Categoria: Approfondimenti

Tirocini, nuova normativa in Molise: confermata anche la bizzarria dell'importo massimo accanto al minimo

A due anni dall’approvazione delle “Linee guida in materia di tirocini formativi e di orientamento”, la Regione Molise, nel maggio scorso, ha deliberato il recepimento della normativa. «La delibera approva la modulistica per la gestione delle linee guida recepite dalla Regione il 7 luglio 2017» commenta Pasquale Spina, responsabile dell’Ufficio tirocini regionale, «con il risultato di facilitare sia l’applicazione, ai soggetti promotori e ai soggetti ospitanti, delle norme previste nella citata delibera che il conseguente controllo». Confermate fra le altre cose l'entità del rimborso minimo e anche quella del rimborso massimo. Un aspetto, quest'ultimo, alquanto singolare – in quanto vincola le aziende ospitanti non solo a non andare al di sotto di un'indennità minima ma anche a non superare una certa soglia: una circostanza che esiste soltanto in un altro territorio, la provincia di Trento, e che sembra andare non a favore, bensì contro gli interessi degli stagisti! Per quanto non previsto dal nuovo documento la giunta regionale rimanda al Dgr 600/2013. Come appunto l’importo minimo mensile per i tirocini formativi e di orientamento, fissato a 300 euro lordi per i tirocini “part-time”, con un impegno orario di massimo 20 ore settimanali. Un importo che, come si legge nella delibera, «aumenta proporzionalmente in relazione all’impegno del tirocinante fino a un massimo di 30 ore settimanali, con un’indennità di partecipazione mensile di 450 euro». Invece per i tirocini di inserimento e reinserimento l'importo minimo è di 400 lordi per i part-time (anche qui dunque massimo di 20 ore settimanali) e aumenta proporzionalmente in  relazione all’impegno del tirocinante, fino a un massimo di 30 ore settimanali con una indennità di partecipazione di importo mensile pari a 600 euro.«Se le ore settimanali previste dal contratto collettivo applicato dal soggetto ospitante, in riferimento alle attività oggetto del percorso formativo sono superiori a 30 ore settimanali» aggiunge Spina «si deve tenere presente il criterio della proporzionalità per determinare l’indennità di partecipazione, ma non è consentito arbitrariamente aumentare l’indennità di frequenza del tirocinio. Possono essere concesse, in aggiunta all’indennità di frequenza, eventuali facilitazioni quali mensa aziendale, buoni pasto, trasporto con mezzi pubblici o altro, ma a presentazione di certificata documentazione di spesa».Anche per la durata dei tirocini si continua a far riferimento alla precedente normativa, che fissava a 6 mesi la durata massima dei tirocini formativi e di orientamento e a 12 quella per i tirocini di inserimento/reinserimento e per quelli rivolti a soggetti svantaggiati, che diventano 24 per i soggetti disabili. La durata minima del tirocinio, salvo quello estivo che non può essere inferiore ad un mese, non può essere inferiore a due mesi.Si specifica poi che il tirocinante ha diritto a una sospensione del tirocinio per maternità, per infortunio o malattia di durata pari o superiore a 30 giorni solari, nonché per chiusura aziendale della durata di almeno 15 giorni solari. Il periodo di sospensione non concorre al computo della durata complessiva del tirocinio.Il tirocinio può inoltre essere interrotto dal soggetto ospitante o dal soggetto promotore in caso di gravi inadempienze da parte di uno dei soggetti coinvolti e in caso di impossibilità a conseguire gli obiettivi formativi del progetto. Lo scorso aprile Spina ci aveva parlato del processo di introduzione di un sistema informatizzato per i percorsi di tirocinio. «Allo stato, si stanno osservando i vari sistemi delle altre regioni, come ad esempio Lazio, Emilia-Romagna e Lombardia. In ogni caso, quello dell’apprendistato è partito e, anche se in fase embrionale, non ha avuto problematiche rilevanti».Insomma, nonostante la lunga attesa, non risultano variazioni significative rispetto a quanto stabilito nell’ultima normativa regionale. Intanto in Molise, secondo i dati raccolti dal Rapporto sulle comunicazioni obbligatorie 2019, nel 2018 c’è stato un leggero aumento dei tirocini extracurriculari attivati: 2.212 rispetto ai 2.144 del 2017 e ai 2.126 del 2016. Dati che si inseriscono in un contesto di forte disoccupazione giovanile. Secondo un recente rapporto dell’Ufficio studi di Confcommercio, su 30mila giovani fra i 15 e i 24 anni, il 40,3 per cento sono disoccupati. E il tirocinio rappresenta ancora per tanti un’opportunità per uscire, almeno temporaneamente, dall’inattività. Rossella Nocca

Stage4eu, l’app per aiutare i giovani a trovare opportunità in Europa compie un anno

