Categoria: Storie

Uno e buono: così il primo stage di Niccolò è diventato un inizio di carriera in PwC

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa del Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Niccolò Polcri, 26 anni, consulente finanziario in apprendistato per PricewaterhouseCoopers, a Milano.Sono nato nel 1989 a Sansepolcro, in provincia di Arezzo, dove ho abitato fino alla maturità scientifica, nel  2008; mi sono poi trasferito a Milano per l’università iscrivendomi Scienze bancarie, finanziarie e assicurative  alla Cattolica: una scelta legata sia alla reputazione dell’ateneo che al piano di studi offerto, completo e in linea con i miei interessi. Poi è innegabile che Milano offra molte opportunità, in primis sul fronte lavoro!Il caso ha voluto poi che l’inizio del periodo universitario abbia coinciso con l’inizio della crisi finanziaria, un problema per il mercato occupazionale ma anche uno stimolo per il mio interesse verso i temi economici e finanziari. In questi anni mi sono ho concentrato gli sforzi nel mantenere il ritmo degli esami e concludere nei tempi ordinari, convinto che il curriculum universitario fosse determinante per una buona futura esperienza di lavoro. Ho conseguito la laurea triennale ad ottobre 2011, mentre avevo già iniziato i corsi della laurea specialistica e due anni dopo è arrivata anche la laurea specialistica, con una tesi sperimentale che ha richiesto dieci mesi di lavoro per raccogliere ed elaborare i dati su assetti proprietari e pro ciclicità del leverage, due aspetti mai studiati congiuntamente dagli economisti. Ho discusso l’elaborato a dicembre 2013, ottenendo 109/110.Poi ho iniziato subito a inviare curriculum. Le mie uniche esperienze lavorative risailvano ai primi due anni del liceo, quando i weekend aiutavo i miei genitori nell’azienda tessile manifatturiera di famiglia, con mansioni manuali, soprattutto di magazziniere. Poi è stata la volta di un'azienda agricola. Non erano quindi esperienze legate al mio percorso di studio, ma sono state ugualmente formative: mi hanno aiutato a non dare niente per scontato e a lavorare sodo per ottenere dei risultati. E con quello che guadagnavo mi sono pagato le vacanze estive – magari lunghe, all’estero, per studiare inglese.  Finita l’università però sono andato mirato. La ricerca è avvenuta quasi solo su internet, sui siti web di banche e società di consulenza finanziaria, tra cui PricewaterhouseCoopers. Ho inviato il cv per l’area Advisory – Financial Services e dopo un  mese sono stato contattato per un colloquio.Ho sostenuto la selezione - test logico-matematico, colloquio di gruppo e test di inglese - a inizio febbraio e basti dire che il 19 dello stesso mese ero in azienda a raccogliere le prime indicazioni sui due progetti a cui mi sarei dedicato. Entrambi sono stati impostati su un intenso lavoro di squadra con i colleghi - con i quali ho instaurato un rapporto anche al di fuori dell’ambiente lavorativo - e sull'acquisizione graduale di fiducia, autonomia e sicurezza nelle attività. In particolare mi sono occupato di analisi del mercato bancario per identificare linee di sviluppo dei modelli di organizzazione della rete e di supportare lo sviluppo di un nuovo servizio bancario. Per i cinque mesi di stage ho percepito un rimborso spese di 850 euro lordi al mese, più buoni pasto; poi a luglio 2014, conclusa l’esperienza, mi è stato proposto di rimanere in PwC a partire dal successivo settembre, con un contratto di apprendistato di 2 anni con uno stipendio annuo lordo di 24mila euro e buoni pasto. Il costo della vita a Milano è alto, si sa, ma con questa retribuzione riesco a mantenermi completamente da solo, condividendo un appartamento con altre due persone. In futuro magari, potrò essere più autonomo anche in questo. Per gli stagisti il rischio è di collezionare tante esperienze una tantum senza possibilità di costruire un percorso strutturato di crescita, ma in PwC per me è stato diverso e adesso ho intenzione di continuare a lavorare con impegno e interesse. Così credo che il rapporto di mutuo investimento tra me e l'azienda possa continuare. Più in là, chissà, potrebbe esserci l’estero, un’esperienza fondamentale nel mio settore e, in una realtà internazionale come questa, un obiettivo a portata di mano.Testimonianza raccolta da Annalisa Di Palo

Stage all'Assemblea parlamentare Osce: da Napoli Anna arriva fino a Copenaghen per costruirsi un futuro internazionale

Iniziare una carriera all’interno di un’organizzazione europea, si ma quale? L’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) con rappresentanze in 57 Paesi, offre  varie opportunità ai laureati con profilo internazionale: il bando per candidarsi è aperto proprio in questo periodo. E Anna Di Domenico ha saputo sfruttare la sua...Ho 25 anni, vengo da un piccolo comune in provincia di Napoli e sono per metà tedesca. Ora vivo a Copenhagen, in Danimarca, dove lavoro come Research Fellow presso l’Assemblea Parlamentare dell’Osce. Sono sempre stata una ragazza intensamente curiosa. Amo viaggiare, mettermi alla prova, e fin da piccola sognavo di poter vivere in paesi diversi. Per gli studi ho deciso di rimanere in Italia, ma ho soddisfatto la mia vocazione “estera” dopo il liceo, laureandomi in Relazioni internazionali all’Orientale di Napoli: nel maggio 2013 ho terminato la specialistica. Sono soddisfatta del mio percorso accademico: ha ampliato notevolmente i miei orizzonti e sento di possedere le conoscenze teoriche necessarie nel campo degli affari internazionali, ma mi sono personalmente sempre sentita oppressa da luogo in cui forse ho vissuto per  troppo tempo.Infatti, viaggi a parte, ho fatto la mia prima esperienza all’estero prima di terminare l’università: era il 2011 e sono stata selezionata per un tirocinio di qualche mese alla Rappresentanza Permanente d’Italia presso la Nato, che si trova a Bruxelles. Poi sono tornata altre due volte in questa città, sempre come tirocinante: prima per la Rappresentanza della regione Campania e poi per il Servizio europeo di azione esterna, uno degli ambitissimi posti da stagista della Commissione Europea.Ho saputo dell’opportunità all’Assemblea Parlamentare dell’Osce per caso. Era aprile dell’anno scorso e mi trovavo a Londra per un paio di mesi. Lavoravo per una Ong e mi piaceva molto. Ma la certezza che fosse una cosa temporanea mi spingeva a cercare altro. Rispetto ad altre organizzazioni, questa proposta dell’Osce mi sembrava più conveniente, già  per l’ammontare del rimborso (564 euro mensili) e l’alloggio compreso. Così ho inoltrato la domanda. Mi hanno proposto un colloquio di cui mi ricordo benissimo: era il giorno del mio compleanno! A fine luglio ho ricevuto la mail con la proposta ufficiale ed ero felicissima di poter iniziare questa esperienza e trasferirmi in una città che non conoscevo.Mi sono trasferita a Copenhagen nel settembre 2014 e sono qui da ormai sei mesi. Vivo in uno dei due alloggi riservati ai  cinque giovani selezionati per ogni sessione, che è situato in quartiere centrale ed elegante. Non posso immaginare un’esperienza migliore di questa. La formalità richiesta non intacca in alcun modo la familiarità che si è creata tra i colleghi nel corso del tempo. L’ambiente è molto stimolante, fatto di persone competenti e disponibili a formare stagisti, che sono considerati effettivamente come una risorsa in più, al pari di ogni altro membro del team: ci vengono concessi ampi margini di autonomia e responsabilità e veniamo consultati in merito a questioni che interessano le aree geografiche e tematiche che ognuno di noi copre. Ho da poco ricevuto conferma dell’estensione del mio "contratto" di stage per altri sei mesi, per la quale avevo a lungo sperato e duramente lavorato. E dopo? Sarei pronta a restare in Danimarca o spostarmi in un altro paese. Fino a un anno fa mandavo molte domande anche in Italia, nella speranza di trovare qualcosa di stimolante. Ma mi hanno offerto solo tirocini non rimborsati o sottopagati. In più il clima di sfiducia, di delusione e disillusione mi ha spinta a non guardare più al mio paese come possibile meta futura. Vedo molti dei miei amici, con la mia stessa formazione e simili esperienze, faticare per trovare poco o niente. E quel poco non è neanche pienamente formativo. Personalmente, mi sento di aver trovato un mio certo equilibrio fuori dall’Italia, spostandomi di paese in paese, dove, per fortuna, non mi sono mai sentita un’estranea, o un “expat”, termine che ora va così di moda. Sicuramente la doppia nazionalità mi aiutato a rendere il distacco fisico dal mio paese meno doloroso e, a conti fatti, posso dire che la forte determinazione mi ha aiutato molto di più della preparazione. Prima di ricevere dei “si”, sapete quanti “no” ho ricevuto? Decine.Mi sento senz’altro molto fortunata rispetto a tanti miei coetanei, giovani brillanti e con voglia di fare, che purtroppo non hanno avuto l’opportunità di svolgere esperienze professionali tanto rilevanti. É stato spesso frustrante e demoralizzante. Posso comprendere chi si ferma e decide di tentar altro. Ma se davvero si vuol lavorare nel campo delle relazioni internazionali, bisogna accettare che è un ambiente altamente competitivo ed essere soprattutto pronti a lasciare tutto e partire da un giorno all’altro, se un’opportunità dovesse presentarsi. testimonianza raccolta da Silvia Colangeli

