Categoria: Approfondimenti

Come si diventa pubblicisti, regole più stringenti e costi lievitati

Ottenere il tesserino da pubblicista in Italia implica una procedura abbastanza simile per tutte le regioni (e relativi ordini territoriali): si apre una collaborazione con una o più testate giornalistiche, si viene – in teoria – retribuiti e si accumula un minimo di guadagno nel corso di un biennio pena il mancato accesso al titolo. Dopodiché si fa domanda e, talvolta, viene richiesto il superamento di un piccolo esame oppure di frequentare un corso di formazione. I dettagli, come numero di articoli, spese di protocollo, retribuzione minima, presenza o meno di un esame, cambiano però lungo lo Stivale. La Repubblica degli Stagisti nel 2010 aveva già analizzato come funzionasse il meccanismo di iscrizione all'elenco pubblicisti regione per regione. Ci torna ora per verificare come sia evoluto nell'ultimo decennio, anche alla luce della forte crescita a livello numerico della categoria. La sensazione, studiando i percorsi approntati dai singoli ordini, è che le maglie di accesso si siano nel tempo per lo più ristrette, con l'obiettivo forse di contenere la richiesta sempre più forte di entrare a far parte della categoria. E che in generale la procedura sia divenuta più complessa (anche se non sempre). Sono tante per esempio le regioni in cui si richiede di maturare compensi più alti rispetto al passato. Il che sarebbe anche normale per via della crescita del costo della vita, se non fosse però che quasi mai ciò si rifletta nei compensi dei collaboratori. Ma tant'è. Spesso poi la retribuzione maggiore è un paletto a cui fa da contraltare anche un numero più alto di articoli necessari per raggiungere il titolo. È il caso per esempio della Toscana, una delle più esigenti e con regole minuziose, che richiede per le collaborazioni con quotidiani almeno 100 articoli e 2mila euro di retribuzione lorda, per i settimanali 60 articoli e 1500 euro, per i mensili 20 articoli e 1000 euro di retribuzione lorda. Tutto in un biennio, con ricevute di pagamento versate ogni trimestre. Anche in Veneto lo stesso: è aumentato il numero minimo di articoli da scrivere nei 24 mesi, 80 per i quotidiani fino a un minimo di 24 per i mensili, con tetto minimo di 2mila euro (un tempo bastavano ad esempio 60 articoli e 1000 euro di compensi). Stessa soglia retributiva anche per le Marche, 2mila euro contro i 750 di prima, e della Lombardia, per cui erano prima sufficienti mille euro. In Piemonte, è oggi necessario dimostrare di aver percepito almeno 1300 euro lordi contro i 1250 di un tempo. E ancora, sale ad almeno 800 euro nel biennio la retribuzione minima del Friuli, e gli articoli dovranno essere 70 invece di 50. La Liguria, dove nel 2010 non si prevedeva un tetto minimo, subordina l'accesso a un compenso di 2000 euro. E anche in Valle d'Aosta e Trentino si richiedono 800 euro di minimo, qui dove anni fa non esisteva, così come in Puglia, che mette un recinto di mille euro nel biennio, al pari della Sardegna per cui un tempo ne bastavano 300. Uno degli ordini più severi è il Lazio, con 5mila euro di retribuzione minima da documentare: un tetto che era uguale anche nel 2010. C'è anche però chi negli anni ha deciso di fare l'operazione contraria e cioè di rendere l'accesso più facile, forse come risposta alla crisi del settore e ai compensi che chi scrive sporadicamente, o da freelance o in situazioni non regolari, fa fatica a incassare. In Abruzzo si passa per esempio da 1500 euro alla metà circa, 800 euro, per 60 articoli pubblicati. In Molise il compenso minimo è sceso a 400 da mille del passato. E in Campania, la retribuzione minima di mille euro è negli anni venuta meno. Quello che invece si riscontra quasi ovunque è un aumento delle tariffe per i diritti di segreteria. Con importi complessivi per chi decide di intraprendere la strada dell'accesso all'elenco pubblicisti che si attestano su diverse centinaia di euro. Il caro prezzi si riscontra di sicuro in Piemonte, i cui diritti di segreteria passano da 60 a 120 euro, addirittura raddoppiando, e dove per diventare pubblicista si spendono circa 300 euro tra marca da bollo e tassa di concessione governativa. In Abruzzo si sfiorano i 400 euro con un aumento delle tasse da 118 a 200 euro. In Basilicata si sale di poco, da 80 a 90 euro, e in Campania si passa da 35 a 50 euro. In Emilia Romagna poi, così come in Campania, o in Veneto il lievitare delle spese è dovuto a un corso di formazione obbligatorio introdotto di recente senza il quale salta l'iscrizione. Senza contare che poi, una volta iscritti all'albo, ci sarà una quota obbligatoria da versare ogni anno e che si aggira sui 100 euro.Ilaria Mariotti

Selezioni aperte per 420 stage al Parlamento Europeo, il rimborso supera i mille euro al mese

