La Repubblica degli Stagisti prosegue la rubrica sullo Sve, con l'obiettivo di raccogliere e far conoscere le esperienze dei giovani italiani che hanno svolto il Servizio volontario europeo, una particolare - e ancora poca conosciuta - opportunità offerta dal programma europeo Erasmus+ ai giovani tra i 17 e i 30 anni. Grazie allo Sve, che copre i costi di viaggio, vitto, alloggio e garantisce un “pocket money” mensile per le spese personali, è possibile svolgere un'attività di volontariato, per un periodo dai 2 ai 12 mesi, in uno dei Paesi dell’Unione europea o in altri Paesi del mondo che hanno aderito al programma. Sono molti i settori nei quali i giovani possono impegnarsi: arte, sport, ambiente, cultura, assistenza sociale, comunicazione, cooperazione allo sviluppo e altri ancora. Per partire - dopo essersi candidati al progetto - è necessario avere un’organizzazione di invio in Italia (sending organization) e una di accoglienza nel Paese ospitante (hosting organization). Per avere maggiori informazioni sul Servizio volontario europeo, consigliamo di leggere la sezione dedicata dell’Agenzia nazionale per i giovani. Di seguito la storia di Giulia Ampollini.
Ho 23 anni e sono di Malnate, in provincia di Varese. Frequento il corso di laurea specialistica in Storia dell’arte all’università di Genova, e oggi sono a Stoccolma per il progetto Erasmus. Sono venuta qui per un progetto di tesi di ricerca su Oyvind Fahlstrom, artista svedese poliedrico: siccome in Italia non esistono molti testi su di lui, ho colto l'occasione dell'Erasmus per una tesi innovativa. Darò qui gli ultimi esami e a luglio dovrei tornare a Genova.
Sin da piccola ho avuto una particolare sensibilità artistica, e per questo nel 2013 ho fatto il Servizio volontario europeo con un’organizzazione spagnola che si occupa di eventi culturali. Lo Sve è sempre stato parte della mia vita perché mio padre lavora in un’associazione che opera come organizzazione sia di accoglienza sia d’invio dei volontari. Anche l’arte è sempre stata parte di me: mentre studiavo al liceo artistico suonavo il clarinetto e il fagotto. Intanto avevo qualche lavoretto come guida turistica in provincia di Varese e nel fine settimana facevo la cameriera.
Dopo la laurea triennale ho iniziato ad inviare candidature per lo Sve. Era agosto del 2012 e il mio sogno era andare in Scandinavia. Ma non c’erano posti disponibili, poi è saltato anche un progetto in Islanda per cui ero stata selezionata, e così, con il Centro servizi per il volontariato di Varese come organizzazione di invio, il 7 marzo del 2013 sono partita per la Catalogna, nei Pirenei, nella cittadina di La Seu d’Urgell. Con me, all’associazione Oficina Jove Alt Urgell, c’erano altri due volontari Sve: Magda e Simon, una polacca e un lussemburghese.
Il progetto è durato sei mesi e devo dire che all’inizio non è stato facile adattarsi. Le principali difficoltà sono state con la lingua, perché in Catalogna le persone non sono contente di parlare spagnolo, mentre ancora più difficile è trovare qualcuno che conosca l’inglese. Da contratto avevamo lezione di spagnolo e catalano, ma per il catalano il "corso" è consistito semplicemente nel consigliarci un sito Internet, mentre per lo spagnolo avevamo un’insegnante che non solo era spesso assente, ma non era neanche brava! La nostra tutor diceva sempre che anche questo è parte dello Sve e ci sono molti altri modi per imparare le lingue: io mi sono arrangiata guardando film e leggendo libri. Una forte delusione è stata il fatto che i ragazzi con cui uscivamo all’inizio dopo qualche tempo non si sono fatti più sentire, perché noi non parlavamo catalano. Eppure alcuni di loro erano ex Sve... avrebbero dovuto avere più comprensione.
Il progetto dell’associazione era vago nel programma, non era ben chiaro che cosa dovessimo fare. La mia organizzazione di accoglienza è stata molto assente: la tutor lavorava nella nostra stessa stanza ma non si interessava mai di noi. Ci dava l’approvazione per eventi che volevamo organizzare con altri volontari, come cineforum o mostre fotografiche, ma all’ultimo per una banalità poteva saltare tutto. Ho passato molte ore improduttive davanti al computer.