«Grazie allo Sve ho imparato a insegnare con l'educazione non formale»

La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani italiani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere anche la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Pietro Boccongella.Sono nato trent’anni fa a Lanciano, in provincia di Chieti. Ho sempre detto di voler fare l’insegnante e finalmente ci sto riuscendo, anche grazie alle opportunità che mi ha offerto l’Unione europea. Attraverso lo Sve in Bulgaria ho realizzato che le possibilità di lavorare nel campo dell’educazione sono tantissime, non solo nella scuola. Ma guarda caso, tornato dallo Sve in Bulgaria lo scorso novembre, a gennaio ero a Modena per una supplenza in un liceo.Il mio obiettivo futuro è quello di portare l'educazione non formale a scuola e combinarla con una metodologia formale, perché credo che l'istituzione scolastica vada rinnovata anche dall’interno. Lo Sve rappresenta finora la più bella esperienza della mia vita, perché mi ha reso più maturo. Ma le mie esperienze sono state molte ed è bene partire dal principio.Dopo la maturità scientifica mi sono trasferito a L’Aquila, dove all’università ho studiato Storia sia alla magistrale sia alla specialistica, conclusa nel 2011 con 110 e lode. Poi, dopo un’ardua selezione, sono stato ammesso per il Tfa, il Tirocinio formativo attivo, un corso di abilitazione all’insegnamento per il quale, tra il 2012 e il 2013, mi sono diviso tra l’Aquila, dove frequentavo il corso, e Lanciano, dove svolgevo il tirocinio nel liceo scientifico. Così ho ottenuto l’abilitazione all’insegnamento di Storia e filosofia nei licei. Nel frattempo avevo già iniziato a studiare per una seconda laurea magistrale in Scienze dell’Educazione, sempre all’Aquila. Mi mancano pochi esami e dovrei laurearmi entro l’anno.Il mio trampolino di lancio nel mondo dell’Unione europea è stato l’Erasmus. Nel 2008 sono stato nove mesi a Innsbruck, in Austria. Grazie a questo progetto è nata in me la coscienza sociale e politica di essere cittadino europeo, rafforzando allo stesso tempo quella italiana. Lasciare la mia città natale ha però favorito anche un grande senso di attaccamento ad essa. Il profumo della mia terra è per me così forte che lo sento, sempre, non appena arrivo a casa. Un’altra fruttuosa esperienza è stato il progetto Comenius, che permette a studenti e insegnanti di confrontarsi con la formazione all’estero. Tra il 2012 e il 2013 sono stato dieci mesi ad Heidelberg, in Germania, lavorando come assistente di lingua e cultura italiana in un liceo linguistico. Sono riuscito a incastrare questo progetto con il Tfa all’Aquila, imparando a progettare una didattica che lasci spazio alla creatività degli studenti.Provengo da una famiglia umile e mi sono sempre mantenuto da solo. A sedici anni ho iniziato a lavorare in pizzeria. Con il tempo sono arrivato a lavorare in ottimi ristoranti, guadagnando anche bene, ed anche oggi mi basta una telefonata per tornare a fare il cameriere. Dunque non ho seguito affatto le orme dei miei genitori: ho preferito rincorrere il mio istinto e le mie inclinazioni, riempiendo comunque di orgoglio e soddisfazione la mia famiglia. Un grande aiuto sono state anche le collaborazioni lavorative di 150 ore in università e soprattutto le borse di studio.Da anni volevo fare lo Sve, ma l’aspetto economico mi aveva sempre frenato. Poi però mi sono informato meglio, ho fatto due conti e capito che con la copertura delle spese offerta dal programma potevo fare un’altra esperienza all’estero anche senza guadagnare soldi nel frattempo. Così un giorno di ottobre del 2013 mi sono presentato al Centro servizio volontario di Chieti. Mi hanno spiegato che sarei potuto partire a breve: c’era un progetto di un anno approvato in Bulgaria ma la ragazza già selezionata si era ritirata all’ultimo momento. Ero un po’ spaventato all'idea di dover partire subito per un paese di cui non sapevo nulla. Ma dopo due settimane ero a Burgas, città sul Mar Nero.La mia associazione ospitante è stata la piccola e giovane Mackenzie Association. Pochi giorni dopodi me è arrivata Ripi, la mia collega di Sve, anche lei di 29 anni. Veniva dalla capitale dell’Armenia, Jerevan, ed era una ragazza completamente diversa da me. Lavorare insieme e convivere non è stato facile, ma anche grazie a Ripi ho imparato ad ascoltare e ad osservare di più, a parlare se le cose non sono chiare, scoprendo che il dialogo è la più grande risorsa dell’essere umano. Ho anche capito che i conflitti possono essere costruttivi e necessari. Il progetto Sve si chiamava "Teaching tolerance" e il nostro compito era andare in diversi licei della città di Burgas: attraverso l’educazione non formale, utilizzando giochi di ruolo, brainstorming, teatro e altre attività cooperative, aprivamo dibattiti su tematiche come il razzismo, i diritti umani, gli stereotipi, la violenza, o discutevamo di argomenti storici, analizzandoli da diversi punti di vista. Durante il progetto siamo stati anche in scuole di altre città come Cavarna, Vidin e Vratza.In estate abbiamo lavorato alla realizzazione di un piccolo manuale, "Te.To.", nel quale abbiamo raccolto in inglese le migliori attività svolte per creare uno strumento valido per chiunque volesse cimentarsi con l’educazione non formale. In estate abbiamo inoltre attivato una summer school per alcuni bambini della periferia di Burgas, realizzando giochi, disegni, attività manuali, laboratori di geografia europea, educazione ambientale e giardinaggio. È stato un successo.Inoltre di venerdì facevamo da facilitatori per un gruppo di studenti: li aiutavamo a progettare qualsiasi attività che potesse avere un risvolto sociale. Per esempio abbiamo organizzato un pomeriggio di festa italo-armeno e un progetto di dialogo intergenerazionale, portando gli studenti liceali in alcune case di riposo: un’occasione di racconto e di confronto tra due mondi diversi, uno che ha vissuto le restrizioni del comunismo e l’altro in pieno clima liberista.Infine, come progetto personale, ho insegnato cultura e storia italiana in un istituto bilingue, spesso utilizzando una metodologia non formale. Tutto quello che ho fatto nel mio Sve era scritto nel progetto. Grazie anche alla flessibilità che consente il programma, poi, ho viaggiato molto, visitando gli altri volontari europei sparsi per il paese e osservando come lavoravano le altre associazioni. La rete di conoscenze mi ha permesso di tenere da solo un workshop per adulti sull’educazione non formale, in un festival sulla tolleranza a Rebrovo. È stata una grande soddisfazione.Sono stato persino in Israele, organizzando il viaggio con altri volontari Sve, e ho visitato in Bulgaria il campo profughi di Harmanli, dove arrivano migliaia di richiedenti asilo di origine siriana. Dal punto di vista economico lo Sve mi ha garantito una certa indipendenza. Ricevevo in tutto 240 euro: 65 come pocket money e il resto per comprare il cibo. Potevo vivere discretamente: ho avuto bisogno di attingere dai miei risparmi solo perché ho deciso di viaggiare e di non vivere sempre con moderazione. Unica nota negativa, ho dovuto anticipare alcune spese odontoiatriche, perché l’assicurazione prevede che sia il volontario a coprire i costi, che poi gli vengono rimborsati.Grazie allo Sve ho imparato a preparare e adattare le attività da svolgere in classe, a essere il punto di riferimento di un gruppo, a moderare le discussioni, ad essere più risoluto, a prendermi responsabilità e ad esercitare la mia creatività. Ho imparato a parlare di fronte alle persone, ad essere attento alla comunicazione non verbale, ai gesti di chi mi ascolta. Lo Sve mi ha poi certamente fatto crescere dal punto di vista dell’apprendimento delle lingue straniere. Ho imparato ad esprimermi con frasi semplici in bulgaro, perché a scuola era necessario. In generale, poi, stando a contatto con tanti volontari da tutta Europa, ho imparato vocaboli di diverse lingue. La cosa di cui vado più fiero è avere compreso di possedere un elevato livello di abilità sociali, qualità non tangibili ma che sono basilari per essere un bravo professionista, in qualsiasi campo. La cosa entusiasmante del mio Sve è che sono riuscito a sviluppare relazioni in molti casi profonde con gli altri ragazzi europei: continuiamo a cercarci e con molti di loro sono legato da una speciale energia che so mi accompagnerà per tutta la vita.La mia hosting organization mi aveva offerto di rimanere a lavorare con loro, ma si trattava di un’attività part time. Così, nel novembre 2014, sono tornato a Lanciano. Subito ho approfittato ancora dei programmi di mobilità europea per l’apprendimento permanente. In passato avevo già partecipato a scambi giovanili in Georgia e Bosnia, e lo scorso dicembre sono stato in Portogallo, a Porto, per un training come youth worker. Poi mi hanno chiamato per la supplenza di un mese in un liceo di Modena. E a febbraio sono ripartito per l’estero, andando in Turchia per un altro training sul lavoro con i giovani. Queste esperienze, anche brevi, sono molto importanti per la mia formazione. Ora sono a Lanciano ed aspetto una nuova chiamata per insegnare. È un peccato che non ci siano progetti per il reintegro dei giovani rientrati dallo Sve e strumenti per far fruttare le loro energie. Questo è un aspetto al quale credo che le istituzioni dovrebbero porre attenzione. Ad esempio gli ex volontari potrebbero fare formazione nelle scuole, dopo aver frequentato un training mirato. Mi piacerebbe anche che università e centri di formazione riconoscessero lo Sve con crediti formativi, e che fossero più flessibili con gli appelli d’esame per chi fa volontariato.Io comunque continuo a muovermi. Spero di essere chiamato al più presto per una supplenza, ma intanto sono stato selezionato per partecipare al progetto "Clandestine integration". Se la raccolta fondi si concluderà bene come sembra, navigherò in barca a vela per una tratta dei due mesi previsti in totale, con l’obiettivo di diffondere nel Mediterraneo la cultura dell’accoglienza e dell’integrazione.Testo raccolto da Daniele Ferro@danieleferro 