Aiutare i giovani a orientarsi nella giungla delle offerte di stage in Europa e gli operatori del placement, dell’orientamento e della formazione a trovare i candidati giusti. È uno degli obiettivi con cui poco più di un anno fa è stata lanciata Stage4eu, applicazione gratuita rivolta ai giovani che intendono fare un’esperienza formativa in Europa e gestita dall’Inapp, l’Istituto nazionale (che una volta era l'Isfol) per l’analisi delle politiche pubbliche  nell’ambito del Fondo sociale europeo. «Stage4eu nasce come “evoluzione digitale” del "Manuale dello stage in Europa"» racconta alla Repubblica degli Stagisti il presidente Inapp, Stefano Sacchi: «un testo che negli anni scorsi ha trovato un notevole riscontro tra gli studenti, tanto che tutte le copie delle quattro edizioni sono sempre andate esaurite in pochi mesi. Da qui l’idea di passare al digitale, realizzando un’app mobile che, oltre a permetterci di aggiornare in tempo reale i contenuti, ci consente di raggiungere più facilmente un’utenza costituita prevalentemente da giovani».L’app, disponibile sia per dispositivi Android che iOS, permette di consultare le più interessanti opportunità di tirocinio, aggiornate quotidianamente, nelle maggiori organizzazioni internazionali e aziende multinazionali. A un anno dal lancio, l’applicazione è stata scaricata da 5.300 utenti, mentre il sito è stato visitato da 44mila persone. 3.700 le offerte di stage pubblicate, mentre le mete più visualizzate e prescelte sono state Spagna, Francia, Germania e Regno Unito.Dallo stage a Ginevra, in Svizzera, per studiare il cambiamento globale presso la World Meteorological Organization al tirocinio in una multinazionale spagnola che costruisce droni di ultima generazione le opportunità sono tante e varie. Tra i profili più richiesti, spiccano le offerte nelle aree Engineering e Ict. Ma c’è una richiesta molto ampia anche di studenti e giovani laureati in materie economiche e statistiche, da inserire nel marketing, nella contabilità, nella finanza o come business analyst o data scientist. Molte le opportunità anche per chi ha intrapreso un percorso in discipline giuridiche o polititologiche, in particolare nelle organizzazioni internazionali. E ancora, ci sono offerte per figure di carattere puramente scientifico, nella chimica e nelle life sciences, e umanistico, nell’organizzazione e della gestione delle risorse umane. I due requisiti di base sono: essere studenti universitari o neolaureati e conoscere bene una delle principali lingue europee (almeno un livello B2).«Un consiglio che vorrei dare ai ragazzi è di allargare il campo delle proprie “preferenze geografiche”» dice Sacchi: «Molti vogliono fare lo stage solo in Francia, Spagna, Germania o Regno Unito, ma ci sono tantissime opportunità interessanti in molti altri paesi europei come Lussemburgo, Belgio, Paesi Bassi o Repubblica Ceca, per le quali non è richiesta la conoscenza della lingua locale».Ma come funziona l’app? Oltre allo spazio dedicato alle offerte di tirocinio, essa si sviluppa in quattro sezioni informative: Info Stage, che offre informazioni su come organizzare ed effettuare uno stage in Europa; Destinazione Europa, che contiene dritte sui principali programmi europei, le associazioni studentesche, le organizzazioni internazionali che promuovono programmi di tirocinio; Protagonisti, che riporta consigli e indicazioni riguardo gli stage europei sia dal punto di vista delle aziende, sia dal punto di vista dei tirocinanti. Infine ci sono le Schede Paese, dove vengono fornite informazioni sulla regolamentazione del tirocinio di ogni singolo stato europeo, riferimenti utili per trovare uno stage e indicazioni per il soggiorno in loco.«La funzionalità più innovativa della nostra app consiste nella possibilità di usufruire di un servizio personalizzato di push notifications» aggiunge Sacchi: «L’utente può impostare le proprie preferenze selezionando i Paesi e le aree professionali in cui vorrebbe fare lo stage. In tal modo riceverà direttamente sul proprio smartphone le notifiche delle offerte di stage che rispondono ai suoi interessi».A garantire l’affidabilità delle offerte pubblicate c’è un meccanismo di “controllo qualità” sulla base di un’apposita check list. Ogni offerta viene pubblicata secondo un modello standard, che deve contenere quantomeno i seguenti elementi minimi: nome dell’azienda o organizzazione ospitante, sede dello stage, area professionale, attività previste, requisiti. E ciascun annuncio rimanda direttamente alla pagina di quello originario sul sito dell’azienda, da cui l’utente potrà inviare la propria candidatura. «Nella selezione delle offerte assume particolare rilievo la valutazione della congruità delle attività e dei compiti che saranno assegnati allo stagista» precisa inoltre il presidente Inapp: «Su Stage4eu non vengono pubblicate offerte che prevedano lo svolgimento di attività esecutive o di scarso significato formativo».L’Istituto non è in grado di fornire informazioni sulla finalizzazione degli stage, in quanto ha scelto di non rendere obbligatoria la registrazione e la profilazione degli utenti e questo rende problematico il monitoraggio delle esperienze. A tal proposito, per implementare il servizio, l’Inapp sta pensando di creare una nuova sezione rivolta a chi ha trovato uno stage attraverso Stage4eu, per raccoglierne le testimonianze e insieme per individuare le aziende virtuose che realizzano “high quality internships” nonché quelle che, al contrario, utilizzano lo stage in modo improprio. Lo stage in Europa, che dura in media sei mesi, è un’esperienza che spesso si rivela determinante per trovare lavoro e serve in ogni caso a incrementare il proprio curriculum. Per quanto riguarda l’Italia, come riportato dall’Inapp, sono stati 348mila i tirocini extracurriculari attivati nel 2018, in settori diversi quali servizi all’industria, pubblica amministrazione, servizi sociali e personali, comparto agricolo e ristorazione. E l’app Stage4eu rappresenta oggi un’opportunità per incrementarli, incrociando domanda e offerta.  Rossella Nocca

Stage per rifare i letti e pulire bagni, le distorsioni del lavoro stagionale e il silenzio delle catene alberghiere

"Siamo alla ricerca di una tirocinante. Il lavoro consiste nel rifacimento e pulizia delle camere, presso case vacanze, ville e alberghi". È uno degli sconcertanti annunci raccolti dal gruppo Facebook "Cambiamo le regole sui tirocini - Sardegna", nato con l'intento di migliorare le condizioni dei tirocini nella regione sarda. Durante la stagione estiva, più che mai, gli operatori del settore ricettivo tendono a ricercare dalle risorse impiegate il massimo rendimento con il minimo investimento economico. E il tirocinio rappresenta per loro un'ottima soluzione per risparmiare sui costi di assunzione di un lavoratore stagionale. Così, anche per mansioni a bassa e bassissima complessità come quella di addetta alle pulizie, si propone l'"esperienza formativa" dello stage.   La Repubblica degli Stagisti, un mese fa, ha contattato via mail le prime dieci catene alberghiere italiane secondo la classifica Horwath (Starhotels, Blu Hotels, Parc Hotels Italia, Th Resorts, Bluserena, Aeroviaggi, JSH Hotels Collection, Delphina Hotels, Gruppo Una e Iti Hotels) per chiedere loro se si servissero o meno di stagisti per mansioni di pulizia stanze. Ebbene, nove su dieci hanno opposto un muro di silenzio di fronte al nostro quesito diretto. L'unica a rispondere è stata la catena Parc Hotels Italia. Un addetto alle risorse umane ha precisato: «Accettiamo ragazzi/e in stage, ma non per il riassetto delle camere in quanto è un servizio in appalto». Niente stagisti per rifare i letti, insomma, anche se non è detto che ciò valga anche per le aziende cui Parc Hotels ha appaltato questo servizio.«Le segnalazioni continuano, ma continua a non esserci nessuna risposta da parte delle istituzioni» denuncia Marco Contu, tra i rappresentanti della rete "Cambiamo le regole dei tirocini - Sardegna" e di "Telefono Rosso" o "Telèfonu Ruju", iniziativa congiunta del movimento Caminera Noa e dell’Unione sindacale di base (Usb) «Quest'anno stiamo riscontrando una diminuzione dei tirocini rispetto al precedente, ma solo per la mancata attivazione dei tirocini co-finanziati dall'Unione europea − in cui al soggetto ospitante spetta solo una parte del rimborso spese − che tuttavia a partire dal 20 giugno sono stati riattivati».  La rete sarda ha intenzione di presentare una serie di proposte per scoraggiare i datori di lavoro all'utilizzo improprio dello stage. «La prima idea è quella di scrivere un elenco delle mansioni a priori non compatibili con il tirocinio a bassa complessità» chiarisce Contu «in quanto il primo principio del tirocinio è proprio che non deve essere utilizzato per lavori per i quali non sia necessario un periodo formativo. Anche perché si crea una discriminazione costituzionale data dal diverso trattamento economico a parità di mansioni».   Inoltre, per disincentivare l'abuso della formula del tirocinio, occorrerebbe secondo Contu cambiarne alcune regole: «Ad esempio in Sardegna chiediamo che il tirocinio torni a un massimo di sei mesi e che l'indennità minima salga a 800 euro al mese così, anche con i co-finanziamenti, gli imprenditori dovrebbero spendere almeno 400 euro».  Un'altra denuncia rispetto all'utilizzo dei tirocinanti in sostituzione di lavoratori stagionali a contratto è arrivata qualche giorno fa dai sindacati marchigiani Cgil e Filcams. «Abbiamo raccolto centinaia di segnalazioni di uso improprio del tirocinio, ma anche dell'alternanza scuola lavoro, in ambito turismo e ristorazione» spiega Giuseppe Santarelli, segretario regionale Cgil Marche «e abbiamo aperto numerose vertenze territoriali per rivendicare la richiesta di un rapporto di lavoro. Vogliamo ribadire per l'ennesima volta la necessità di un confronto con la Regione e con l'Ispettorato su questo tema». A livello regionale nel recepimento delle linee guida in materia di tirocini extracurriculari era stato fatto un importante passo avanti, rimasto tuttavia solo sulla carta. «Di comune accordo con la Regione, avevamo stabilito un sistema di comunicazioni in base al quale le parti sindacali avrebbero dovuto ricevere una comunicazione all'attivazione di ciascun tirocinio, in modo da verificare e attenzionare i fenomeni anomali. Ma questa parte della normativa non è mai stata realizzata e l'impressione è che, a parte le organizzazioni sindacali, nessuno abbia interesse a farlo», denuncia il sindacalista. Il colmo è che, per denunciare questi fenomeni all'Ispettorato, dalle Marche bisogna arrivare fino a Venezia. Il punto di riferimento delle Marche è infatti la Direzione interregionale del lavoro che comprende anche Friuli-Venezia Giulia ed Emilia Romagna. Emblema della distanza fra il potere centrale e i singoli territori. «Solo nel 2018 sono stati 12.500 i tirocini utilizzati nella regione» precisa Santarelli «praticamente pari alla metà dei contratti a tempo indeterminato avviati in tutto il territorio regionale. E uno dei settori che risulta essere quello con la percentuale più bassa di assunzioni dopo il periodo di tirocinio è proprio quello del turismo e della ristorazione, con appena l’11% di assunzioni sul totale di tirocini attivati, anche per via della stagionalità. Senza contare che nel settore ricettivo c'è un continuo ricambio di nome e ragione sociale delle imprese, quindi è ancora più complicato isolare certi fenomeni». Ma cosa ne pensa l'Ispettorato nazionale del lavoro di queste distorsioni? «L’Inl è al corrente del fenomeno» dichiara il direttore Leonardo Alestra «tanto che tra le violazioni in materia esemplificate nella circolare 8 del 2018, redatta anche alla luce delle linee guida approvate in Conferenza permanente Stato Regioni il 25 maggio 2017, vi sono quelle riferite al tirocinio attivato in relazione ad attività lavorative per le quali non sia necessario un periodo formativo, in quanto attività del tutto elementari e ripetitive e al tirocinio attivato per sostituire lavoratori subordinati nei periodi di picco delle attività e personale in malattia, maternità o ferie. Tuttavia non disponiamo di dati disaggregati relativi a questi casi».Insomma, il problema viene riconosciuto e categorizzato ma non quantificato e i territori, al momento, sembrano piuttosto isolati nelle loro battaglie. Rossella Nocca  

