Categoria: Approfondimenti

Salario minimo per tutti: una proposta per applicarlo sia ai dipendenti sia ai collaboratori

Esimi studiosi e ricercatori, economisti e giuslavoristi ed esperti di politiche del lavoro, ci si spaccano la testa da anni: può esistere un salario minimo applicabile anche ai lavoratori autonomi?I problemi sul tavolo sono riassumibili in due grandi sottoinsiemi: teorici e pratici.I problemi teorici sono legati all’enorme eterogeneità del gruppo dei lavoratori autonomi. Qui dentro, per capirci, stanno insieme l’idraulico che fa un servizio a domicilio per riparare un lavandino; il giornalista freelance che scrive alla sua scrivania un articolo per una testata per cui collabora, e il suo collega giornalista freelance che scrive l’articolo però magari dall’altra parte del mondo, in modalità “inviato volontario”. C’è il consulente che fa formazione ai dipendenti di un’azienda e c’è il grafico che per quella stessa azienda disegna la brochure o la pagina pubblicitaria. C’è chi ha bisogno di strumenti per il suo lavoro e chi no. C’è chi lavora da casa sua e chi invece presso il committente, e in questo secondo insieme vi sono quelli che lavorano lì per un periodo di tempo limitato e quelli che invece hanno una loro scrivania, orari predefiniti, e sostanzialmente mimano un rapporto di lavoro subordinato senza averne però il contratto.Tutti questi lavoratori autonomi sono profondamente differenti: hanno percorsi di formazione e titoli di studio differenti, competenze differenti, la loro collaborazione con il committente varia dall’essere una tantum all’essere continuativa e regolare. Alcuni di questi lavoratori autonomi hanno decine, talvolta centinaia di committenti nell’arco di un anno; altri ne hanno pochi, qualcuno è addirittura quel che si dice “monocommittente”, cioè la totalità o quasi totalità del suo reddito annuale proviene da un solo datore di lavoro.Dunque il problema teorico numero 1 nell’applicare il salario minimo anche agli autonomi è: qual è il minimo giusto? Una cifra che non sia troppo alta (se applicata a mansioni di scarso valore aggiunto e per le quali non è necessaria grande preparazione) e però contemporaneamente non sia troppo bassa (se applicata a mansioni di valore aggiunto più alto). Già, qual è il salario minimo giusto? In Francia e in Germania hanno al momento due cifre praticamente identiche (1.590 euro lordi al mese lo Smic francese, 1.585 euro il MiLoG tedesco). Si tratta di un salario applicabile solo ai subordinati (guarda un po’) ma fissa un parametro: che sotto quella cifra una persona che lavora a tempo pieno non debba poter guadagnare. La cifra – francese e tedesca – si può anche leggere come grossomodo 400 euro a settimana, 80 euro al giorno, 10 euro l’ora.E qui si arriva al problema pratico. Come si fraziona il salario minimo su attività, quelle autonome, non solo profondamente diverse una dall’altra ma anche caratterizzate da tempistiche molto diverse? Si può pagare all’ora la riparazione di un tubo? E un articolo giornalistico quanto vale all’ora? Quando si compra qualcosa, si compra solo la prestazione o anche una parte del lavoro di formazione/preparazione che il lavoratore ha dovuto fare per poter effettuare la prestazione? Si paga solo la prestazione o anche una frazione degli strumenti (le attrezzature, i device informatici…) che a quel lavoratore sono necessari per la sua attività? Come si fa a calcolare il giusto compenso per un collaboratore che svolge la sua prestazione da remoto, e che magari nella stessa giornata, al suo computer, porta avanti lavori per più di un committente?Una soluzione potrebbe essere quella di introdurre l’obbligo di un accordo scritto per qualsiasi tipo di collaborazione, squisitamente autonoma o “parasubordinata” (che aggettivo ridicolo…). In questo accordo le parti dovrebbero concordare per iscritto l’impegno orario percentuale previsto perché il lavoratore possa svolgere il lavoro che il committente gli affida. Un 100%? Un 50%? Un 10%? Ecco allora che il salario minimo risulterebbe applicabile. Perché in caso l’accordo (poniamo, un cococo) prevedesse una collaborazione intensiva, a tempo pieno per due mesi, vuol dire che il lavoratore avrebbe diritto a una retribuzione almeno pari al salario minimo espresso nella sua forma mensile, per i due mesi di lavoro. Se sull’accordo scritto le parti convenissero un impegno di 2 giorni a settimana di quel lavoratore autonomo sulle attività richieste dal committente, il compenso minimo equivarrebbe a una cifra non inferiore al 40% del salario minimo – espresso nella forma settimanale, per tutte le settimane di collaborazione. E se invece la prestazione fosse molto piccola – l’esempio dell’articolo di giornale torna utile – si tratterebbe di concordare per iscritto quante ore il collaboratore prevede di passare su quel lavoro, e la cifra concordata non potrebbe andare al di sotto del salario minimo (espresso nella forma oraria) moltiplicato per il numero di ore indicate.In questo modo ci sarebbe una “prova”: un documento attesterebbe quanta parte del suo tempo un determinato lavoratore autonomo prevede di passare su ogni singola collaborazione, e la forma scritta permetterebbe a tutte le parti di essere più consapevoli della posta in gioco.Certo, come in tutte le leggi – e specie quelle che regolamentano il lavoro – ci sono punti deboli. Esistono innumerevoli modi per depotenziare, aggirare, ignorare questa indicazione; a cominciare dalla prevedibile circostanza in cui datori di lavoro scorretti obbligassero i collaboratori ad accettare e controfirmare documenti con indicata una percentuale di tempo di lavoro previsto inferiore al vero, per poterli pagare di meno. Ma l’idea è che l’esistenza di un salario minimo aiuti anche i lavoratori stessi a prendere coscienza del valore monetario del loro lavoro, e ad essere sempre meno disponibili a farsi sottopagare. Vedere un tempo di lavoro nero su bianco su un accordo scritto, e poi vederlo rinnegato nella realtà dei fatti, potrebbe portare una parte di lavoratori autonomi a non subire più in silenzio. Inoltre, una forma scritta permetterebbe finalmente anche controlli da parte degli ispettori del lavoro, dando loro strumenti per stanare infrazioni e illegalità e tutelare anche i lavoratori autonomi, e non solo quelli subordinati, dal rischio di sfruttamento.Questo meccanismo potrebbe essere applicato a tutte le fasce di lavoratori autonomi “a rischio sfruttamento”, tenendo fuori per esempio coloro che hanno avuto, nei due o tre anni precedenti, un reddito superiore a una certa soglia (es. 50mila euro), per i quali oggettivamente è evidente dai dati che il rischio di essere sottopagati non sussista. In questo modo i lavoratori autonomi che forniscono prestazioni ad alto valore aggiunto, e che non hanno bisogno di uno strumento come il salario minimo perché riescono a concordare coi loro committenti compensi adeguati, non si sentirebbero “umiliati” da un salario minimo che dal loro punto di vista verrebbe inevitabilmente percepito come ridicolmente basso (“Il mio lavoro non vale certo 10 euro all’ora, o 80 euro al giorno!”). Ma per chi si arrabatta tra collaborazioni saltuarie e committenti col braccino corto, un punto di riferimento certo, una legge che dica chiaramente che il lavoro non può essere pagato meno di tot, sarebbe molto importante per uscire dallo sfruttamento e dalla situazione di “working poor”.

Figli minori, da gennaio al via l'assegno unico universale: nel frattempo si può richiedere la misura ponte

Rivoluzione in vista per i sussidi dell'Inps alle famiglie con figli minori. A partire dal prossimo gennaio entrerà in vigore la misura universale unica per i figli, prevista dal Family Act della ministra delle Pari opportunità e famiglia Elena Bonetti. Il decreto attuativo è stato approvato lo scorso 18 novembre, e prevede che le domande possano essere presentate a partire da gennaio 2022, con i primi pagamenti in arrivo però da marzo. Nel frattempo è già attiva una misura ponte, il cosiddetto assegno temporaneo figli minori, per cui le domande si sono aperte ufficialmente a luglio scorso e si chiuderanno il 31 dicembre. «Finalizzata a dare un sostegno immediato alla genitorialità e alla natalità» si legge sul sito Inps, la misura «è stata adottata in attesa dell’attuazione dell’assegno unico e universale che dovrà riordinare, semplificare e potenziare le misure a sostegno dei figli». Quello attuale è dunque un assegno previsto in via provvisoria. Beneficiarie saranno quelle fasce di contribuenti che non percepiscono gli assegni familiari (Anf), destinati a essere invece riassorbiti nella nuova riforma. Gli 'Anf', sono stati finora appannaggio esclusivo di chi avesse un contratto di lavoro dipendente, escludendo gli autonomi.Gli assegni però saranno spazzati via con l'assegno unico, che arriverà a tutti – una volta entrato a regime – senza fare differenze in base alla tipologia di contratto di lavoro. Mentre di quello attuale, appunto "temporaneo" e in vigore fino a dicembre 2021, beneficeranno solo gli autonomi. «L’assegno temporaneo è incompatibile con l’assegno al nucleo familiare (Anf) previsto dalla legge 153/1988», chiarisce alla Repubblica degli Stagisti l'ufficio stampa Inps. Nello specifico «l’assegno temporaneo spetta a lavoratori autonomi, disoccupati, coltivatori diretti, coloni e mezzadri, titolari di pensione da lavoro autonomo, e nuclei che non hanno uno o più requisiti per godere dell’Anf» è scritto sul sito.Qualora insomma uno dei due genitori percepisca un assegno familiare tramite il proprio contratto di lavoro da dipendente, non sarà possibile per l'altro genitore – per esempio titolare di partita Iva – richiedere l'assegno temporaneo. A meno che «non venga meno il rapporto di lavoro dipendente per licenziamento o dimissioni: a quel punto l'altro genitore, se autonomo, potrà fare richiesta per l'assegno unico», spiegano dall'Inps. Del resto al momento - «pur non essendo possibile dirlo con certezza» avvertono dall'Istituto - uno dei principali motivi di diniego delle domande «è probabilmente il fatto che il minore faccia parte di un nucleo che percepisce l'Anf». Resta invece la compatibilità dell'assegno temporaneo con il reddito di cittadinanza e le altre misure a sostegno della genitorialità.Non tutte le richieste dunque hanno esito positivo. Le domande di assegno temporaneo pervenute all’Inps a fine ottobre «risultano essere 607.422, relative a un totale di 1.017.543 minori», si legge nel comunicato diramato dall'istituto di previdenza. Di queste ne sono state accolte «580mila, mentre altre 66mila circa sono in attesa di integrazione da parte dei richiedenti perché incomplete o con errori sanabili». Respinte o fatte decadere sono le «domande relative a circa 228mila minori». Le domande «per altri 143mila minori, delle quali circa 104mila pervenute a ottobre, sono in corso di definizione».L'altro requisito per accedere alla misura è la soglia Isee, che non deve superare i 50mila euro. In base a tale griglia sono anche definiti gli importi: «Fino a un Isee pari a 7mila euro gli importi spettano in misura piena» confermano dall'Inps: «Vale a dire sono pari a 167,5 euro per ciascun figlio», maggiorati di 50 euro in caso di presenza di disabili oppure a partire dal terzo figlio. Gli assegni variano infatti anche «in base alla numerosità del nucleo familiare». I versamenti relativi a ogni singolo figlio scendono progressivamente man mano che sale la soglia Isee alla quale si appartiene. Si raddoppiano fino a due figli, e prevedono maggiorazioni dal terzo in poi. Se si appartiene a un nucleo con un Isee intorno ai 10mila euro e l'importo per il primo figlio è di 135 euro, l'asegno per la presenza anche di un secondo figlio sarà pari a 270 euro. Ma se i figli fossero tre, allora l'importo stanziato per ogni minore crescerà fino a 180 euro circa, tanto da far percepire alla famiglia circa 540 euro. «Si tratta di uno strumento che ci avvicina alle realtà europee più virtuose in termini di sostegno economico alle famiglie con figli» è il commento di Alessandro Rosina, ordinario di Demografia all'università Cattolica del Sacro Cuore e autore del libro Crisi Demografica, politiche per un Paese che ha smesso di crescere, edito da Vita e Pensiero. La riforma «è rivoluzionaria per l'Italia perché finalmente supera la frammentarietà passata e aumenta le risorse destinate alle famiglie, tanto più di fronte alle difficoltà e alle incertezze prodotte dalla crisi sanitaria». Prima della pandemia l'Italia «destinava l'1,1 per cento del Pil alla voce famiglia con figli, la metà rispetto alle media Ue eun terzo se si guarda alla Germania». Ma attenzione, la riforma «va considerata non come un punto di arrivo, ma di partenza».  La richiesta può essere fatta tramite Caf oppure direttamente sul sito Inps accedendo con le proprie credenziali Spid. In queste settimane sono già in corso i pagamenti relativi «a luglio e agosto e, in presenza dei requisiti, verranno erogate le mensilità spettanti fino a dicembre» precisano dall'Inps. Più nel dettaglio, stando al comunicato, «risulta pagato quasi il 100 per cento delle rate di luglio, agosto e settembre per le richieste pervenute a luglio e agosto, e oltre l’80 per cento delle rate di luglio, agosto e settembre per le domande pervenute a settembre». Il totale della spesa, prosegue la nota, ammonta a oltre 225 milioni di euro. Cosa accadrà quando la misura passerà da provvisoria a definitiva? Che fine faranno le altre misure per la famiglia? Dall'Inps specificano che «la legge delega 46/2021 al Governo per l’introduzione dell’assegno unico prevede il graduale superamento o soppressione di misure quali l’assegno ai nuclei familiari con almeno tre figli minori, l'assegno di natalità, il premio alla nascita, le detrazioni fiscali, gli assegni per il nucleo familiare».In particolare andrà a sparire anche il fondo di sostegno alla natalità, «inteso a favorire l'accesso al credito delle famiglie con uno o più figli, nati o adottati a decorrere dal 2017, mediante il rilascio di garanzie dirette, anche fideiussorie, alle banche e agli intermediari finanziari, e che ha una dotazione di 13 milioni di euro per l’anno 2020 e 6 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2021». Intanto, per chi avesse fatto domanda dell'assegno temporaneo entro il 31 ottobre saranno riconosciuti anche gli arretrati a partire dal mese di luglio, data di attivazione della misura. Mentre per chi inoltrerà la richiesta da inizio novembre sarà versato solo la mensilità corrente e quelle successive fino a dicembre. Ilaria Mariotti 