Quattrocento eyewear, il fashion Made in Italy incubato da Speed Mi Up

La rivista Forbes l’ha inserita nelle 15 startup da tenere d’occhio nel 2015. Perché agli innamorati dell’Italian style vuole offrire il lusso di occhiali 100%  Made in Italy, ma ad un prezzo accessibile. Si chiama Quattrocento eyewear la startup di Eugenio Pugliese e Sharon Ezra, che sta crescendo all’ombra di Speed Mi Up, l’incubatore dell’università Bocconi e della Camera di Commercio di Milano che proprio in questi giorni ha aperto il bando per la selezione 2015. Nel nome di Quattrocento c'è un rimando allo spirito del Rinascimento, quando il tocco dell’artigiano si confondeva con quello dell’artista, fondendo bellezza e capacità di innovazione. “Starting the Second Renaissance” è il motto che accoglie i visitatori del loro portale. Ed è questa l’ispirazione che guida i due soci, entrambi 27enni: occhiali artigianali, realizzati da piccole aziende italiane. E venduti online, a 105 euro, completi di lenti graduate, con la possibilità di provarli e mandarli indietro. «Il mondo sta cambiando: non sono in molti ad essere disposti a spendere troppo per occhiali di qualità. Quella dell’occhiale è un’industria con molti passaggi. Vogliamo tagliarli, per abbattere i costi, proponendo però un prodotto valido e dando lavoro a piccole realtà altrimenti schiacciate dalla concorrenza globale e dal made in China», spiega Eugenio Pugliese, business developer del progetto, calabrese di nascita, milanese di adozione, con studi di finanza alla Bocconi e una tradizione familiare nel settore. Sharon l’ha incontrata in un wifi cafè: lei, israeliana d’origine, è stilista e designer, ed ha alle spalle esperienze nell’alta moda e un master all’istituto milanese di moda e design Marangoni. La sua mano disegna le collezioni di Quattrocento, realizzate poi con materiali come l’acciaio inox laserato e l’acetato plasmati su linee geometriche e ultralight. Finanza e design: il mix delle loro esperienze è stato il seme che ha fatto nascere il business plan di Quattrocento. E li ha portati a cercare investitori non solo in Italia ma in tutto il mondo. Sette business angels hanno creduto nel progetto, tra cui realtà internazionali come Kima Ventures e Avishai Abrahami, e che hanno consentito ai due imprenditori ventenni di radunare un capitale di 250mila euro con cui partire. Quattrocento eyewear è nata ufficialmente nell’ottobre 2014, con la forma di srl innovativa. E Speed Mi Up in tutto questo? Fondamentale soprattutto per i servizi di consulenza nel marketing strategico e per la garanzia di indipendenza finanziaria: «Cercavamo un incubatore a Milano, luogo determinante per un progetto come il nostro a metà tra il tech e il fashion. Per noi, poi, era fondamentale trovare un incubatore che non entrasse nel capitale, per non avere ingerenze nella struttura societaria», precisa Pugliese, che non si scandalizza di fronte al contributo mensile di quasi 600 euro che Speed Mi Up richiede alle startup che incuba: «È lo scotto per non avere appunto ingerenze. Ma in fondo è la stessa cifra che spenderemmo solo per avere degli spazi di coworking». Nella fase di selezione, racconta, conta la validità del business plan. «E’ importante inserire dati completi ma sintetici. Il nostro business plan era già pronto perché l’idea l’avevamo già maturata. Questo ci ha consentito di entrare in una shortlist di venti finalisti, di discutere il nostro progetto di fronte al Comitato e di risultare poi tra i cinque progetti vincitori». Quattro mesi di training, con lezioni e seminari per assimilare i segreti del marketing e del business strategico, seguiti poi dalla supervisione di un professore della Bocconi in qualità di tutor. «Abbiamo ricevuto un grande supporto: un percorso che non avremmo fatto altrimenti». E che ha portato i due a lanciare il sito internet, fulcro dell’attività di Quattrocento, nel novembre scorso. L’attività è partita ufficialmente solo a gennaio, con un marketing online spinto. Nel curriculum, la partecipazione a tre eventi fieristici e un team che si è già allargato a cinque persone. «Al momento siamo ancora dentro Speed Mi Up. Non voglio dare numeri ufficiali: è ancora troppo presto. Non so ancora quando raggiungeremo il breakeven. Come fondatori, ne ricaviamo il minimo per vivere e cerchiamo di reinvestire tutto in marketing» confida Pugliese: «Però i risultati di questi primi mesi sono già importanti». Citazioni su riviste internazionali e testimonial come i tre tenorini de Il Volo, vincitori dell’ultimo festival di Sanremo, costellano già il profilo Facebook dell’azienda. Lo sguardo però adesso è puntato sui mercati esteri, Inghilterra e Germania soprattutto, con l’intenzione di rivolgersi poi oltre i confini europei - verso Stati Uniti, Sud Africa e Corea del Sud. Eugenio Pugliese e Sharon Ezra non sembrano temere concorrenti, anche i più agguerriti come gli americani di Warby Parker: «Sono forti, ma vendono occhiali fatti in Cina. Noi puntiamo sull’origine del prodotto. Ci rivolgiamo a chi vuole spendere in modo intelligente». Maura Bertanzon 