Fino al 30 giugno sono aperte le selezioni per i Tirocini Schuman. Si tratta di un progetto che prevede la possibilità di svolgere uno stage di cinque mesi presso il Parlamento Europeo – non solo a Bruxelles e a Strasburgo, ma anche nelle sedi distaccate sparse in tutta Europa. I tirocini si svolgono in due differenti periodi dell’anno: il primo va da marzo a luglio, mentre il secondo – a cui si riferiscono le selezioni al momento aperte – da ottobre a febbraio. Obiettivo del programma, si legge sul sito del Parlamento UE, è quello di «contribuire all’educazione e alla vocazione per l’apprendimento dei cittadini UE e di offrire la possibilità di vedere dall’interno i lavori del Parlamento Europeo».Le selezioni al momento aperte mettono in palio 420 posti da stagista in diverse aree del Parlamento Europeo, tra le quali la Commissione per il Controllo dei bilanci, la Direzione generale per i Servizi di ricerca del Parlamento o la Direzione generale per il Personale. Le posizioni riguardano sia le tre sedi istituzionali di Bruxelles, Strasburgo e Lussemburgo, sia uffici distaccati (a Barcellona, Lubiana, Dublino e Roma). La sede in cui si svolge il tirocinio è importante anche dal punto di vista economico, in quanto sono previste indennità differenziate a seconda dello stato in cui si lavora. In Italia ad esempio il rimborso spese garantito è di 1.289 euro.  Il paese con l’indennità più alta è la Danimarca, dove si arriva a 1.762 euro, mentre la maglia nera spetta alla Bulgaria con 737,50 euro. Per quanto riguarda i tre paesi “istituzionali”, Belgio e Lussemburgo offrono un rimborso spese di 1.336 euro, mentre la Francia ne garantisce 1.559. A determinate condizioni sono inoltre previsti sussidi per disabilità, contributi per l’affitto o rimborsi spese per i viaggi.Le posizioni aperte variano di anno in anno a seconda delle necessità delle aree in cui si svolgono i tirocini. In generale comunque il numero si aggira sulle 800 posizioni all’anno considerando entrambi i periodi di stage. Parlando di candidature, nelle selezioni per i tirocini tra marzo e luglio 2019 sono arrivate  7.621 domande. Nel 2018 le domande erano state 6.349 per il primo periodo e 6.058 per il secondo. E gli italiani? Nel 2018 hanno inoltrato 3.311 candidature, e tra questi vi sono stati 151 stagisti  selezionati. Un dato significativo – tradotto in percentuale, significa che quasi il 27% delle candidature totali del 2018 è giunto dal nostro Paese – e che conferma come i tirocini presso le istituzioni comunitarie siano molto apprezzati dagli italiani che desiderano inserirsi nel mercato del lavoro. Tendenza confermata anche dal fatto che, nel corso delle ultime selezioni per i tirocini iniziati a marzo 2019, gli italiani scelti sono stati 66. Un numero che rende l’Italia il paese più rappresentato tra gli stagisti e che costituisce il doppio esatto della Francia, seconda a 33. Interessante anche il fatto che, nella stessa selezione, siano state scelte 229 stagiste donne e 114 tirocinanti uomini. Si consideri che la policy generale sui Tirocini Schuman non prevede quote di genere né criteri generali per la ripartizione dei diversi posti tra le varie nazionalità. Per candidarsi è necessario possedere (almeno) una laurea – la cui rilevanza dipende dal tipo di posizione per la quale ci si candida – avere un’ottima conoscenza di almeno una lingua ufficiale dell’Unione ed una buona conoscenza di un’altra, avere più di 18 anni, un casellario giudiziale pulito e non aver lavorato per più di due mesi consecutivi presso un’istituzione o un organo UE, né avere effettuato un periodo di collaborazione accademica superiore a sei mesi prima dell’inizio del tirocinio. Stando alla policy pubblicata sul sito, inoltre, i Tirocini Schuman sono, di regola, rivolti soltanto a cittadini UE. Tuttavia, le autorità competenti possono decidere che un numero limitato di posti sia riservato anche a cittadini extracomunitari.La procedura per candidarsi è molto semplice e intuitiva. Basta andare sulla pagina sul sito del Parlamento Europeo dedicata proprio alle offerte per i Tirocini Schuman e selezionare la posizione per cui si intende presentare la propria candidatura. Si apre quindi una schermata in cui sono descritte in breve le mansioni che si andranno a svolgere nonché le caratteristiche della figura professionale ricercata. Cliccando su «Apply Online» inizia l’application vera e propria. Per prima cosa vengono richiesti i dati anagrafici e i dati di contatto del candidato. Andando avanti bisogna inserire informazioni relative alla formazione e alla carriera professionale. Oltre al cv va compilato un form con le informazioni relative alle competenze linguistiche e informatiche, alla formazione accademica e agli anni di esperienza lavorativa maturati. In ultimo, prima di poter inviare ufficialmente la propria candidatura, occorre allegare una lettera di motivazione e rispondere a due quesiti finali relativi alla presenza dei requisiti per poter prendere parte al programma Schuman.Per quanto riguarda l’età, la classe anagrafica più rappresentata tra i selezionati a marzo 2019 è quella dei venticinquenni (nati ne 1994), con 61 tirocinanti, seguiti a ruota dalla classe ‘93 (con 53) e dalla classe ’92 (47). Non esistono limiti di età verso l’alto per potersi candidare e, infatti, tra gli stagisti del 2019 ce n'è uno del... 1969! Insomma, non si è veramente mai troppo grandi per un’esperienza da stagista in Europa.Giulio Monga

Giornalisti pubblicisti, sempre più iscritti: e persiste il fenomeno delle pratiche “taroccate”

L'Italia è un paese con una folta presenza di giornalisti: un piccolo esercito composto da circa 112mila soggetti, stando alla rilevazione dell'Autorità garante per le comunicazioni del 2016, di cui la stragrande maggioranza pubblicisti, cioè persone per le quali il giornalismo non è la primaria occupazione e fonte di reddito: ben 75.459 contro i circa 30mila professionisti, e i restanti suddivisi in altre categorie tra cui praticanti e giornalisti stranieri. A colpire è soprattutto l'ascesa esponenziale dei pubblicisti rispetto ai professionisti, complice la crisi della professione e le difficoltà sempre maggiori di accedere all'iscrizione all'elenco dei professionisti. Dal 1975 a oggi i pubblicisti si sono moltiplicati: inizialmente erano 13mila, contro il gruppo dei professionisti a cui afferivano poco meno di 7mila giornalisti. La crescita dal 2000 al 2016 è stata pari addirittura al 67% per la categoria di chi è iscritto all'Ordine pur non esercitando la professione in via esclusiva.Ci sarebbe da chiedersi quanti siano quelli che oggi riescano a campare di solo giornalismo (i dati parlano di un numero sempre maggiore di freelance, con retribuzioni sempre più risicate) e fino a che punto abbia ancora senso la divisione tra pubblicisti e professionisti. Tuttavia dietro numeri così rilevanti si nascondono motivi non complessi. In primis le iscrizioni 'taroccate' su cui la Repubblica degli Stagisti aveva fatto luce diversi anni fa: persone che pur di accedere all'agognato tesserino sono disposte a pagarsi da soli i contributi necessari a dimostrare la “regolare” (si fa per dire) collaborazione con il giornale di turno e maturare così il diritto. Fingendo così di essere retribuiti pur lavorando gratis. In più gli Ordini regionali, che prevedono percorsi di iscrizione che si somigliano un po' tutti (si scrive per un biennio, si supera un esame, si pagano le tasse e il gioco è fatto), hanno solo da guadagnare sull'arrivo di nuovi iscritti, che equivalgono a una quota annuale in più da percepire. Giocoforza dunque che sia loro interesse che proliferino.Ma cosa sta facendo l'Ordine dei giornalisti su questo fronte? «Abbiamo approvato nei mesi scorsi linee guida per la riforma dell’Ordine dei giornalisti» risponde il presidente dell'Odg nazionale Carlo Verna. Le nuove linee guida «prevedono un periodo di 'valutazione' dell’attualità del pubblicismo durante il quale sarà molto più difficile eludere il corretto meccanismo previsto da una legge entrata in vigore cinquantasei anni fa, quando gli scenari erano completamente diversi».Anche per Verna il fenomeno dell'illegalità delle iscrizioni è innegabile, e per giunta – ammette – «la nostra percezione è a distanza perché per legge esaminiamo solo i ricorsi di coloro che l’iscrizione non l’hanno ottenuta, e oltrettutto mai i procuratori generali impugnano riconoscimenti di status dati dai consigli regionali, che a loro volta operano su carte formalmente in regola presentate dagli istanti». C'è poco da fare in sostanza contro un «sistema basato sullo sfruttamento, che mi rifiuto di avallare ancora», se però «Governo e Parlamento non intervengono, adesso che si sta tentando la via dell’autoriforma da parte dell'Ordine (qui le linee guida sottoscritte dal Consiglio nazionale a ottobre 2018, ndr)». Alle iscrizioni truffaldine alcuni Ordini regionali hanno dichiarato battaglia. «È in corso l'attività di revisione degli elenchi degli iscritti all'Ordine dei giornalisti della Toscana» si legge sul sito dell'ente in un post di febbraio. La revisione degli elenchi è infatti uno dei compiti attribuiti agli ordini regionali. «In particolare sono stati centonove i professionisti sottoposti a revisione, dei quali oltre novanta hanno superato il controllo; per l'elenco pubblicisti, invece, sono stati oltre novecentottanta gli iscritti sottoposti a revisione e di questi oltre seicentotrenta sono coloro che l'hanno superata». Al netto naturalmente delle cancellazioni automatiche, che avvengono per inattività: «I giornalisti che risultano inattivi per oltre due anni consecutivi vengono cancellati dai rispettivi elenchi», mentre «il termine sale a tre anni per i giornalisti con più di dieci anni di attività». Se però si superano i quindici anni di iscrizione, non si è più sottoposti a revisione.Il risultato della revisione toscana è meno irrilevante di quel che potrebbe sembrare: dire che 630 giornalisti pubblicisti su 980 si sono visti confermare il tesserino vuol dire, di converso, che vi erano fino a pochi mesi fa in Toscana ben 350 persone che si fregiavano del titolo di giornalisti pubblicisti senza averne (o quantomeno averne più) diritto. Facendo una proporzione, vuol dire che oltre un terzo – per la precisione il 37% – dei pubblicisti controllati sono risultati essere, in Toscana, privi dei requisiti minimi per continuare ad essere iscritti all'albo.Critica sembra essere la situazione anche in Sicilia, come rivela alla RdS Concetto Mannisi, segretario regionale dell'Odg Sicilia, uno dei pochi a aver risposto alle domande della Repubblica degli Stagisti, rivolte alla totalità degli ordini dei giornalisti italiani (ce n'è uno per ogni regione).«Il Consiglio dell'Ordine di Sicilia è in prima linea da anni nella battaglia contro le pratiche approntate a tavolino» racconta Mannisi. Domande che «rappresentano la stragrande maggioranza delle richieste di iscrizione indirizzate ai nostri uffici e che sulla carta sono tutte ineccepibili». Il trucco è però presto svelato: «Il regolamento del nostro ordine regionale prevede che l'aspirante pubblicista venga retribuito almeno con 500 euro l'anno a biennio e guardacaso il 95% delle pratiche rientra esattamente in questa fattispecie». L'assurdo è che «non ci si sforza più neanche di simulare un pagamento diverso, perché qualunque cifra superiore ai 500 euro (mille complessivi, quindi) determinerebbe il pagamento di ritenute proporzionalmente superiori che, spesso, vengono pagate non dalla società editrice, come dovrebbe essere, ma direttamente dell'aspirante pubblicista». Tentativi di opporsi in Consiglio ce ne sono stati, ma «tutto continua esattamente come prima» assicura Mannisi: «Il fenomeno della documentazione fasulla comincia a interessare anche le revisioni».Il problema principale resta poi soprattutto, per queste figure, la prospettiva effettiva di riuscire a lavorare: un miraggio che potrebbe giustificare la corsa al tesserino. Il cui fascino resta inossidabile, complice forse anche il fatto che è tra titoli richiesti per partecipare a alcuni concorsi per uffici stampa nella pubblica amministrazione. «Tale continua crescita del numero degli iscritti all'Ordine non appare certamente motivata da un aumento della domanda di professionisti dell'informazione da parte del sistema editoriale» è scritto nell'ultimo Osservatorio sul giornalismo dell'Agcom. «Quest'ultimo» proseguono, «non è mai apparso in grado di assorbire completamente tale forza lavoro».L'auspicio è che su questo panorama si agisca presto. La promessa di Verna è di «consentire nei prossimi anni l’emersione delle nuove figure giornalistiche anche attraverso il riconoscimento dell’attività pubblicistica». Dove per “emersione” si spera che Verna intenda non una ulteriore prolificazione dei pubblicisti, ma un meccanismo che permetta di individuare chi veramente svolge lavoro giornalistico. In un momento successivo, aggiunge Verna, «bisognerà scegliere se passare all’albo elenco unico» precisa ancora Verna. Anche perché resterà sempre di fondo una questione: «quella di chi fa l’esame e chi non» sottolinea il presidente. Ma agli Ordini regionali non converrebbe certo il crollo degli iscritti che farebbe seguito a una eventuale soppressione dell'elenco pubblicisti. Una perdita che potrebbe difficilmente essere soppiantata dai professionisti: per arrivare a questo di titolo il percorso è più complesso, date le scarse possibilità di essere assunti nelle redazioni come praticanti e le difficoltà di accesso alle scuole di giornalismo dai costi spesso proibitivi. Ilaria Mariotti 

