start-up padovana che purifica l'acqua con l'energia solare- Dalla Romania a Torino per diventare startupper. E italiano- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa

Confrontare online i preventivi degli artigiani: l'idea di tre amici emiliani è «Fazland»

Una piattaforma che permette agli utenti di raccogliere preventivi per vari tipi di servizi, dai lavori in casa  e in giardino fino alle riparazioni. «Una piazza virtuale che fa incontrare domanda e offerta tra privati e professionisti in settori che oggi sono solo marginalmente toccati da internet: elettricisti, idraulici, imbianchini, meccanici, giardinieri, imprese di pulizie e di traslochi, palestre, fotografi, noleggi bus. Fazland si propone come la terra di chi cerca il valore, e di chi emerge per il merito», spiegano i tre fondatori Alessandro Iotti, Giovanni Azzali e Vittorio Guarini, reggiani, 30 anni il primo, 31 gli altri, che all'inizio di aprile hanno lanciato la versione definitiva del loro sito. Per sviluppare il progetto, due di loro hanno lasciato contratti a tempo indeterminato, in grandi gruppi e con ottime possibilità di carriera; un altro sta passando a un part time. Amici alle superiori («giocavamo insieme a calcio»), percorrono per anni tre strade diverse. Alessandro e Giovanni  prendono insieme la laurea triennale in Economia, reti e informazione all’università di Reggio Emilia. Dopo, il primo si sposta per la specialistica alla Business school di Aarhus, seconda città della Danimarca e alla fine degli studi viene assunto da Siemens nella vicina Brande come sales manager: «Mi occupavo di vendere parchi eolici costruiti al largo delle coste. Dopo un anno ho ottenuto la promozione e a gennaio 2012 sono stato trasferito a Londra». Giovanni prosegue l’università in Emilia, affiancando il lavoro a corsi ed esami: «Subito dopo il diploma ho iniziato a insegnare informatica nell’istituto tecnico che avevo frequentato. In questo periodo sto preparando la tesi, dedicata proprio a Fazland». Vittorio si laurea invece in Ingegneria gestionale a Reggio Emilia e nel 2006 entra in Accenture come project manager: «Mi sono occupato di consulenza direzionale per grandi società del settore media e telecomunicazioni. Ho lavorato due anni a Londra, uno a Lisbona e uno a Madrid». L’idea del sito viene una sera a Alessandro, mentre è in pub in Danimarca con un amico, alla fine dell’estate di due anni fa: «Come tutte le idee migliori, è nata davanti a una birra», scherza. «Il mio amico doveva far riparare l’auto, ma conosceva poco la lingua e aveva paura di prendere una fregatura. La prima lampadina mi si è accesa lì, poi ne ho parlato con Vittorio e Giovanni. Vivevamo lontani, ma ci era sempre rimasta l’idea di fare qualcosa insieme. Ne riparlavamo ogni estate, quando ci rivedevamo durante le vacanze».Dopo un anno di ricerche di mercato, sondaggi, interviste e lancio di una versione sperimentale del sito, la decisione: «A fine 2012 ci siamo resi conto che il progetto era arrivato a una svolta: o decidevamo di dedicarci completamente a Fazland, oppure abbandonavamo il nostro sogno». Così, a febbraio 2013 Alessandro ha lasciato Siemens e Londra per tornare con la moglie incinta a Reggio Emilia; Vittorio si è licenziato da Accenture e Giovanni dal prossimo anno scolastico chiederà di lavorare part time. Una decisione radicale, ma, sintetizza Vittorio, «presa consapevoli delle potenzialità del progetto. A un certo punto la vera domanda non era più “Perché farlo?”, ma “Perché non farlo?”».La versione definitiva del sito è stata preceduta da una lunga fase di ricerca e sviluppo in cui i tre fondatori hanno investito circa 20mila euro dei loro risparmi. «Per prima cosa abbiamo contattato 80 aziende tra Reggio Emilia, Padova e Pescara, aree scelte con l'obiettivo di testare tre province medie del nord e centro Italia. Abbiamo avuto un primo riscontro positivo, visto che l’85% degli intervistati si è detto interessato alla nostra idea. Nei primi sei mesi del 2012 ci siamo quindi dedicati a realizzare, insieme a un team di sviluppatori, la prima versione del sito. Fazland 1.0 è stato testato da cento professionisti, dai quali abbiamo cercato di raccogliere osservazioni sulle criticità del sito. Abbiamo anche condotto un sondaggio tra potenziali utenti, per capire cosa dovevamo migliorare». L’edizione beta stata lanciata per ora in quattro città del centro-nord: Torino, Brescia, Firenze e Bologna. In Italia e in Europa ci sono già servizi on line di raccolta e confronto dei preventivi, ma hanno meno funzionalità rispetto a Fazland: «È l’unico a offrire un percorso guidato, in modo da garantire la massima precisione nella richiesta da parte dei clienti, che possono anche caricare foto, per esempio della parete da dipingere o del giardino da far sistemare. Anche i professionisti possono inserire certificazioni di cui sono in possesso, o immagini di lavori fatti in precedenza». Gli utenti hanno anche la possibilità di stilare una classifica delle varie offerte ricevute: «I professionisti vedranno l’ordine di preferenza e saranno stimolati a migliorare e rilanciare la propria proposta». I clienti potranno anche lasciare commenti sugli operatori, in merito a puntualità, coerenza tra prezzo e preventivo, qualità e chiarezza nella comunicazione: «Se un elettricista o un meccanico non ci danno un buon servizio, fino ad oggi potevamo dirlo ai vicini o agli amici. Questo sistema, che consentirà a tutti di leggere i feedback online sul modello di eBay, scoraggerà comportamenti opportunistici e scorretti da parte dei professionisti».  Un complesso meccanismo che cerca di facilitare l'impresa di far riparare l'auto o imbiancare casa a un buon prezzo, ottenendo allo stesso tempo prestazioni di buona qualità: «Il nome nasce da un personaggio immaginario che rappresenta il bisogno stesso che abbiamo individuato nel mercato: il Faz è chi cerca o chi vende servizi, “pazzo” perché insoddisfatto. È una mascotte che useremo nelle azioni di social media marketing».L’iscrizione per utenti e imprese è gratuita: «Non ci sono costi fissi. Se ci si aggiudica un lavoro grazie al nostro servizio, Fazland trattiene dall’impresa una quota che va dal 5% al 7% del totale del preventivo». Ma nel Paese dei lavoretti in nero, il sito riuscirà a rendere artigiani e professionisti più onesti? La piattaforma, spiegano i suoi ideatori, «non gestendo le transazioni cliente-professionista, ma solo la  provvigione dal professionista, non ha strumenti per disincentivare direttamente il nero. Ovviamente ci poniamo a favore di chi rispetta le regole del bene comune e la transazione tra noi e i professionisti è assolutamente trasparente e comprensiva delle imposte vigenti».La srl è nata ufficialmente a ottobre 2011 e a febbraio scorso è stata registrata anche come start up innovativa, in accordo con il decreto Sviluppo. Nei prossimi mesi i tre soci procederanno su due strade: far iscrivere più persone possibile e trovare finanziatori. «Abbiamo già in programma la partecipazione a fiere di settore per far conoscere il nostro servizio e stiamo dialogando con le associazioni di categoria, che potrebbero trarre un vantaggio dalla partecipazione a Fazland dei propri affiliati. Sul versante investimenti, siamo in contatto con diversi business angel e venture capitalist: adesso iniziano i 12 mesi decisivi». Veronica Ulivieri Vuoi conoscere altre storie di start-up? Leggi anche: - Il matrimonio diventa low-cost grazie alla start-up siracusana Progetto Wedding- L'artigianato si vende in Rete grazie alla startup fiorentina Buru-Buru- Solwa, la start-up padovana che purifica l'acqua con l'energia solare- Dalla Romania a Torino per diventare startupper. E italiano- Tiny Bull Studios, la start-up che guarda al futuro dei mobile game- Tekné Italia, quando la tradizione si fa start-up- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa

L'Abruzzo investe 9 milioni per le start-up: la speranza sta nell'innovazione

Un fondo di rotazione da 9 milioni di euro per finanziare start-up innovative in Abruzzo. Lo ha lanciato la Regione tramite Fira, finanziaria che fa capo al Palazzo dell'Emiciclo, e in collaborazione con la Banca popolare di Lanciano e Sulmona e le Casse di risparmio delle provincie di L’Aquila, Chieti, Teramo e Pescara. Si chiama StartHope e dallo scorso 16 aprile ha iniziato a raccogliere le candidature da parte delle giovani imprese.Come per la definizione di start-up innovativa contenuta nel decreto Passera, non si guarda all'età degli startupper, ma a quella della loro azienda: possono infatti presentare domanda quelle imprese costituite da non più di 48 mesi in cui la maggioranza del capitale è detenuto da persone fisiche. Oppure quei gruppi che abbiano un progetto senza avergli ancora dato una forma giuridica, ma