Alternanza scuola lavoro, il “Project Management Empowerment” di Cefriel è dedicato alle ragazze

Valorizzare le esperienze di alternanza scuola lavoro attraverso un percorso di formazione preparatorio all’ingresso in azienda e allo stesso tempo contrastare il gap di genere in ambito Stem. Sono i principali obiettivi di “Project Management Empowerment”, il progetto pilota di alternanza scuola lavoro promosso da Cefriel, società partecipata da università, imprese e pubbliche amministrazioni che realizza progetti di innovazione digitale e formazione, che dal 2017 fa parte del network di aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti.La prima edizione si è tenuta tra maggio e giugno e attraverso un percorso di 100 ore – di cui 28 di formazione in aula presso Cefriel e 72 di tirocinio in altre aziende – ha puntato a dare una base di conoscenze di project management a dodici studentesse liceali milanesi tra i sedici e i diciott'anni, per renderle concorrenziali in ambito lavorativo. Sono stati coinvolti quattro licei milanesi: tre scientifici – Volta, Faes e Marconi – e  un linguistico, il Manzoni.Nella parte di formazione in azienda lo scopo è stato introdurre gli elementi di base, la terminologia e le best practices per la gestione dei progetti, utilizzando come riferimento lo standard internazionale del Project Management Institute. Gli interventi in aula sono stati coordinati e gestiti da esperti provenienti dal mondo professionale e finalizzati a fornire strumenti metodologici e operativi necessari per pianificare, monitorare e controllare un qualsiasi progetto nei suoi aspetti tecnici, economico-produttivi e realizzativo-gestionali.La scelta di soffermarsi sul project management è stata dettata appunto  dall'obiettivo di «fornire alle studentesse uno strumento che permettesse loro di entrare in azienda non vincolandosi a un’area specifica, ma andando a interfacciarsi con tutte le funzioni aziendali, grazie a un metodo e un linguaggio universale spendibile in molteplici ambiti, lavorativi e non», come spiega da Sonia Rizzo, responsabile del progetto lato Cefriel ed Education project coordinator: «Noi ci occupiamo, fra le altre cose, di formazione per giovani, e ci siamo resi conto che l’alternanza scuola lavoro non stava funzionando come auspicato, così abbiamo pensato di creare un progetto di valore formativo, in particolare per i licei che, non avendo una struttura consolidata, sono spesso in confusione».“Project Management Empowerment” è stato realizzato in collaborazione con le aziende Bosch, Dolce & Gabbana, Engie ed Edison, che hanno ospitato le studentesse nella fase di tirocinio. «Io ho svolto il mio stage in Engie» racconta Claudia Catalini, diciotto anni, che ha appena terminato il quarto anno di liceo linguistico «in ambito business to business, e in particolare nella sezione che si occupa delle relazioni tra Engie e altre aziende per la manutenzione delle sedi degli uffici e della parte finanziaria». Un’esperienza breve ma preziosa. «Inizialmente ero intimidita, tutti erano più grandi e avevano idea di cosa fare mentre io no. Tuttavia sono stati tutti molto disponibili e presenti. Io, non potendo giustamente ricevere incarichi complessi, mi occupavo soprattutto di inserimento dati con Excel. Un lavoro un po’ noioso ma comunque utile, che mi ha fatto sentire parte dell’azienda e mi ha aiutato a capire cosa voglio e non voglio fare», aggiunge Claudia. «In Italia i percorsi di alternanza scuola lavoro sono spesso buttati lì, giusto per farti fare qualcosa» commenta anche Irene Cervadori, 17 anni, che ha concluso il terzo anno di liceo scientifico «mentre questo è perfettamente riuscito, pur essendo alla prima esperienza». Confrontarsi con il mondo del lavoro serve anche a capire il suo scollamento con il mondo scolastico e le sue lacune. «Al liceo non sappiamo usare per nulla il computer, soprattutto i programmi che servono come Excel» commenta Cervadori «facciamo pochissimi lavori di gruppo e non conosciamo abbastanza l’inglese, che invece oggi è fondamentale». La studentessa 17enne per il suo tirocinio è stata ospitata da Dolce & Gabbana: «Ho lavorato nella divisione Crm, avendo a che fare con i clienti e con vari ambiti tra cui la gestione dei dati e l’organizzazione di una sfilata per la Settimana della moda» racconta «Un’esperienza che non mi è servita tanto per imparare qualcosa in sé quanto per avere un approccio con il mondo del lavoro e capire cosa potesse piacermi. Pensavo che in un’azienda così grande avrei fatto “archivio”, invece sono stati tutti molto disponibili e mi hanno coinvolto in varie attività, tra cui un progetto di styling di negozi in Giappone». L’esperienza si è conclusa con la presentazione dei lavori finali. Le dodici studentesse si sono cimentate con due case studies, di cui uno consistente nell’organizzazione di una giornata che coinvolgesse le famiglie del distretto Bicocca e un altro nell’organizzazione di un hackathon. Le ragazze hanno presentato un project charter con obiettivi, opportunità e rischi e un Wbs (work breakdown structure), una scomposizione in sotto parti del progetto.«C’è stata sorpresa nello scoprire quanto il prodotto realizzato fosse professionale. Le ragazze hanno mostrato grande entusiasmo e interesse, non a caso per portare a termine il progetto hanno superato abbondantemente il monte ore obbligatorio per l’alternanza», spiega soddisfatta Sonia Rizzo. Secondo una ricerca dell’Allen Institute for Artificial Intelligence a Seattle, che ha preso in considerazione milioni di paper pubblicati dal 1970 al 2018, l’Italia è agli ultimi posti nel confronto europeo sul tasso di occupazione delle donne e, secondo Eurostat, solo il 21,8 per cento dei vertici aziendali è costituito da donne. La parità di genere in ambito informatico, inoltre, si raggiungerà fra poco più di 100 anni. In Cefriel, su 137 dipendenti solo il 30 per cento sono donne. Da qui la scelta di rivolgere inizialmente il percorso esclusivamente alle studentesse.  Ora, dopo gli ottimi feedback di questa prima edizione, l’idea di Cefriel è quella di allargare la platea sia nel genere, rivolgendosi anche i ragazzi, sia nei percorsi di studio, coinvolgendo istituti scolastici differenti.Rossella Nocca