Tra giornalismo ed economia, Francesca quadra il cerchio nel marketing Ferrero

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Francesca Bernardini, oggi assunta con contratto di apprendistato nel marketing Ferrero, a Pino Torinese.  Ho 26 anni e sono toscana, come tutti notano non appena sentono il mio accento: sono arrivata a Torino per lavoro quasi due anni e mezzo fa, da una città di mare, Viareggio. Fin da piccola mi ha sempre contraddistinto una grande autonomia e voglia di indipendenza, che mi ha spinto a cercare mille interessi e cose da fare. La prova più concreta di questa indole ha trovato espressione nel giornalismo, mia prima e grande passione.Interessata ad approcciarmi al settore, terminata la maturità al liceo classico – un percorso sperimentale con potenziamento delle materie scientifiche - nell’estate 2007 mi sono presentata alla redazione locale del quotidiano La Nazione, chiedendo di poter andare lì per imparare. Ho cominciato così a collaborare con la testata, seguendo la cronaca locale e ottenendo dopo pochi mesi un contratto di collaborazione che mi ha poi portato nel giro di due anni a prendere il tesserino di giornalista pubblicista. Ero di fatto una freelance precarissima con partita iva, pagata ad articolo e in base alla lunghezza.Nello stesso periodo ho cominciato l’università: mi sono iscritta a Economia e commercio all’università di Pisa, in modo da avere – come tutti più o meno ironicamente mi consigliavano – una sorta di piano B: insomma, ho messo in valigia un mix di conoscenze e competenze che, col senno di poi, credo mi sia servita. In parallelo, sempre decisa a essere quanto più possibile indipendente, affiancavo all’università e al giornalismo anche piccoli lavoretti occasionali, come ripetizioni, hostess e cameriera a chiamata.Nella primavera 2010 ho aggiunto al curriculum una prima esperienza di stage: non sapevo bene cosa fare dopo la laurea triennale, che sarebbe arrivata di lì a poco, e per essere sicura della scelta che mi solleticava, cioè la specializzazione in marketing, avevo mandato diversi cv in zona chiedendo di poter fare uno stage formativo, anche gratuito, in quell’ambito. Sono quindi approdata in una giovane società di comunicazione, Stops, dove per un paio di mesi mi sono occupata dell’organizzazione di un evento dedicato agli amanti di surf e skate, ricevendo anche a fine stage - considerando però che non era un’attività a tempo pieno - un compenso complessivo di circa 600 euro. Poco dopo, a ottobre 2010, è arrivata la laurea e l’iscrizione al corso magistrale in Marketing e ricerche di mercato sempre a Pisa. Pur continuando le mie attività collaterali, mi sono appassionata sempre più alla materia, e soprattutto alla prospettiva del lavoro che avrei potuto fare dopo. Sapevo che per cercare invece un futuro nel giornalismo avrei dovuto trasferirmi a Milano o Roma, ma avevo ancora l’università da finire: mi sono quindi concentrata al massimo su questa, e poi le cose hanno preso una piega diversa.All’ultimo tuffo, ho deciso di fare domanda per il bando Erasmus, ed ho vinto la borsa per Parigi. A gennaio 2012, ultimo semestre della specialistica, mi sono quindi allontanata per la prima volta da casa ed ho vissuto un’avventura incredibile e bellissima, in cui ho imparato davvero cosa significa cavarsela da soli. Sicuramente senza il sostegno economico dei miei genitori non sarei potuta andare, perché la borsa copriva ben poco dell’elevato costo della vita parigina, ma ho cercato di dare il mio contributo sfruttando a pieno l’occasione formativa e lavorando saltuariamente come baby sitter, ricevendo veramente tanto – a livello umano e culturale – dai bimbi di cui mi sono occupata.Festeggiato l’ultimo esame universitario con baguette e vin rouge, ho ricominciato a mandare in giro il cv, presa dall’entusiasmo, per trovare uno stage sul quale fare la tesi di laurea magistrale. Ho cercato anche annunci su Repubblica degli Stagisti, e proprio grazie ad una candidatura inviata tramite questo sito mi hanno convocato quasi subito da Ferrero per i primi test di ragionamento scritto, logico e matematico, e poi per un colloquio individuale: con il TGV ho fatto andata e ritorno due volte da Parigi a Torino! Era giugno, e non ho più avuto notizie dall’azienda praticamente per tutto il periodo estivo, però poi a inizio settembre mi hanno richiamato, dicendo che le selezioni erano andate bene e che cercavano uno stagista curriculare per la funzione New Media, quella che si occupa della presenza online di tutte le marche dell’azienda.Per me, un sogno: potevo unire il marketing alla passione per la comunicazione. Lo stage, di tre mesi, prevedeva un rimborso di 250 euro mensili, più alloggio, mensa e palestra gratuite. Al termine di questi tre mesi e raccolto anche il materiale per la tesi, sono tornata a casa - era la vigilia di Natale 2012 - senza sapere cosa avrei fatto di lì a breve: se dedicarmi solo alla stesura della tesi, se cercare lavoro a Parigi, di cui mi ero innamorata, se provare in altre realtà aziendali…Invece, il feedback positivo del mio tutor aveva sortito il suo effetto, e sono stata convocata di nuovo in Ferrero per un altro colloquio. Si trattava sempre di uno stage, ma questa volta semestrale e finalizzato all’assunzione, all’interno della divisione che si occupa di testare sul punto vendita i nuovi prodotti, in modo da valutarne il potenziale per futuri lanci industriali. Avrei pressoché messo da parte il mondo della comunicazione a vantaggio di un’esperienza più in linea con i miei studi. Mille euro netti di rimborso spese, palestra gratuita e residence per le prime tre settimane - il tempo di trovare una casa in affitto - completavano l’offerta.   A febbraio 2013 ho cominciato quindi l’ultimo stage della mia vita, che a settembre dello stesso anno si è trasformato in un contratto di apprendistato triennale, con una Ral di 29mila euro annui, suddivisi in 14 mensilità. Dopo essermi occupata per breve tempo di progetti sperimentali per le praline e i pastigliaggi, da ormai più di un anno e mezzo seguo le sperimentazioni Kinder: il nostro compito è quello di accogliere i nuovi prodotti che si affacciano sul mercato, studiandone il contesto di riferimento ed escogitando i necessari test su punto vendita, così da misurarne le performance. In sostanza, siamo una piccola azienda nell’azienda, in quanto gestiamo a 360° i prodotti e progetti che ci vengono affidati: dalle analisi di mercato e della concorrenza, alla definizione dei criteri di scelta dei panel test, dai rapporti con la forza vendita e i fornitori, al monitoraggio dei dati di sell-in e sell-out.La sede di lavoro è a Pino Torinese, fuori Torino, e i benefit non mancano: con un’offerta che va dalla palestra interna gratuita alla mensa, passando per assicurazione sanitaria e convenzioni esterne, credo che Ferrero sia davvero un’azienda illuminata e che tiene alle sue risorse. Per non parlare dell’esperienza formativa che offre a chi lavora in un contesto di simili dimensioni. Dopo un primo periodo in cui ho abitato in centro a Torino, mi sono trasferita poco più di un anno fa con il mio ragazzo in un posto più tranquillo e comodo per andare a lavoro: il fatto di lavorare entrambi ci permette di mantenerci da soli, di avere tutto sommato un buon tenore di vita, e di fare anche qualche sogno ad occhi aperti e progetti per il futuro. Naturalmente sento la mancanza della mia famiglia, degli amici e del mare; ma so che per me questa è stata la scelta giusta. Il momento è difficile, ma sono convinta che intraprendenza, determinazione e disponibilità sono le doti fondamentali per riuscire ad ottenere qualcosa di buono nel mondo del lavoro. Mettiamoci in gioco, dobbiamo avere il coraggio di accettare le sfide e di fare qualche sacrificio. Dalla loro, anche le aziende possono fare molto: iniziative come quelle dell'RdS network sono ormai indispensabili eppure ancora poco diffuse. È importante invece che le imprese qualifichino il lavoro svolto da studenti e giovani laureati, dando loro un po’ di fiducia verso il futuro. Nessuno lavora volentieri gratis, e nemmeno se non ha speranze di rimanere nell’azienda per la quale si sta impegnando. Testimonianza raccolta da Annalisa Di Palo