si impegnino a farlo entro 60 giorni dall'accoglimento della candidatura. Altro vincolo di natura burocratica, quello di avere sede operativa in Abruzzo o comunque di essere disposti a trasferirla all'interno dei confini regionali nei due mesi successivi alla firma del contratto con Fira.Questo fondo si impegna infatti ad entrare nel capitale sociale delle start-up che saranno ammesse, per una quota compresa tra il 15 ed il 45% ed un investimento massimo di 1,5 milioni di euro per ciascuna impresa. Tecnicamente le tipologie di intervento previste dal bando StartHope, le modalità con cui questo fondo si propone di sostenere le start-up, sono tre. La prima è quella del seed capital, l'investimento più rischioso: quello concesso nella fase iniziale di definizione del progetto aziendale. Poi c'è lo start-up capital, un finanziamento a realtà che si affacciano sul mercato ed hanno bisogno di una “spinta” per sviluppare e commercializzare il loro prodotto. Infine Fira può decidere di dedicarsi all'expansion capital, investendo in un'azienda che è già attiva ed è prossima al raggiungimento del punto di pareggio o addirittura in grado di produrre utile. In questo caso, il capitale aggiuntivo garantito attraverso i 9 milioni di questo fondo di rotazione servirà ad aiutare le imprese a conquistare nuove fette di mercato.Quali saranno però i criteri sulla base dei quali saranno selezionate le start-up ammesse al finanziamento? Il bando afferma che gli interventi dovranno essere «strumentali» rispetto ad alcune «finalità», come l'innovazione di prodotto o servizio in settori ad alta conoscenza, il miglioramento dei metodi produttivi o distributivi, l'innovazione organizzativa e lo sviluppo sperimentale, il trasferimento tecnologico dalla ricerca alla produzione. All'atto pratico, nella valutazione delle richieste di finanziamento il fondo terrà conto di elementi come la rilevanza tecnico-scientifica delle proposte e il loro grado di innovazione, ma anche la possibilie ricaduta in termini di occupazione.Una volta accolta la domanda - sono più di 150 quelle già presentate dall'apertura del bando - al momento del finanziamento verranno sottoscritti dei patti parasociali che dovranno definire le modalità di governance dell'azienda, ma soprattutto chiarire i meccanismi di disinvestimento. Il sostegno di Fira infatti non potrà durare più di cinque anni, trascorsi i quali le (ormai ex) start-up verranno accompagnate nella fase del cosiddetto go to market: la ricerca di nuovi soci di capitale piuttosto che della piena autosufficienza economica.«Abbiamo scelto di investire in queste realtà perché il mondo sta cambiando: da parte pubblica non basta più il finanziamento, ma serve l'investimento: occorre selezionare buone idee e progetti che crescano e permettano di far rientrare i soldi, così che possano essere utilizzari per finanziare nuove imprese», spiega Rocco Micucci [nella foto a destra], presidente della finanziaria che fa capo alla Regione. I 9 milioni del fondo di rotazione arrivano dal bilancio di Palazzo dell'Emiciclo, ma il modello di gestione è ritagliato su quello delle società di venture capital. «Se non avessimo dato un taglio privato il progetto non avrebbe funzionato. Noi vogliamo far diventare l'Abruzzo una terra attrattiva per le start-up, vogliamo attrarre menti brillanti da Nord e da Sud, dai Balcani e da tutto il bacino del Mediterraneo». E anche la scelta del nome del progetto va in questa direzione: «l'obiettivo era quello di riaccendere la speranza, dare un segnale positivo e cominciare a credere nella crescita. In pochi giorni, però, abbiamo ricevuto oltre 150 candidature. Con questi numeri possiamo passare dalla speranza alla fiducia nel fatto che il futuro dipenda da noi».Riccardo Saporitistartupper@repubblicadeglistagisti.itVuoi conoscere altre iniziative di sostegno alle start-up? Leggi anche:- Al via Wind business factor 2013, il campionato italiano delle start-up- Non solo mele, con TechPeaks a Trento si coltiveranno anche start-upVuoi conoscere altre storie di start-up? Leggi anche:- Il matrimonio diventa low-cost grazie alla start-up siracusana Progetto Wedding- L'artigianato si vende in Rete grazie alla startup fiorentina Buru-Buru- Solwa, la start-up padovana che purifica l'acqua con l'energia solare- Startupper, nuova rubrica della Repubblica degli Stagisti dedicata ai giovani che creano impresa