Decreto Crescita, come cambiano gli incentivi per far rientrare gli expat (e non solo) in Italia

Il decreto legislativo 147/2015 all'articolo 16 ospita una norma di agevolazione per chi trasferisca in Italia la propria residenza fiscale dopo un periodo di lavoro o studio all'estero di minimo 24 mesi. Il testo, recentemente modificato dal Decreto Crescita, è strutturato in modo da rendere fiscalmente vantaggioso per i "cervelli" il trasferimento in Italia, siano essi cittadini che tornano in patria o stranieri che (a determinate condizioni) abbiano deciso di trasferirsi per la prima volta nel Belpaese. Ecco tutto quello che c'è da sapere.C'è un limite di età per partecipare? No, nessun limite anagrafico. I benefici per gli impatriati sono aperti a tutti gli italiani?Sì, e non solo. La norma, nella parte dedicata alla seconda platea (comma 2 dell'articolo 16), specifica che possono accedere ai benefici anche i cittadini comunitari o di paesi extra-comunitari con i quali l'Italia abbia sottoscritto e ratificato una convenzione per evitare le doppie imposizioni o un accordo sullo scambio di informazioni in materia fiscale. In questo caso i beneficiari devono essere in possesso di una laurea (di qualsiasi livello, anche conseguita all'estero). Il comma 1 invece è aperto ai cittadini comunitari ed Extra UE a prescindere dal titolo di studi.Serve essere laureati? La platea del comma 1 non ha bisogno di un titolo di studio specifico, ma deve solo avere lavorato all'estero almeno due anni dimostrando anche la residenza fiscale nel paese straniero e trasferire poi la residenza fiscale in Italia lavorandovi per almeno due anni. Gli stranieri che volessero invece usufruire della misura secondo quanto previsto dal comma 2 dell'articolo 16 devono, invece, avere una laurea, anche se conseguita all'estero.È previsto un numero massimo di impatriati a cui sarà possibile concedere il beneficio? La norma non prevede un numero massimo di impatriati che possono accedere al beneficio.C'è un contingentamento riguardo al numero di stranieri che potenzialmente potranno richiedere l'accesso alla misura?La norma non prevede un limite massimo di risorse o un numero di lavoratori che possono potenzialmente accedere al beneficio fiscale. Chiaramente i lavoratori non comunitari per venire a lavorare in Italia dovranno continuare a rispettare la normativa vigente in materia di regolazione dei flussi migratori di cui al decreto legislativo 286/1998.Serve dimostrare di essere stati iscritti all'Aire, l'anagrafe degli italiani residenti all'estero?La versione della norma antecedente alla novità introdotta dal Decreto crescita richiedeva l'iscrizione all'Aire. Le novità del decreto crescita (comma 5-ter) hanno modificato il requisito: il richiedente dovrà risultare precedentemente residente all'estero ai sensi delle sole norme italiane (con obbligo di iscrizione all'Aire) ma in alternativa potrebbe risultare residente all'estero secondo criteri sostanziali ai sensi dell'articolo 4 delle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni. Esempi di tali criteri di fatto sono il possesso di una abitazione permanente all'estero o avere fuori dall'Italia 'il centro degli interessi vitali'.La cittadinanza italiana è un requisito indispensabile?No. Come visto, oltre ai cittadini italiani possono fare domanda anche i cittadini degli altri Paesi dell'Unione Europea, nonché di paesi extra-comunitari con i quali l'Italia abbia sottoscritto e ratificato una convenzione per evitare le doppie imposizioni. Questo se si rientra nella platea del comma 2. Il comma 1 come risultante dopo le novità del decreto Crescita, oltre a richiedere due anni di lavoro all'estero, non specifica requisiti di cittadinanza o anagrafici ai beneficiari del bonus.Possono fare domanda anche i dipendenti di enti pubblici?Se si tratta di enti pubblici stranieri, la risposta è certamente sì. Se invece di enti pubblici italiani, non possono fruire dell'incentivo coloro che - in funzione di questo rapporto - hanno lavorato all'estero a meno che il comando (o distacco) non abbia comportato un sostanziale mutamento di incarichi e responsabilità rispetto al ruolo lavorativo originario prima del periodo trascorso all'estero.A quanto ammonta la riduzione dell'imponibile fiscale?In tutti i casi si parla di una riduzione di almeno il 70% dell'imponibile fiscale, per ambo i sessi, per cinque anni d'imposta a partire da quello del trasferimento. Sarà possibile aumentare la percentuale di sconto dal 70 al 90% dell'imponibile per i lavoratori che trasferiscano la propria residenza in una delle otto regioni del mezzogiorno (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia). Inoltre, la durata del bonus salirà da cinque a dieci anni (con uno sconto sull'imponibile del 50% dal sesto al decimo anno) se i lavoratori hanno almeno un figlio minorenne o a carico, anche in affido oppure se acquistano almeno un'unità immobiliare residenziale in Italia, o dopo il trasferimento o nell'anno antecedente. Per i lavoratori che abbiano almeno tre figli minorenni o a carico, anche in affido, durante il periodo di prolungamento dal sesto al decimo anno i redditi da lavoro sono detassati al 90%.Come verrà calcolato?Tecnicamente si tratta di un abbattimento del reddito imponibile ai fini del calcolo dell'Irpef. Secondo le simulazioni svolte dalla Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro nell’approfondimento pubblicato il 30/05/2019 nel caso di un lavoratore senza figli e senza immobili acquistati al rientro, residente nel Centro Nord, con una RAL annua di euro 50.000, l’imponibile fiscale sarà ridotto al 30% per gli anni dal 2020 al 2024. Omettendo dal calcolo le addizionali regionali e comunali IRPEF, il predetto lavoratore avrà un imponibile fiscale ridotto a 13.568 euro. L’IRPEF netta da pagare sarà pertanto solo 1.492 euro in luogo di una IRPEF netta in condizioni ordinarie di euro 13.152. Il risparmio d’imposta sarà di 11.660 euro, ovvero pari al 88,66% dell’imposta complessiva. È una misura pensata solo per i lavoratori subordinati?No, è rivolta anche ai lavoratori percettori di rediti assimilati a lavoro dipendente (come i collaboratori coordinati e continuativi), ai redditi di lavoro autonomo e ai redditi di impresa.L'agevolazione dei cosiddetti impatriati ha una scadenza? L'agevolazione è strutturale, pertanto non ha una scadenza. Le disposizioni a seguito delle modifiche del decreto crescita si applicano ai soggetti che trasferiscono la residenza in Italia a partire dal 2020.Per godere di questo trattamento bisognerà iscriversi a qualche lista?No, basterà specificare al momento della dichiarazione dei redditi di voler applicare la tassazione con l'imponibile ridotto secondo tale agevolazione. Il lavoratore, in sede di assunzione, dovrà comunque autocertificare il possesso dei requisiti per richiedere al sostituto d'imposta l'applicazione della tassazione su di un imponibile fiscale ridotto. C'è l'obbligo di spostare ufficialmente la propria residenza in Italia per godere dei vantaggi degli impatriati?La legge stabilisce che i beneficiari devono trasferire la propria residenza in Italia ai sensi dell'articolo 2 del decreto del presidente della Repubblica 917/1986, a partire dal periodo d'imposta 2020.C'è l'obbligo a trattenersi per un certo periodo in Italia, per il fatto di avere usufruito del vantaggio fiscale?Sì, per accedere all'agevolazione i lavoratori che non sono stati residenti in Italia nei due periodi d'imposta precedenti il trasferimento si impegnano a risiedere in Italia per almeno due anni.Cosa succede se si gode per uno o più anni dell'agevolazione e poi si decide di ritrasferirsi all'estero prima che siano trascorsi i due anni?L'Agenzia delle entrate recupera l'agevolazione oltre ad addebitare sanzioni ed interessi. C'è un tetto retributivo?Non c'è per i percettori di redditi di lavoro dipendente. Ai redditi di lavoro autonomo e di impresa, il beneficio si applica nel rispetto della disciplina generale dei cosiddetti “aiuti de minimis”, contenuta nel regolamento UE nn. 1407 e 1408 del 2013 e n. 717 del 2014. Pertanto, il beneficio non può superare i 200mila euro in tre anni. L'agevolazione rileva nel periodo di imposta cui si riferisce la dichiarazione dei redditi in cui l'agevolazione è fruita. Nella verifica del rispetto del limite occorre considerare ogni aiuto ricevuto dal lavoratore autonomo o dall'impresa concesso in base al regolamento c.d. de minimis oltre a quello in esame.Sono state previste delle deroghe per alcune categorie di lavoratori?In sede di conversione del decreto legge è stata introdotta una deroga per i redditi degli sportivi professionisti impatriati, che rimangono detassati al 50%, in luogo del 70%. Inoltre, a tali soggetti non si applicano la maggiorazione dell'agevolazione spettante ai lavoratori impatriati che si trasferiscono nel Mezzogiorno, né la maggiorazione prevista in caso di più figli a carico. Infine, l'applicazione del regime agevolato degli sportivi professionisti viene subordinata al versamento di un contributo pari allo 0,5% dell'imponibile.Le imprese che assumono gli "impatriati" avranno dei vantaggi economici?No. Il vantaggio è esclusivamente sull'imponibile fiscale del lavoratore. Le imprese però potrebbero avere un indiretto vantaggio dovuto dall'interesse del lavoratore a percepire uno stipendio netto maggiore. Per tale motivo, gli impatriati potrebbero essere incentivati a rientrare in Italia anche in caso di RAL offerta pari od inferiore rispetto a quella percepita dall'attuale datore di lavoro estero.[FAQ redatte con la gentile collaborazione di Dario Fiori e Antonello Orlando, esperti della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro]