Tirocini Schuman non solo a Bruxelles, e a seconda della sede l'indennità mensile sale fino a 1800 euro

Ogni anno l'Europarlamento apre le porte a centinaia di stagisti. Ma nell'ambito dei tirocini Schuman, il principale programma di traineeship dell'organo legislativo dell'Unione europea, non tutte le opportunità sono uguali. Delle tantissime domande che arrivano a ogni edizione dai ragazzi di tutta Europa, «circa 21mila» si legge sul sito, ne va a buon fine solo una piccola parte: 900. Ma non tutti saranno diretti verso i quartier generali di Bruxelles o Strasburgo, come potrebbe erroneamente credere chi si candida. Il Parlamento europeo ha infatti numerose altre sedi, denominate tecnicamente “uffici di collegamento”. Ce n'è almeno una per Stato membro ed è anche qui che i tirocini Schuman possono svolgersi. «Il Parlamento europeo dispone di uffici di collegamento nelle capitali dell'Ue» specifica ancora il sito, «nonché di antenne in città importanti sul piano regionale negli Stati membri più popolosi». Perfino a Washington ce n'è una, dove ha sede «un ufficio di collegamento con il Congresso degli Stati Uniti».Non sono pochi i tirocini che ogni anno si svolgono al di fuori di Bruxelles: «Circa 350» conferma l'ufficio stampa del Parlamento europeo. Dunque più di un terzo del totale. E per questi tirocini a cambiare è soprattutto il trattamento economico, proprio una delle principali attrattive di questo bando: non a caso per una borsa da 1.300 euro mensili, e un'esperienza prestigiosa, gli italiani fanno a gara per aggiudicarsi un posto, risultando di solito tra i primi per numeri di candidature. Nelle ultime selezioni ad esempio, i candidati italiani sono stati circa duemila, e per ogni edizione ne sono stati selezionati una cinquantina. Dunque il 'monthly grant' stabilito dall'articolo 25 del regolamento cambia a seconda del paese di destinazione. Medaglia d'oro per il contributo mensile più alto va al Regno Unito con ben 1.800 euro di rimborso mensile e due possibilità di scelta tra Londra e Edimburgo. A cui va aggiunto un sussidio per l'alloggio pari a 288 euro, e un eventuale plus in caso di disabilità che sfiora i 900 euro. Anche per chi è destinato alla Danimarca la borsa sarà più alta che in Belgio, arrivando a oltre 1.760 euro più 282 per la sistemazione. E ancora Svezia (1.600), Francia, Irlanda e Finlandia (sopra i 1.500 euro), Austria e Germania (1.400), per scendere poi ai livelli del Belgio in Spagna e Italia (intorno ai 1.200 euro). Per un ragazzo italiano uno stage Schuman in patria potrebbe quasi convenire dal punto di vista economico, considerando i mancati costi del viaggio e sommando l'eventualità di poter dormire addirittura a casa propria per chi risiede nelle due sedi degli «uffici di collegamento» italiani, a Roma e Milano. Ma perché tanta differenza nei rimborsi? A rispondere alla Repubblica degli Stagisti è l'ufficio stampa dell'Europarlamento che spiega come «la policy degli stipendi (o indennità) differenziati a seconda del Paese sia valida per tutti i dipendenti dell'organizzazione, e più in generale per tutti i funzionari europei», essendo tarata su «un coefficiente di correzione che riparametra i rimborsi o gli stipendi al costo della vita locale». Come chiarisce Eurostat sul suo sito «ci si basa su un punto di riferimento che è Bruxelles, e si ricalcola il valore con un'operazione matematica basata su costo della vita e dei servizi». Funziona così dal 2013. Tornando agli Schuman, va anche ricordato che per chi si allontana di molto da casa la cosiddetta 'travel allowance' – il rimborso del viaggio – aumenta, essendo a sua volta basata sul chilometraggio. E quali sono le mansioni degli stagisti al di fuori della sede principale dell'Europarlamento? «La funzione di questi uffici» spiegano ancora dall'ufficio stampa, «è quella di migliorare la conoscenza e la consapevolezza dell'Europa a livello territoriale, costruendo ponti con i cittadini, gli stakeholders e i media». Questi uffici lavorano infatti «a stretto contatto con studenti e insegnanti, invitandoli a prendere parte ai dibattiti e ai seminari sulle decisioni da prendere in campo europeo, e fornendo loro materiale di supporto sulle tematiche della Ue». Più nello specifico, uno dei compiti degli stagisti di questi uffici è per esempio «partecipare a Euroscola, il programma che consente agli studenti di realizzare visite di studio a Strasburgo e assistere da vicino al lavoro di un membro del Parlamento europeo». Per chi fosse interessato a questa tipologia alternativa di tirocini Schuman c'è ancora da aspettare qualche settimana. Le candidature si apriranno ufficialmente il primo giugno – e si chiuderanno a fine mese – per tirocini in partenza a ottobre. A quel punto – e anche questa è una recente modifica introdotta dal regolamento – ci si potrà candidare direttamente alle offerte di traineeship pubblicate sul portale dedicato alle sole vacancies relative al programma Schuman. Attenzione poi a un'altra novità, perché un altro troncone di stage all'Europarlamento cambierà regolamento: «A partire dal 2019» preannuncia il sito, «anche i tirocini di traduzione saranno accorpati ai tirocini Robert Schuman». Sono in arrivo dunque ulteriori opportunità per chi volesse cimentarsi in un'esperienza europea. A Bruxelles, o in un ufficio di collegamento a pochi passi da casa. Ilaria Mariotti 