Italia nel pieno di un “inverno demografico”, neanche il Covid ha fermato gli espatri

L'Italia sembra vivere un lungo e ormai inesorabile 'inverno demografico'. A ribadirlo ancora una volta è la sedicesima edizione del Rapporto Italiani nel mondo, edito dalla Fondazione Migrantes e presentato nei giorni scorsi a Roma, finalmente in presenza dopo un anno di stop a causa della pandemia. «I nostri territori si stanno spopolando sempre di più» commenta Delfina Licata, sociologa e curatrice dello studio, «dalle zone interne verso i centri urbani, da sud a nord, e dall'Italia verso l'estero». Ne consegue che l'unica Italia che continua a crescere «è quella che risiede strutturalmente all'estero» conclude lo studio, per lo più composta da giovani. L’Italia «è oggi uno Stato in cui la popolazione autoctona tramonta inesorabilmente» si legge ancora. E lo stesso vale per la popolazione immigrata, anch'essa ferma «complice la crisi economica, la pandemia, i divari territoriali e l’impossibilità di entrare legalmente». La popolazione iscritta all'anagrafe estera, l'Aire, risulta aumentata nell'ultimo anno del tre per cento, del 13,6 negli ultimi cinque anni, e dell'82 per cento dal 2006, primo anno di pubblicazione del rapporto. Così, a gennaio 2021, la comunità di residenti all'estero ammontava a quota 5 milioni e 652mila unità, «il 9,5 per cento degli oltre 59,2 milioni di italiani residenti in Italia». Se si considerano anche gli italo-discendenti si raggiunge la cifra di 80 milioni di persone, un insieme la cui «portata umana, culturale e professionale è di valore inestimabile» secondo le parole del messaggio inviato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella all'evento di presentazione.Si registra così nell'ultimo anno per l'Italia una perdita complessiva di quasi 384mila residenti, mentre l'estero ne guadagna 166mila. A lasciare il Paese «sono i giovani nel pieno della loro vitalità personale e creatività professionale». Una mobilità che riguarda soprattutto chi ha tra i 18 e i 34 anni (42 per cento) e chi tra i 35 e i 49 anni (23 per cento). Il 50 per cento di questi è partito per motivi di espatrio, pur essendovi una larga fetta di residenti all'estero che è tale perché lì è nata: sono quasi il 40 per cento. Un dato da registrare è infatti anche la maggiore presenza femminile tra gli expat, e lo spostamento di interi nuclei familiari, spesso con figli minori. «A inizio 2021 è ancora più evidente il processo di assottigliamento della differenza di genere iniziato già sedici anni fa quando le connazionali iscritte all’Aire erano il 46,2 per cento» scrivono i ricercatori. Il numero è poi risalito fino «a oltre 2 milioni e 700mila iscrizione» rappresentando il 48,1 per cento del totale Aire. Un processo quello in corso che può ritenersi non solo di «femminilizzazione», ma anche di «familiarizzazione». Partono donne alla ricerca di realizzazione personale e professionale, ma «vi sono anche tanti nuclei familiari con figli al seguito».Una rete di spostamenti di per sé positiva – se non fosse che non prevede rientro, trasformandosi dunque in una perdita incolmabile. Diventando «strutturale e non circolare come sarebbe invece auspicabile» sottolinea Licata. Neppure la riduzione inevitabile degli espatri dovuta alla pandemia ha veramente posto un freno alle partenze. Il ridimensionamento certo c'è stato, ma ha riguardato «solo le vere partenze, il numero cioè di chi ha materialmente lasciato il Paese per andare all'estero». E che è sceso di 21mila unità nel 2020 rispetto al 2019. Ma le contrazioni più significative sono riferite solo a anziani e minori sotto i dieci anni, soggetti più fragili da mettere al riparo rispetto al rischio rappresentato dalla pandemia. Chi parte, parte sopratutto per destinazioni vicine: Europa in primis. Il che sarebbe un non problema perché così «i giovani italiani iniziano a sentirsi europei e si crea sempre di più una cultura condivisa» ha sottolineato la giornalista Maria Cuffaro [nella foto sotto] intervenendo alla presentazione. Il nodo si presenta al rientro, quando e se avviene: «I ragazzi si ritrovano con una società cristallizzata, dove vigono metodi e culture di trent'anni fa». E questo «è respingente». Così la via per il futuro continua a essere l'estero, e per superare «la piramide demografica rovesciata in cui ci troviamo ci vorranno intere generazioni». Ai primi posti come mete continuano a piazzarsi Regno Unito, Germania e Francia, che da soli coprono il 52 per cento delle destinazioni degli espatri. Supera il Brasile la Svizzera, che segna quest'anno l'ingresso di circa 8.100 connazionali. Una crescita marcata è segnalata infine nel Regno Unito, che presenta un saldo positivo rispetto all'anno precedente con un più 33 per cento di iscrizioni, ancora una volta concentrate nella fascia 18-45 anni (67 per cento). Un dato curioso mettendo in conto la Brexit, ma presto spiegato: «Si tratta della presenza italiana tipica per il Regno Unito» chiariscono i ricercatori della Fondazione Migrantes: «Giovani e giovani adulti, nuclei familiari con minori che la Brexit ha obbligato a far emergere attraverso la procedura di richiesta del settled status». Vale a dire «un permesso di soggiorno a tempo indeterminato per chi può comprovare una residenza continuativa sul territorio inglese da cinque o più anni». Un ultimo effetto dell'emergenza sanitaria globale sono stati i rientri forzati di chi aveva «un progetto migratorio acerbo unito a un inserimento occupazionale non certo». Tipico il caso di chi era impiegato nel turismo e nella ristorazione. «I dipendenti assunti da poco tempo perché di recente arrivo all’estero o inseriti con contratto a tempo determinato o non regolare, o in nero» è scritto nel rapporto, «non hanno avuto scampo e sono stati falcidiati dall’epidemia». Perdendo il lavoro, «l’unica strada percorribile è stata quella di fare ritorno».Ilaria Mariotti 

Assunzioni post stage, che contratti vengono fatti agli stagisti?