Belgio, giovane ingegnere assunto dopo lo stage Eurodyssée: «La crisi in Italia massacra le imprese edili»

Non solo Erasmus. Compie trent'anni il portale Eurodyssée, promosso dall' Assemblea delle regioni, che offre ai ragazzi diplomati dai 18 ai 30 anni l'opportunità di un corso di lingua e di uno stage rimborsato in varie parti d'Europa. Grazie alla sua "Eurodissea", Michele Chieli, giovane umbro laureato in ingegneria, è riuscito a trovare lavoro: la Repubblica degli Stagisti ha raccolto la sua storia.Ho 28 anni e sono originario di Città di Castello, uno dei comuni più popolosi della provincia di Perugia. Oggi vivo a Namur, il capoluogo della Vallonia, in Belgio e lavoro nell’azienda che mi ha accolto quasi un anno fa come stagista Eurodyssée.Ho fatto il liceo scientifico e mi sono laureato a Perugia, in ingegneria civile, nell’estate 2012. Ma, al contrario di quanto si potrebbe pensare nemmeno un titolo di studio come il mio, ottenuto quasi in tempo e con una votazione molto alta, in Italia garantisce certezze. A peggiorare la situazione ha contribuito la crisi del settore edile, che sta massacrando le imprese e gli studi che si occupano di costruzioni. Spesso anche chi nel nostro paese vorrebbe assumere non può.A queste condizioni, come qualsiasi altro neolaureato, ho iniziato con un tirocinio in un’altra città umbra: rimborso minimo e tanto lavoro. Dopo sette mesi ho interrotto lo stage per allargare i miei orizzonti e arricchire il mio curriculum con un’esperienza all’estero e un livello più professionale d’inglese. Ho vissuto un paio di mesi a Londra, ma non mi sono messo a cercare uno studio d’ingegneri: ho fatto il cameriere e un corso, in quel momento volevo migliorare la lingua e vivere fuori dall’Italia. Un’esperienza breve, ma positiva, che mi ha incoraggiato a trovarne altre da fare all’estero.Non mi ricordo precisamente come sono venuto a sapere di Eurodyssée: forse me ne ha parlato un amico o avevo letto qualcosa su un giornale locale. Da queste prime informazioni ho capito che la residenza in una delle regioni aderenti costituisce il requisito fondamentale per partecipare. Poi ho dato un' occhiata al sito e ho verificato che fortunatamente l'Umbria è fra le due regioni italiane che aderisce a Eurodyssée. Inizialmente non avevo capito bene come funzionasse: infatti ho mandato la candidatura per il Canton Ticino, che non accoglie italiani perché ha incluso il plurilinguismo fra gli obiettivi dei suoi scambi. A chiarirmi le idee ci hanno pensato i ragazzi dell’Aur, l’ente umbro che si occupa del progetto, che mi hanno aiutato a cercare l’offerta che faceva al caso mio. Oltre all’inglese, avevo anche una conoscenza base di francese e mi sono messo a guardare le offerte delle regioni belghe: quella dello studio dove attualmente lavoro era davvero interessante e ho deciso di mandare l’application. Pochi mesi dopo sono partito.In Belgio gli stagisti Eurodyssée ricevono una borsa di 770 euro e gli stage durano 5 mesi. Il primo mese invece, se non sei francofono, ti coprono il costo dell’alloggio in un ostello e del corso di lingua a Bruxelles. E’ una situazione conviviale che ti mette subito a tuo agio e ti aiuta a superare le difficoltà che chiunque parta da solo si trova ad affrontare il primo periodo all’estero. Dopo il corso a Bruxelles, mi sono spostato a Namur per iniziare lo stage: la città è più piccola e offre meno divertimenti di una capitale, ma a lavoro mi sono trovato davvero bene. In ufficio parlo soprattutto francese e un po' d'inglese con alcuni clienti, in alcuni casi si usa anche il fiammingo.L'ambiente era giovane e stimolante, fatto di persone serie, disponibili a formare gli stagisti. Questa è la grossa differenza che noto con l’Italia e non credo di parlare solo del mio settore: ti vedono come un’opportunità su cui investire, non come un peso. La società in cui lavoro conta circa 200 dipendenti, ha altre sedi in Europa e in Africa e non mi dispiacerebbe continuare a crescere al suo interno. Ho fatto capire quasi subito di essermi trovato bene, ho lavorato tanto e, finiti i 5 mesi, mi hanno proposto un contratto a tempo determinato, che scadrà a metà maggio. Prendo circa 1400 euro al mese: niente di esorbitante, ma uno stipendio onesto per una persona che inizia a lavorare. Non penso che uno studio di medie-piccole dimensioni avrebbe potuto offrirmi lo stesso salario in Italia. So di essere stato molto fortunato. Ho sentito altri meno soddisfatti di me: infatti conta tantissimo l’ambiente professionale e non sono tutti così accoglienti, magari scrivono che farai una cosa e invece ti ritrovi a svolgere altre mansioni, meno professionalizzanti. Ma Eurodyssée cerca di tutelare al massimo chi parte: pochi altri progetti ti garantiscono un rimborso così alto, un corso di lingua e un controllo sugli enti che ospiteranno i ragazzi. Io consiglierei a chi parte di scegliere più in base all’offerta che al luogo. Dopo non escludo niente, ma di certo non tornerò in Italia a fare uno stage sottopagato. Il mio paese mi manca. Ma ora che con Eurodyssée ho allargato le mie prospettive professionali e di vita, non escludo di trasferirmi in un altro stato per un lavoro che m’interessa.testo raccolto da Silvia Colangeli