International Intern Leadership Conference, gli stagisti EY di tutto il mondo si incontrano a Orlando

Dal 30 luglio al 2 agosto una selezione di giovani di EY Italia parteciperà alla 23esima edizione della International Intern Leadership Conference presso Walt Disney World a Orlando, in Florida.  "Intern" è il termine inglese che significa "stagista": l’appuntamento annuale riunisce infatti una rappresentanza dei migliori stagisti delle varie sedi EY sparse per il mondo, per dare loro l’opportunità di conoscere la visione e la strategia del gruppo e di entrare in contatto con i colleghi e i leader globali di EY. 3mila i giovani selezionati ogni anno per partire. Quest’anno a rappresentare EY Italia, e quindi a trascorrere cinque giorni in America con viaggio e permanenza a spese dell'azienda, saranno tre degli “ambasciatori del brand” che hanno partecipato al Campus Ambassador Program 2019, ovvero studenti che sono stati selezionati per diventare testimonial dei valori di EY all’interno delle loro università e poi per svolgere un periodo di stage in azienda.  «È stata una bellissima esperienza» racconta Antonio Pirozzi, 28 anni, napoletano, laureato in Giurisprudenza, che ha partecipato alla International Intern Leadership Conference 2018 e che oggi è Taxi consultant presso lo staff Global mobility di EY Italia «e un prezioso momento di confronto, non solo con i giovani colleghi ma anche con chi ricopre ruoli apicali nel gruppo. Mi è servito a capire quali sono le prospettive future e perché devo crescere qui dentro». «È impressionante perché ti rendi conto solo lì di far parte di qualcosa di enorme» racconta Irene Galletti, 26 anni, bolognese, laureata in Economia aziendale e Assistant nella divisione Advisory, anch'ella reduce dall'edizione 2018 della conferenza «Per me dal punto di vista motivazionale non ha guastato, ed è stato una ventata di aria fresca in un periodo, quello estivo, di stress e scadenze».Chi lavora in EY ha già a che fare ogni giorno con una dimensione internazionale, per questo esperienze del genere non possono che arricchirne il bagaglio. «Con il mio staff gestiamo posizioni di manager e ruoli apicali che girano il mondo, assistendoli fiscalmente. Si può dire che giriamo il mondo anche noi restando seduti», aggiunge Pirozzi.Durante la conferenza i partecipanti sono coinvolti in diverse attività, come team working all’aria aperta con business case, e workshop, e, durante le cene di gruppo, assistono a speech di leader aziendali. Tra le attività più apprezzate, ce n’è una in cui ciascun partecipante deve confrontarsi per cinque minuti con un collega straniero e individuare dei punti comuni, con l’obiettivo di far capire che, pur provenendo da una realtà culturale diversa, chi appartiene al EY ha sempre qualcosa in comune. «Quella di Orlando è un’opportunità che difficilmente ti danno in altri posti» racconta Mattia Salvioni, 24 anni, di Merate (Lecco), laureato in Economia e management e oggi Consultant nella divisione Financial Business Advisory, tra i dodici giovani della rappresentanza italiana nella scorsa edizione: «e un’esperienza di valore che ti restituisce lo spirito di una realtà globale che, se sei appena entrato, ancora non puoi percepire». «Ci siamo trovati a parlare dei valori dell’azienda e come si traducevano nella quotidianità degli uffici delle varie nazioni e ci siamo confrontati su cosa facessero i nostri colleghi negli stessi ruoli. Questo ha fatto si che il network si instaurasse veramente», commenta Galletti. Che poi aggiunge: «Ho notato in altre risorse, soprattutto americane e canadesi, una grandissima identità aziendale, forse anche perché ci sono più eventi intorno all’azienda», commenta Galletti. Il più spiccato senso di appartenenza è una delle principali differenze individuate dai giovani italiani rispetto ai colleghi internazionali. E ancora, «oltre al gap retributivo rispetto soprattutto ad America e Nord Europa, all’estero risultano più pragmatici e improntati al risultato, mentre noi abbiamo il valore aggiunto della qualità. Probabilmente dall’altra parte si perdono degli aspetti, ma raggiungono una maggiore efficienza», conclude Salvioni. Il confronto a qualcuno è servito anche a tornare con un maggiore bagaglio di sicurezza. «Essendo agli inizi, il contributo che mi sentivo di dare era limitato, anche perché sono una persona tendenzialmente timida» aggiunge Galletti «ma un’esperienza così grande ha fatto sì che mi sbloccassi, condividessi di più con il mio team e mi identificassi con l’azienda, cosa che prima non avevo fatto. È stato un bel premio per il primo anno di lavoro!»Un premio e un'opportunità che quest'anno potranno avere anche i giovani studenti-ambasciatori di EY Italia, valore aggiunto per la loro esperienza di approccio al mondo aziendale. Rossella Nocca

EY Italia alla ricerca di studenti-ambasciatori nelle università, candidature aperte fino al 31 luglio