Esistono ben pochi dati pubblici rispetto alle assunzioni post stage, e nessuna rilevazione puntuale anno dopo anno su questo aspetto che determina l'efficacia dello strumento dal punto di vista occupazionale. Dunque degli stage attivati in un dato anno – poniamo, quello appena passato: il 2020 – non si conosce ad oggi il numero di quelli che hanno avuto come esito una assunzione, e tantomeno si hanno dettagli sulle tipologie contrattuali utilizzate più frequentemente. Invece si tratta di informazioni importanti per poter capire la reale efficacia dello strumento dello stage dal punto di vista dell’occupazione (giovanile e non solo). La Repubblica degli Stagisti ha posto questa domanda al ministero del Lavoro. La prima risposta che ha ricevuto è contenuta in una tabella, datata marzo 2021, intitolata “Rapporti di lavoro attivati entro i sei mesi dalla fine del tirocinio ed entro il 31/12/2020”. La tabella riporta i dati suddivisi per anno, affiancando il 2019 e il 2020; ma poiché la rilevazione dei dati si ferma alla fine del 2020, di fatto i dati relativi a quell’anno non sono utilizzabili (perché non registrano tutti i contratti attivati entro sei mesi dalla fine dei tirocini attivati nel 2020, che possono aver scavallato il limite del 31 dicembre 2020 ovviamente, ed essere stati stipulati nel 2021).Dunque, iniziamo questo articolo fornendo i dati inediti relativi alle tipologie contrattuali utilizzate per assumere gli stagisti del 2019.Nel 2019 risultano essere partiti 355.863 tirocini extracurricolari. Secondo i dati del ministero, il 43% delle persone impegnate in questi tirocini ha ottenuto un contratto entro i 6 mesi dalla conclusione dell’esperienza formativa on the job: circa 154mila contratti (in una tabella il ministero riporta 154.255, in un’altra 154.308; la discrepanza potrebbe essere un semplice refuso), 154mila dicevamo contratti stipulati – grossolamente tra i primi di gennaio del 2019 e il dicembre del 2020 – a seguito di stage attivati nel corso del 2019.In questo caso il ministero ha considerato sia le assunzioni “presso stesso datore” sia le assunzioni “presso datore differente”. Ma la domanda è: con che tipo di contratto vengono assunti questi stagisti?Raramente con contratto a tempo indeterminato – ma questo non dovrebbe sorprendere nessuno. Dei poco più di 154mila ex stagisti 2019 assunti entro 6 mesi dalla fine del tirocinio, infatti, solo 18.497 hanno ottenuto direttamente il tempo indeterminato: si tratta del 12% del totale degli stagisti assunti. E non sorprende nemmeno la leggera prevalenza (52,5%) di maschi “beneficiari” di questo tipo di contratto.La maggioranza degli stagisti viene assunta a tempo determinato (44% dei casi) o con contratto di apprendistato (39%). In particolare, sono 67.445 le persone che hanno fatto uno stage nel 2019 e che sono state assunte a tempo determinato (sempre nei primi sei mesi dopo lo stage): in questo caso quasi il 54% di questi contratti riguarda ex stagiste, mentre solo poco più del 46% riguarda ex stagisti. Purtroppo nella tabella fornita dal ministero è impossibile suddividere questi 67.445 contratti a tempo determinato per durata: dunque sono conteggiati insieme i contratti di tutte le durate, da quelli di poche settimane allo “standard” dei 12 mesi.L’apprendistato invece è stato utilizzato in quasi 60mila casi – per la precisione 59.815, il 39% del totale di queste 154mila assunzioni – e qui i maschi invece sono in prevalenza (53% contro 47%).Vi sono poi 2.255 “contratti di collaborazione” (1,5%), per la maggioranza offerti a donne (oltre 6 persone su 10 assunte così sono appunto ex stagiste) e infine 6.296 assunti che ricadono nella categoria “altro”, quindi senza che il ministero specifichi la tipologia contrattuale post tirocinio.Il ministero ha poi inviato a giugno 2021 alla Repubblica degli Stagisti un’altra tabella, sempre su questo tema, fornendo dati inediti sul “Numero dei rapporti di lavoro attivati nel 2019 e nel 2020 a seguito di una precedente esperienza di tirocinio avuta nei tre anni precedenti” con dettagli relativi al genere, alla classe di età, e anche alla distanza tra lo stage e il contratto.In questo caso, attenzione, si parla di contratti di lavoro stipulati nel 2019 solo “presso stesso datore” a qualsiasi distanza temporale dalla fine del tirocinio, prendendo in considerazione i tirocini fatti non solo nel 2019, ma anche nel 2018 e nel 2017 (a patto che rappresentino il primo contratto di lavoro dopo il tirocinio).  E allo stesso modo, di contratti di lavoro stipulati nel 2020 “presso stesso datore” a qualsiasi distanza temporale dalla fine del tirocinio, prendendo in considerazione i tirocini fatti non solo nel 2020, ma anche nel 2019 e nel 2018.  Il ministero riporta nel 2019 129.600 assunti a seguito di uno stage. Noi calcoliamo quindi che ciò voglia dire che nel 2019 la percentuale di assunzione post stage “presso stesso datore” sia quantificabile in 15,6%, e che nel 2020 tale percentuale risulti scesa a 13,5% (in questo articolo abbiamo spiegato nel dettaglio gli incroci di dati e i calcoli che ci hanno portato alle due percentuali).Secondo questi calcoli, il Covid ha dunque diminuito di due punti percentuali a livello assoluto, e del 14% circa a livello relativo, la probabilità di vedersi offrire un contratto dopo il tirocinio.Va evidenziato che il tasso di assunzione post stage calcolato da noi della Repubblica degli Stagisti, malgrado non possa essere confrontato in maniera diretta perché basato su dati non omogenei, differisce drammaticamente da quello riportato nei due Rapporti sui tirocini che l’Anpal ha pubblicato nel 2019 e nel 2020. Nel primo, che contiene dati aggregati dei tirocini extracurricolari del quadriennio 2014-2017, tale dato è quantificato in 33,6%. Nel secondo rapporto, pubblicato pochi mesi fa coi dati sempre aggregati dei sei anni tra il 2014 e il 2019, la percentuale post stage “presso stesso datore” è indicata in 29,9%. In entrambi i casi Anpal ha tenuto conto delle CO pervenute al ministero del lavoro entro sei mesi dalla fine di un tirocinio durato oltre 13 giorni e terminato da almeno sei mesi.(Il tasso riportato da Anpal è anche simile a quello attestato dal Rapporto Excelsior di Unioncamere – riferito ai soli tirocini svolti in imprese private, sebbene in questo caso anche curricolari – che risulta 33,1% per il 2017, 34% per il 2018 e addirittura 36% per il 2019).Ma secondo Grazia Strano, alla guida della Direzione generale dei sistemi informativi, dell’innovazione tecnologica, del monitoraggio dati e della comunicazione del ministero del Lavoro, questa non omogeneità è inevitabile – e anzi sarebbe perfino inopportuno uno dei passaggi che la Repubblica degli Stagisti ha utilizzato per il suo calcolo (e cioè la “sottrazione” delle assunzioni effettuate negli anni precedenti al denominatore totale), passaggio che ha l'effetto di rendere un po' più vicino il dato a quello di Anpal.Tornando alla tabella inedita fornita a giugno 2021 alla Repubblica degli Stagisti dal ministero del Lavoro, delle assunzioni di entrambi gli anni presi in esame, la maggioranza – pari al 46% del totale nel 2019, 44% nel 2020 – è stata formalizzata attraverso un contratto di apprendistato. 46% dunque nel 2019, con 59.919 apprendistati attivati complessivamente di cui 32.151 giovani uomini (qui sì che possiamo dire “giovani”, dato che questa tipologia contrattuale può essere utilizzata solo su persone che non hanno ancora compiuto 30 anni) che, dopo aver fatto (di recente o anni prima) uno stage sono diventati nel 2019 apprendisti; 27.768 le giovani donne divenute apprendiste (54% dei contratti di apprendistato post stage a favore di uomini, 46% a favore di donne).La percentuale di utilizzo dell’apprendistato sul totale delle assunzioni effettuate risulta 44% invece nel 2020, con 40.845 apprendistati, di cui il 55% (22.488) uomini.A breve distanza dal contratto di apprendistato, come contratto più utilizzato per assumere gli ex stagisti c’è il tempo determinato. Il 37% (47.938) delle 129.600 assunzioni 2019 risulta a tempo determinato, con i maschi qui in minoranza (44%) e 56% di beneficiari femmine; percentuale quasi identica l’anno successivo, con 35.562 delle 92.285 assunzioni 2020 formalizzate attraverso questo tipo di contratto, pari al 38,5%, e anche qui femmine in maggioranza (54%).Solo il 13,5% (17.541 in numeri assoluti) risulta essere a tempo indeterminato nel 2019, e il 14% nel 2020 (12.648 in numeri assoluti), curiosamente con la stessa identica percentuale di distribuzione per genere – 53% di beneficiari maschi e 47% femmine – in entrambi gli anni.Le collaborazioni risultano pressoché irrilevanti (nemmeno l’1% nel 2019, giusto l’1% nel 2020), e i contratti di cui non viene specificata la tipologia (e che ricadono quindi nella definizione “altro” nella tabella del ministero) sono per entrambi gli anni il 2% circa.Tutti questi numeri e percentuali ci dicono che i contratti più usati per assumere persone che hanno fatto, di recente o fino a tre anni prima, uno stage nella stessa realtà dell’assunzione sono l’apprendistato (tra il 39% e il 46% dei casi) e il tempo determinato (tra il 37 e il 44%). Gli ex stagisti assunti a tempo indeterminato sono pochi, tra il 12 e il 14%. Le altre tipologie contrattuali sono residuali.Fin qui i numeri inediti. Ma qualcosa rispetto alle tipologie contrattuali più utilizzate per assumere gli stagisti era contenuto anche nei due Rapporti sui tirocini pubblicati dall'Anpal nel 2019 e 2021. Prendendo quello più recente, che contiene i dati sull'esito dei tirocini attivati nei sei anni tra il 2014 e il 2019, si trova una tabella che riporta i dati sulle “Tipologie contrattuali della prima occupazione trovata entro 3 mesi dalla fine del tirocinio”. In questa tabella il tempo determinato si attesta in prima posizione a 38,8% seguito dall'apprendistato (31%), dal tempo indeterminato (14,9%) e la somministrazione al 9,7%. Le collaborazioni sono ferme al 2%, e infine c'è un 3,5% di “altri contratti”.Cosa emerge da tutti questi dati? Probabilmente che il tempo determinato è ancora troppo frequente – e ciò non va bene, specialmente se da dati più precisi (che attualmente non sono disponibili) dovesse emergere una grande quantità di contratti a tempo determinato molto corti, di pochi mesi. E in secondo luogo, che per valutare in maniera veloce e tempestiva il grande tema dell’efficacia occupazionale dei tirocini i dati sulle assunzioni post stage dovrebbero essere elaborati e pubblicati ogni anno.Gli altri articoli di questo approfondimento: - Quante probabilità ho di essere assunto dopo uno stage? La verità è che non si sa (ma si potrebbe)- Il Covid diminuisce di 3 punti e mezzo la probabilità di essere assunti post stage: i dati inediti- Stage e contratto di lavoro subito nello stesso anno, i dati inediti 2019 e 2020- Assunzioni post stage entro un mese, i dati inediti (ma senza tasso)- Tasso di assunzione post stage a sei mesi, dati a confronto- Quanti vengono assunti dopo uno stage curricolare? Non si sa- Fare un tirocinio a cinquant’anni serve per trovare lavoro?- Quanto vengono pagati gli stagisti? E quelli che ricevono indennità più alte vengono assunti più spesso?- Stage per persone adulte, solo con dati chiari si può dire se servono o no - e fare policy di conseguenza- Conteggiare gli assunti post stage, le difficoltà non diventino scuse per tenere i cittadini al buio- Efficacia degli stage, serve trasparenza: ecco i dati che vanno resi pubblici

Fare un tirocinio a cinquant’anni serve per trovare lavoro?

