Quali chance dopo medicina? Viaggio nelle specializzazioni più appetibili

Maura Bertanzon

Maura Bertanzon

Scritto il 06 Giu 2015 in Approfondimenti

Chissà se Ippocrate si iscriverebbe a medicina oggi. A guardare nel complesso il rapporto Almalaurea 2015, il futuro sembra roseo: a cinque anni dalla laurea, il tasso di occupazione viaggia oltre il 95%, con uno stipendio netto medio di 1700 euro. Tra i neo-medici, però, una quota pari al 67% è composta da laureati in formazione retribuita attraverso borsa di studio. Ovvero, dagli specializzandi. Senza la specializzazione, infatti, si può fare ben poco: guardie mediche e sostituzioni di medicina generale per lo più. Per decidere dove impegnare altri cinque (a volte sei) anni di formazione, quindi, non guasta avere un'idea di quali saranno i settori che richiederanno più professionisti nei prossimi anni. 

Università e associazioni di categoria sono concordi nelle previsioni: medicina generale, geriatria, urologia, ginecologia, rianimazione e specialità chirurgiche. Di nuovo, specialità legate soprattutto all'evoluzione anagrafica della popolazione, ma anche al cambiamento delle tecnologie. «Si chiederanno sempre più prestazioni territoriali, in ambito ambulatoriale», osserva Giorgio Bellomo, presidente della Scuola di Medicina dell'università del Piemonte Orientale (nella foto a sinistra) il migliore ateneo d’Italia dove studiare medicina, secondo l’ultima classifica Censis. «In più, la medicina in sé sta cambiando molto, soprattutto nelle tecniche chirurgiche. Quello che ieri non si poteva fare che in ospedale, oggi è diventata magari attività da ambulatorio». Cambia la società, cambia la tipologia di prestazioni: una popolazione sempre più anziana richiede un’assistenza sempre più diffusa sul territorio per far fronte all’aumento di malattie croniche o a esigenze di riabilitazione. «I miei specializzandi trovano lavoro ancora prima di finire», spiega non a caso Mauro Zamboni, direttore del corso di Medicina e della specializzazione in Geriatria all’università di Verona (al sesto posto per medicina nella classifica Censis ma in vetta alla classifica per infermieristica). Entrambi gli atenei mettono al centro una didattica improntata sull’esperienza pratica (dalle attività in reparto ai laboratori), grazie anche a numeri molto contenuti (95 studenti per ogni anno di corso all’università del Piemonte Orientale, 180 nell’ateneo veronese). 


Al momento di scegliere la specializzazione le variabili, però, si complicano, perché la vocazione dei neo- o futuri medici deve fare i conti anche con l'organizzazione del sistema sanitario e con la pianificazione dei percorsi formativi. E qui si alza l'allarme delle associazioni di categoria, che temono l'esplosione di precari e disoccupati da qui ai prossimi anni. Perché l’accesso a medicina è sì a numero chiuso, ma il numero di matricole ammesse, e quindi dei futuri laureati, è comunque molto superiore al numero di borse di specializzazione erogate dallo Stato e, in minima parte, dalle Regioni. Se l’accesso alla professione resta di fatto legato al completamento della specializzazione, si forma quindi un imbuto, che rischia di creare un limbo sempre più grosso di laureati che non riescono a specializzarsi: «Le borse di specializzazione, nell'ultimo anno, sono state circa 4mila, a fronte di un ingresso annuo a medicina fissato a 10mila matricole. Il tasso di laurea è alto, tra l'80 e il 90%. E a loro bisogna aggiungere circa 9mila persone che hanno vinto i ricorsi», dice Domenico Montemurro, consigliere nazionale di Anaao Giovani

 (nella foto a destra). La cronaca infatti racconta una pioggia di ricorsi dopo le irregolarità nei test di accesso a medicina di aprile 2014 e di altrettante proteste a causa degli errori contenuti nelle prove scritte per l’accesso alla specializzazione dell’ottobre scorso. Le borse per il 2015 saranno di più, ma non troppo: 6383 in tutto, secondo il bando ufficiale per le selezioni uscito a fine maggio (qui il link al numero di posti suddivisi per tipologia di specializzazione). Le prove di ammissione si svolgeranno dal 28 al 31 luglio. 