Diventare “ambassador”, ovvero voce e volto di una delle più note società di consulenza del mondo in università, e ottenere un accesso privilegiato a network, eventi e formazione. È l’opportunità offerta per il secondo anno da EY Italia attraverso il Campus Ambassador Program. «Il programma è stato pensato per avvicinarci sempre di più al mondo degli studenti» spiega alla Repubblica degli Stagisti Riccardo Quaglia, Employer branding manager di EY Italia e responsabile del progetto «che ancora non sono prettamente in target di assunzione». La selezione è rivolta agli studenti della triennale e del primo anno della specialistica iscritti alle università coinvolte nel progetto, tra cui i Politecnici di Milano, Torino e Bari e poi Bocconi, Bicocca, Cattolica, Luiss, Sapienza, Federico II e molte altre. Sono ammessi gli studenti di tutti i corsi di laurea, con una preferenza per materie Stem, economia e giurisprudenza. Per candidarsi basta registrarsi sul portale dedicato e compilare l'apposita domanda. Le candidature resteranno aperte fino a fine luglio.«Per diventare B.EY non sono richieste competenze specifiche, ma solo il mettersi in gioco con la propria persona e avere una buona capacità relazionale, perché... si parla tanto!» spiega Domenico Marra, Ambassador e studente al primo anno di magistrale in ingegneria gestionale al Politecnico di Torino: «Lo consiglio, soprattutto tra il terzo anno di triennale e il primo di magistrale, per fare network e aprirsi nuove opportunità post laurea. Anche perché è un’attività che non toglie troppo tempo, in azienda a Milano siamo andati non più di due-tre volte». Il compito di un B.EY è quello di promuovere EY e il suo brand, farne conoscere i valori e la cultura, partecipare al campus insieme ai recruiters e ai consulenti EY. Tra le opportunità offerte dal programma ci sono eventi dedicati, networking con consulenti EY e i clienti (People of EY, SL Events, Stairway To Your Future), fast track per tesi e stage, sessioni di training dedicate, company visit. Attraverso queste attività, gli studenti hanno modo di capire cosa significa vivere e lavorare in EY.  «Il mio ruolo è stato quello di fare promozione all’azienda a livello di network» spiega Tony Angellotti, Ambassador e studente al secondo anno del corso di laurea in International economics and finance alla Bocconi «attraverso le associazioni universitarie e di organizzare company visit e presentazioni durante conferenze universitarie». La durata è di circa un anno, compreso lo stage finale di due mesi. In più, un gruppo di studenti verrà selezionato per partecipare alla International Internship Leadership Conference di Orlando, occasione di confronto con il mondo EY a livello globale. I nuovi ambassador cominceranno invece la loro esperienza a settembre. «La prima edizione del Campus Ambassador Program ha coinvolto 112 ambassador» spiega Quaglia «di cui il 70 per cento proveniva dall’università Bocconi, che ha saputo veicolare il progetto con un sistema di comunicazione particolarmente efficace». C'è ancora un po' di squilibrio tra uomini e donne: 65 per cento contro 35 per cento. «Stiamo cercando di avere il giusto balance, già finora tra le nuove candidature idonee il 53 per cento sono uomini e il 47 per cento donne».I ragazzi sono stati divisi in sette gruppi, bilanciati per gender e appartenenza universitaria e sono stati sottoposti a una serie di task per individuare il gruppo migliore. Tra questi, attività di promozione online attraverso i social media, e in particolare una pagina Instagram dedicata per ogni gruppo, e attività di promozione offline come iniziative EY dentro l’ateneo o individuazione di target di persone da invitare agli eventi. Il gruppo vincitore sarà premiato nel mese di settembre e avrà la possibilità di essere affiancato ai consulenti EY per una giornata. Una decina di ambassador, tra i 45 che hanno dato la propria disponibilità, sono stati selezionati mediante assessment per un periodo di stage di due mesi presso l’azienda, che è iniziato a maggio e terminerà ai primi di agosto, con un rimborso spese di 500 euro più buoni pasto. Tra le aree in cui sono impiegati, citiamo transaction advisory services, advisory, business development, studio legale tributario. Il messaggio che EY vuole lanciare è che le opportunità in azienda oggi sono sempre più ampie. «Oggi ci sono linee che prima non erano nel core business» sottolinea il responsabile del progetto «che vogliamo far conoscere come innovazione, intelligenza artificiale e blockchain».«L’obiettivo del programma è di non perdere gli ambassador» conclude Quaglia «ma di coinvolgerli in iniziative presenti e future ed eventualmente di ricontattarli una volta che avranno concluso il percorso universitario. In tal caso avranno l’opportunità di un accesso privilegiato, soprattutto se hanno svolto un’esperienza di stage». Insomma, per chi è interessato a questo sbocco diventare ambassador può essere una preziosa occasione per il futuro. Rossella Nocca

Navigator, oggi la firma della convenzione. Ma c'è chi teme che verranno “lanciati nella mischia senza preparazione”