Nei documenti pubblici del ministero del Lavoro che forniscono annualmente dati sull’esito dei tirocini – praticamente solo le poche paginette del capitolo “Le esperienze di lavoro: i tirocini extracurriculari” nel Rapporto annuale sulle Comunicazioni obbligatorie – vi è solo una traccia di informazioni su quanto serva effettivamente un tirocinio a trovare lavoro. La percentuale di assunzione post stage, insomma, è “occultata”, molto spesso con l'obliqua, implicita giustificazione che la finalità primaria dello stage non è l’inserimento lavorativo bensì la formazione.Ma c’è una classe di stagisti per cui questo discorso davvero non ha senso. Si tratta degli stagisti adulti, quelli che fanno uno stage dopo i 35-40 anni. In questo caso è impossibile negare che la finalità principale è proprio quella: fornire a queste persone adulte, rimaste disoccupate, delle nuove competenze in modo da permettere loro di ritrovare il più velocemente possibile un posto di lavoro, una retribuzione, e di non avere troppi buchi nella propria posizione previdenziale.Il Rapporto sui tirocini extracurricolari realizzato da Anpal in collaborazione con Inapp, pubblicato nel 2021, attesta che il 10,5% dei quasi 2 milioni di tirocini (1.968.828) avviati in Italia nei sei anni tra il 2014 e il 2019 ha coinvolto persone con più di 40 anni. Significa che quasi 207mila ultraquarantenni in quei sei anni – per la precisione: 206.727 – hanno fatto almeno un tirocinio. L’Anpal specifica anche che questi 207mila sono prevalentemente (54,3%) uomini, e solo nel 45,7% dei casi donne, motivando che “la diversa intensità di partecipazione al mercato del lavoro nelle fasce della popolazione più matura» determina una prevalenza della componente maschile nella “classe estrema” «delle persone con almeno 40 anni».Se si aggiunge il 3,8% di 35-39enni coinvolti in tirocinio nei sei anni presi in esame da Anpal, che equivale a poco meno di 75mila persone, si raggiunge la cifra di 281.542 stagisti over 35 nel periodo 2014-2019: in media 47mila all'anno.E gli stagisti adulti-quasi-anziani sono di anno in anno più numerosi. Secondo i dati del Rapporto annuale sulle comunicazioni obbligatorie del ministero del Lavoro, che a differenza del Rapporto Anpal fornisce i numeri anno per anno, in particolare nel 2019 54.128 persone al di sopra dei 35 anni hanno fatto uno stage in Italia: oltre 45mila tra i 35 e i 54 anni e quasi 9mila con oltre 55 anni. Il 16% del totale delle 334.595 persone avviate in stage nel corso del 2019 ha riguardato dunque persone over 35.Il Covid ha ridotto questi numeri, ma di poco: nel 2020 gli stagisti 35-54enni sono stati oltre 31mila, e gli over 55 più di 7mila (per un totale di 38.269). Facendo la proporzione si scopre che gli stagisti  “adulti-quasi-anziani” sono relativamente addirittura aumentati, tra il 2019 e il 2020: non in numeri assoluti ovviamente, ma in rapporto con le altre classi di età,  rappresentando oltre il 17,5% di tutti i 222.475 stagisti di quell’anno (il numero degli stagisti è ogni anno un po' inferiore al numero totale degli stage attivati, che per esempio come visto in altri articoli per il 2020 è 234.513, perché capita che una stessa persona ne faccia più di uno nello stesso anno).Dunque abbiamo un esercito di 40-50mila persone adulte, alcune quasi anziane, che ogni anno vengono coinvolte in percorsi di tirocinio extracurricolare. E attraverso questo strumento puntano a un solo obiettivo: trovare lavoro.Come accennato, dati ufficiali non ce ne sono. Ma la Repubblica degli Stagisti ha ottenuto dal ministero del Lavoro dei numeri inediti su una particolare tipologia di assunzioni. Si tratta di persone “fortunate” che hanno realizzato una doppietta stage+assunzione nello stesso anno: cioè che hanno “avuto” (cioè avviato, svolto e cessato) un tirocinio  in un dato anno e poi sfociato in quello stesso anno in un’assunzione. Tutto non solo nello stesso anno solare ma anche tutto nello stesso posto di lavoro – cioè, con la terminologia del ministero, “presso stesso datore”.Si tratta di una fattispecie ovviamente piuttosto infrequente, di cui abbiamo già parlato in un altro articolo di questo corposo approfondimento sull'efficacia occupazionale dei tirocini. Ma qui vogliamo spulciare la tabella inedita del ministero del Lavoro focalizzando l’attenzione sulle classi di età, e in particolare su quanto questa doppietta capiti agli stagisti adulti.Vi sono 51.232 assunzioni nel 2019 che sono legate a una “precedente esperienza di tirocinio avuta nello stesso anno” e nello stesso posto. Per il 2020 lo stesso dato è pari a  24.645: la drastica diminuzione – un dimezzamento in pratica – è senz'altro da ascrivere al Covid, da un lato per la riduzione generale del numero di attivazioni di tirocini, dall’altro lato per la minore propensione all’assunzione da parte delle aziende.Delle 51.232 assunzioni “in doppietta” del 2019, 4.363 hanno riguardato persone tra i 35 e i 54 anni, pari all’8,5% del totale. Delle 24.645 del 2020, 2.225 hanno riguardato persone tra i 35 e i 54 anni: il 9%. Non è un risultato ottimale. Lo si può dedurre semplicemente dal fatto che non è proporzionato alla quota di 35-54enni avviati in tirocinio sul totale di quegli anni: tale quota sfiora il 14%, con 45.324 persone di quella fascia di età sui 334.595 tirocinanti complessivi del 2019, e 31.044 sui 222.475 del 2020.Se abbiamo il 14% di stagisti di quell’età sul totale degli avviamenti in stage di un certo anno, sarebbe buono avere almeno la stessa percentuale di stagisti poi assunti sul totale delle assunzioni in doppietta di quel dato anno. Se la percentuale è più alta, vuol dire che quella classe di età performa bene come inserimento lavorativo post stage (quantomeno nella formula speciale della doppietta). Se la percentuale è più o meno simile, vuol dire che performa in maniera media. Ma se la percentuale degli assunti è più bassa, vuol dire che qualcosa è andato storto. Per quanto riguarda l’efficacia occupazionale dei tirocini per gli stagisti “supersenior”: 502 assunzioni (l’1% del totale) hanno coinvolto nel 2019 persone ultra 55enni: ma la quota di stagisti con 55 anni e oltre quell’anno era stata di oltre il 2,5% (8.804 su 334.595). Dunque le occorrenze di assunzione sono nettamente inferiori alle occorrenze di stage.Nel 2020 ci sono state 256 assunzioni in doppietta (di nuovo, l’1% del totale) per persone ultra 55enni: e anche qui la proporzione non è buona, perché in realtà la quota di stagisti con 55 anni e oltre nel 2020 è stata di oltre il 3% (7.225 su 222.475).Questo tipo di assunzione in doppietta, per la cronaca, ha il suo massimo successo per la classe di stagisti tra i 25 e i 34 anni. In questo caso la probabilità di ottenere stage+assunzione nello stesso anno è decisamente più alta se confrontata alla quota di persone 25-34enni complessivamente avviate in stage in un dato anno, che sono in media il 36% del totale (nel 2019 ci sono stati 120.372 tirocinanti in quella fascia di età, pari appunto al 36% dei tirocinanti di quell’anno; nel 2020 il numero era 81.194, il 36,5% del totale).Guardando alla tabella del “Numero dei rapporti di lavoro attivati nel 2019 e nel 2020 a seguito di una precedente esperienza di tirocinio avuta nello stesso anno” si scopre che questa fascia di età è super-rappresentata nella circostanza delle assunzioni “in doppietta”: nel 2019 sono stati 23.016 le assunzioni post stage di questo tipo che hanno riguardato 25-34enni, addirittura il 50% delle 51.232 totali. E nel 2020 non è andata molto diversamente: sono state 11.281 le “doppiette” che hanno riguardato 25-34enni, quasi il 46% delle 24.645 totali.Secondo questo particolare scenario – che, ricordiamolo, non è esaustivo di tutti gli esiti di tutti i tirocini del 2019 o del 2020: si limita a fotografare il buon esito di quelli che sono partiti, si sono svolti, si sono conclusi e si sono trasformati in assunzione nello stesso anno e nello stesso posto –  fare un tirocinio extracurricolare non è poi così utile agli adulti per essere assunti.Ovviamente per poter dire con certezza se il tirocinio è davvero poco utile per trovare lavoro bisognerebbe che il ministero rendesse pubblici dati più precisi (di cui dispone, attraverso il sistema delle Comunicazioni obbligatorie): innanzitutto prendendo in considerazione anno per anno tutti i tirocini trasformati in contratto, non solo quelli in cui anno di inizio del tirocinio, anno di fine del tirocinio e anno di assunzione coincidono. Poi, fornendo anche il numero delle assunzioni “presso datore diverso”. E infine, fornendo dettagli sulla tipologia contrattuale utilizzata per assumere gli stagisti senior.Gli altri articoli di questo approfondimento:- Quante probabilità ho di essere assunto dopo uno stage? La verità è che non si sa (ma si potrebbe)- Il Covid diminuisce di 3 punti e mezzo la probabilità di essere assunti post stage: i dati inediti- Stage e contratto di lavoro subito nello stesso anno, i dati inediti 2019 e 2020- Assunzioni post stage entro un mese, i dati inediti (ma senza tasso)- Assunzioni post stage, che contratti vengono fatti agli stagisti?- Tasso di assunzione post stage a sei mesi, dati a confronto- Quanti vengono assunti dopo uno stage curricolare? Non si sa- Stage per persone adulte, solo con dati chiari si può dire se servono o no - e fare policy di conseguenza- Quanto vengono pagati gli stagisti? E quelli che ricevono indennità più alte vengono assunti più spesso?- Conteggiare gli assunti post stage, le difficoltà non diventino scuse per tenere i cittadini al buio- Efficacia degli stage, serve trasparenza: ecco i dati che vanno resi pubblici

Quanto vengono pagati gli stagisti? E quelli che ricevono indennità più alte vengono assunti più spesso?

Fino a pochi anni fa gli stage gratuiti in Italia erano completamente legali. Si poteva prendere uno stagista, anche per un tempo lungo – fino a un anno! Perfino due se si trattava di uno stagista “fragile”, con qualche disabilità o in situazione di difficoltà! – e non dargli un euro.Con la Repubblica degli Stagisti ci siamo a lungo battuti perché questa gratuità fosse messa fuori legge, e tra il 2012 e il 2014 abbiamo ottenuto dei grandi risultati: è stata sancito dalla Conferenza Stato-Regioni, e poi ratificato da ogni Regione, l’obbligo di erogare una indennità mensile a tutti i tirocinanti extracurricolari. Con delle somme minime stabilite da ciascuna Regione, che variano dai 300 euro al mese della Sicilia agli 800 al mese del Lazio.La battaglia contro gli stage gratuiti non è conclusa, perché restano ancora scoperti gli stage curricolari: a questo proposito l’auspicio è che cominci al più presto, dopo oltre tre anni di attesa, l’iter di discussione della proposta di legge a prima firma Massimo Ungaro che verte proprio sulla necessità di offrire più tutele ai tirocinanti curricolari, a cominciare da un emolumento mensile.Ma almeno per i tirocini extracurricolari adesso il compenso è un diritto. E allora la domanda a questo punto, a oltre cinque anni dall’entrata in vigore delle nuove normative, è: quanto vengono pagati gli stagisti italiani?Il ministero lo sa. Almeno in teoria, ha questo dato – se non al millimetro, con una buona approssimazione. Perché anche i tirocini extracurricolari devono essere comunicati per legge attraverso la CO, la comunicazione obbligatoria. La CO si fa compilando un form che si chiama “modello Unilav”. Questo form ha dei campi facoltativi e poi dei campi obbligatori, che non si possono non compilare. Dall’inizio del 2014 il campo “retribuzione / compenso” è divenuto obbligatorio.Questo cosa vuol dire? Vuol dire che chi compila la CO per comunicare l’avvio di un tirocinio extracurricolare è tenuto a inserire nel campo “retribuzione / compenso” il valore relativo all’emolumento dello stagista. L’unico caso in cui è consentito evitare di compilare questo campo, utilizzando il valore “0”, è quello in cui lo stagista sia un soggetto che percepisce un qualche assegno di sostegno al reddito (come specificato dallo stesso ministero del Lavoro in questa FAQ). Dunque il soggetto ospitante che compila la CO deve inserire in quel campo la cifra che erogherà allo stagista: solitamente viene inserita quella complessiva, moltiplicando l'ammontare dell'indennità mensile per il numero di mesi di durata del tirocinio.Perché è importante sapere quanto vengono pagati gli stagisti? L’elenco delle ragioni è lungo.Innanzitutto, perché in questo modo si avrebbe un’idea di quanto i soggetti ospitanti (cioè i posti che “ospitano” di fatto gli stagisti: le aziende private, gli enti pubblici, le associazioni non profit etc) pagano i loro stagisti. E si potrebbe quindi delineare una mappa chiara dei settori in cui gli stagisti vengono pagati di più e di quelli in cui vengono pagati di meno.Allo stesso modo, pubblicare in maniera trasparente i dati sui compensi degli stagisti permetterebbe anche di capire territorio per territorio se i limiti minimi previsti dalla normativa regionale sono adeguati, oppure magari troppo bassi.Sapere quanto gli stagisti vengono pagati servirebbe poi per approfondire il tema della sostenibilità economica degli stage: perché quando svolge un tirocinio una persona affronta sempre delle spese, che siano di alloggio (in caso sia fuorisede), di trasporto, di pranzo fuori. Queste spese vengono coperte dalla somma che la persona in stage riceve mensilmente come indennità? Conoscere i dettagli sugli emolumenti degli stagisti permetterebbe di rispondere a questa domanda.Pubblicare questo dato sarebbe importante anche per capire se è vero che gli stagisti pagati meglio sono anche quelli che più spesso vengono assunti.Dal sondaggio «Identikit degli stagisti italiani» realizzato nel 2009 dalla Repubblica degli Stagisti insieme all'Isfol era emerso infatti come il rimborso spese (allora non obbligatorio) fosse direttamente proporzionale alle prospettive di inserimento. La maggioranza assoluta degli stage in cui non era previsto nemmeno un euro di rimborso spese risultava essersi conclusa senza assunzione; all’estremo opposto, allo stage non era seguita una assunzione solo nel 3,7% dei casi quando allo stagista era stato erogato il rimborso più alto (oltre 750 euro al mese) e nel 7% dei casi quando l’emolumento era compreso tra 500 e 750 euro.È davvero così? È ancora così? Gli stage meglio pagati sono anche quelli che più frequentemente portano a un lavoro? L’investimento economico che un soggetto ospitante fa su uno stagista, pagandolo bene, è una cartina di tornasole rispetto alla sua maggiore intenzione, in caso di performance positiva, di assumere poi la persona dopo il tirocinio?Il ministero ha le risposte. Basta che renda pubblici i dati contenuti nelle CO al campo “retribuzione / compenso”, e che li incroci con i dati sulle CO di assunzione che fanno seguito a tirocini presso lo stesso datore.Con questi dati si potranno fare riflessioni più accurate sull’importanza del compenso, per gli stage, nell’ottica dell’utilizzo di questo strumento come veicolo di inserimento lavorativo. E si potrà valutare finalmente la sostenibilità economica degli stage, settore per settore e territorio per territorio.Qui gli altri articoli di questo approfondimento:- Quante probabilità ho di essere assunto dopo uno stage? La verità è che non si sa (ma si potrebbe)- Il Covid diminuisce di 3 punti e mezzo la probabilità di essere assunti post stage: i dati inediti- Stage e contratto di lavoro subito nello stesso anno, i dati inediti 2019 e 2020- Assunzioni post stage entro un mese, i dati inediti (ma senza tasso)- Assunzioni post stage, che contratti vengono fatti agli stagisti?- Tasso di assunzione post stage a sei mesi, dati a confronto- Quanti vengono assunti dopo uno stage curricolare? Non si sa- Fare un tirocinio a cinquant’anni serve per trovare lavoro?- Stage per persone adulte, solo con dati chiari si può dire se servono o no - e fare policy di conseguenza- Quanto vengono pagati gli stagisti? E quelli che ricevono indennità più alte vengono assunti più spesso?- Conteggiare gli assunti post stage, le difficoltà non diventino scuse per tenere i cittadini al buio- Efficacia degli stage, serve trasparenza: ecco i dati che vanno resi pubbliciLa foto che correda il pezzo è di World's Direction, tratta da Flickr in modalità Creative Commons