Fatti i conti, però, lo Sve è stata un’esperienza positiva perché comunque ho imparato a gestire eventi pubblici, scadenze, imprevisti: lavoravamo con vari enti culturali per organizzare eventi, come ad esempio un film festival dei Pirenei, i campionati mondiali di canotaggio, il festival di musica tradizionale la Trobada d'Acordionistes del Pirineu, il mercato medievale del paese e il festival delle Trementinaires, cioè donne che raccoglievano e utilizzavano erbe come medicine.
Inoltre il Comune, con il quale la mia hosting organization aveva una collaborazione, aveva chiesto a ognuno dei volontari di preparare una mostra utilizzando le fotografie d’archivio, e io ho deciso di allestirne una sul romanico sfruttando le foto della cattedrale, che è la più antica di tutta la Catalogna. Inoltre il nostro contratto Sve prevedeva, oltre a quella con il Comune, una collaborazione con il Picurt, un film festival della montagna che si svolgeva in paese, nel cinema di una signora che era anche la proprietaria della casa in cui alloggiavamo: gestivamo gli ingressi e traducevamo i film del festival.
Insomma considero il mio Sve una bella esperienza: ho imparato a vivere da sola all’estero, a cavarmela in situazioni difficili, a comunicare rapidamente in lingue diverse. Ho conosciuto tantissime persone e avuto l’opportunità di scoprire aspetti di altre culture. In Italia ciò non sarebbe stato possibile. Ai ragazzi che vanno in Sve do un consiglio: non scoraggiatevi se il progetto va male o avete problemi con gli altri volontari. Avrete comunque qualcosa da imparare, e poi potrete viaggiare. Da volontari avrete un occhio diverso da quello del semplice turista, e ciò vi consentirà di vedere luoghi e conoscere persone che vi ricorderete per sempre. A me lo Sve è servito per capire quali sono le mie capacità e i miei limiti: mi ha dato una bella spinta nello spirito di iniziativa, e credo che questo mi sarà di aiuto per cercare lavoro nel mio campo di studio. Mi piacerebbe lavorare in ambito museale come curatrice di mostre.
Come dicevo prima, un aspetto molto positivo dello Sve è la possibilità di viaggiare e conoscere molte persone. Al riguardo ho un ricordo particolare. Era luglio ed ero andata a Malaga, nell’estremo sud della Spagna, per il corso di formazione intermedio dei volontari Sve. Al ritorno mi sono ritrovata con altri volontari a Barcellona. Non volevamo salutarci in stazione, e così una di noi, che abitava vicino a La Rambla, si è offerta di ospitarci tutti: a casa sua ci siamo trovati in otto ragazzi di nazionalità diverse. È stata una serata semplice con qualche birra e quattro risate, però è stata significativa perché sapevamo che difficilmente ci saremmo rivisti.
Se si fa attenzione, durante lo Sve anche viaggiando si riesce a vivere con il rimborso che si riceve. A me davano 100 euro al mese per coprire le spese di vitto e 105 euro di pocket money, mentre l’alloggio era pagato direttamente dall’associazione. Io non ho chiesto soldi alla mia famiglia. Certo poi dipende da dove si va: io ero in mezzo ai Pirenei e non avevo molte spese da affrontare, come invece accade in una grande città.
Finito lo Sve avrei voluto rimanere in Spagna a studiare, ma non ho trovato un corso particolarmente interessante e allora mi sono trasferita a Genova. Oggi sono a Stoccolma e proseguo il viaggio per realizzare il mio sogno professionale. Lo Sve credo mi sarà di aiuto, perché grazie a quell’esperienza ho migliorato nettamente il mio inglese e ho imparato lo spagnolo e il catalano: sapere più lingue può essere sempre un valore aggiunto. E pazienza se lo Youthpass non è riconosciuto all’università, cosa che mi pare assurda: io sono comunque consapevole che lo Sve è stato molto utile per la mia formazione.
Testo raccolto da Daniele Ferro
@danieleferro
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