La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani italiani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere anche la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Ecco la storia di Pietro Boccongella.
Sono nato trent’anni fa a Lanciano, in provincia di Chieti. Ho sempre detto di voler fare l’insegnante e finalmente ci sto riuscendo, anche grazie alle opportunità che mi ha offerto l’Unione europea. Attraverso lo Sve in Bulgaria ho realizzato che le possibilità di lavorare nel campo dell’educazione sono tantissime, non solo nella scuola. Ma guarda caso, tornato dallo Sve in Bulgaria lo scorso novembre, a gennaio ero a Modena per una supplenza in un liceo.
Il mio obiettivo futuro è quello di portare l'educazione non formale a scuola e combinarla con una metodologia formale, perché credo che l'istituzione scolastica vada rinnovata anche dall’interno. Lo Sve rappresenta finora la più bella esperienza della mia vita, perché mi ha reso più maturo. Ma le mie esperienze sono state molte ed è bene partire dal principio.
Dopo la maturità scientifica mi sono trasferito a L’Aquila, dove all’università ho studiato Storia sia alla magistrale sia alla specialistica, conclusa nel 2011 con 110 e lode. Poi, dopo un’ardua selezione, sono stato ammesso per il Tfa, il Tirocinio formativo attivo, un corso di abilitazione all’insegnamento per il quale, tra il 2012 e il 2013, mi sono diviso tra l’Aquila, dove frequentavo il corso, e Lanciano, dove svolgevo il tirocinio nel liceo scientifico. Così ho ottenuto l’abilitazione all’insegnamento di Storia e filosofia nei licei. Nel frattempo avevo già iniziato a studiare per una seconda laurea magistrale in Scienze dell’Educazione, sempre all’Aquila. Mi mancano pochi esami e dovrei laurearmi entro l’anno.
Il mio trampolino di lancio nel mondo dell’Unione europea è stato l’Erasmus. Nel 2008 sono stato nove mesi a Innsbruck, in Austria. Grazie a questo progetto è nata in me la coscienza sociale e politica di essere cittadino europeo, rafforzando allo stesso tempo quella italiana. Lasciare la mia città natale ha però favorito anche un grande senso di attaccamento ad essa. Il profumo della mia terra è per me così forte che lo sento, sempre, non appena arrivo a casa.
Un’altra fruttuosa esperienza è stato il progetto Comenius, che permette a studenti e insegnanti di confrontarsi con la formazione all’estero. Tra il 2012 e il 2013 sono stato dieci mesi ad Heidelberg, in Germania, lavorando come assistente di lingua e cultura italiana in un liceo linguistico. Sono riuscito a incastrare questo progetto con il Tfa all’Aquila, imparando a progettare una didattica che lasci spazio alla creatività degli studenti.
Provengo da una famiglia umile e mi sono sempre mantenuto da solo. A sedici anni ho iniziato a lavorare in pizzeria. Con il tempo sono arrivato a lavorare in ottimi ristoranti, guadagnando anche bene, ed anche oggi mi basta una telefonata per tornare a fare il cameriere. Dunque non ho seguito affatto le orme dei miei genitori: ho preferito rincorrere il mio istinto e le mie inclinazioni, riempiendo comunque di orgoglio e soddisfazione la mia famiglia. Un grande aiuto sono state anche le collaborazioni lavorative di 150 ore in università e soprattutto le borse di studio.
Da anni volevo fare lo Sve, ma l’aspetto economico mi aveva sempre frenato. Poi però mi sono informato meglio, ho fatto due conti e capito che con la copertura delle spese offerta dal programma potevo fare un’altra esperienza all’estero anche senza guadagnare soldi nel frattempo. Così un giorno di ottobre del 2013 mi sono presentato al Centro servizio volontario di Chieti. Mi hanno spiegato che sarei potuto partire a breve: c’era un progetto di un anno approvato in Bulgaria ma la ragazza già selezionata si era ritirata all’ultimo momento. Ero un po’ spaventato all'idea di dover partire subito per un paese di cui non sapevo nulla. Ma dopo due settimane ero a Burgas, città sul Mar Nero.
La mia associazione ospitante è stata la piccola e giovane Mackenzie Association. Pochi giorni dopodi me è arrivata Ripi, la mia collega di Sve, anche lei di 29 anni. Veniva dalla capitale dell’Armenia, Jerevan, ed era una ragazza completamente diversa da me. Lavorare insieme e convivere non è stato facile, ma anche grazie a Ripi ho imparato ad ascoltare e ad osservare di più, a parlare se le cose non sono chiare, scoprendo che il dialogo è la più grande risorsa dell’essere umano. Ho anche capito che i conflitti possono essere costruttivi e necessari.
Il progetto Sve si chiamava "Teaching tolerance" e il nostro compito era andare in diversi licei della città di Burgas: attraverso l’educazione non formale, utilizzando giochi di ruolo, brainstorming, teatro e altre attività cooperative, aprivamo dibattiti su tematiche come il razzismo, i diritti umani, gli stereotipi, la violenza, o discutevamo di argomenti storici, analizzandoli da diversi punti di vista. Durante il progetto siamo stati anche in scuole di altre città come Cavarna, Vidin e Vratza.