Il momento è arrivato. Dal 19 al 24 luglio saranno contrattualizzati i 2.980 navigator che hanno superato la selezione indetta da Anpal servizi. Un ruolo, il loro, giudicato fondamentale per non ridurre la misura del reddito di cittadinanza a mero assistenzialismo. Ma cosa faranno? Sono state quasi 80mila le domande presentate, e 54mila gli ammessi a sostenere i test scritti – a cui però si sono presentati solo 19.584 candidati. I quasi tremila vincitori sono per il 54% donne e per il restante 46% uomini; sono tutti laureati (requisito obbligatorio), in un caso su tre in giurisprudenza; nel 76% dei casi hanno meno di trent'anni.A poco meno di un mese dall’avvio delle attività, previsto per metà agosto, la convenzione con le Regioni non è stata ancora formalizzata. Sul tavolo, da definire, ci sono le mansioni dei neoassunti. Che potrebbero variare a seconda della latitudine: a lato del testo comune per tutti sarà inserito un addendum che recepirà le esigenze locali. Proprio per oggi pomeriggio è annunciata la firma ufficiale: «alle ore 17.30», si legge in una nota stampa, «presso il Salone degli Arazzi del Ministero dello Sviluppo Economico, alla presenza del Sottosegretario al lavoro, Claudio Cominardi, del presidente di Anpal, Domenico Parisi e degli assessori regionali al lavoro, ci sarà la firma delle convenzioni tra Anpal Servizi Spa e le Regioni per la definizione delle azioni di assistenza tecnica che Anpal Servizi fornirà attraverso i Navigator».  Nei centri per l’impiego, le strutture dove i navigator saranno chiamati a operare, per il momento si resta in attesa. E sopratutto il tema della preparazione a preoccupare gli addetti ai lavori. «Normalmente un percorso di formazione per chi opera nei Cpi si protrae per anni, nel corso dei quali si insiste molto sulla formazione psicologica, fondamentale per accompagnare i disoccupati verso nuove opportunità» ha sostenuto Massimo Temussi, managing director di Aspal, l’agenzia sarda delle Politiche Attive per il Lavoro, durante il Festival del Lavoro a Milano. «Qualcosa che i navigator, destinatari solo di un corso di poche settimane, probabilmente non conoscono a sufficienza». I dottori in psicologia, in effetti, sono solo il 19% del totale dei selezionati, quelli in servizi sociali addirittura solo il 2%. «Buona parte dei percettori del reddito di cittadinanza sono persone a bassa scolarità, attorno ai cinquant'anni e che provengono da una lunga storia di disoccupazione. Quando il navigator è molto giovane e senza esperienza è possibile che sorgano dei problemi di relazione. Insomma, in qualche caso mi viene da dire che il ragazzo di turno rischia persino di prendersi un ceffone». L’Ordine degli Assistenti Sociali aveva denunciato il timore di aggressioni legate alla misura già a febbraio in una nota.«Sono estremamente preparati, non certo dei parvenu» ribatte Alessandro Vaccari, capo ufficio stampa di Anpal Servizi, l’Agenzia nazionale che fornisce agli enti locali le figure, alla Repubblica degli Stagisti. «Non a caso, la laurea magistrale era uno dei requisiti per candidarsi. Si tratta sicuramente di una figura nuova nel panorama italiano, che sarà formata anche on the job, ma le previsioni di oggi non si basano su fatti reali. Lasciamo che comincino a lavorare, prima di fare valutazioni. Il navigator è una sorta di coordinatore, un accompagnatore: non deve essere psicologo, esperto di mercato del lavoro e di aziende. Deve possedere, piuttosto, una preparazione ad ampio spettro, e una mentalità aperta all’apprendimento. Eviterei di paragonarlo a un tutor, a un orientatore o a un esperto di politiche attive».Resta però il fatto che questi quasi 3mila neoassunti andranno a interfacciarsi con persone generalmente frustrate dalla condizione di disoccupazione: il rischio invidia sociale esiste. il navigator stesso, anche se vincitore di concorso, rischia insomma di essere percepito come un privilegiato, paracadutato dietro una scrivania. Una situazione paradossale che, per essere gestita, richiede esperienza, non puramente accademica.I navigator saranno infatti – e per fortuna! – ben pagati. Il contratto, che avrà validità da luglio 2019 a fine aprile 2021, prevede una retribuzione lorda annuale di 27.338,76 euro. Il lordo mensile per tredici mensilità risulterebbe, quindi, essere di circa 2.100 euro, cui vanno detratte le tasse, dall’Irpef alle addizionali regionali e comunali. Secondo il calcolo del sito Money.it, lo stipendio (che varierà, seppure di poco, da provincia a provincia) dovrebbe aggirarsi attorno ai 1500 euro netti.A questi, sottolinea però il magazine, vanno aggiunti 300 euro lordi mensili percepiti come rimborso forfettario delle spese di viaggio, vitto e alloggio sostenute per l’espletamento dell’incarico. Si arriva quindi a un netto di circa 1.700 euro. Un’entrata di tutto rispetto, soprattutto fuori dalle grandi città.Certo, però, si tratta di un incarico temporaneo: il contratto ha una durata di poco meno di due anni. Dopo, il futuro è incerto anche per chi dovrebbe aiutare gli altri a trovare un lavoro. L’orientamento del ministro del Lavoro Luigi Di Maio, si dice, sarebbe quello di mantenere gli assunti all’interno del sistema pubblico tramite un nuovo concorso da effettuarsi al termine dell’incarico. Un intendimento che trova conferma a livello locale: l'idea sarebbe quella di trasformare l'esperienza in opportunità. «So per certo che alcune regioni prevedono per i navigator una sorta di corsia preferenziale» riprende Vaccari: «Tra gli altri, ne ha parlato recentemente l’assessore Cristina Grieco della Regione Toscana. Ad esempio, potrebbero andare a lavorare direttamente nei cpi, o in Anpal». Una nuova infornata di disoccupati a orologeria?  «La politica va valutata nella sua globalità. Dal nostro punto di vista, il dato importante è un altro: nel giro di tre anni, grazie alla del reddito di cittadinanza sarà stanziato quasi un miliardo di euro ai Centri per l’impiego». Per le strutture, conclude il portavoce, ciò significherà un raddoppio degli operatori che, se tutto andrà come previsto, «passeranno da 8.300 circa a quasi 20mila». Antonio Piemontese

La ricerca sugli stage del Comune di Milano, finalmente “possiamo sapere chi sono e cosa fanno gli stagisti” dice Maurizio Del Conte

Come va lo stage a Milano? A distanza della prima mappatura fatta sette anni fa «il quadro oggi è fatto di molti aspetti di luce, oltre alle ombre» dice Cristina Tajani [nella foto], assessore alle politiche del Lavoro del capoluogo lombardo alla tavola rotonda Best stage 2019, moderata da Rita Querzè del Corriere della Sera, in cui sono stati presentati i dati della nuova mappatura commissionata dal Comune alla giornalista fondatrice della Repubblica degli Stagisti Eleonora Voltolina: «Questa ricerca ha uno scopo conoscitivo» continua Tajani «ma anche di determinazione degli indirizzi di policy da prendere per far sì che le aziende utilizzino correttamente lo strumento dello stage e si dimostri l'utilità del meccanismo di incontro tra formazione e lavoro, che solo se ben congegnato può avere successo». È in questo modo che può partire «un dialogo con sindacati e imprese per l'avvio di buone pratiche».Le leggi approvate nel corso degli anni (l'ultimo in ordine di tempo l'aggiornamento, nel maggio 2017, delle Linee guida sui tirocini, cui ha fatto seguito l'emanazione di nuove norme regionali sul tema), hanno creato un diverso quadro normativo che deve aver in qualche modo funzionato «se per esempio il dato sull'inclusione dei tirocinanti in azienda dopo la fine del percorso si rivela positivo in base ai dati, pur dovendosi insistere ancora sulle trasformazioni degli stage in rapporti di lavoro».Sono ben 73mila i tirocini attivati nel 2017 censiti dalla ricerca [in questo articolo i risultati principali], che si rivela «un mezzo per la costruzione di politiche pubbliche e per l'osservazione della realtà» secondo Tajani. «Una scelta utilissima» conferma Maurizio Del Conte, giuslavorista e già presidente dell'Anpal, «perché così si riesce a seguire passo passo e a conoscere un mondo su cui si chiacchiera ma su cui si hanno pochi elementi». Con questo studio «possiamo sapere chi sono e cosa fanno gli stagisti» dice ancora. E se il passaggio fondamentale su cui indagare dovrebbe essere quello «della trasformazione e il passaggio dalla parte formativa al lavoro» – dai risultati della mappatura purtroppo emerge che la maggior parte dei soggetti promotori di stage non monitora l'esito occupazionale – l'obiettivo per una prossima edizione «potrebbe essere quello di seguire la persona nel tempo, cioè la carriera dello stagista» una volta chiuso lo stage. Scoprire insomma a cosa porti un percorso di questo tipo, e quali vantaggi occupazionali possa apportare.Uno degli aspetti meno brillanti emersi dall'indagine è poi che non sempre le piccole aziende, ovvero la gran parte del tessuto imprenditoriale italiano, sono consapevoli del valore del tirocinio, «che spesso non è facile da far comprendere» sottolinea Wally Sinigaglia, Employability People Advisor di Adecco. «Per questo siamo molto attenti su questo punto e cerchiamo di far sì che il tirocinante sia seguito». Il gruppo dedicato al recruiting fornisce alle aziende «tutta una serie di reminder mentre svolgono la formazione, e una volta terminato il percorso chiediamo allo stagista che tipo di esperienza ha vissuto e quali competenze sente di aver acquisito».C'è anche da segnalare una differenza di approccio da parte delle imprese rispetto al passato, sottolinea Luca Paone, vicepresidente della Fondazione Lavoro: «Fino a qualche tempo fa, quando le aziende trovavano un candidato e chiedevano un suggerimento sullo strumento da usare per inserirlo in azienda» spiega, «avevano come unico fine quello di spendere il meno possibile». Adesso «invece vogliono il mezzo più adeguato a raggiungere l'obiettivo, che è quello di avere risorse efficienti in azienda».Si rileva insomma un miglioramento: «Dieci o quindici anni fa un monitoraggio analogo avrebbe dato esiti differenti, questo vuol dire che gli interventi normativi hanno contato e migliorato lo stumento» prosegue Tajani. A guardare i dati si direbbe che lo stage «è oggi incanalato in una direzione molto più prossima alla sua finalità». E benché l'uso dello stagista come sostituzione di personale regolarmente assunto ancora esista, «si tratta per lo più eccezioni». Se in qualcosa sono insomma riuscite le nuove norme «è infatti forse nell'aver innalzato il livello di attenzione verso il suo uso». Di sicuro su più un aspetto si dovrebbe ancora lavorare. L'emolumento da versare mensilmente allo stagista, per esempio: i risultati della mappatura hanno fatto emergere una situazione critica, con indennità rare nel caso dei tirocini curricolari, e mediamente molto basse nel caso di quelli extracurricolari. A livello di normativa per la Regione Lombardia l minimo è fissato in 500 euro (300 per la pubblica amministrazione), «un importo con cui a Milano non si può sopravvivere, e che consente solo a chi ha una famiglia alle spalle che può aiutarlo a trasferirsi in questa città per un'opportunità» obietta uno stagista fuorisede dal pubblico. «Non si può fare nulla in merito?». Sì, anche se la questione «non è nelle mani del Comune, che non ha competenza su questi temi che sono invece demandati a regione e città metropolitana» fa presente Tajani. «Pur comprendendo e sposando nello spirito l'istanza» dice, «quello che possiamo fare è solo sollevarla presso chi di dovere». Ilaria Mariotti   