Centro per l'impiego di Terni, nella città d'acciaio che sfida la crisi

Dopo Torino, Prato e Siracusa, il viaggio della Repubblica degli Stagisti all'interno dei centri per l'impiego italiani prosegue facendo tappa a Terni.   Anche Terni, la città d’acciaio che fin dall’800 è legata indissolubilmente alla fabbrica, si è piegata dinanzi alla crisi. Nel settembre 2014, una persona su cinque residente in provincia risultava iscritta al Centro per l’impiego: circa 36 mila individui, duemila in più rispetto all’anno precedente. Numeri che risentono anche dei licenziamenti operati dalla ThyssenKrupp, l’azienda siderurgica tedesca che dà lavoro a centinaia di persone. Così, lo scorso ottobre trentamila cittadini sono scesi in piazza contro i tagli che rischiano di mettere in ginocchio la comunità. Meno occupati significa più lavoro per i centri per l’impiego. In provincia ne operano due, a Terni e Orvieto, dove lavorano complessivamente 61 persone, che si occupano di politiche del lavoro e formazione professionale.  «L’intermediazione tra domanda e offerta riguarda solo una piccola parte del nostro lavoro» dice alla Repubblica degli Stagisti Maurizio Agrò, dirigente del settore Politiche formative e del lavoro: «Ci occupiamo anche di attività amministrativa, orientamento, formazione, cassa integrazione, collocamento obbligatorio ed altre attività». Come in molti altri cpi d’Italia, è complicato risalire alla percentuale di disoccupati che trovano un lavoro dopo essersi rivolti agli ex collocamenti. «Anche perché gran parte dei 36 mila iscritti non vengono trattati dai servizi per l’impiego» fa notare Agrò: «Magari si rivolgono ai nostri sportelli per ricevere i trattamenti di disoccupazione, come accade agli insegnanti precari, oppure per ottenere l’esenzione dalla mensa scolastica. Se valutiamo solo i disoccupati che hanno ricevuto dal servizio almeno un colloquio o uno strumento di tirocinio e formazione, la percentuale di persone che poi trovavano un lavoro è molto alta, fino al 65%». Da più di dieci anni il cpi mette insieme politiche del lavoro e formazione e i risultati ottenuti permettono oggi di “galleggiare”, quando altre realtà affondano. «Gli ultimi tre anni non sono stati felici, ma resistiamo» spiega il dirigente «anche grazie al successo di iniziative come le work experience, il fiore all’occhiello del nostro ufficio». Si tratta di percorsi formativi della durata di 6 mesi dedicati a profili medio-alti (diplomati tecnici, ingegneri, architetti...), che prevedono una borsa di studio da 800 euro pagata dalla Provincia ed erogata dal Centro per l’impiego. Le aziende avanzano le loro domande, impegnandosi al termine del percorso ad assumere la persona. «Se non rispettano l’impegno non possono partecipare al bando successivo» dice Agrò. «In questo modo siamo riusciti a costruire un elenco virtuoso e oggi molte delle aziende con sui siamo in contatto rispettano gli impegni». Quest'anno, secondo le previsioni, si attiveranno dai 100 ai 120 percorsi e almeno la metà dovrebbero andare a segno. Per le work experience non esistono limiti di età: vi partecipano soprattutto ragazzi, ma ci sono anche persone di 40-50 anni, quest’ultime in forte aumento. «Ogni anno pensiamo anche a elaborare le comunicazioni aziendali, individuando i profili professionali più richiesti, quelli che creano occupazione nel territorio. Un prodotto costruito in modo artigianale, ma molto efficace». Il cpi di Terni è un modello funzionante, che però rischia di essere messo in discussione dalla riforma del mercato del lavoro. «L’importante è non scindere il connubio politiche del lavoro-formazione, che devono procedere a pari passo» dice Agrò: «Al momento la riforma è in fase di attuazione, con alcuni decreti delegati approvati e altri in corso di adozione. L’obiettivo dovrebbe essere quello di dirottare le risorse dalla politiche passive a quelle attive: 35 miliardi per le prime sono troppi rispetto al miliardo per quelle attive. Ad ogni modo, mi sembra che la riforma contenga degli elementi positivi, dall’alleggerimento delle politiche passive, al contratto a tutele crescenti fino al ridisegno degli ammortizzatori. È una riforma che potrebbe avere effetti molto positivi sul mercato del lavoro».Intanto, il programma Garanzia giovani ha prodotto più luci che ombre: «Ha posto l’attenzione sul grande problema della disoccupazione giovanile» riassume Agrò «dopo che il precedente programma operativo 2007/13 si era occupato più di politiche passive e cassa integrazione. Contiene anche i segnali di un nuovo approccio riformista alle politiche attive e al sistema di gestione, introducendo il modello pubblico/privato. Peccato però che non tutti i territori siano pronti a recepire un impatto così innovativo. Inoltre, alcuni meccanismi, come la gestione dei tirocini formativi, sono molto macchinosi e complessi». Al 7 gennaio 2015 per Garanzia Giovani in provincia di Terni sono pervenute 4640 adesioni. Sono stati convocati per un colloquio 1910 ragazzi, 252 hanno scelto di non presentarsi, mentre in 198 casi gli operatori del centro hanno appurato che non si trattava di neet. Per quanto riguarda, invece, i patti per l’erogazione delle misure di Politiche attive del lavoro, al 31 dicembre 2014, sempre in provincia di Terni risultano attivati 1137 percorsi. Di questi, 191 sono “formativi” e destinati a giovani di età compresa tra i 15 e i 18 anni. Completano il quadro 179 servizi civili, 340 tirocini extra curriculari e 417 percorsi di formazione mirati all’inserimento lavorativo. Sulla nascita dell’Agenzia nazionale del lavoro prevista dal Jobs Act, il responsabile ternano si dice favorevole: «Le politiche del lavoro fino ad oggi non sono state governate a livello centrale; ogni territorio ha operato autonomamente e non è mai stata creata una banca dati nazionale. Credo sia indispensabile recuperare questa capacità di gestione, così da garantire servizi di qualità quanto più possibile uniformi in tutto il Paese».