Il percorso a ostacoli dei giovani laureati in medicina tra sfruttamento, incompatibilità e imbuto selettivo

L’imbuto che “blocca” quasi un terzo dei medici aspiranti specializzandi, che devono attendere almeno un anno per accedere a un corso di specializzazione, è un tema molto importante. Ma cosa succede invece nel periodo grigio fra il conseguimento della laurea e l’inizio della specializzazione e che contesto vivono i “fortunati” che si aggiudicano un posto per specializzarsi? La Repubblica degli Stagisti ha raccolto la testimonianza di due giovani medici che, in attesa di specializzarsi, sono proprio ora alle prese con le prime esperienze nel mondo del lavoro. «Sto per cominciare la scuola di formazione specifica in medicina generale, ma alle prossime selezioni proverò ad accedere a una specialità» racconta Claudia [il nome è di fantasia], laureata in Medicina e Chirurgia all’università di Padova. «Intanto dopo l’abilitazione ho iniziato l’affiancamento all’Avis, l'associazione Volontari italiani del sangue». L' “affiancamento” consiste nel frequentare un corso per acquisire le competenze necessarie su donazioni e idoneità, per poi presidiare i punti di raccolta il sabato e la domenica, con il compito di controllare i questionari, verificare l’idoneità dei pazienti e così via. «La paga è intorno ai 136 euro lordi per tre ore il sabato o la domenica». Tuttavia, una volta iniziata la scuola, per Claudia non sarà possibile proseguire l’esperienza, nonostante l’impegno limitato ai weekend: «Dovrò interrompere l’affiancamento, in quanto è considerato incompatibile con la scuola di formazione per diventare medico di base». L’incompatibilità è uno degli ostacoli con cui devono fare i conti i giovani medici che si avvicinano alla professione e sono in cerca di esperienza. Ad esempio la scuola di formazione in medicina generale è incompatibile con tutte le attività libero professionistiche, come appunto l’affiancamento Avis: le uniche attività compatibili sono le sostituzioni e le guardie mediche e turistiche. Un'ulteriore beffa, considerato che i futuri medici di base ricevono un rimborso mensile medio di 966 euro, ben inferiore ai 1.600 di partenza dei medici specializzandi, a fronte del medesimo impegno full time.  Un altro problema è l’impossibilità di fare esperienza prima dell’abilitazione. «Nei mesi in cui prepariamo l’esame di Stato avremmo il tempo di lavorare e cominciare a guadagnare qualcosa, ma quasi tutti i lavori richiedono l’abilitazione» spiega Claudia «L’unica cosa che possiamo fare sono i corsi di formazione di primo soccorso». E dopo l’abilitazione? Sono tante le possibilità di lavoro per i medici abilitati ma non ancora specializzati: sostituzioni, guardie mediche e pronto soccorso, presidi presso strutture turistiche, sorveglianza sanitaria aziendale etc. Offerte con retribuzioni anche apparentemente allettanti, soprattutto per chi è alle prime armi. «Da neolaureato hai meno pretese, e inoltre con la modifica del regime forfettario nei primi tre anni da libero professionista puoi godere di un regime agevolato» aggiunge Giovanni [anche questo nome è di fantasia], giovane medico neoabilitato a Padova: «Il problema non è tanto la paga quanto le responsabilità. Ad esempio la guardia medica si aggira sui 2mila euro al mese per circa 105 ore. Una retribuzione che non è commisurata al rischio effettivo cui si è esposti: ti dicono che dovresti gestire solo i codici bianchi, ma sei un medico e se gli altri sono impegnati hai il dovere di intervenire nell’urgenza. E ancora, per il presidio di un villaggio turistico, per due settimane ti offrono 1.000 euro, ma con la reperibilità di tutto il giorno e il rischio di dover gestire urgenze a tutte le ore».E poi c’è il problema della specializzazione, che ad oggi permette solo a un terzo dei concorrenti di aggiudicarsi un posto. Nel 2018, a fronte di 16.146 candidati, i posti messi a bando erano solo 6.934. La selezione su base nazionale ha introdotto quantomeno una maggiore trasparenza e meritocrazia, ma gli escamotage restano. «Ad esempio gli studenti di famiglie facoltose che non riescono a superare il test trovano il modo di farsi finanziare una borsa di studio da associazioni o enti, con l’aggiunta di posti di specializzazione ad hoc», racconta Claudia. Di recente in Veneto ha fatto scandalo il caso di un professore ordinario di Chirurgia plastica veneto, per un certo periodo direttore di una scuola di specializzazione, coinvolto in un giro di borse create ad hoc e addirittura finanziate da parenti dei candidati che non avevo superato il test selettivo. Quando, finalmente, si riesce a superare il “collo di bottiglia” dell’ammissione alla specializzazione, la situazione non è comunque tutta rose e fiori. «Lo specializzando in Italia non viene valorizzato né rispettato e ricopre ruoli che certo non puntano alla crescita e che non gli competono» lamenta Claudia: «Spesso si ritrova per tutto il tempo a fare cose che lo strutturato non vuole fare, come compilare le cartelle cliniche, senza mai arrivare a entrare, ad esempio, in una sala operatoria». Oppure c’è l’estremo opposto dell’amplificazione delle responsabilità: «Gli specializzandi dovrebbero essere sempre affiancati, invece ad alcuni viene chiesto di coprire turni notturni da soli e persino di trattenersi per i successivi turni diurni». Tutto questo al culmine di un iter già di per sè lungo e impegnativo. Al superamento del test di ammissione - ben 67mila candidati per 10mila posti nel 2018/19 - si frequentano sei anni di università quindi, una volta conseguita la laurea, si effettua un tirocinio di tre mesi fra chirurgia generale, medicina interna e medicina di base. Il successo step è l'esame di abilitazione professionale per l'iscrizione all'Albo. Infine il medico può scegliere fra il corso di formazione specifica in medicina generale, della durata di tre anni, e uno dei 52 corsi di specializzazione (area medica, area chirurgica e area servizi clinici), della durata variabile in base alla branca. Qualche esempio: cinque anni per chirurgia generale, neurochirurgia, anestesia e rianimazione e medicina d'emergenza e urgenza; quattro per dermatologia, endocrinologia e neurologia.Per quanto riguarda gli stipendi, i medici sono al terzo posto nella classifica dei professionisti più pagati, preceduti solo da notai e farmacisti. Secondo le statistiche del Ministero dell'economia il loro reddito annuale medio ammonta a 66.600 euro, ovvero a 5.550 euro al mese. Ma la panoramica sui giovani medici precari fa intuire un forte scollamento della fascia 30-40 anni rispetto ai "veterani". Scollamento che però è impossibile quantificare in quanto l'Enpam, l'Ente nazionale di previdenza ed assistenza dei medici e degli odontoiatri, alla richiesta della Repubblica degli Stagisti di poter avere i dati (ovviamente aggregati) sulle retribuzioni dei medici under 35 ha risposto di non essere autorizzata a pubblicizzare i redditi degli iscritti. La motivazione, alquanto paradossale: per "tutelarli".Quel che è certo è che il cammino dei giovani medici è ricco di ostacoli e punti interrogativi e la difficile esperienza di ingresso nel Sistema sanitario nazionale li induce sempre più spesso a valutare soluzioni più favorevoli per paghe e turnistiche, come il privato e l’estero. «A luglio tenterò il test di specializzazione» conclude Giovanni: «Avevo superato quello per la scuola di medicina generale, ma ho preferito rinunciare subito e lasciare il posto libero. Continuerò l'esperienza di affiancamento all'Avis. Per il futuro non ho un’idea fissa, quindi sono aperto ad adattarmi. So che in Italia devi fare i conti con ciò che è più spendibile e redditizio, ma spero di non trovarmi a fare un lavoro che sia un peso per tutta la vita».Rossella Nocca

