Giovani psicologi, se l’indipendenza economica è un miraggio
Il 48% dei 42mila psicologi che esercitano in Italia ha meno di 40 anni: sono i dati che emergono dall'analisi delle iscrizioni all’Enpap, l'ente previdenziale di categoria. E i giovani continuano a ingrossare le fila dell’Ordine, al ritmo di 4mila nuovi ingressi all’anno, segno che la professione esercita un forte appeal tra le nuove generazioni. Eppure per arrivare a esercitarla bisogna affrontare un percorso molto impegnativo e quando finalmente si raggiunge l’obiettivo ci si scontra con un mercato saturo e con guadagni non proprio da favola: nel 2012 il reddito medio degli psicologi è stato di 14.700 euro netti, che salgono a 17.300 al Nord e precipitano a 10.300 al Sud. «Chi decide di intraprendere questa strada non lo fa certo perché mosso da ambizioni economiche, ma da una forte motivazione, talvolta da una vera e propria vocazione», spiega alla Repubblica degli Stagisti Valerio Celletti, presidente dell’Associazione giovani psicologi della Lombardia. «Il problema però esiste: il percorso formativo è talmente lungo e costoso che non tutti hanno la possibilità materiale di realizzare la loro “missione”. Non è possibile costringere i giovani alla dipendenza economica oltre i 30 anni. Né a una formazione perpetua a pagamento».Partiamo dall’inizio. I circa 4.500 ragazzi che ogni anno prendono una laurea magistrale in psicologia devono frequentare un tirocinio pratico di un anno per poter sostenere l’Esame di Stato e iscriversi all'albo professionale. Si tratta di un’esperienza di preinserimento in una situazione lavorativa, finalizzato all'acquisizione di conoscenze e abilità professionali grazie anche al rapporto diretto con professionisti esperti, ed è regolato dal decreto ministeriale 239/1992. Peccato che sia obbligatoriamente gratuito: cioè, se anche la struttura che accoglie il laureato avesse voglia e risorse per riconoscergli un minimo compenso, non lo potrebbe fare. Finito il tirocinio e superato l’esame di Stato, i neoabilitati devono decidere se continuare il loro percorso formativo verso una scuola di specializzazione oppure imboccare un’altra strada. Come affermato nella legge 56/1989 che regolamenta la professione, lo psicologo non può fare psicoterapia: può fare diagnosi, valutazioni, interventi di prevenzione, ma non può guarire. È lo psicoterapeuta che lavora per eliminare il sintomo, la patologia, il disagio e aiutare la persona a muoversi verso una condizione di benessere e di maggior consapevolezza. Ma per poterlo diventare bisogna frequentare una delle 340 scuole di psicoterapia riconosciute dal Miur, della durata di quattro anni. «In realtà ogni anno in Lombardia solo il 49% dei neoabilitati s'iscrive a una scuola di specializzazione in psicoterapia, percentuale che scende al 42% a livello nazionale», rivela alla Repubblica degli Stagisti Roberta Cacioppo, Consigliere dellfOrdine degli psicologi della Lombardia. «Molti preferiscono puntare su master annuali o biennali che offrono opportunità di inserimento lavorativo più rapide in campi emergenti, come la psicologia scolastica, dello sport e del lavoro. Altri si fermano all'esame di Stato e aprono uno studio privato di diagnosi e sostegno. Poi ci sono quelli che cercano un lavoro in azienda, per esempio nel settore delle risorse umane. Sicuramente una buona parte dei giovani che non si iscrivono alla specializzazione lo fa perché trova più interessanti altre strade. Ma purtroppo per altri è una scelta obbligata: il percorso per diventare psicoterapeuti non è alla portata di tutti»...