«Il servizio volontario europeo mi servirà per realizzare il mio sogno: lavorare nei musei»

La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani italiani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Di seguito la storia di Giulia Ampollini.Ho 23 anni e sono di Malnate, in provincia di Varese. Frequento il corso di laurea specialistica in Storia dell’arte all’università di Genova, e oggi sono a Stoccolma per il progetto Erasmus. Sono venuta qui per un progetto di tesi di ricerca su  Oyvind Fahlstrom, artista svedese poliedrico: siccome in Italia non esistono molti testi su di lui, ho colto l'occasione dell'Erasmus per una tesi innovativa. Darò qui gli ultimi esami e a luglio dovrei tornare a Genova.Sin da piccola ho avuto una particolare sensibilità artistica, e per questo nel 2013 ho fatto il Servizio volontario europeo con un’organizzazione spagnola che si occupa di eventi culturali. Lo Sve è sempre stato parte della mia vita perché mio padre lavora in un’associazione che opera come organizzazione sia di accoglienza sia d’invio dei volontari. Anche l’arte è sempre stata parte di me: mentre studiavo al liceo artistico suonavo il clarinetto e il fagotto. Intanto avevo qualche lavoretto come guida turistica in provincia di Varese e nel fine settimana facevo la cameriera. Dopo la laurea triennale ho iniziato ad inviare candidature per lo Sve. Era agosto del 2012 e il mio sogno era andare in Scandinavia. Ma non c’erano posti disponibili, poi è saltato anche un progetto in Islanda per cui ero stata selezionata, e così, con il Centro servizi per il volontariato di Varese come organizzazione di invio, il 7 marzo del 2013 sono partita per la Catalogna, nei Pirenei, nella cittadina di La Seu d’Urgell. Con me, all’associazione Oficina Jove Alt Urgell, c’erano altri due volontari Sve: Magda e Simon, una polacca e un lussemburghese.Il progetto è durato sei mesi e devo dire che all’inizio non è stato facile adattarsi. Le principali difficoltà sono state con la lingua, perché in Catalogna le persone non sono contente di parlare spagnolo, mentre ancora più difficile è trovare qualcuno che conosca l’inglese. Da contratto avevamo lezione di spagnolo e catalano, ma per il catalano il "corso" è consistito semplicemente nel consigliarci un sito Internet, mentre per lo spagnolo avevamo un’insegnante che non solo era spesso assente, ma non era neanche brava! La nostra tutor diceva sempre che anche questo è parte dello Sve e ci sono molti altri modi per imparare le lingue: io mi sono arrangiata guardando film e leggendo libri. Una forte delusione è stata il fatto che i ragazzi con cui uscivamo all’inizio dopo qualche tempo non si sono fatti più sentire, perché noi non parlavamo catalano. Eppure alcuni di loro erano ex Sve... avrebbero dovuto avere più comprensione.Il progetto dell’associazione era vago nel programma, non era ben chiaro che cosa dovessimo fare. La mia organizzazione di accoglienza è stata molto assente: la tutor lavorava nella nostra stessa stanza ma non si interessava mai di noi. Ci dava l’approvazione per eventi che volevamo organizzare con altri volontari, come cineforum o mostre fotografiche, ma all’ultimo per una banalità poteva saltare tutto. Ho passato molte ore improduttive davanti al computer.Fatti i conti, però, lo Sve è stata un’esperienza positiva perché comunque ho imparato a gestire eventi pubblici, scadenze, imprevisti: lavoravamo con vari enti culturali per organizzare eventi, come ad esempio un film festival dei Pirenei, i campionati mondiali di canotaggio, il festival di musica tradizionale la Trobada d'Acordionistes del Pirineu, il mercato medievale del paese e il festival delle Trementinaires, cioè donne che raccoglievano e utilizzavano erbe come medicine.Inoltre il Comune, con il quale la mia hosting organization aveva una collaborazione, aveva chiesto a ognuno dei volontari di preparare una mostra utilizzando le fotografie d’archivio, e io ho deciso di allestirne una sul romanico sfruttando le foto della cattedrale, che è la più antica di tutta la Catalogna. Inoltre il nostro contratto Sve prevedeva, oltre a quella con il Comune, una collaborazione con il Picurt, un film festival della montagna che si svolgeva in paese, nel cinema di una signora che era anche la proprietaria della casa in cui alloggiavamo: gestivamo gli ingressi e traducevamo i film del festival.Insomma considero il mio Sve una bella esperienza: ho imparato a vivere da sola all’estero, a cavarmela in situazioni difficili, a comunicare rapidamente in lingue diverse. Ho conosciuto tantissime persone e avuto l’opportunità di scoprire aspetti di altre culture. In Italia ciò non sarebbe stato possibile. Ai ragazzi che vanno in Sve do un consiglio: non scoraggiatevi se il progetto va male o avete problemi con gli altri volontari. Avrete comunque qualcosa da imparare, e poi potrete viaggiare. Da volontari avrete un occhio diverso da quello del semplice turista, e ciò vi consentirà di vedere luoghi e conoscere persone che vi ricorderete per sempre. A me lo Sve è servito per capire quali sono le mie capacità e i miei limiti: mi ha dato una bella spinta nello spirito di iniziativa, e credo che questo mi sarà di aiuto per cercare lavoro nel mio campo di studio. Mi piacerebbe lavorare in ambito museale come curatrice di mostre.Come dicevo prima, un aspetto molto positivo dello Sve è la possibilità di viaggiare e conoscere molte persone. Al riguardo ho un ricordo particolare. Era luglio ed ero andata a Malaga, nell’estremo sud della Spagna, per il corso di formazione intermedio dei volontari Sve. Al ritorno mi sono ritrovata con altri volontari a Barcellona. Non volevamo salutarci in stazione, e così una di noi, che abitava vicino a La Rambla, si è offerta di ospitarci tutti: a casa sua ci siamo trovati in otto ragazzi di nazionalità diverse. È stata una serata semplice con qualche birra e quattro risate, però è stata significativa perché sapevamo che difficilmente ci saremmo rivisti.Se si fa attenzione, durante lo Sve anche viaggiando si riesce a vivere con il rimborso che si riceve. A me davano 100 euro al mese per coprire le spese di vitto e 105 euro di pocket money, mentre l’alloggio era pagato direttamente dall’associazione. Io non ho chiesto soldi alla mia famiglia. Certo poi dipende da dove si va: io ero in mezzo ai Pirenei e non avevo molte spese da affrontare, come invece accade in una grande città.Finito lo Sve avrei voluto rimanere in Spagna a studiare, ma non ho trovato un corso particolarmente interessante e allora mi sono trasferita a Genova. Oggi sono a Stoccolma e proseguo il viaggio per realizzare il mio sogno professionale. Lo Sve credo mi sarà di aiuto, perché grazie a quell’esperienza ho migliorato nettamente il mio inglese e ho imparato lo spagnolo e il catalano: sapere più lingue può essere sempre un valore aggiunto. E pazienza se lo Youthpass non è riconosciuto all’università, cosa che mi pare assurda: io sono comunque consapevole che lo Sve è stato molto utile per la mia formazione.Testo raccolto da Daniele Ferro@danieleferro 

