Stage all'Assemblea parlamentare Osce: da Napoli Anna arriva fino a Copenaghen per costruirsi un futuro internazionale

Silvia Colangeli

Silvia Colangeli

Scritto il 22 Mar 2015 in Storie

Iniziare una carriera all’interno di un’organizzazione europea, si ma quale? L’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) con rappresentanze in 57 Paesi, offre  varie opportunità ai laureati con profilo internazionale: il bando per candidarsi è aperto proprio in questo periodo. E Anna Di Domenico ha saputo sfruttare la sua...

Ho 25 anni, vengo da un piccolo comune in provincia di Napoli e sono per metà tedesca. Ora vivo a Copenhagen, in Danimarca, dove lavoro come Research Fellow presso l’Assemblea Parlamentare dell’Osce. Sono sempre stata una ragazza intensamente curiosa. Amo viaggiare, mettermi alla prova, e fin da piccola sognavo di poter vivere in paesi diversi. Per gli studi ho deciso di rimanere in Italia, ma ho soddisfatto la mia vocazione “estera” dopo il liceo, laureandomi in Relazioni internazionali all’Orientale di Napoli: nel maggio 2013 ho terminato la specialistica. Sono soddisfatta del mio percorso accademico: ha ampliato notevolmente i miei orizzonti e sento di possedere le conoscenze teoriche necessarie nel campo degli affari internazionali, ma mi sono personalmente sempre sentita oppressa da luogo in cui forse ho vissuto per  troppo tempo.

Infatti, viaggi a parte, ho fatto la mia prima esperienza all’estero prima di terminare l’università: era il 2011 e sono stata selezionata per un tirocinio di qualche mese alla Rappresentanza Permanente d’Italia presso la Nato, che si trova a Bruxelles. Poi sono tornata altre due volte in questa città, sempre come tirocinante: prima per la Rappresentanza della regione Campania e poi per il Servizio europeo di azione esterna, uno degli ambitissimi posti da stagista della Commissione Europea.

Ho saputo dell’opportunità all’Assemblea Parlamentare dell’Osce per caso. Era aprile dell’anno scorso e mi trovavo a Londra per un paio di mesi. Lavoravo per una Ong e mi piaceva molto. Ma la certezza che fosse una cosa temporanea mi spingeva a cercare altro. Rispetto ad altre organizzazioni, questa proposta dell’Osce mi sembrava più conveniente, già  per l’ammontare del rimborso (564 euro mensili) e l’alloggio compreso. Così ho inoltrato la domanda. Mi hanno proposto un colloquio di cui mi ricordo benissimo: era il giorno del mio compleanno! A fine luglio ho ricevuto la mail con la proposta ufficiale ed ero felicissima di poter iniziare questa esperienza e trasferirmi in una città che non conoscevo.

Mi sono trasferita a Copenhagen nel settembre 2014 e sono qui da ormai sei mesi. Vivo in uno dei due alloggi riservati ai  cinque giovani selezionati per ogni sessione, che è situato in quartiere centrale ed elegante. Non posso immaginare un’esperienza migliore di questa. La formalità richiesta non intacca in alcun modo la familiarità che si è creata tra i colleghi nel corso del tempo. L’ambiente è molto stimolante, fatto di persone competenti e disponibili a formare stagisti, che sono considerati effettivamente come una risorsa in più, al pari di ogni altro membro del team: ci vengono concessi ampi margini di autonomia e responsabilità e veniamo consultati in merito a questioni che interessano le aree geografiche e tematiche che ognuno di noi copre. Ho da poco ricevuto conferma dell’estensione del mio "contratto" di stage per altri sei mesi, per la quale avevo a lungo sperato e duramente lavorato.

E dopo? Sarei pronta a restare in Danimarca o spostarmi in un altro paese. Fino a un anno fa mandavo molte domande anche in Italia, nella speranza di trovare qualcosa di stimolante. Ma mi hanno offerto solo tirocini non rimborsati o sottopagati. In più il clima di sfiducia, di delusione e disillusione mi ha spinta a non guardare più al mio paese come possibile meta futura. Vedo molti dei miei amici, con la mia stessa formazione e simili esperienze, faticare per trovare poco o niente. E quel poco non è neanche pienamente formativo. Personalmente, mi sento di aver trovato un mio certo equilibrio fuori dall’Italia, spostandomi di paese in paese, dove, per fortuna, non mi sono mai sentita un’estranea, o un “expat”, termine che ora va così di moda. Sicuramente la doppia nazionalità mi aiutato a rendere il distacco fisico dal mio paese meno doloroso e, a conti fatti, posso dire che la forte determinazione mi ha aiutato molto di più della preparazione. Prima di ricevere dei “si”, sapete quanti “no” ho ricevuto? Decine.

Mi sento senz’altro molto fortunata rispetto a tanti miei coetanei, giovani brillanti e con voglia di fare, che purtroppo non hanno avuto l’opportunità di svolgere esperienze professionali tanto rilevanti. É stato spesso frustrante e demoralizzante. Posso comprendere chi si ferma e decide di tentar altro. Ma se davvero si vuol lavorare nel campo delle relazioni internazionali, bisogna accettare che è un ambiente altamente competitivo ed essere soprattutto pronti a lasciare tutto e partire da un giorno all’altro, se un’opportunità dovesse presentarsi.

testimonianza raccolta da Silvia Colangeli

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