Conteggiare gli assunti post stage, le difficoltà non diventino scuse per tenere i cittadini al buio

Contare correttamente le assunzioni post stage è difficile, è vero. Perché gli stage partono in ogni momento dell’anno, hanno durate diverse, e a volte – anzi, molto spesso –“scavallano” da un anno all’altro.Inoltre, le assunzioni non sono tutte uguali: è ben diverso ottenere un contratto a tempo indeterminato dopo uno stage dall’ottenere un contratto di pochi giorni. Quali contratti allora vale la pena conteggiare? Quando si può considerare che un contratto “valga” è una decisione significativa. Alcune assunzioni poi non avvengono immediatamente: possono passare settimane, mesi, a volte perfino anni prima che lo stagista venga assunto. Quanto indietro si decide di voler andare – quanto lungo si permette che sia il tempo intercorrente tra la conclusione dello stage e l’avvio del contratto di lavoro, quello che si potrebbe definire il “periodo di intervallo” – è un altro fattore non indifferente quando si raccolgono i dati.E ancora, bisogna capire se per “assunzione post stage” si intende strettamente l’assunzione nello stesso posto in cui è stato svolto il percorso di formazione (circostanza che il ministero del Lavoro definisce “presso stesso datore”, che noi qui sulla Repubblica degli Stagisti a volte per brevità chiamiamo “assunzioni omologhe”) o se si vuole prendere in considerazione il semplice fatto che l’ex stagista abbia ottenuto un contratto di lavoro: il ministero definisce queste come “assunzioni presso datore differente” (noi le chiamiamo “eterologhe”).Infine, per definire un periodo di riferimento bisogna decidere se considerare la data di avvio del tirocinio, oppure la data della sua conclusione.Il modo più facile e intuitivo per calcolare la percentuale di assunzione post stage è prendere tutti gli stage attivati in un certo anno solare (quindi dal 1° gennaio al 31 dicembre) e “seguire” ciascuno di questi stage per vedere che esito ha avuto. Una cosa che, grazie al sistema delle Comunicazioni obbligatorie, si può – potrebbe – fare tranquillamente per tutti i tirocini extracurricolari (mentre per i curricolari no, perché essi sono esclusi dall’obbligo di CO e di fatto, ahinoi, non vengono tracciati né monitorati).Posto dunque che la rilevazione si può fare, bisogna decidere quando effettuare – e chiudere – la raccolta dei dati. Non è così facile come potrebbe sembrare. Il problema è infatti che, essendo la durata media dei tirocini extracurricolari di circa 6 mesi, ed essendo che la durata massima prevista dalle varie normative è quasi sempre 12 mesi, una parte rilevante dei tirocini attivati in un dato anno va a terminare nell’anno successivo. E non solo nei primi mesi dell’anno: vi possono anche essere tirocini attivati in un certo anno che terminano nell’estate o addirittura nell’autunno dell’anno successivo. Senza dimenticare che i tirocini per disabili o per categorie di persone particolarmente fragili – meno numerosi, certo, ma comunque esistenti – possono durarne addirittura 24, di mesi.Vuol dire che, per poter essere certi di offrire un dato completo ed esaustivo, queste rilevazioni dovrebbero essere effettuate a oltre un anno di distanza dal termine del periodo indagato: per seguire con esattezza l’esito occupazionale dei tirocini attivati tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2020 dovremmo attendere il 1° gennaio 2022, e poi ancora la finestra (sessanta giorni? Novanta? Di più?) stabilita per il periodo di “intervallo” tra la fine dello stage e l’avvio del contratto di lavoro, per poter registrare anche le ultimissime potenziali assunzioni; e solo allora interrogare il database ed estrapolare i dati. Il pro di questo scenario è l’accuratezza: a quel punto avremo una fotografia precisissima dell’esito di tutti-tutti gli stage del 2020 dal punto di vista dello sbocco lavorativo – praticamente mancherebbero solo pochissime eventuali assunzioni di stagisti disabili e/o svantaggiati. Il contro è il tempo intercorso, che rende i dati un po’ “vecchi” già al momento della loro pubblicazione, e non permette di fare analisi tempestive dell’efficacia dello strumento stage.Noi vorremmo moltissimo che il ministero offrisse questo tipo di analisi esaustiva; e poiché il Rapporto sulle comunicazioni obbligatorie esce ogni anno a maggio-giugno, dunque già 5-6 mesi in ritardo rispetto ai dati che presenta (che si riferiscono, ovviamente, all’anno precedente), non ci sembrerebbe così drammatico dover aspettare 8-9 mesi in cambio di un bel focus sui tirocini che fornisse ogni anno un quadro esaustivo delle assunzioni post stage.In alternativa, per non aspettare troppo, si può tenere come punto di riferimento un solo anno solare e fornire tre dati specifici: il numero di tirocini attivati tra il 1° gennaio e il 31 dicembre di un dato anno (poniamo, il 2020), e poi il numero di contratti stipulati in quell’anno a seguito di uno stage, suddividendo questo dato in due tranche: i contratti che sono scaturiti da uno stage attivato e concluso in quello stesso anno (nel nostro esempio, il 2020), cioè la fattispecie che noi della Repubblica degli Stagisti abbiamo ribattezzato “assunzioni in doppietta”, e i contratti scaturiti invece da uno stage attivato l’anno precedente (sempre seguendo il nostro esempio, il 2019) e concluso nel 2020, oppure negli ultimi mesi del 2019 (in coerenza con il periodo di intervallo stabilito). Una rilevazione di questo tipo potrebbe essere svolta in tempi più brevi: basterebbe attendere che passi il periodo di intervallo – cominciando a contare dal 31 dicembre – per poter intercettare le assunzioni relative a stage conclusi a novembre-dicembre 2020: quindi di fatto a primavera 2021 potrebbero già esserci i risultati, senza bisogno di attendere addirittura il 2022.Inevitabilmente una parte dei tirocini 2020, quella dei tirocini “scavallanti” nel 2021, resterebbe fuori da questa rilevazione. Ma le nuove rilevazioni di anno in anno “recupererebbero” comunque le informazioni andate perse nell’anno precedente, fornendo un quadro esaustivo e chiaro, e rimandando alla rilevazione successiva per le informazioni sulle persone che, al momento della chiusura della raccolta dei dati, non avevano ancora terminato il proprio stage.In entrambi i casi, noi pensiamo che sarebbe opportuno fornire separatamente i dati sulle assunzioni “presso stesso datore” e quello sulle assunzioni “presso datore differente”: l’efficacia occupazionale di uno stage risulta chiaramente validata in maniera incontrovertibile da un’assunzione presso lo stesso datore, ma è vero anche che se subito dopo uno stage la persona viene assunta da un’altra parte, è verosimile che le competenze acquisite durante quello stage abbiano pesato.Ci sembra però inappropriato considerare come un buon esito di “assunzione post stage” un’assunzione avvenuta troppo tempo dopo la fine dello stage in questione. Ecco perché la scelta del ministero del Lavoro, che abbiamo scoperto e rivelato in questo approfondimento, di definire e considerare come assunte “a seguito di una precedente esperienza di tirocinio”  tutte le persone assunte in un certo posto in cui nei tre anni precedenti abbiano/avessero effettuato un tirocinio – ripetiamo: nei tre anni precedenti – ci appare arbitraria ed eccessivamente generosa.Il nostro avviso è che dovrebbero essere conteggiate solo le assunzioni avvenute nei primi sessanta (o al massimo-massimo novanta) giorni dopo la fine del tirocinio.Inoltre, risulta imprescindibile non solo rendere esplicito con quale tipo di contratto le assunzioni di stagisti vengono effettuate, ma anche specificare all’interno del grande insieme dei “contratti a tempo determinato” quali sono quelli che stanno al di sotto e al di sopra di una determinata durata, per evitare di conteggiare nello stesso modo contratti di una settimana e contratti di 12 mesi. Qui il nostro suggerimento è quindi che il ministero dettagli, nel report di questa rilevazione, il numero di contratti a tempo determinato separandoli per tranche di durata – eventualmente accorpando tra loro un contratto di durata breve cui sia seguita immediatamente una seconda CO con un altro contratto a favore della stessa persona da parte dello stesso datore di lavoro.Le difficoltà nel tracciare gli stage che “scavallano” da un anno all’altro, insomma, non dovrebbero essere usate come alibi per continuare a tenere i cittadini all’oscuro dei dati sull’esito occupazionale dei tirocini in Italia. Moltissimi giovani (e non solo giovani) vedono in questo strumento proprio una via per trovare lavoro: dar loro i numeri precisi su quanto spesso in effetti il tirocinio si trasformi in un contratto è davvero il minimo.Gli altri articoli di questo approfondimento:- Quante probabilità ho di essere assunto dopo uno stage? La verità è che non si sa (ma si potrebbe)- Il Covid diminuisce di 3 punti e mezzo la probabilità di essere assunti post stage: i dati inediti- Stage e contratto di lavoro subito nello stesso anno, i dati inediti 2019 e 2020- Assunzioni post stage entro un mese, i dati inediti (ma senza tasso)- Assunzioni post stage, che contratti vengono fatti agli stagisti?- Tasso di assunzione post stage a sei mesi, dati a confronto- Quanti vengono assunti dopo uno stage curricolare? Non si sa- Fare un tirocinio a cinquant’anni serve per trovare lavoro?- Stage per persone adulte, solo con dati chiari si può dire se servono o no - e fare policy di conseguenza- Quanto vengono pagati gli stagisti? E quelli che ricevono indennità più alte vengono assunti più spesso?- Efficacia degli stage, serve trasparenza: ecco i dati che vanno resi pubbliciLa foto di apertura è di Trent☮n Hampton tratta da Flickr in modalità Creative Commons