Women of EY, a caccia di donne per contrastare il gender gap nella consulenza

Un calendario di assessment “al femminile” per vincere la sfida della parità di genere in azienda. È “Women of EY”, il progetto lanciato da EY Italia lo scorso novembre: consiste in due appuntamenti mensili con assessment di gruppo riservati a ragazze. «L’obiettivo è quello di aumentare gli inserimenti al femminile» spiega alla Repubblica degli Stagisti Mauro Pozzoli, Recruiter Talent Acquisition Specialist Advisory, responsabile dell'iniziativa insieme alla collega Marta Manti: «e di farci conoscere dalle ragazze che pensano che la consulenza non possa essere il contesto giusto per loro». Ma come funziona un assessment tipo? “Women of EY” non è solo un momento di selezione, ma anche di confronto e di condivisione. Prevede infatti l’incontro con manager donne, prevalentemente interne al gruppo, che si raccontano alle candidate, cercando di sfatare i “falsi miti” sul settore. Segue un business case di gruppo con la supervisione delle manager quindi, dopo la pausa pranzo collettiva, si comincia con i colloqui con le Risorse Umane e, per chi valuta posizioni per la sede di Milano, seguono anche i colloqui direttamente con i manager. Tra le testimonianze più significative quella di Giusy Elena Atterrato, laureata in Ingegneria gestionale e a 29 anni già manager in ambito Enterprise IT Transformation, nella divisione Advisory di EY Italia. «Sono stata assunta due anni e mezzo fa come Senior Consultant e sei mesi fa, dopo soli quattro anni nel settore, sono stata promossa a manager e mi occupo di costumer relationship management digital marketing» racconta: «Voglio far capire alle ragazze che la realtà della consulenza è sì a tratti molto dura e stressante, ma è anche un ambiente dove la crescita è veloce e c’è molta meritocrazia, al di là del genere». Finora agli assessment hanno partecipato circa 130 ragazze, con una media di 27 per ogni evento, provenienti da tutta Italia, con una prevalenza di Nord, Roma, Campania e Sicilia. Per la maggior parte, erano laureate in Economia (50 per cento) e in Ingegneria gestionale (30 per cento). Dopo i primi quattro incontri, sono state assunte già 23 ragazze, mediante stage o apprendistati finalizzati all’inserimento, tra mondo Tecnology, It Enterprise Transformation, Risk Internal Audit & Compliance, Supply Chain Operation, Finance, Customer, Cyber Security e Public. La selezione in EY è diventato molto più ad ampio raggio e non esiste un profilo ideale. «Oggi assumiamo solo il 30-40 per cento nell’area Economia e Management. Se fino a qualche anno fa guardavamo meno all’ambito Stem» precisa Pozzoli: «oggi cerchiamo anche ingegneri informatici, gestionali, matematici, delle telecomunicazioni, energetici, nonché ingegneri meccanici, civili, statistici, fisici». Ma come vengono intercettate le ragazze potenzialmente interessate a entrare nell’azienda? «Il canale principale è Alma Laurea. Attraverso i filtri di ricerca individuiamo dei profili e li contattiamo telefonicamente» spiega il recruiter: «quindi li sottoponiamo a una prima selezione, che si fa da casa attraverso test psico-attitudinali, logico-numerici, verbali e di lingua inglese». Le ragazze che superano la soglia minima fissata vengono convocate per la giornata di assessment.  Quindi, una volta conclusa, in breve tempo ricevono un feedback rispetto alla selezione.I primi risultati del progetto sono già positivi: «Negli ultimi cinque mesi abbiamo raggiunto il 45 per cento di donne» racconta Pozzoli «mentre fino a ottobre la percentuale era circa del 30 per cento». Le percentuali più alte si registrano nelle aree Core Business Services (69%) e Tax (48%), mentre le più basse nelle aree Transaction Advisory Services (34%) e Advisory (40%). «Tendenzialmente la percentuale si abbassa salendo nella piramide, ma d’altronde tutte le società di consulenza sono in difficoltà da questo punto di vista», aggiunge il responsabile. Ci sono poi eccezioni positive. «Io lavoro in un team esteso di un'ottantina persone», racconta Atterrato, «dove c’è parità di genere, anzi sulle posizioni manageriali c’è una prevalenza femminile e di questo sono fiera». Women of EY è anche l’occasione per far conoscere le altre iniziative del gruppo. Fra quelle presentate, c’è “Mamme@EY”, una policy che ha l’obiettivo di bilanciare le esigenze di mamme e professioniste in EY, migliorando l’equilibrio tra vita personale e professionale e fornendo un supporto economico nei primi mesi di vita del bambino. «Le neolaureate in genere si sentono poco toccate, a tratti spaventate da questo argomento, sono concentrate su altro, e in particolare sull’internazionalità dell’azienda, sul percorso di crescita e sulla formazione», spiega Pozzoli: «Tuttavia è importante che sappiano che il loro percorso di carriera non sarà rallentato in funzione della maternità, che essa non rappresenta un ostacolo». Gli appuntamenti con Women of EY proseguiranno, per questa edizione, fino al mese di giugno. Le interessate possono scoprire ulteriori dettagli attraverso la sezione Carees del sito aziendale e le pagine social del Gruppo. Ma qual è la “ricetta” per farsi strada nel settore? «Ci vogliono forte passione, dedizione, competenza assoluta, aggiornamento continuo, carattere determinato e sicuro e intelligenza emotiva» riassume Giusy Atterrato: «Alle ragazze consiglio di non sentirsi mai svalorizzate, perché il riscontro dal mondo è determinato in primis da quello che abbiamo di noi stesse. Oggi stiamo sempre più superando i retaggi culturali e dobbiamo abbandonare noi per prime il presentimento di diversità!».Rossella Nocca

