Sulla carta avrebbero diritto allo stesso contratto di formazione e alla stessa retribuzione degli specializzandi medici, di cui condividono in toto il percorso post lauream. Nei fatti non solo non percepiscono alcun compenso ma devono anche pagare di tasca propria la tassa di iscrizione annuale. Gli specializzandi sanitari “non medici” sono tornati alla carica per chiedere la fine di una «discriminazione» ingiustificata, con una lettera aperta inviata al presidente Napolitano, al premier Letta e ai ministri Carrozza, Lorenzin e Giovannini.
Ogni anno in diverse università italiane vengono banditi concorsi per l'accesso a scuole di specializzazione sanitaria aperte anche a biologi, chimici, fisici, farmacisti, veterinari, psicologi, odontoiatri: biochimica clinica, patologia clinica, microbiologia e virologia, genetica medica, scienze dell'alimentazione, farmacologia medica, fisica medica, statistica sanitaria e biometria, solo per citarne alcune.
Secondo le stime di Cristiano Alicino, presidente di Federspecializzandi, sono circa 2.500 i “non medici” iscritti a queste scuole. Al pari dei colleghi laureati in medicina, viene richiesto loro un impegno a tempo pieno, uguale a quello previsto per il personale del SSN, e la partecipazione alla totalità delle attività delle strutture cliniche che spesso, senza di loro, non riuscirebbe a soddisfare il diritto alla salute garantito dalla Costituzione. Come i diretti interessati scrivono nella lettera, in tutti gli ospedali italiani si assiste a un vero e proprio «sfruttamento degli specializzandi non medici sanitari, che li vedono nei laboratori diagnostici e nelle attività assistenziali, coprire orari e giornate spettanti a quello che dovrebbe essere il personale universitario e delle aziende sanitarie, avente contratto. Arrivano a timbrare il badge o a dover firmare l'orario di ingresso e di uscita, vengono inibite spesso agli specializzandi eventuali attività alternative svolte allo scopo di autosostenersi, così come vengono fatti loro problemi per giornate di ferie, trasferimenti a università più vicine alla loro residenza e, nel caso delle ragazze, anche per la maternità».
Mentre i colleghi dottori hanno diritto ad un contratto di formazione per tutta la durata del corso (da 4 a 6 anni a seconda della specialità), uno stipendio mensile di circa 1.800 euro mensili, la copertura previdenziale, la maternità e la malattia, i laureati “di serie B” ne sono totalmente esclusi. E con la riforma Gelmini per i medici l’ultimo anno di specializzazione "vale" come primo anno di dottorato, per loro no. Eppure gli uni e gli altri affrontano esattamente lo stesso percorso formativo e lavorano fianco a fianco nelle strutture ospedaliere. Anche per i non medici, dal 1992 (con il decreto legge 502/1992), il possesso del titolo di specializzazione è indispensabile per la partecipazione ai concorsi per ricoprire ruoli dirigenziali nel Ssn.
E infatti gli specializzandi non medici avrebbero diritto allo stesso trattamento dei loro colleghi camici bianchi. Lo conferma ad Articolo 36 Luisa Begnozzi, presidente dell'Associazione italiana di Fisica medica: «Gli assegni di formazione per tutti gli specializzandi sanitari sono previsti da una specifica disposizione normativa, ma non sono mai stati stanziati ed erogati». Perché? «La questione irrisolta è legata al fatto che per la legge che prevede i contratti di formazione e la stima del fabbisogno formativo è stata prevista all’origine la copertura finanziaria solamente per le specializzazioni dei medici».
Tutto è cominciato quando nel 1999, il legislatore italiano ha recepito una direttiva europea che garantiva (solo sulla carta, perché la norma iniziò a essere applicata dal 2006) agli specializzandi dell'area sanitaria il diritto a un contratto di formazione specialistica. Tuttavia, senza delega del legislatore comunitario, in Italia tale legge fu limitata esclusivamente agli specializzandi medici, creando così un'insostenibile asimmetria nel diritto.