Quante probabilità ho di essere assunto dopo uno stage? La verità è che non si sa (ma si potrebbe)

Quando una persona inizia un lavoro, anche solo temporaneo, arriva immediatamente al ministero del Lavoro una notifica che si chiama “Comunicazione Obbligatoria” (in gergo: CO, o COB). Così il ministero sa che quella data persona da quel dato giorno sta lavorando in quel dato posto. Serve per avere contezza delle persone occupate in Italia, per la copertura in caso di incidenti sul lavoro, per la previdenza sociale. Nella CO ci sono tutti i dati del datore di lavoro e del lavoratore. Grazie a questo database il ministero del Lavoro può conoscere in ogni momento la situazione di assunzioni/licenziamenti, e non solo: tracciando il lavoratore attraverso il suo codice fiscale può anche seguire la sua “carriera”, sapere se a un certo punto della sua vita è rimasto disoccupato, se ha avuto bisogno di sussidi di disoccupazione, se si è rivolto a un centro per l’impiego, se ha ricevuto delle prestazioni di “politiche attive per il lavoro”, e se ha poi ritrovato un posto di lavoro. Insomma le CO sono una radiografia perenne del mercato del lavoro italiano, e permettono anche di tracciare all’indietro la storia di ogni lavoratore.La CO viene fatta obbligatoriamente anche in caso di avvio di un tirocinio (solo se extracurricolare però). Dunque in ogni momento il ministero è al corrente del numero dei tirocini in atto, ma non solo. Conosce anche l’esito di ogni tirocinio. Perché se lo stagista viene assunto, il suo codice fiscale risulterà in un’altra CO che notifica l’assunzione al termine dello stage (anche settimane o mesi o perfino anni dopo, ovviamente); assunzione che può avvenire nella stessa realtà dove ha avuto luogo lo stage, oppure in un’altra realtà. Il ministero conosce tutti i dettagli di ciascun contratto: sa se si tratta di tempi indeterminati, determinati, apprendistati. Sa tutto, perché è tutto nelle comunicazioni obbligatorie. Basta interrogare il database, tirare fuori i dati, incrociarli, metterli in ordine, pubblicarli.Alla domanda “Quanto serve il tirocinio a trovare lavoro? La probabilità di essere assunti dopo uno stage è aumentata o diminuita rispetto all'anno scorso?”, dunque, c’è – o meglio, ci sarebbe – una risposta certa, precisa, basata sui dati. Disponibile anno dopo anno. Ma questa risposta non viene elaborata e non viene resa pubblica. Quello che il ministero fa, e solo da pochi anni – precisamente dal 2014 – è inserire nel suo Rapporto annuale sulle Comunicazioni obbligatorie una piccola sezione sui tirocini extracurricolari. Poche pagine, pochi dati. E nessuna trasparenza sull’efficacia occupazionale di questo strumento. A proposito proprio di quest'ultimo aspetto, ecco cosa si trova nell’ultimo Rapporto disponibile, quello uscito a giugno 2021 e relativo ai tirocini attivati nel 2020: «Il numero dei rapporti di lavoro attivati a seguito di una precedente esperienza di tirocinio è stato pari a poco più di 92mila (1,0% del totale dei rapporti attivati, in linea con quanto osservato nel 2019), di cui il 26,7% derivante da tirocini conclusi nello stesso anno (-12,8 punti percentuali rispetto all’anno precedente)».Ma attenzione. Nel Rapporto non c’è scritto da nessuna parte il denominatore che bisogna applicare se si vuole utilizzare questo numero come numeratore, e ricavarne una percentuale – che sarebbe, appunto, l’agognata percentuale di assunzione post stage. Ancor più importante del solito, in questo frangente, per capire quanto abbia impattato il Covid sulle probabilità degli stagisti di essere assunti al termine dell’esperienza formativa.La Repubblica degli Stagisti ha scoperto, dopo lunghe interlocuzioni col ministero, che il numero riportato nei Rapporti è relativo a tutte le persone che hanno svolto un tirocinio negli ultimi tre anni e poi ottenuto un contratto di lavoro – anche mesi o anni dopo, appunto: l’importante è che si tratti del primo contratto post stage – nella medesima azienda (o ente, o quant’altro). Il ministero assicura aver preso precauzioni per non “sovrastimare” l’efficacia occupazionale del tirocinio – il numero che starebbe al nominatore, per capirci: quei 92mila indicati nel Rapporto 2021 – conteggiando solo la prima assunzione successiva al termine del tirocinio (e non, per esempio, due o tre assunzioni spalmate nell’arco dei 2 o tre anni successivi attraverso magari contratti temporanei/stagionali). E rispetto al denominatore? Lo vedremo tra un momento.Certo, c’è almeno un miglioramento rispetto al tempo in cui non c’era proprio nessuna informazione in merito. Basti pensare che nel primo Rapporto sulle Comunicazioni obbligatorie – lungo cinquanta pagine e pubblicato nel 2012 con i dati del 2011 – la parola “tirocinio” non era nemmeno presente; idem l’anno successivo, nel Rapporto 2013. (A quell’epoca la Repubblica degli Stagisti già esisteva da anni: prova provata che il tema tirocini era già molto “caldo”!).Gli stage sono apparsi timidamente, per la prima volta, nell’edizione 2014: due sole pagine dedicate sulle 78 totali, con una tabella con il numero di attivazioni di tirocini extracurricolari – per i curricolari la CO non è necessaria – nel 2011, 2012 e 2013 con qualche dato sul genere e sulla classe di età dei tirocinanti, e una panoramica geografica sui numeri delle attivazioni Regione per Regione. In questo Rapporto però non vi è alcun cenno alla percentuale di assunzione post stage.Un cenno al tema dell’assunzione post stage viene fatto per la prima volta nel Rapporto 2015: «Il tirocinio è sempre più utilizzato come strumento di selezione da parte dei datori di lavoro. Nel 2014, infatti, il numero dei rapporti di lavoro attivati a seguito di una precedente esperienza di tirocinio è stato pari a 60mila (0,6% del totale contro lo 0,4% registrato nel 2013)». Fine. 60mila rispetto a cosa? La risposta più semplice da inferire, in assenza di una guida precisa, è che il dato si debba in qualche modo correlare ai 227mila tirocini che, come il Rapporto indica, sono stati attivati nel corso del 2014. Vorrebbe dire una percentuale di assunzione post stage pari al 26,4%: non impossibile, no? Il Rapporto non fornisce dettagli al riguardo, e sopratutto non fornisce una percentuale.D’ora in poi, sarà sempre così. «Nel 2015 […] il numero dei rapporti di lavoro attivati a seguito di una precedente esperienza di tirocinio è stato pari a 92mila (0,9% del totale contro lo 0,6% registrato nel 2014 e lo 0,2% nel 2013)» si legge nel Rapporto 2016. Nessun altro dettaglio su chi sono questi 92mila persone “assunte a seguito di una precedente esperienza di tirocinio”. O su quando abbiano fatto il tirocinio.«Nel 2016 il numero dei rapporti di lavoro attivati a seguito di una precedente esperienza di tirocinio è stato superiore a 103mila, segnando una crescita in termini percentuali rispetto agli anni precedenti (1,1% del totale, contro lo 0,8% registrato nel 2015 e lo 0,3% nel 2014)» informa il Rapporto 2017. Anche in questo caso, il lettore va automaticamente a rapportare questi 103mila ai 318mila tirocini attivati nel corso del 2016: la percentuale di assunzione post stage si attesterebbe, così, per quell’anno a 32,3% – il che sembra perfino verosimile, considerando che quell’anno c’era il poderoso vantaggio economico di Garanzia Giovani a sostenere le assunzioni post stage.«Nel 2017 il numero dei rapporti di lavoro attivati a seguito di una precedente esperienza di tirocinio è stato superiore a 116mila (1,1% del totale dei rapporti attivati, in linea con quanto osservato nel 2016)» dice il Rapporto 2018. Come al solito, nient’altro. Facendo la proporzione con i 368mila tirocini attivati quell’anno, fa(rebbe) 31,5%.Nel Rapporto 2019 c’è una minima informazione in più. «Nel 2018 il numero dei rapporti di lavoro attivati a seguito di una precedente esperienza di tirocinio è stato pari a circa a 134mila (1,2% del totale dei rapporti attivati, in linea con quanto osservato nel 2017), di [cui] il 36,6% derivante da tirocini conclusi nello stesso anno» si legge: per la prima volta appare un accenno al tema di come si conteggiano i tirocini che “scavallano” da un anno all’altro, e delle assunzioni che possono avvenire a distanza di tempo. Non che venga fornito alcun dettaglio, beninteso: il ministero permette solo di calcolare che, di quei 134mila, circa 49mila hanno finito (non necessariamente anche iniziato) il loro stage nel 2018, e poi ottenuto un contratto di lavoro nello stesso 2018.Nel 2018 gli stage extracurricolari complessivamente attivati risultano essere 348mila. Chiaramente, quelli attivati nei primissimi mesi dell’anno si sono probabilmente conclusi prima della fine (anche considerando il fatto che la durata media dei tirocini extracurricolari si attesta sui sei mesi, e che circa uno su cinque dura meno di tre mesi). Ma quelli attivati nell’ultimo quadrimestre altrettanto probabilmente no. La specificazione contenuta nel rapporto sui “tirocini conclusi nello stesso anno” risulta dunque quasi criptica. Se abbiamo 49mila ex stagisti che sono stati assunti nel 2018 dopo aver finito lo stage nel 2018 (stage cominciati nel 2018 o tutt’al più l’anno prima, nel 2017), dove collochiamo gli altri 85mila ex stagisti assunti nel 2018? Potrebbero essere persone che hanno terminato lo stage a fine 2017 e che sono poi state assunte all’inizio dell’anno successivo? Il ministero non offre dettagli.Ma la frase si ripete pedissequamente nel Rapporto 2020:  «Nel 2019 il numero dei rapporti di lavoro attivati a seguito di una precedente esperienza di tirocinio è stato pari a circa a 129mila (1,1% del totale dei rapporti attivati, in linea con quanto osservato nel 2018), di cui il 39,5% derivante da tirocini conclusi nello stesso anno (+3 punti percentuali rispetto all’anno precedente)». Anche qui, dunque, i calcoli permettono di inferire che dei 129mila assunti a seguito di uno stage nel 2019, circa 51mila lo avevano concluso proprio nel 2019. E infine, come accennato, anche nel Rapporto 2021, che racconta il mercato del lavoro investito dalla pandemia di Covid, la frase è sempre la stessa: «Nel 2020 il numero dei rapporti di lavoro attivati a seguito di una precedente esperienza di tirocinio è stato pari a poco più di 92mila (1,0% del totale dei rapporti attivati, in linea con quanto osservato nel 2019), di cui il 26,7% derivante da tirocini conclusi nello stesso anno (-12,8 punti percentuali rispetto all’anno precedente)».