Molise e Puglia fanalini di coda: ancora senza una nuova normativa sui tirocini extracurriculari

Sono rimaste due le regioni a non essersi ancora adeguate alle linee guida nazionali in materia di tirocini formativi e di orientamento, che risalgono ormai a quasi due anni fa. Si tratta del Molise e della Puglia. La Puglia dovrebbe legiferare entro l’estate, mentre il Molise non sa dare una tempistica nemmeno orientativa. Il che rappresenta un vero e proprio paradosso, in quanto proprio il Molise era stato tra le prime regioni a recepire, con una delibera regionale, le indicazioni della Conferenza Stato Regioni, adottandole integralmente e rinviando a un secondo momento la disciplina in dettaglio. Un secondo momento che, da luglio 2017 ad oggi, a quanto pare non è ancora arrivato. Otto mesi fa alla Repubblica degli Stagisti era stato assicurato che la Regione era «in fase di elaborazione del testo» e di avviamento dell’informatizzazione dei percorsi di apprendistato e tirocinio. E adesso? «Abbiamo terminato il sistema informatizzato dell’apprendistato e stiamo procedendo a quello dei tirocini», è la risposta di Pasquale Spina, responsabile dell’Ufficio tirocini regionale: «Approvare le linee guida è semplice, abbiamo già pronta la modulistica riguardante convenzioni, progetto formativo e altro. Il difficile è rendere il tutto informatizzato per avere un minimo di controllo ex ante e un colloquio, sempre dal punto di vista informatico, per tutti coloro che ruotano intorno a questo istituto».Inoltre Spina adduce il ritardo anche a non meglio definiti fattori esterni: «A livello nazionale vi sono ancora delle problematiche da dover dissipare, quindi non vorremmo concludere l’iter per riprenderlo il giorno successivo e apportare modifiche». Problematiche su cui la Repubblica degli Stagisti chiesto maggiori chiarimenti, visto che non sono state segnalate da nessuna delle altre regioni, ma senza ricevere risposta. Nel frattempo, i tirocini formativi e di orientamento in Molise sono attivati in base alle linee guida nazionali e, per tutto quanto non specificato da queste ultime, si rifanno alla normativa regionale precedente. Per quanto riguarda invece la Puglia, dalla Regione assicurano che al massimo entro l’estate la delibera della giunta sarà approvata. «Siamo agli ultimi passaggi istituzionali» giura alla Repubblica degli Stagisti Sebastiano Leo, assessore regionale con delega formazione e lavoro – politiche per il lavoro «e si prevede a breve la condivisione del testo con il partenariato economico-sociale». Ed ecco qualche anticipazione sulla normativa pugliese prossima ventura: «La Regione intende confermare l’importo minimo di 450 euro a titolo di indennità di partecipazione, come pure intende conservare la previsione della durata massima di sei mesi per i tirocini che non siano rivolti a persone che si trovano in una condizione di particolare svantaggio, per i quali il percorso potrà avere una durata massima di ventiquattro mesi» dice l’assessore: «Per i tirocini finalizzati all’inclusione sociale, all’autonomia delle persone e alla riabilitazione di persone già prese in carico dai servizi sociali e sanitari professionali, sarà ammessa, previa attestazione da parte dei competenti servizi, una proroga ulteriore rispetto al limite dei ventiquattro mesi o la ripetizione della esperienza formativa, di norma vietata». In questo la Puglia si discosterà dunque dalle linee guida nazionali, che prevedono il limite massimo di dodici mesi, prolungabili a ventiquattro solo per i soggetti disabili, e mai derogabili.Il nuovo testo introdurrà anche alcune novità rispetto alla normativa regionale del 2013. Tra queste, l’inserimento della premialità ai fini del superamento della quota di contingentamento (il numero massimo di tirocini attivabili in rapporto al numero di lavoratori subordinati all’interno dell’unità produttiva) in favore del soggetto ospitante che procederà all’assunzione di uno o più tirocinanti. Sarà inoltre introdotto un controllo "a monte" sulla regolarità dei tirocini, come spiegato dall'assessore Leo, attraverso «la previsione di un meccanismo di autorizzazione del tirocinio in grado di intercettare in fase preventiva le irregolarità che ineriscono alla fase genetica del percorso formativo, come ad esempio la violazione dei limiti di durata minima e massima del tirocinio, la violazione del limite numerico di tirocinanti che il tutor può accompagnare e la violazione del divieto di reiterazione del tirocinio tra medesimo destinatario e medesimo soggetto ospitante».Insomma la Puglia si sta avviando, se pur lentamente, verso la conclusione dell’iter di adeguamento, mentre il Molise sembra destinato ad essere ufficialmente fanalino di coda.Rossella Nocca

Tirocini in Emilia-Romagna, la nuova legge inasprisce controlli e sanzioni

Una nuova legge per qualificare l’esperienza del tirocinio e contrastare possibili abusi. A fine febbraio l’assemblea legislativa dell'Emilia Romagna ha approvato la legge n.1 del 2019, il cui fulcro è l’intensificazione del controllo e della tutela dei tirocinanti. La legge, che entrerà in vigore il 1° luglio 2019, ha introdotto infatti l’autorizzazione preventiva, basata su un sistema informativo regionale di gestione, controllo e autorizzazione dei tirocini; e un più severo controllo in itinere, attraverso un accordo con l’Ispettorato del lavoro per il monitoraggio e la condivisione dei dati, finalizzato a garantire il corretto utilizzo del tirocinio, contrastando i possibili utilizzi elusivi e prevenendo gli abusi.  L’autorizzazione preventiva dovrà essere rilasciata dall’Agenzia regionale per il Lavoro entro dieci giorni dal recepimento della documentazione di attivazione del tirocinio. La Giunta regionale, in stretta integrazione con l’Ispettorato del Lavoro, dovrà invece individuare e programmare attività di controllo e ricevere tempestiva informazione sugli accertamenti ispettivi realizzati, anche per introdurre interventi di carattere regolativo. La durata massima per i tirocini, per i quali non esisterà più la distinzione fra formativi/di orientamento e di inserimento/reinserimento al lavoro, è stata fissata a sei mesi, quindi abbreviata rispetto alle linee guida nazionali. Fanno eccezione i tirocini rivolti a persone in condizioni di svantaggio (dodici mesi) e a persone con disabilità (ventiquattro mesi). L’indennità minima mensile è stata invece fissata a 450 euro, quindi innalzata rispetto alle linee guida nazionali e confermata rispetto alla normativa regionale precedente. Confermato anche il divieto per l’azienda di ripetere il tirocinio con lo stesso tirocinante e di ospitare tirocinanti che abbiano già lavorato nei due anni precedenti presso la stessa realtà, con qualunque forma contrattuale, nonché di utilizzare i tirocinanti per attività non coerenti con gli obiettivi formativi previsti.Resta inoltre l’obbligo per i tirocini di rifarsi al Sistema regionale delle qualifiche, garanzia di uno standard qualitativo uniforme su tutto il territorio. Sempre per tutelare la qualità dell’esperienza, è stato inoltre introdotto un limite al numero di tirocinanti che il tutor individuato dal soggetto promotore e quello individuato dal soggetto ospitante possono seguire contemporaneamente. E ancora, rimane il divieto di tirocinio per le imprese che abbiano effettuato licenziamenti nei dodici mesi precedenti l’attivazione del tirocinio, salvo per giusta causa o giustificato motivo, o che abbiano usufruito della cassa integrazione per attività equivalenti a quelli dei tirocinanti nella stessa unità operativa. Riguardo l’impianto sanzionatorio, rispetto alla normativa precedente è stata eliminata la sanzione pecuniaria per violazione dell’obbligo di invio di progetto formativo e convenzione prima dell’avvio del tirocinio, in quanto questo passaggio ora rappresenta una condizione necessaria per l'attivazione dello stesso. Introdotte invece nuove sanzioni per i soggetti promotori e ospitanti che violano le norme, punibili con il divieto di attivare tirocini che va dai dodici mesi all’interdizione permanente. È stato poi esplicitato il divieto di sostituire con tirocinanti il personale in malattia, maternità, ferie o sciopero e i lavoratori in momenti di picco nelle attività.  I dati diffusi dalla Regione Emilia-Romagna parlano di un inserimento lavorativo al termine del tirocinio per il 60 per cento dei tirocinanti. Tirocinanti che nel 2018 sono stati circa 30mila, di cui il 49,4 per cento donne e il 50,6 per cento uomini. 21.433 tirocini, in particolare, hanno riguardato giovani under 30. Il 6 per cento ha inoltre coinvolto richiedenti asilo o titolari di protezione internazionale. I prossimi mesi serviranno ai soggetti promotori e alle aziende ospitanti per sperimentare il nuovo sistema informativo e le nuove modalità di autorizzazione preventiva, che − se ben sfruttati − potrebbero diventare un modello per le altre regioni. Rossella Nocca

