Come si diventa pubblicisti, regole più stringenti e costi lievitati
Ottenere il tesserino da pubblicista in Italia implica una procedura abbastanza simile per tutte le regioni (e relativi ordini territoriali): si apre una collaborazione con una o più testate giornalistiche, si viene – in teoria – retribuiti e si accumula un minimo di guadagno nel corso di un biennio pena il mancato accesso al titolo. Dopodiché si fa domanda e, talvolta, viene richiesto il superamento di un piccolo esame oppure di frequentare un corso di formazione. I dettagli, come numero di articoli, spese di protocollo, retribuzione minima, presenza o meno di un esame, cambiano però lungo lo Stivale. La Repubblica degli Stagisti nel 2010 aveva già analizzato come funzionasse il meccanismo di iscrizione all'elenco pubblicisti regione per regione. Ci torna ora per verificare come sia evoluto nell'ultimo decennio, anche alla luce della forte crescita a livello numerico della categoria. La sensazione, studiando i percorsi approntati dai singoli ordini, è che le maglie di accesso si siano nel tempo per lo più ristrette, con l'obiettivo forse di contenere la richiesta sempre più forte di entrare a far parte della categoria. E che in generale la procedura sia divenuta più complessa (anche se non sempre). Sono tante per esempio le regioni in cui si richiede di maturare compensi più alti rispetto al passato. Il che sarebbe anche normale per via della crescita del costo della vita, se non fosse però che quasi mai ciò si rifletta nei compensi dei collaboratori. Ma tant'è. Spesso poi la retribuzione maggiore è un paletto a cui fa da contraltare anche un numero più alto di articoli necessari per raggiungere il titolo. È il caso per esempio della Toscana, una delle più esigenti e con regole minuziose, che richiede per le collaborazioni con quotidiani almeno 100 articoli e 2mila euro di retribuzione lorda, per i settimanali 60 articoli e 1500 euro, per i mensili 20 articoli e 1000 euro di retribuzione lorda. Tutto in un biennio, con ricevute di pagamento versate ogni trimestre. Anche in Veneto lo stesso: è aumentato il numero minimo di articoli da scrivere nei 24 mesi, 80 per i quotidiani fino a un minimo di 24 per i mensili, con tetto minimo di 2mila euro (un tempo bastavano ad esempio 60 articoli e 1000 euro di compensi). Stessa soglia retributiva anche per le Marche, 2mila euro contro i 750 di prima, e della Lombardia, per cui erano prima sufficienti mille euro. In Piemonte, è oggi necessario dimostrare di aver percepito almeno 1300 euro lordi contro i 1250 di un tempo. E ancora, sale ad almeno 800 euro nel biennio la retribuzione minima del Friuli, e gli articoli dovranno essere 70 invece di 50. La Liguria, dove nel 2010 non si prevedeva un tetto minimo, subordina l'accesso a un compenso di 2000 euro. E anche in Valle d'Aosta e Trentino si richiedono 800 euro di minimo, qui dove anni fa non esisteva, così come in Puglia, che mette un recinto di mille euro nel biennio, al pari della Sardegna per cui un tempo ne bastavano 300. Uno degli ordini più severi è il Lazio, con 5mila euro di retribuzione minima da documentare: un tetto che era uguale anche nel 2010. C'è anche però chi negli anni ha deciso di fare l'operazione contraria e cioè di rendere l'accesso più facile, forse come risposta alla crisi del settore e ai compensi che chi scrive sporadicamente, o da freelance o in situazioni non regolari, fa fatica a incassare. In Abruzzo si passa per esempio da 1500 euro alla metà circa, 800 euro, per 60 articoli pubblicati. In Molise il compenso minimo è sceso a 400 da mille del passato. E in Campania, la retribuzione minima di mille euro è negli anni venuta meno. Quello che invece si riscontra quasi ovunque è un aumento delle tariffe per i diritti di segreteria. Con importi complessivi per chi decide di intraprendere la strada dell'accesso all'elenco pubblicisti che si attestano su diverse centinaia di euro. Il caro prezzi si riscontra di sicuro in Piemonte, i cui diritti di segreteria passano da 60 a 120 euro, addirittura raddoppiando, e dove per diventare pubblicista si spendono circa 300 euro tra marca da bollo e tassa di concessione governativa. In Abruzzo si sfiorano i 400 euro con un aumento delle tasse da 118 a 200 euro. In Basilicata si sale di poco, da 80 a 90 euro, e in Campania si passa da 35 a 50 euro. In Emilia Romagna poi, così come in Campania, o in Veneto il lievitare delle spese è dovuto a un corso di formazione obbligatorio introdotto di recente senza il quale salta l'iscrizione. Senza contare che poi, una volta iscritti all'albo, ci sarà una quota obbligatoria da versare ogni anno e che si aggira sui 100 euro.Ilaria Mariotti