(Da notare, peraltro, che gli zero virgola e uno virgola cambiano non solo da anno in anno, ma anche da Rapporto a Rapporto in relazione allo stesso anno. Sigh).Ma, piccolo colpo di scena: la Repubblica degli Stagisti ha appunto scoperto che le persone assunte in un dato anno “a seguito di una precedente esperienza di tirocinio” conteggiate dal ministero del Lavoro per il rapporto non sono necessariamente persone che hanno svolto lo stage nell'anno in questione, o appena prima. Il ministero, interrogato in maniera specifica, ha spiegato che vengono conteggiate le «prime assunzioni post tirocinio presso medesimo datore, avvenute nell’arco temporale dei 3 anni precedenti». Tre anni. Dunque se qualcuno ha fatto uno stage in un’azienda X all’inizio del 2017, e poi è rimasto disoccupato per anni, e poi è stato richiamato da quell’azienda X alla fine del 2020, quindi a praticamente tre anni di distanza dallo stage, quel qualcuno viene considerato dal ministero come parte di una statistica di “assunzione post stage”.Il fatto di conteggiare i tre anni è ovviamente una decisione su cui il ministero ha libero arbitrio. Quel che è opinabile è che in nessuno dei sette Rapporti annuali (dal Rapporto 2015 all’ultimo, il 2021) che riportano l’informazione sul “numero dei rapporti di lavoro attivati a seguito di una precedente esperienza di tirocinio” venga specificato a quanto indietro questa “precedente esperienza di tirocinio” può risalire.Ciò comporta, ovviamente, anche un notevole problema nella modalità corretta per calcolare la probabilità di assunzione post stage. Logica vuole che si debba rapportare per ogni anno il numero dei contratti riportati nel Rapporto alla somma del numero dei tirocini attivati in quell’anno e nei due precedenti, per avere una percentuale verosimile della probabilità statistica di assunzione post-stage, e affinare il calcolo “ripulendolo” degli ex stagisti già assunti nei due anni precedenti.Dunque di fatto, per esempio, nel 2019 la percentuale di assunzione post stage calcolata dalla Repubblica degli Stagisti è 15,6%: 129mila contratti su un denominatore di poco meno di 828mila tirocini (370.751 nel 2017 + 351.308 nel 2018 + 355.863 nel 2019, cioè 1.077.922, cui però vanno sottratti i 116mila contratti post stage del 2017 e i 134mila del 2018).Mentre nel 2020 tale percentuale risulta scesa a 13,5%: 92mila contratti su un denominatore di circa 679mila tirocini (351.308 nel 2018, 355.863 nel 2019 e 234.513 nel 2020, cioè 941.684, cui però vanno sottratti i 134mila contratti post stage del 2018 e i 129mila del 2019).Il problema è che questo tasso non è per nulla compatibile con quelli emersi negli ultimi anni dei due Rapporti Anpal sui tirocini (pur riportando essi dati aggregati riferiti al numero di stage e al tasso di assunzione post stage di più anni). Secondo il Rapporto Anpal del 2021, sui 1.704.841 tirocini attivati nei sei anni dal 2014 al 2019 di durata non inferiore a 14 giorni e terminati, la percentuale media di assunzione “presso stesso datore” entro 6 mesi è 29,9%.Il tasso è ancor meno compatibile con i dati  Rapporto Excelsior di Unioncamere – che però, è bene ricordarlo, riguarda solo i tirocini svolti in imprese private, senza differenziare tra curricolari ed extracurricolari, ed è spesso criticato per le sue modalità di raccolta dei dati specie rispetto alle assunzioni programmate (autodichiarazioni delle aziende). Per esempio, secondo la rilevazione Excelsior 2020 gli stage nelle imprese private realizzati nel 2019 – escludendo l'alternanza scuola-lavoro – risultavano essere 231mila, di cui circa 84.500 poi sfociati in assunzione: il 36,6%. Insomma, si può dire che, secondo i dati ufficiali del ministero del Lavoro basati sul Rapporto annuale sulle Comunicazioni obbligatorie, la percentuale media di assunzione post stage è stata 15,6% nel 2019 e 13,5% nel 2020? E quindi che il Covid ha comportato, oltre a una notevole diminuzione delle opportunità di stage, anche una diminuzione di due punti percentuali nella probabilità di trovare lavoro a seguito di uno stage? Interpellata, la Direzione generale dei sistemi informativi, dell’innovazione tecnologica, del monitoraggio dati e della comunicazione guidata da Grazia Strano risponde di no, spiegando che il modo corretto per calcolare tale percentuale media di assunzione post stage è quello che non sottrae le assunzioni dei due anni precedenti, in quanto «questo affinamento può sembrare efficace, ma risulta grossolano se l’obiettivo è arrivare a quadrare con i numeri del rapporto Anpal». Inoltre, ricorda Strano, «le percentuali non restano costanti nel tempo ed ogni anno  in più o in meno apporta delle variazioni a quella che è la percentuale di assunzione post tirocinio. La considerazione o l’esclusione di alcuni anni può avere impatti più o meno significativi sulla percentuale risultante sull’intero periodo».Dunque nel 2019 la percentuale di assunzione post stage “presso stesso datore” che il ministero del Lavoro considera correttamente calcolata è 12% (129mila contratti su 1.076.855 tirocini - 370.751 nel 2017 + 351.223 nel 2018 + 354.881 nel 2019); nel 2020 tale percentuale è 9,8% (92mila contratti su 941.684 tirocini - 351.308 nel 2018, 355.863 nel 2019 e 234.513 nel 2020). L'effetto del Covid rispetto alla diminuzione nella probabilità di trovare lavoro a seguito di uno stage resta comunque, anche con questa metodologia di calcolo, di due punti percentuali. «Quale premessa generale se si confrontano due documenti statistici, analisi è che va considerato sempre quale fenomeno stanno descrivendo, quali criteri vengono applicati e se il fenomeno è analizzato dalla medesima prospettiva» scrive Grazia Strano alla Repubblica degli Stagisti: «I rapporti Anpal osservano i tirocini conclusi che hanno un rapporto entro sei mesi negli anni presi in considerazione, [mentre] i numeri di cui sopra si discuteva sono i rapporti di lavoro attivati in un anno di osservazione in rapporto ai tirocini attivati nei tre anni precedenti. Può sembrare simile ma questo cambio prospettiva ha delle differenze sostanziali: il rapporto Anpal limita la platea a quanti possono avere questo periodo di osservazione successivamente alla conclusione tutti i tirocini giunti a conclusione ma che non hanno almeno sei mesi fra la data [di] conclusione e l’estrazione non vengono conteggiati ed inseriti nel denominatore (numero inferiore --> rapporto maggiore); Non si soffermano sui rapporti attivati in un determinato anno ma forniscono una percentuale complessiva».Resta il fatto che fare confronti tra statistiche sullo stesso argomento è necessario, anzi essenziale per poter inquadrare un fenomeno e valutarne l'evoluzione nel corso degli anni. Basterebbe allora accordarsi su alcuni parametri definiti, esplicitare che esiste un margine di imprecisione ineludibile, ma fornire finalmente dati precisi anno per anno sull’esito occupazionale dei tirocini e dunque sulla probabilità di ottenere un lavoro dopo aver fatto uno stage. Si tratta di informazioni fondamentali non solo per i giovani – per sapere cosa aspettarsi dal mondo del lavoro – ma anche per la classe politica, per gestire le policy in materia di stage. E noi della Repubblica degli Stagisti abbiamo una proposta su come costruire una buona, esaustiva informazione utilizzando i dati delle Comunicazioni obbligatorie sui tirocini e sulle assunzioni “a seguito di una precedente esperienza di tirocinio”. A cominciare da quella di considerare “assunzione a seguito di una precedente esperienza di tirocinio” solo le assunzioni avvenute nei primi 60, massimo 90 giorni dopo la fine di quest’ultimo.Nel frattempo, che dati ha ottenuto la Repubblica degli Stagisti dal ministero del Lavoro negli ultimi anni, dati che non sono contenuti in nessun Rapporto annuale sulle comunicazioni obbligatorie o dell'Anpal, sul tema delle assunzioni post stage? Ve li presentiamo qui:- Il Covid diminuisce di 3 punti e mezzo la probabilità di essere assunti post stage: i dati inediti- Stage e contratto di lavoro subito nello stesso anno, i dati inediti 2019 e 2020- Assunzioni post stage entro un mese, i dati inediti (ma senza tasso)- Assunzioni post stage, che contratti vengono fatti agli stagisti?- Tasso di assunzione post stage a sei mesi, dati a confronto- Quanti vengono assunti dopo uno stage curricolare? Non si sa- Fare un tirocinio a cinquant’anni serve per trovare lavoro?- Stage per persone adulte, solo con dati chiari si può dire se servono o no - e fare policy di conseguenza- Quanto vengono pagati gli stagisti? E quelli che ricevono indennità più alte vengono assunti più spesso?- Conteggiare gli assunti post stage, le difficoltà non diventino scuse per tenere i cittadini al buio- Efficacia degli stage, serve trasparenza: ecco i dati che vanno resi pubbliciLa foto di apertura è di One Clic Group UK tratta da Flickr in modalità Creative Commons