Innanzitutto, le scuole di specializzazione in psicoterapia sono quasi esclusivamente private: «In Lombardia, ne esistono 53 private e una pubblica, afferente all’università Bicocca», spiega Valerio Celletti. «I costi variano molto da caso a caso, ma si aggirano su una media di 5mila euro l’anno per quelle a indirizzo cognitivo-comportamentale, sui 3-4 mila per quelle a indirizzo dinamico. Queste ultime però richiedono che l’aspirante psicoterapeuta si sottoponga a una propria analisi personale. Questo percorso su di sé, che ovviamente non ha una durata predeterminata, il giovane lo paga come fosse un paziente qualsiasi, e le spese allora salgono a circa 10mila euro l’anno. I costi non sono neppure detraibili come spese “professionali”: anche se è la scuola a richiedere di intraprendere questo percorso, l’analisi viene considerata comunque una scelta personale, che l’aspirante psicoterapeuta dovrebbe compiere non per “obbligo”, ma per l’esigenza di lavorare su se stesso, di guardarsi dentro, prima di poter passare dall’altra parte del lettino».Le scuole di specializzazione in psicoterapia hanno ognuna la propria organizzazione, ma non richiedono un impegno a tempo pieno. Di norma, i corsi sono concentrati in un weekend o una settimana al mese. Oltre alle lezioni teoriche, però, il percorso prevede anche dei tirocini pratici: ancora una volta, gratuiti. Dunque, come vivono gli aspiranti psicoterapeuti in questi quattro anni di specializzazione? «L’impegno richiesto non è full-time, quindi la maggior parte di loro riesce a lavorare nel tempo che rimane tra lezioni, tirocinio e sedute di analisi. Molti lavorano come educatori o come psicologi di comunità, quasi sempre attraverso cooperative», risponde Celletti. Inutile dire che i contratti sono estremamente precari e gli stipendi molto bassi. «In media, circa 800 euro al mese». I conti sono presto fatti, e non tornano: se un giovane guadagna in un anno 9.600 euro, e ne spende 10mila solo per la scuola di specializzazione e la terapia, come può mantenersi? «È già tanto se riesce a coprire da solo le spese per la specializzazione. Per tutto il resto grava ancora, inevitabilmente, sulla famiglia». Dal terzo anno di specializzazione il professionista è abilitato alla psicoterapia ma solo sotto la supervisione di uno professionista esperto, che va pagato per questa sua consulenza. Le supervisioni sono gestite in maniera diversa dalle singole scuole: alcune (poche) le offrono gratuitamente inserendole nel proprio iter formativo, la maggior parte no. Alcune richiedono che siano svolte con docenti della scuola, mentre altre permettono di andare da qualunque terapeuta di orientamento adeguato. Alcune impongono una supervisione per ogni seduta con un paziente, altre sono più flessibili. In media, lo specializzando può sborsare dalle 50 alle 100 euro per ogni incontro. Quindi, ammesso che riesca già a trovare un numero considerevole di pazienti, gran parte di ciò che guadagna lo spende in supervisioni. «Solo dopo aver conseguito l’abilitazione come psicoterapeuta, quindi dopo cinque anni di università, uno di tirocinio e quattro di specializzazione, il giovane può accedere pienamente all'esercizio della professione e crearsi una sua cerchia di pazienti. Per riceverli però bisogno di uno studio, seppur in affitto o in condivisione con altri colleghi, e questo comporta delle spese. Si può stimare che solo dopo 2-3 anni dalla fine della specializzazione, quindi a 12-13 anni dall’iscrizione all’università, lo psicoterapeuta cominci a guadagnare abbastanza da riuscire a mantenersi», afferma Celletti. Discorso a parte va fatto poi per i giovani che decidono di iscriversi a una scuola di specializzazione universitaria in Psicologia clinica, aperta anche ai laureati in medicina. In questo caso agli specializzandi è richiesto un impegno a tempo pieno per 4 anni, ma mentre i medici hanno un contratto di formazione e percepiscono uno stipendio di circa 1.800 euro al mese, gli psicologi non sono tutelati da alcun contratto e non vedono neppure un euro. Merito di un pasticcio legislativo all’italiana che ha creato un vero apartheid per gli specializzandi sanitari “non medici”, cui la Repubblica degli Stagisti ha recentemente dedicato un approfondimento. Eppure anche per gli psicologi il possesso dalla specializzazione in Psicologia clinica è indispensabile per accedere ai concorsi per ricoprire ruoli dirigenziali nel servizio sanitario nazionale. Il paradosso è che a formare (a caro prezzo) i neofiti sono in molti casi professionisti cui non sono stati richiesti né percorsi formativi così lunghi, né requisiti stringenti, né costi proibitivi. La nascita della psicologia come la indentiamo oggi in Italia è recente: il primo corso di laurea è nato a Padova nel 1971 e solo nel 1989 è stato istituito l’Ordine degli Psicologi. Le legge che per la prima volta ha regolamentato la professione ha previsto una sanatoria per tutti coloro che lavoravano “di fatto” in ambito psicologico presso istituzioni pubbliche o private. La sanatoria è stata oggetto di aspri dibattiti, soprattutto a causa della genericità dei requisiti richiesti: sono state comprese all’interno del neonato Ordine molte categorie più o meno pertinenti con la psicologia, come per esempio gli insegnanti di sostegno nelle scuole. Il risultato? Forse anche come risposta alle mancanze di regole precedenti e ai danni che ne sono derivati, l’iter per la formazione degli psicologi è diventato nei decenni successivi sempre più lungo e impegnativo. Non solo: molti di coloro che hanno usufruito della sanatoria hanno occupato i posti in ospedali, Asl, consultori, con la conseguenza che oggi i concorsi sono pochissimi e per la maggior parte offrono contratti di collaborazione, non l'assunzione. Come la Repubblica degli Stagisti ha già denunciato per i medici, nella sanità pubblica e privata si sono formate ampie sacche di precarietà, dovute da una parte all'esigenza di arruolare personale specializzato per garantire il funzionamento delle strutture, dall'altro al blocco delle assunzioni. La scorciatoia è sempre la stessa: aggirare i rigidi vincoli imposti dalla spending review facendo ricorso a contratti di collaborazione che nulla hanno a che fare – se non per la mancanza di tutele - con rapporti di lavoro di tipo autonomo. «Prendiamo il caso dell'ospedale S. Carlo di Milano, che ha una rinomata unità operativa di Psicologia clinica. Vi lavorano 25 psicologi assunti e un’ottantina tra specializzandi, volontari e “collaboratori”», afferma Celletti. «Sebbene la nostra sia riconosciuta dal Ministero della Salute come professione sanitaria a tutti gli effetti, purtroppo in Italia i servizi psicologici nelle strutture sanitarie sono considerati solo dei costi, quasi superflui. L'esperienza di altri Paesi dimostra esattamente il contrario: rafforzare i servizi psicologici in un'ottica di prevenzione e di diagnosi tempestiva del disagio diminuisce il successivo ricorso ai farmaci, con ricadute positive anche sulla spesa sanitaria, oltre che sulla salute e sul benessere dei pazienti. Ma come si può pensare che il ministero della Salute sia veramente sensibile al tema se al Consiglio superiore della Sanità tra i 48 esperti nei vari settori sanitari non c'è neppure uno psicologo?».Cosa si può fare per aiutare le nuove leve della professione ad affrontare tutti questi ostacoli? «L'Ordine lombardo sta portando avanti diverse iniziative per supportare i giovani», risponde Roberta Cacioppo alla Repubblica degli Stagisti. «Penso alle esperienze già collaudate di sostegno e consulenza ai giovani nello scrivere progetti per il terzo settore e nella ricerca di finanziamenti per la loro realizzazione; agli sportelli gratuiti per dialogare con commercialisti oppure con professionisti che possono consigliare su questioni etiche e deontologiche; e ancora al supporto quotidiano per le problematiche legate all’organizzazione della propria vita lavorativa e professionale. Stiamo promuovendo il self marketing, perché un libero professionista deve possedere, oltre alle sue competenze “tecniche”, anche delle capacità imprenditoriali. Inoltre, cerchiamo di diffondere e sperimentare nuovi ambiti di applicazione della psicologia: si pensi per esempio al notevole aumento di richieste sulle prestazioni psicologiche online. Continua poi l’azione di tutela della professione e lotta all’abusivismo, tema molto caro ai giovani colleghi che si vedono sempre più schiacciati da counselor e coach, che spesso svolgono senza alcun diritto mansioni proprie degli psicologi».Dal canto suo, anche l'Associazione Giovani Psicologi della Lombardia offre occasioni di incontro, formazione, orientamento: per esempio offre ai soci opportunità di supervisione gratuita, come le intervisioni, eventi in cui un giovane professionista porta un proprio caso e tre terapeuti di orientamento diverso dicono la loro. «Tra le varie iniziative, anche gli psicoaperitivi, occasioni di incontro tra colleghi in un contesto informale con l'opportunità di conoscere qualche psicologo noto che generalmente apre la serata parlando di un argomento particolare. Da settembre inizieremo ad offrire anche qualche iniziativa formativa gratuita per i soci. Il mondo della psicologia è vastissimo: per decidere in che direzione muoversi è necessario conoscerlo al meglio e l'associazione aiuta i giovani a scegliere più consapevolmente il proprio futuro», conclude Celletti.Anna Guida