L’imbuto, in ogni caso, potrebbe fermare migliaia di laureati: saranno poco più di 11mila quelli bloccati alle soglie della specializzazione nell'anno accademico 2019/2020, secondo le stime di "Medici senza futuro", comitato di cui fa parte il Segretariato italiano giovani medici (Sigm), e che l'anno scorso aveva lanciato una petizione per incrementare le borse di specializzazione, ridotte da 5000 a 3500 nel 2014. Anche Walter Mazzucco, presidente di Sigm, parla di «gravi errori di programmazione», soprattutto rispetto a un sistema ancora troppo "ospedalocentrico": «Non si tiene conto dello spostamento del bisogno di salute dall'ospedale al territorio e non riusciamo a fare previsioni precise sui bisogni futuri. In più, le nuove tecnologie stanno cambiando le competenze richieste ai medici. Abbiamo troppi specialisti, ma poco attuali». 

A complicare il nodo della specializzazione, la capacità di assorbimento da parte del sistema pubblico: «Continua ad esserci il blocco del turnover. Secondo un nostro sondaggio, il contratto a tempo indeterminato si ottiene intorno ai 40 anni. Nel frattempo, abbiamo 6mila persone, forse anche di più, che lavorano con contratti precari. Non vengono assunti dalle aziende regionali, che puntano a tenere i bilanci in ordine, mentre i pensionamenti sono comunque 6mila all'anno», spiega Montemurro. «Sono precari che si arrabattano: non abbiamo dati precisi, ma se le borse di specialità arrivano anche a 1800 euro netti, i contratti da precario scontano un salto anche a 20-30mila euro lordi l'anno». 


Ma i medici che non trovano spazio nel pubblico o negli studi privati spesso si trovano a collaborare con le cooperative sanitarie: enti che prendono in appalto la gestione di servizi ospedalieri, fornendo in cambio personale medico. «Spesso sono contratti da liberi professionisti con partita Iva. Ma siamo di fronte ad un sottobosco ancora non mappato. L’esternalizzazione è un fenomeno molto in crescita, presente in tutto Italia. A volte con risvolti illegali: servizi assistenziali come la dialisi o le emergenze-urgenze non potrebbero essere appaltati all’esterno. Eppure succede», spiega Montemurro.

A questo punto, quali i consigli per scegliere una specializzazione? «Pensare alla continuità territoriale, alla possibilità di lavorare in ambulatori specialistici e strutture convenzionate. E cercare opportunità anche all'estero», dice Montemurro. «Mancano geriatri, urologi, cardiologi, ma anche molti medici generalisti. Ma qui c' è un problema di prospettive di carriera. Non è un caso se abbiamo il flusso di medici in uscita più alto d'Europa, dove a 35 anni puoi essere primario», specifica Mazzucco. Secondo i dati sulla mobilità geografica dei professionisti diffusi a ottobre 2014 dalla Commissione europea, infatti, su 100 dottori in medicina che lasciano il paese d’origine in Europa, ben 52 sono italiani. Meno drastico, però, il professor Bellomo: «Non mi preoccupa più di tanto l'incertezza sul posto fisso. L'importante è che ci sia la possibilità di mobilità. I contratti di oggi sono una sfida, un incentivo a muoversi». Fare il medico conviene ancora? «Sì, certo», dice Bellomo. «Agli studenti che mi chiedono consigli su quale specializzazione convenga di più, rispondo con una domanda: perché hai scelto di fare medicina? Chi sceglie di diventare medico è perché lo vuole a tutti i costi. La mia non è una posizione romantica. Fare medicina non è una questione di convenienza, ma di convinzione». 

Maura Bertanzon 

@maura07


 

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