Questa discriminazione in atto appare ancor più evidente se si considera l’uniformità di disciplina sancita dall’art. 8 della legge 401/2000: «Il numero di laureati appartenenti alle categorie dei veterinari, odontoiatri, farmacisti, biologi, chimici, fisici, psicologi iscrivibili alle scuole di specializzazione post-laurea è determinato ogni tre anni secondo le medesime modalità previste per i medici dall’articolo 35 del Dl 368/1999, ferma restando la rilevazione annuale del fabbisogno anche ai fini della ripartizione annuale delle borse di studio nell’ambito delle risorse già previste». Che anche queste categorie abbiano diritto a un compenso è stato poi ancor più esplicitamente ribadito dal Consiglio di Stato nel 2002: «La frequenza delle scuole di specializzazione, per l'impegno a tempo pieno che comporta e le incompatibilità con ogni altra attività lavorativa, è attività necessariamente retributiva e, conseguentemente, non possono essere ammessi a frequentare le scuole di specializzazioni laureati che non godono di (...) contratto annuale di formazione-lavoro».
Invece, oltre a non ricevere alcuna retribuzione, agli specializzandi spesso è espressamente vietato svolgere altre attività, giudicate incompatibili con il loro impegno a tempo pieno, e devono pagare di tasca propria le tasse annuali, come spiega Francesco Corrente, biologo iscritto alla scuola di specializzazione in Biochimica clinica presso la Cattolica di Roma: «Pago 2.650 euro all’anno. L'importo varia da ateneo ad ateneo, ma non è comunque inferiore ai mille euro l'anno. Il nostro è un percorso di alta formazione che ci permette di acquisire le competenze necessarie per poter effettuare analisi cliniche specialistiche essenziali per la diagnosi medica. La mancata retribuzione, la frequenza giornaliera a tempo pieno e le onerose tasse annuali rendono il percorso formativo estremamente difficoltoso e a volte impossibile da portare a termine». La stortura del sistema è evidente: il non medico, non essendo tutelato da un contratto e non percependo retribuzione, ha enormi difficoltà a conciliare la propria specializzazione professionale con la necessità di provvedere alla propria sussistenza.
Com'è possibile che un laureato sia occupato per ben 4-6 anni a tempo pieno, svolgendo attività spesso essenziali per il regolare funzionamento dei laboratori, senza percepire un euro? Come può mantenersi? «Nella grande maggioranza dei casi, grazie al sostegno totale dei genitori. Talvolta noi specializzandi riusciamo a ottenere delle borse regionali o su progetti, o dei contratti di collaborazione con le strutture sanitarie dove svolgiamo il tirocinio, ma purtroppo questi introiti non sono sempre garantiti con continuità», risponde Francesco Corrente.
Inutile dire che la specializzazione sta diventando un “lusso” destinato solo a chi può godere del supporto economico della famiglia. «Non è l’unico pericolo: si rischia addirittura che queste figure professionali altamente specializzate spariscano dalla sanità pubblica italiana», denuncia ad Articolo 36 Ermanno Calcatelli, Presidente dell’Ordine Nazionale dei Biologi. Non è un'iperbole la sua ma un’ipotesi concreta: poiché i tribunali italiani hanno riconosciuto importanti indennizzi ai medici che, specializzatisi prima del 2006, non godevano dell’attuale contratto di formazione, per timore di essere in futuro obbligate a rimborsare anche i non medici diversi atenei hanno preferito non far partire i corsi delle scuole di specializzazione. «È una grande sconfitta per le università, che rinunciano al loro ruolo formativo, per la sanità italiana, che tra qualche anno si troverà sprovvista delle figure professionali di cui ha bisogno, e naturalmente anche per gli aspiranti specializzandi, che sono costretti a rivolgersi ad altri atenei, spesso lontani da casa: ai costi della formazione, allora, dovranno aggiungere anche i costi per la vita fuori sede», afferma Calcatelli.
Di fronte a un quadro così drammatico, cosa si può fare? «È stata assegnata alle commissioni riunite Cultura e affari sociali della Camera in
sede referente la proposta di legge presentata il 25 marzo dal deputato Pd Francesco Sanna che punta proprio a equiparare lo status giuridico ed economico di tutti gli specializzandi sanitari. Non è la prima volta che la questione entra nelle aule parlamentari: lo stesso Sanna aveva presentato al Senato un disegno di legge nel settembre 2010, rimasto purtroppo lettera morta. Per questo l’Ordine dei biologi qualche mese fa si è rivolto direttamente al Commissario europeo alla Salute, Tonio Borg, per chiedere che le istituzioni comunitarie invitino l’Italia a sanare questa situazione» afferma Calcatelli. «Intendiamo far valere i diritti della nostra categoria e superare questa
discriminazione indecorosa per un Paese che voglia dirsi veramente democratico».
Anna Guida
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