Riders, a un anno dall’approvazione la Carta di Bologna resta l’unico testo organico in materia

Lo scorso 31 maggio è stato il primo anniversario della cosiddetta Carta di Bologna (la “Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano”), ossia il primo accordo in Europa tra riders – i fattorini che consegnano pranzi a domicilio in bici o motorino per conto di diverse e popolari app come Deliveroo, Glovo e Just Eat – sindacati, istituzioni e piattaforme digitali. Un documento nato dall’iniziativa del sindaco PD di Bologna Virginio Merola e sottoscritto dai sindacati Riders Union – protagonista della trattativa – Cgil, Cisl e Uil. La Repubblica degli Stagisti aveva nei mesi scorsi dedicato un approfondimento alla Carta di Bologna, così come ad altre iniziative nate sul territorio come lo sportello d’ascolto di Milano. Un anno dopo, è il momento di stilare un bilancio sull’attuale situazione dei riders.I dati della Fondazione Debenedetti parlano di circa 10mila riders in Italia, di cui un 78% di under 30. Le stime dicono che nel 50% dei casi sono studenti; il 33% ha un secondo lavoro mentre per il 17% è l’unica occupazione. Una categoria in realtà poco numerosa – basti pensare che gli stagisti sono mezzo milione all'anno, giusto per fare un confronto di ordini di grandezza! – ma spesso indicata come simbolo del precariato delle nuove generazioni, e al centro dei riflettori mediatici e di annunci politici. Si veda, ad esempio, il caso di qualche settimana fa della lista di vip che non lascerebbero la mancia ai fattorini. Ma qual è la situazione di questo segmento di «gig economy» (letteralmente: economia dei lavoretti) dal punto di vista giuslavoristico? Negli ultimi mesi qualche piccolo progresso è stato fatto. Prima in ordine di tempo è stata l’intesa relativa al trattamento economico e dei riders, raggiunta nel luglio 2018 tra da Confetra, Fedit, Assologistica, Federspedi, Confartigianato trasporti, Cna, Cgil, Cisl e Uiltrasporti  ed è stata inserita all’interno del contratto nazionale di lavoro (il cosiddetto Ccnl) della Logistica. Grazie a questo accordo i riders sono stati inseriti tra i lavoratori dell’area C del Ccnl, dedicata al “personale viaggiante cui non spetta l’indennità di trasferta”. Ciò significa che i rider possono adesso essere qualificati come lavoratori subordinati a tutti gli effetti – è stato stabilito un orario di lavoro di 39 ore a settimana, spalmabili su un massimo sei giorni e conguagliabile in quattro settimane, e un orario massimo di 48 ore, straordinari inclusi – con tutte le tutele previdenziali ed assicurative previste dal Ccnl della Logistica, compresa l’assistenza sanitaria integrativa, la bilateralità contrattuale e l’assicurazione per danni verso terzi. Ma attenzione, non devono essere qualificati così: possono esserlo. A discrezione del datore di lavoro. Pur essendo da salutare con favore, questo riconoscimento dunque non sembra sufficiente. Il Ccnl infatti non ha forza di legge: la sua applicazione è subordinata alla discrezionalità delle piattaforme digitali. Anche la sentenza della Corte d’Appello di Torino dello scorso gennaio a proposito del caso Foodora ha riconosciuto applicabile ai riders l’art. 2 del «Jobs Act». La norma in questione prevede che la disciplina sul rapporto di lavoro subordinato si applichi alle collaborazioni «esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro». Questo tuttavia non significa un’equiparazione totale dei riders ai lavoratori subordinati, ma soltanto l’applicabilità di alcune delle tutele riconosciute dal Ccnl ai dipendenti della Logistica e soltanto per il periodo in cui i riders sono, effettivamente, al lavoro. In altre parole la sentenza, pur positiva dal punto di vista dei diritti sociali, ha fotografato quella che è la situazione di fatto dei riders: una figura ibrida tra il lavoratore autonomo e il dipendente e che, per questo, si può prestare a diversi abusi.Ciò che occorrerebbe per colmare un oggettivo buco normativo è l’intervento del legislatore – quindi della politica. Da questo punto di vista va segnalata una stasi. Nonostante gli annunci, gli incontri simbolici e l’inizio delle trattative tra sindacati e governo, infatti, poco o niente sembra – ad oggi – essere stato fatto. Le trattative sono ferme allo scorso 7 novembre. Nel frattempo le intenzioni proclamate di inserire maggiori tutele ai riders nel decretone su Quota 100 e Reddito di Cittadinanza sono state disattese. «Non c’è la dignità di questo governo che ha promesso delle cose e che non le ha mantenute, che non ha fatto il suo dovere, ma che ha fatto solamente un miserabile teatrino sulla pelle dei riders» aveva commentato amaramente Riders Union Bologna con un post su Facebook nel giorno del decretone: «Pretendiamo a gran voce che l'estensione delle tutele dei lavoratori subordinati ai riders sia fatta subito per decreto legge» il rilancio del sindacato di base.Attacchi duri, a cui era seguito – in piena campagna elettorale per le europee – un nuovo annuncio del ministro del lavoro Luigi Di Maio. «La norma sui rider è pronta. Sarà inserita nella legge sul salario minimo che è in discussione in questi giorni al Senato – aveva scritto il vicepremier su Facebook a fine aprile – Se potremo, proveremo a farla diventare legge anche prima, inserendola nella fase di conversione del “decreto crescita”, ma su questo ci sarà bisogno dell'autorizzazione dei presidenti delle Camere». Copertura Inail per gli infortuni, migliore contribuzione Inps che supera la gestione separata e divieto di retribuzione a cottimo i punti cardine che – stando all’annuncio di Di Maio – dovrebbero caratterizzare la riforma. «Potevamo fare prima forse, era anche il nostro obiettivo, ma una norma molto specifica e innovativa va approntata con attenzione. Quindi sebbene non andato a buon fine, il tavolo di concertazione era doveroso per provare a mediare tra le parti in campo» il commento del vicepremier, con una chiara allusione alla stasi delle trattative con i sindacati. Ad oggi, tuttavia, non è ancora stata approvata nessuna legge né decreto e l’unico testo organico – un anno dopo – rimane la Carta di Bologna.Giulio Monga