“Le risorse umane”, appunti per una filosofia critica dello stage
Coaching, counseling, fattore umano, valorizzazione, innovazione. Sono alcuni dei termini chiave nel campo delle risorse umane, ma oggi fanno parte anche del linguaggio quotidiano della generazione flessibile, alle prese continue con cv, selezioni e colloqui. Insomma, se nell’800 la lettura del giornale era definita la preghiera dell’uomo moderno, oggi la versione 2.0 della confessione non sarebbe altro che il colloquio di lavoro, momento clou della vita, non solo professionale. A sostenerlo è Massimiliano Nicoli nella sua dissertazione filosofica intitolata Le risorse umane (Ediesse editore, collana I fondamenti, 240 pagine, euro 12). Nel ricostruire la storia e i fondamenti concettuali dello Hrm (human resource management) l’autore, ricercatore all'università di Parigi X-Nanterre e fra i curatori del Laboratorio di filosofia contemporanea, fornisce un’interessante chiave di lettura per riti e abitudini che per la generazione degli stagisti e dei precari sono diventati pane quotidiano: la revisione continua del curriculum vitae, compilare i fogli per la valutazione e l’autovalutazione, imprimere il proprio feedback, integrarsi e costruire relazioni all’interno del potenziale ambiente lavorativo.Sulla metafora della confessione dice l'autore alla Repubblica degli Stagisti: «Non so se si possa spendere propriamente questa parola per i rituali del colloquio e della valutazione nelle aziende, ma credo che il management delle risorse umane rappresenti una scena in cui gli individui sono invitati a entrare in un certo rapporto con se stessi, come soggetti di performance e di competenze continuamente da migliorare e aggiornare, magari attraverso una serie infinita di stage... È ciò che nel libro definisco “il divenire impresa della soggettività”, cioè l'adeguamento della propria forma di vita alla forma stessa dell'impresa».Tutto, come nella quotidiana e banale ricerca dell’impiego, parte dal curriculum, che nel libro viene definito «pratica che nasce nel 1894 negli Stati Uniti e diviene il formato par excellence della narrazione scritta della propria vita, si passa attraverso colloqui e interviste, test psico-attitudinali e di personalità, per arrivare a una varietà di prove, simulazioni, giochi, individuali o di gruppo di tipo situazionale. L’ obiettivo è scoprire i tratti della persona che non si leggono nel curriculum».Secondo l’autore, valutare costituirebbe una delle azioni chiave della società attuale, costruita sull’ imperativo della flessibilità: lo sa bene chi, senza deciderlo, cambia lavoro o stage con grande frequenza e si sottopone di continuo a colloqui e ogni forma d’intervista, partecipa a bandi e concorsi, con la speranza di possedere tutte le caratteristiche richieste, non solo a livello professionale, ma emotivo e psicologico. Oggi tutti ripetono quanto la componente psicologica dell’individuo assuma un’importanza fondamentale nel mondo del lavoro. «Questa nuova forma di organizzazione rende obsoleti i modelli di gestione del personale ereditati dal passato» spiega Nicoli «per cui la risorsa umana è soggetto passivo e impone un modello in cui le persone entrino in maniera costitutiva e non solo strumentale nella definizione del vantaggio competitivo».Come sanno bene le partite Iva, oggi ogni individuo è “s.p.a. di se stesso” per cui il valutatore professionale non solo richiede che il candidato svolga perfettamente la mansione richiesta, ma cerca di scoprire se gli obiettivi di vita, relazionali, i valori e le aspettative del valutato coincidano con quelle dell’azienda o del sistema lavorativo che il valutatore rappresenta. In questo modo può ottenere la massima fedeltà, dedizione e diminuire il rischio di conflitto o di abbandono dell’azienda. Ci si chiede, anche nei forum di questa testata, perché molti stagisti accettino di lavorare gratis o pagare uno stage perché “fa curriculum”. Ecco la risposta fornita nel libro: «La mediazione fra obiettivi strategici aziendali e fini personali degli attori della produzione passa attraverso il primato degli “incentivi non materiali” in termini di gratificazione morale, agio riconoscimento». Dunque, a fronte di un coinvolgimento psicologico sempre maggiore degli individui, nella società flessibile in cui diventa sempre più difficile stabilire gli spazi e il tempi da dedicare al lavoro (piuttosto che al resto), verrebbero meno le garanzie giuridiche, che hanno toccato il massimo avanzamento all’epoca del welfare state, in cui la parola chiave era “stabilità”. Il nuovo ambiente lavorativo, definito metaforicamente greenfield, è fuori dai contesti “stabili” delle grandi lotte sindacali: è un terreno vergine su cui di deve costruire una nuova cultura d’impresa, con l’assenso del territorio, della popolazione e delle istituzioni. Ed è su questa logica che nel greenfield si preferisce insediare «generalmente popolazione giovanile, scolarizzata e priva di esperienze lavorative» sostiene Nicoli: «il profilo sul quale meglio si innestano i processi di trasferimento dei valori e della cultura aziendale attivati dalle tecniche di gestione delle risorse umane».Leggendo Le risorse umane sembrerebbe che i destinatari ideali del nuovo sistema d’organizzazione aziendale siano proprio gli stagisti, alle prese con una lunga giovinezza fatta di studi, relazioni, viaggi ed altri tipi di esperienze, tutti utili alla costruzione del curriculum vitae. In questa condizione, professionale e psicologica, ci si dedica, con grande passione e dedizione, ad accumulare esperienze, conoscenze e qualifiche, ma sempre restando soltanto alla porta d’ingresso del mondo del lavoro.Su questa riflessione conferma l'autore: «Lo stage è per definizione un'esperienza formativa, o per lo meno lo dovrebbe essere. L'idea e la pratica dello stage “permanente” comportano il fatto che si è sempre in formazione, non si è mai formati - come i bambini. In questo senso, lo strumento dello stage, attraverso il suo abuso, diventa il dispositivo giuridico che mantiene il - giovane - lavoratore in uno stato di "minorità" professionale. L'effetto del suo uso eccessivo è la produzione di un sentimento di un “debito” incolmabile - di formazione e di esperienza - che rende lo stagista un soggetto particolarmente vulnerabile sul piano della consapevolezza di propri diritti». Silvia Colangeli