In estate abbiamo lavorato alla realizzazione di un piccolo manuale, "Te.To.", nel quale abbiamo raccolto in inglese le migliori attività svolte per creare uno strumento valido per chiunque volesse cimentarsi con l’educazione non formale. In estate abbiamo inoltre attivato una summer school per alcuni bambini della periferia di Burgas, realizzando giochi, disegni, attività manuali, laboratori di geografia europea, educazione ambientale e giardinaggio. È stato un successo.
Inoltre di venerdì facevamo da facilitatori per un gruppo di studenti: li aiutavamo a progettare qualsiasi attività che potesse avere un risvolto sociale. Per esempio abbiamo organizzato un pomeriggio di festa italo-armeno e un progetto di dialogo intergenerazionale, portando gli studenti liceali in alcune case di riposo: un’occasione di racconto e di confronto tra due mondi diversi, uno che ha vissuto le restrizioni del comunismo e l’altro in pieno clima liberista.
Infine, come progetto personale, ho insegnato cultura e storia italiana in un istituto bilingue, spesso utilizzando una metodologia non formale. Tutto quello che ho fatto nel mio Sve era scritto nel progetto. Grazie anche alla flessibilità che consente il programma, poi, ho viaggiato molto, visitando gli altri volontari europei sparsi per il paese e osservando come lavoravano le altre associazioni. La rete di conoscenze mi ha permesso di tenere da solo un workshop per adulti sull’educazione non formale, in un festival sulla tolleranza a Rebrovo. È stata una grande soddisfazione.
Sono stato persino in Israele, organizzando il viaggio con altri volontari Sve, e ho visitato in Bulgaria il campo profughi di Harmanli, dove arrivano migliaia di richiedenti asilo di origine siriana. Dal punto di vista economico lo Sve mi ha garantito una certa indipendenza. Ricevevo in tutto 240 euro: 65 come pocket money e il resto per comprare il cibo. Potevo vivere discretamente: ho avuto bisogno di attingere dai miei risparmi solo perché ho deciso di viaggiare e di non vivere sempre con moderazione. Unica nota negativa, ho dovuto anticipare alcune spese odontoiatriche, perché l’assicurazione prevede che sia il volontario a coprire i costi, che poi gli vengono rimborsati.
Grazie allo Sve ho imparato a preparare e adattare le attività da svolgere in classe, a essere il punto di riferimento di un gruppo, a moderare le discussioni, ad essere più risoluto, a prendermi responsabilità e ad esercitare la mia creatività. Ho imparato a parlare di fronte alle persone, ad essere attento alla comunicazione non verbale, ai gesti di chi mi ascolta.
Lo Sve mi ha poi certamente fatto crescere dal punto di vista dell’apprendimento delle lingue straniere. Ho imparato ad esprimermi con frasi semplici in bulgaro, perché a scuola era necessario. In generale, poi, stando a contatto con tanti volontari da tutta Europa, ho imparato vocaboli di diverse lingue. La cosa di cui vado più fiero è avere compreso di possedere un elevato livello di abilità sociali, qualità non tangibili ma che sono basilari per essere un bravo professionista, in qualsiasi campo. La cosa entusiasmante del mio Sve è che sono riuscito a sviluppare relazioni in molti casi profonde con gli altri ragazzi europei: continuiamo a cercarci e con molti di loro sono legato da una speciale energia che so mi accompagnerà per tutta la vita.
La mia hosting organization mi aveva offerto di rimanere a lavorare con loro, ma si trattava di un’attività part time. Così, nel novembre 2014, sono tornato a Lanciano. Subito ho approfittato ancora dei programmi di mobilità europea per l’apprendimento permanente. In passato avevo già partecipato a scambi giovanili in Georgia e Bosnia, e lo scorso dicembre sono stato in Portogallo, a Porto, per un training come youth worker. Poi mi hanno chiamato per la supplenza di un mese in un liceo di Modena. E a febbraio sono ripartito per l’estero, andando in Turchia per un altro training sul lavoro con i giovani. Queste esperienze, anche brevi, sono molto importanti per la mia formazione.
Ora sono a Lanciano ed aspetto una nuova chiamata per insegnare. È un peccato che non ci siano progetti per il reintegro dei giovani rientrati dallo Sve e strumenti per far fruttare le loro energie. Questo è un aspetto al quale credo che le istituzioni dovrebbero porre attenzione. Ad esempio gli ex volontari potrebbero fare formazione nelle scuole, dopo aver frequentato un training mirato. Mi piacerebbe anche che università e centri di formazione riconoscessero lo Sve con crediti formativi, e che fossero più flessibili con gli appelli d’esame per chi fa volontariato.
Io comunque continuo a muovermi. Spero di essere chiamato al più presto per una supplenza, ma intanto sono stato selezionato per partecipare al progetto "Clandestine integration". Se la raccolta fondi si concluderà bene come sembra, navigherò in barca a vela per una tratta dei due mesi previsti in totale, con l’obiettivo di diffondere nel Mediterraneo la cultura dell’accoglienza e dell’integrazione.
Testo raccolto da Daniele Ferro
@danieleferro
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