Mestieri del futuro, si può “virare” verso il digital marketing con le Palestre Digitali

Con l’esplosione dell’economia digitale, sempre più giovani con un tipo di formazione non molto richiesto dal mercato del lavoro di oggi – ad esempio diplomi o lauree di tipo umanistico – cercano di riconvertire le proprie competenze frequentando corsi specifici per affinare le proprie skill digitali. Tra le iniziative organizzate in questo senso c’è “Palestre Digitali”, un progetto promosso da Young Women Network – prima associazione italiana, nata nel 2012, dedicata al networking, mentoring ed empowerment delle giovani donne – in collaborazione con Accenture e con la sua fondazione. Aderiscono diverse aziende importanti come Samsung e Randstad, nonché organizzazioni come Federturismo, l'associazione Prospera, Actl, e una importante collaborazione di Assolombarda.Dalla fondazione delle Palestre, nel 2012, si sono tenute sedici edizioni e sono stati formati 606 ragazzi.  L’iniziativa si svolge a Milano, presso le sedi di alcuni dei partner che aderiscono al progetto. «Il modello itinerante di Palestre Digitali permette ai giovani che seguono la formazione, di entrare fisicamente nelle aziende e di avere da subito un primo contatto con il mondo del lavoro e le sue dinamiche: flessibilità, trasferte, standing richiesto» spiegano da Accenture. Ogni anno vengono organizzate tre edizioni diverse. Nel 2015/16 e nel 2016/17, inoltre, è stata organizzata una quarta edizione anche a Cagliari, frutto di una sperimentazione che ha coinvolto anche Confindustria Sardegna e Meridione e l’università di Cagliari.Palestre è un percorso di formazione intensivo orientato al digital marketing e rivolto a giovani neolaureati o laureandi. Il programma comprende 140 ore di docenze con testimonianze di professionisti d’eccellenza del top management italiano, 20 ore di lezioni virtuali, 60 ore dedicate allo sviluppo di un progetto con esercitazioni in team. Il piano didattico comprende approfondimenti sui temi chiave del digital marketing, dalle hard & soft skills (comunicazione, creatività, lavoro di gruppo) al marketing digitale vero e proprio, con approfondimenti specifici su tecniche come SEO, SAM, landing pages, web reputation e Google Trends. Si tratta di un percorso a tempo pieno: le lezioni si svolgono dal lunedì al venerdì dalle 9.30 alle 17.30.Obiettivo di Palestre è valorizzare i talenti e i percorsi di studio dei partecipanti orientandoli verso il mercato del lavoro digitale. Per questo motivo al corso si affianca un’attività di tutoraggio per gli studenti, sia durante la formazione in aula che durante la successiva fase di placement. Palestre, infatti, può contare su un network importante di aziende selezionate – oltre ai propri partner – che sono interessate ad offrire 4/6 mesi di formazione on the job ai partecipanti, specie con progetti di stage.I posti a disposizione sono più o meno cento ogni anno (137 quelli assegnati nel 2018). Per ciascuna edizione arrivano tre la 250 e le 300 candidature: dei corsisti 2018 il 68% erano donne. Le selezioni sono aperte a tutti; i requisiti che possono aumentare le chance di essere scelti sono essere un laureato o laureando attualmente inoccupato o disoccupato, avere meno di 29 anni, l’essersi laureato – o in triennale o in magistrale – da non più di dodici mesi, una buona conoscenza dell’inglese la disponibilità ad eventuali spostamenti durante il corso e l’interesse allo svolgimento di professioni in ambito digitale. L’iniziativa è pensata soprattutto per laureati in discipline umanistiche – nei cui corsi di laurea, generalmente, l’attenzione per il mondo digitale è scarsa – ai quali sono riservati il 60% delle iscrizioni.Aspetto interessante di Palestre è il fatto che sia completamente gratuita per i partecipanti, dal momento che il progetto viene finanziato interamente dalle aziende partner e affiliate al network. I selezionati devono farsi carico soltanto del vitto e dell’alloggio se fuori sede. Nel 2018/19 la prima edizione si è tenuta tra ottobre e novembre, mentre la seconda – febbraio/marzo – è in questo momento in corso. La terza si terrà tra maggio e giugno.E per quanto riguarda i risultati? Gli organizzatori hanno fatto il punto con la Repubblica degli Stagisti: dal 2012 Palestre, come detto, ha formato 606 laureati. «Monitoriamo il successo dell’iniziativa nei 6/12 mesi successivi. Il modello Palestre Digitali prevede che i ragazzi entrino in contatto con le aziende che offrono la possibilità di effettuare uno stage» spiegano da Accenture: «Da lì è poi il ragazzo a “giocarsi” l’opportunità con l’azienda. Obiettivo ultimo è monitorare quanti dei ragazzi formati convertano la formazione in stage, ad oggi al 70%». Non viene invece registrato, e dunque non si può sapere, quanti di questi stage si siano poi trasformati in rapporti di lavoro. Giulio Monga