«Il mio stage in Infocert? Un canestro perfetto»: la storia di Florentina

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Florentina Ponzi, Sales Manager in apprendistato per Infocert, a Roma.Se nella vita di ciascuno esistesse un momento preciso a cui attribuire un effettivo cambiamento, una variazione di rotta, per me sarebbe il 20 marzo intorno alle 15: la fine del mio percorso universitario. Ricordo ancora le emozioni ed il senso di libertà. Fin lì era stato come aver corso per anni, riuscendo a battere dei record, ma perdendo molto del rapporto con le persone… Poi, nel preciso momento della proclamazione, l'orologio ha rallentato, e ho iniziato ad avanzare con più serenità.Mi chiamo Florentina, ho 26 anni e sono cresciuta a Frosinone, dove nel 2007 mi sono diplomata al liceo scientifico. Un'estate e qualche falò dopo, eccomi a decidere non solo qualche materia approfondire, ma il mio intero futuro. Non avevo affatto le idee chiare su cosa volessi diventare, se non una giocatrice di basket, dopo 17 anni passati sul campo di gioco; ma, complice la mia statura, avevo chiuso a malincuore quel sogno nel cassetto. Questo non mi ha impedito di segnare comunque almeno altri due tiri vincenti sulla sirena. Il primo quando ho superato il test di Economia alla Luiss. Mi sono trasferita a Roma, nella casa di famiglia in cui da allora abito con mio fratello, e ho cominciato ad organizzare le mie giornate in autonomia, con lo studio ad occupare gran parte del mio tempo. Tre anni dopo ho conseguito la laurea di primo livello in Economia aziendale, indirizzo Management Internazionale; poi nel 2013 quella magistrale in Economia e direzione delle imprese con 110/110, e con all'attivo un Erasmus di sei mesi a San Sebastian, una delle città più belle dei Paesi baschi.Il secondo tiro a segno? Non si è nemmeno sentito il rumore gentile della rete che sbuffa al passaggio della palla: un centro perfetto, con una mail che diceva «la contatto per comunicarle che è stata scelta per lo stage in Sales Management...». Il mittente era la divisione HR di Infocert, società di servizi informatici presso cui mi ero candidata ad aprile 2014, giusto dieci giorni dopo il mio 25esimo compleanno. Ho iniziato i miei sei mesi in azienda ad inizio giugno, con un rimborso di 500 euro mensili e generosi ticket restaurant e, terminato lo stage, sono stata confermata nella direzione commerciale con un contratto di apprendistato triennale e uno stipendio di 1.200 euro netti, più buoni pasto da 9 euro.Oggi svolgo mansioni varie, molte delle quali apprese sin dai primi giorni dello stage, con un po' di difficoltà e insicurezza, ma in affiancamento continuo al mio responsabile. All'inizio è fondamentale uscire il prima possibile dalla propria comfort zone, buttarsi anche senza avere tutti gli strumenti, con la fiducia che il tempo che ci è concesso basterà a farsi trovare pronti. Da un anno e mezzo dunque in Infocert cerco di capire il processo decisionale dei clienti, le loro esigenze, e le rendo condivisibili tra gli attori aziendali coinvolti - linea prodotto, marketing, supporto tecnico - per trovare la soluzione migliore. Una volta trovata, redigo proposta economica e documentazione a corredo. Nel tempo le mie responsabilità sono aumentate, assumendo maggiore autonomia e cominciando a gestire clienti per il raggiungimento di obiettivi di fatturato. Sono stata inserita in una realtà estremamente operativa e oggi sono sicuramente maturata, ho imparato a gestire meglio l'ansia da performance, ad acquisire giorno dopo giorno maggiore sicurezza e a guardare con meno paura al futuro.L'azienda opera per digitalizzare i processi di documentazione cartacea - un motivo in più per cui non mi mai stato chiesto di fare una fotocopia in stage - ma ammetto che fatico a non stampare qualsiasi cosa possa essermi utile per imparare, approfondire, aggiornarmi, avendo un supporto teorico quanto più simile ad un libro. Non posso che giudicare positivamente la mia prima ed unica esperienza di stage. Se guardo indietro vedo seduta sui divanetti dell'ufficio una ragazza spaurita che aspetta di essere ricevuta a colloquio da colui che poi sarà non solo il suo responsabile, ma anche una guida preziosa, un esempio di dedizione e un punto di riferimento sempre pronto all'ascolto. Oggi la stessa ragazza passa davanti quei divanetti con un passo decisamente più sicuro. È possibile che segnerò altri canestri vincenti sul suono sirena, o altri meno emozionanti; ma anche che sbaglierò tiri, perderò partite, che mi affideranno il tiro decisivo e lo sbaglierò… Ma sarò sempre lì, pronta a tirare di nuovo!Testimonianza raccolta da Annalisa Di Palo

«Un'azienda col Bollino mi ha riportato in Italia»: la storia di Silvia, ingegnere in Elica

Per raccontare «dal di dentro» l'iniziativa Bollino OK Stage, attraverso cui la Repubblica degli Stagisti incentiva le imprese a garantire ai giovani percorsi "protetti" e di qualità secondo i principi della Carta dei diritti dello stagista, la redazione raccoglie le testimonianze degli ex stagisti delle aziende che hanno aderito all'RdS network. Di seguito quella di Silvia Quattrone, disegnatrice CAD per Elica, a Fabriano, con un contratto di apprendistato. Sono di Reggio Calabria, ho 27 anni e da due sono laureata in Ingegneria Meccanica. Ho studiato a Cosenza, scegliendo la specializzazione in Ingegneria energetica. I miei sono impiegati nel campo medico ma io ho preferito coltivare la mia passione per la fisica e la matematica. Durante l'università c'è stato anche un Erasmus, al secondo anno di specialistica, e per sei mesi ho studiato a Siviglia, anche se poi mi sono fermata due mesi in più per finire la tesi di laurea che, affiancando un docente nella centrale eolica di Huelva, ho dedicato ad uno studio sull'applicazione di materiali superconduttori alle pale. Appena laureata, a settembre 2012, ho deciso di dedicarmi a un'altra mia passione, le lingue, e mi sono trasferita per un anno a Dublino per imparare l'inglese. Appena arrivata mi sono iscritta ad un corso full time di un mese, poi ho privilegiato l'apprendimento informale. Mi mantenevo svolgendo lavori come cameriera, aiuto barman e commessa e credo che questo sia il metodo più veloce ed efficace per imparare una nuova lingua. Dublino è stata esperienza fantastica, finora la più bella della mia vita:  mi ha permesso di stringere forti amicizie con gente di tutto il mondo ed è una città bellissima, molto vivibile. L'ho lasciata solo per una ragione precisa. Tempo prima avevo caricato il mio cv sul sito di un'agenzia per il lavoro e a settebre 2013 sono stata contattata da un addetto alle Risorse umane di Elica, azienda di Fabriano leader nella progettazione e produzione di cappe aspiranti per uso domestico. Sono stata invitata alle selezioni per uno stage pagato di sei mesi, per il quale era richiesta una conoscenza approfondita del software Pro Engineer, un modellatore CAD tridimensionale, che io avevo. Dopo una settimana ero in Italia.A Fabriano ho sostenuto un primo colloquio conoscitivo, poi dopo una settimana un colloquio tecnico con direttore del settore Ricerche e sviluppo e direttore commerciale e, superati tutti gli step, a ottobre mi è stato offerto uno stage come progettista meccanico nella divisione Motori.  Ed è cominciata la mia avventura in Elica. Lo stage prevedeva un rimborso di 500 euro netti al mese, ma in più l'azienda ha fornito l'alloggio, anche grazie alla partecipazione al progetto Lavoro e Sviluppo 4 di Italia Lavoro, un intervento di politiche attive del lavoro per i disoccupati di Calabria, Campania, Puglia e Sicilia.Ad aprile 2014 il mio stage era in scadenza, ma l'azienda mi ha proposto un apprendistato triennale come CAD Designer nell'area Ricerca e sviluppo, a partire da giugno. Quello R&D è un ambiente davvero stimolante e pieno di sfide quotidiane, mi piace. E con uno stipendio di 1400 euro netti al mese sono del tutto indipendente nel pagamento di affitto, spese quotidiane, spese auto... Soprattutto quando vivevo a Dublino, ho pensato di trovare lavoro come ingegnere all'estero, ma quando poi ho avuto la possibilità di scegliere se tornare in Italia o meno, il mio cuore mi ha riportato al mio meraviglioso Paese. Oggi sono soddisfatta di lavorare in Elica, soprattutto perché mi dà la possibilità di crescere molto e di mettere in pratica tutto ciò per cui ho studiato. Il lavoro di progettazione meccanica è importante: è il punto di partenza nella realizzazione di un qualsiasi prodotto la cui finalità è quella di essere venduto. La mia aspirazione è quella di portare un valore aggiunto nell’azienda in cui lavoro, e nel mio piccolo so di farlo già, anche se per me questo è solo un punto d’inizio.Testimonianza raccolta da Annalisa Di Palo