Medici, una categoria privilegiata? Non è sempre così

La professione medica non è più un’isola felice. O almeno non lo è per tutti. I “fortunati” che riescono a superare il primo scoglio della selezione per diventare medici sanno che la strada sarà ancora in salita. Una volta laureati e abilitati, non hanno infatti la certezza di accedere a una borsa di specializzazione e potrebbero gravitare a lungo nel mondo del precariato, tra guardie mediche e turni anche a 3,50 euro l’ora. Nel 2018, nonostante il fabbisogno di medici specialisti stimato dalla Conferenza Stato Regioni ammontasse a 8.569 unità, sono stati finanziati  e messi a bando solo 6.934 contratti per le 54 scuole di specializzazione di area medica, a fronte dei 16.146 concorrenti. Per non parlare del corso di formazione specifica in Medicina generale, dove sono state finanziate 2.128 borse di studio, a fronte del fabbisogno stimato dalla Conferenza Stato Regioni di 10mila unità. Ma come si è arrivati a questa impossibilità da parte di più di un terzo dei medici abilitati di proseguire, almeno fino alla selezione dell’anno successivo, il percorso formativo? «La causa dell’imbuto formativo attuale è in una politica miope» denuncia alla Repubblica degli Stagisti Maria Teresa Petti, specializzanda al secondo anno in Genetica medica, membro del Comitato nazionale aspiranti specializzandi (Cnas) e vice coordinatrice del Dipartimento per l’accesso alla formazione post laurea del Segretariato italiano giovani medici: «Una politica che ha sostenuto negli anni l’incremento dei posti disponibili al test di accesso al corso di laurea in Medicina e chirurgia senza che a questo corrispondesse il finanziamento di un numero adeguato di contratti di formazione post laurea». Come si può rimediare? «Chiediamo una programmazione lungimirante che stimi con precisione chirurgica la quantità, ma anche la tipologia di specialisti necessari per rispondere alle esigenze emergenti della popolazione, quali l’aumento delle patologie croniche, quindi che non si basi soltanto sullo sterile dato dei futuri pensionamenti» risponde Petti: «Per la formazione di ciascuno studente di Medicina vengono spesi dallo Stato circa 120mila euro, pertanto una corretta programmazione permette di non vanificare un investimento così consistente».A tal proposito un segnale positivo è arrivato da un emendamento del Dl Semplificazioni, che ha stabilito che il ministero della Salute dovrà definire una metodogia per determinare il reale fabbisogno di personale da parte degli enti del Servizio sanitario nazionale e quindi le figure necessarie ad assicurare il diritto dei cittadini all'assistenza medica. Da un lato infatti ci sono tanti giovani medici che scalpitano per completare l’iter formativo, dall’altro svariate specialità in forte carenza di personale, come Medicina interna, Pediatria, Anestesia e rianimazione e soprattutto Medicina d'emergenza e d'urgenza. Un’occupazione tra le più usuranti, in cui si arriva anche a otto turni notturni mensili, e alla quale non corrisponde un compenso adeguato.«La soluzione può essere solo una: aumentare le borse di specializzazione e i contratti di formazione riservati ai già dipendenti del Servizio Sanitario nazionale» sostiene Lucilla Crudele, segretaria del Dipartimento Specializzandi del Segretariato italiano giovani medici (Sigm) e specializzanda al II anno in Medicina d’emergenza e urgenza: «Anche perché studi dimostrano che una figura specializzata migliora la gestione dell’emergenza e assicura una degenza post triage con standard molto più elevati». Se il test di specializzazione unico a livello nazionale ha rappresentato un importante passo avanti per gli aspiranti medici, anche in termini di trasparenza delle selezione, ora le associazioni propongono un ulteriore step. «Siamo stati i primi a chiedere al ministero della Salute, attraverso una proposta inviata lo scorso settembre, di unificare il test per le scuole di specializzazione e il test per il corso di formazione specifico in Medicina generale» racconta Giorgio Sessa, vicepresidente del Consiglio esecutivo del Segretariato italiano giovani medici con delega alla medicina generale «evolvendola a disciplina accademica, con l’istituzione della Scuola di specializzazione in Medicina generale, di comunità e cure primarie, sul modello dell’università di Modena». L’unificazione permetterebbe anche di evitare in parte il fenomeno dell’abbandono di borse – ad esempio per chi accede alla specializzazione desiderata al tentativo successivo e abbandona il percorso – e la conseguente perdita di fondi stanziati per la formazione post laurea.Oggi quello in Medicina generale rappresenta infatti un percorso a parte, gestito dalle Regioni e dai sindacati, e con un trattamento economico ben differente. Se uno specializzando percepisce infatti 1.600 euro per i primi due anni e 1.730 per i successivi, chi si indirizza verso la Medicina generale ne riceve circa 900. «La formazione in Medicina generale non forma adeguatamente una figura fondamentale come quella dei medici di famiglia» lamenta Sessa «anche perché a distanza di quasi trent’anni dall’istituzione del corso non esiste un documento in cui sia scritto cosa deve imparare un medico di famiglia». Nella situazione attuale sono tanti i medici italiani che si trasferiscono all’estero: oltre 10mila hanno lasciato il paese tra il 2008 e il 2018. Per dare un punto di riferimento a chi decide di continuare il percorso all’estero un utile riferimento è il sito Doctors in fuga. E intanto la popolazione medica qui invecchia: secondo i dati Eurostat un medico su due ha oltre 55 anni. Chi resta nel “limbo” tra abilitazione e specializzazione è spesso costretto ad accettare condizioni di lavoro mortificanti. Per contrastare questo fenomeno a novembre 2017 è nato il gruppo Facebook “Giovani medici anti sfruttamento”, oggi affiliato all’Associazione liberi specializzandi Fattore 2a. «Tutto è partito dall’esigenza di combattere la solitudine di ogni libero professionista del settore» spiega alla Repubblica degli Stagisti la portavoce Lucrezia Trozzi, 26 anni, specializzanda al II anno in Otorinolaingoiatria, che ha raccontato la sua storia anche in un videoreportage di Riparte il futuro: «Nel nostro settore l’onorario non lo decidiamo noi, ma il soggetto a cui prestiamo servizio: dalla clinica privata alla società sportiva alla ditta di ambulanze. E noi ci adeguiamo per inesperienza e rassegnazione». Tante le testimonianze raccolte in questo primo anno dal gruppo Facebook chiuso, in cui sono ammessi solo i medici: «Parliamo di turni di 12 ore a 3,50 euro lordi in cliniche private che per la degenza chiedono migliaia di euro, o di sette euro l’ora per presidiare competizioni sportive con grandi afflussi di persone e dove può succedere di tutto, o ancora di offerte per un ruolo di direttore sanitario a duecento euro come mero “presta-nome”», prosegue Trozzi: «Anche se questi sono casi limite, la "normalità" per le partite Iva si attesta comunque sui 7-10 euro». Tra le segnalazioni inviate dai giovani medici spicca l'offerta di lavoro per un presidio medico durante un soggiorno estivo per minori in Umbria.  «Richiesta disponibilità di 24 ore, per due settimane. Compenso di circa 3 euro all'ora»: questa la risposta che è stata data a un giovane medico che aveva chiesto maggiori dettagli sull'incarico. Anche se il decreto Bersani nel 2006 ha vietato i tariffari minimi e varie categorie come odontoiatri e avvocati hanno provato inutilmente a introdurlo, il gruppo ha stilato un tariffario “ideale” di riferimento per le prestazioni dei medici. Qualche esempio: 35 euro l’ora per turni automedica e 118, 25 euro l’ora per i turni in cliniche private, tra i 20 e i 30 euro l’ora per i presidi agli eventi e tra i 20 e i 70 per le competizioni sportive. 22 euro l’ora è invece la tariffa indicata da convenzione statale per le sostituzioni di medicina generale e per le guardie mediche.Insomma, c’è urgente bisogno che il passaggio dal mondo della formazione a quello del lavoro sia riorganizzato e razionalizzato per andare incontro sia al diritto alle cure dei pazienti sia all’esigenza di (buona) occupazione dei giovani medici.   Rossella Nocca