Tasso di assunzione post stage a sei mesi, dati a confronto

Le informazioni sulla probabilità di assunzione post stage in Italia sono molto poche. L’accenno contenuto a questo proposito – e solo dal 2015 – nel Rapporto annuale sulle comunicazioni obbligatorie pubblicato dal ministero del Lavoro si riduce a due righe: un numero senza nemmeno un denominatore, nessuna percentuale.Nel suoi due Rapporti sui tirocini l'Anpal ha approfondito, dedicando una quindicina di pagine all'argomento, ma senza purtroppo fornire i dati scorporati anno per anno. Nel primo Rapporto, datato 2019, ci sono informazioni sull'esito dei tirocini attivati nel quadriennio 2014-2017 a partire dai dati delle CO, le Comunicazioni obbligatorie. L'Anpal ha preso in considerazione in quel caso il milione e 263mila tirocini di durata superiore a 14 giorni e terminati da almeno sei mesi rispetto alla data di estrazione della Banca Dati, evidenziando come ad essi abbiano fatto seguito entro i primi sei mesi dal termine dell'esperienza di tirocinio quasi 586mila contratti di lavoro: un 26% di tasso di assunzione medio post stage presso lo stesso datore (poco più di 330mila assunzioni), più un 20% (quasi 256mila assunzioni) presso datore differente. Da ricordare che proprio nel quadriennio preso in considerazione sono stati più poderosi gli incentivi pubblici all'assunzione degli under 30, compresa la misura di Garanzia Giovani che premiava tra le altre cose proprio l'assunzione dopo il tirocinio.Secondo il Rapporto Anpal del 2021, la percentuale media di tirocini cui ha fatto seguito entro i sei mesi dalla conclusione del tirocinio un rapporto di lavoro con lo stesso datore che ha ospitato l’esperienza di tirocinio è 29,9%. In questo caso sono stati presi in considerazione i tirocini attivati nei sei anni dal 2014 al 2019, sempre di durata non inferiore a 14 giorni e terminati da almeno sei mesi: ne emerge un insieme di 1.704.841 tirocini. 29,9% è la media nazionale, ma c'è maggiore probabilità  di essere assunti se si fa il tirocinio in una Regione del Centro Italia (31,6%) o del Nord Ovest (31,5%). Seguono le Regioni del Nord Est con 31%. Fanalino di coda le regioni del Mezzogiorno, dove la percentuale di assunzione post stage si ferma a 25,2%. Il Rapporto indica poi che, a sei mesi dalla conclusione di un tirocinio, il 34,6% degli ex tirocinanti risultava privo di “esito”, il 53,9% impegnato in un rapporto di lavoro (presso stesso datore o datore differente), e l'11,5% impegnato in un nuovo tirocinio.In particolare in quel blocco di sei anni vi sono 509.039 assunzioni “presso stesso datore” e 409.147 assunzioni “presso datore differente” (i dati numerici, non contenuti nel rapporto, ci sono stati comunicati direttamente dall'Anpal), conteggiando le assunzioni avvenute entro sei mesi dalla fine del tirocinio – sempre sull'insieme dei 1.704.841 tirocini attivati nei sei anni 2014-2019 e conclusi da almeno sei mesi al momento dell'estrapolazione dei dati, avvenuta a marzo 2020. Ciò si traduce in un 24% di tasso di assunzione post stage medio presso altro datore, più appunto il già indicato 29,9% presso stesso datore.Queste analisi di Anpal sono importanti ma hanno due limiti. Il primo è che arrivano con grande ritardo: nel caso dell'ultimo Rapporto, pubblicato a fine maggio del 2021, le informazioni contenute in grafici e tabelle si riferiscono a un'estrapolazione dei dati dal database avvenuta addirittura oltre un anno prima, a marzo 2020, quando molti dei tirocini del 2019 non erano nemmeno terminati! Il secondo limite è che tali analisi accorpano molti anni – quattro nel primo caso, ben sei nel secondo – rendendo difficile analizzare gli eventuali cambiamenti nelle pratiche relative allo stage e nei suoi esiti. Per questo la Repubblica degli Stagisti ha chiesto a più riprese al ministero del Lavoro di fornire dei dati più precisi, di anno in anno, sopratutto considerando che questi dati sono già esistenti e immediatamente disponibili: non serve insomma attendere mesi o anni, basta interrogare il sistema delle CO e estrapolarli. Ecco le ultime informazioni che abbiamo ottenuto sul 2019 (e, molto parzialmente, sul 2020).Una prima tabella, ricevuta dalla Repubblica degli Stagisti a marzo 2021, riguarda le “Attivazioni di tirocini extracurriculari per genere e trimestre. Valori assoluti e tasso di assunzione post tirocinio entro i sei mesi dalla fine del tirocinio ed entro il 31/12/2020”. La tabella riporta i dati suddivisi per anno, affiancando il 2019 e il 2020, e dettagliati per “trimestre di attivazione del tirocinio”. A fronte dei 234.513 tirocini attivati nel 2020, al ministero al ministero risultava un tasso di assunzione post stage (con contratti stipulati “entro sei mesi dalla fine del tirocinio”) pari al 17%. Tale 17% consiste in poco più di 40mila persone (per la precisione 40.285) che hanno cominciato uno stage nel 2020, anno della pandemia, e hanno poi ottenuto entro sei mesi dalla fine del tirocinio un contratto di assunzione Ma tale conteggio è incompleto, poiché termina con la fine dell’anno, dunque esclude tutti quelli assunti dopo. Fermandosi infatti la rilevazione a fine 2020, essa non ha potuto prendere in considerazione (come invece per i dati analoghi che vedremo poco sotto, relativi al 2019) anche l’anno successivo per tracciare le assunzioni avvenute dopo la conclusione degli stage attivati negli ultimi mesi del 2020 o che avessero in altro modo “scavallato” da un anno all’altro.  Le percentuali contenute nella tabella escono mettendo a numeratore i “tirocini attivati nel trimestre X che hanno trovato un rapporto successivo entro i 6 mesi dalla conclusione” e a denominatore i “tirocini attivati nel trimestre X”, come confermato alla Repubblica degli Stagisti da Grazia Strano, direttrice generale del ministero del Lavoro. Poichè la tabella registra il “tasso di assunzione post tirocinio entro i sei mesi dalla fine del tirocinio ed entro il 31/12/2020”, è inutile ripercorrere qui la progressione per trimestri del 2020, dato che chiaramente parte del secondo, e poi tutto il terzo e il quarto trimestre risultano azzoppati dalla circostanza del Covid e dalla “chiusura” della registrazione dei dati a fine dicembre. Basti qui indicare che dei 69.588 avviati in tirocinio nel primo trimestre 2020 (l'ultimo Covid-free e lockdown-free, almeno in larga parte), il 36% cioè oltre 25mila sono poi stati assunti con un contratto di lavoro entro sei mesi dal termine dello stage ed entro la fine del 2020. Per il 2019 invece vale la pena fornire il dato generale e quelli particolari di tutti e quattro i trimestri. Nelle colonne dedicate al 2019, accanto al numero 355.863 che rappresenta il totale dei tirocini extracurricolari attivati quell’anno, il ministero indica 43%. Il che equivale, in numeri assoluti, a 154.308 contratti di assunzione stipulati, grossolamente nell’arco di 24 mesi – tra il gennaio del 2019 e il dicembre del 2020 – a seguito di stage attivati nel corso del 2019.Dettagliando per trimestre: delle 84.727 persone avviate in tirocinio tra gennaio e marzo 2019 quasi 39mila (il 46%) risultano essere state assunte entro i 6 mesi dalla fine del tirocinio – nello stesso posto dove avevano svolto l’esperienza on the job, oppure altrove. Dei 100.428 tirocini del periodo aprile-giugno 2019 il 42% (cioè oltre 43mila) sono sfociati nei sei mesi successivi in un contratto. Per il periodo successivo – da luglio a settembre 2019 – risultano 78.048 attivazioni e un tasso di assunzione post tirocinio pari a 43%, pari all’incirca a 33.500 assunti. E infine il quarto trimestre 2019, con 92.660 tirocini attivati di cui il 42% – quasi 39mila – ha portato entro sei mesi a un’assunzione.Il confronto tra il risultati del primo trimestre 2019 (46%) e il primo trimestre 2020 (36%) non si può comunque fare, perché con l'arrivo della pandemia moltissimi stage avviati in quel primo trimestre 2020 sono stati sospesi, poi sono ripresi, e dunque in molti casi alla fine del 2020 non si erano nemmeno conclusi – e tantomeno era terminato, quasi per tutti, il periodo di intervallo di sei mesi tra la fine dello stage e l'eventuale assunzione. Dunque, in questo caso, che il Covid abbia ridotto di 10 punti percentuali la probabilità di assunzione post stage non si può dire. Per fare questo calcolo avremmo bisogno di altri dati, di cui al momento non disponiamo.E per quanto riguarda i dati di cui disponiamo – quelli tratti dai Rapporti Anpal, o quelli inediti che il ministero del Lavoro ha fornito per il 2019? Sono dati accurati? Verosimili? Se è vero che in Italia da quattro a cinque stagisti su dieci trovano lavoro dopo lo stage, nell’arco di sei mesi – o almeno trovavano, in epoca pre-Covid – possiamo chiederci: quanto durano questi contratti di assunzione? Una cosa è l'ingresso “nell'occupazione”, una cosa è la permanenza in essa. La domanda sorge quando ci si trova di fronte a dati che riportano assunzioni a tempo determinato senza specificarne la durata. Qual è la percentuale di stagisti assunti che però ottengono solo contratti molto brevi, magari di durata inferiore a sei mesi?Il Rapporto sulle Comunicazioni obbligatorie non fornisce informazioni specifiche sulle assunzioni entro i sei mesi dalla fine del tirocinio: nel Rapporto 2020 per esempio si legge che “nel 2019 il numero dei rapporti di lavoro attivati a seguito di una precedente esperienza di tirocinio è stato pari a circa a 129mila”. Ma viene specificato che di questi 129mila “il 39,5% [è] derivante da tirocini conclusi nello stesso anno”. Ovviamente qui le condizioni della rilevazione sono molto differenti rispetto alla tabella esaminata poco sopra: il numero 129mila comprende tutti i contratti di lavoro stipulati nel corso del 2019 a seguito di uno stage, non solo quelli stipulati entro i primi sei mesi dalla fine dello stage; e più importante ancora – questa la recente scoperta della Repubblica degli Stagisti – conteggiando tutte le “prime assunzioni post tirocinio avvenuto nell’arco temporale dei 3 anni precedenti”, cioè prendendo in considerazione anche persone che hanno effettuato lo stage anche anni addietro (fino appunto un limite massimo di tre anni) e assunte dunque ben oltre i sei mesi dopo la fine dello stage in questione. Ma estrapolando dal Rapporto 2020 quel 39,5% di assunzioni, pari grossomodo a 51mila, realizzate nel corso di 12 mesi – l’intero 2019 – a seguito di uno stage terminato in quello stesso anno, possiamo avere un dato abbastanza coerente con quello delle “assunzioni entro sei mesi”: certo non tutte le 51mila assunzioni saranno avvenute proprio-proprio entro i sei mesi dalla fine dello stage (in questo conteggio potrà esserci, per esempio, un'assunzione effettuata a dicembre 2019 di una persona che aveva terminato il suo stage a gennaio 2019, dunque oltre undici mesi prima), ma molte di esse invece sì. Per semplice logica già si può dire che tutte le assunzioni conteggiate in questa estrapolazione e con una data (di CO) anteriore al 1° luglio sono per forza dentro alla definizione “contratto di lavoro attivato nel 2019 derivante da un tirocinio concluso nello stesso anno”; poiché l'assunzione non può che essere successiva alla conclusione dello stage, e poichè da gennaio a giugno vi sono esattamente sei mesi, tutte le assunzioni effettuate dal primo gennaio al 30 giugno conteggiate in questa tabella sono, di fatto, per forza assunzioni entro i sei mesi dalla fine dello stage. Purtroppo non sappiamo quante delle 51mila in questione siano collocate in tale finestra temporale però! Ovviamente, in aggiunta anche una parte delle assunzioni effettuate nella seconda metà dell'anno sono certamente riferite a stage terminati meno di sei mesi prima; anche questo dato però è ignoto.  Va ricordato che nel dato fornito dal Rapporto vengono conteggiate solamente le assunzioni “presso stesso datore”, a differenza della tabella inedita fornita alla Repubblica degli Stagisti, analizzata poco sopra.In quella tabella (ricordiamo, fornita alla RdS dal ministero del Lavoro a marzo 2021), invece, abbiamo un 43% di 356mila stage, per la precisione 154.308 assunzioni effettuate nel corso di 24 mesi – l’intero 2019 e l'intero 2020 – a seguito di uno stage, conteggiando le assunzioni “presso stesso datore” e anche quelle “presso datore differente”, ma limitando l’arco temporale ai tirocini attivati – non necessariamente conclusi – nel corso di un solo anno (il 2019: il denominatore almeno qui è chiaro) e – per quanto riguarda il nominatore – alle assunzioni scaturite nei primi sei mesi dal termine di questi tirocini, e non più invece fino a tre anni dalla attivazione del tirocinio. «Come principio generale forniture [di] dati differenti non è detto che possano essere immediatamente confrontabili», nelle parole della dirigente Strano, «in quanto dipendenti dai criteri applicati in funzione della richiesta». Certamente vero. Ma possiamo almeno ragionare sulla coerenza dei dati. E’ chiaro che il dato del tasso di assunzione post stage rilevato aumenta o diminuisce a seconda dei criteri scelti. Per esempio: quanto è più ampio l’arco temporale considerato (sia rispetto a quando è stato effettuato lo stage, sia sopratutto rispetto a quanto tempo dopo la conclusione di esso si è verificata l’assunzione), tanto più alto risulterà questo tasso. Dunque se abbiamo due dati simili, ma per i quali uno di questi criteri – o entrambi – sono differenti, sarà difficile, se non impossibile, paragonare i dati.Allo stesso modo, ovviamente, se si considerano solo le assunzioni “presso stesso datore” il tasso di assunzione post stage rilevato sarà inferiore rispetto a se si considerano anche le assunzioni “presso datore differente”.Ma non è che si possa bilanciare “a casaccio”. Bisogna trovare uno standard adeguato e poter avere dei dati confrontabili di anno in anno.Gli altri articoli di questo approfondimento:- Quante probabilità ho di essere assunto dopo uno stage? La verità è che non si sa (ma si potrebbe)- Il Covid diminuisce di 3 punti e mezzo la probabilità di essere assunti post stage: i dati inediti- Stage e contratto di lavoro subito nello stesso anno, i dati inediti 2019 e 2020- Assunzioni post stage entro un mese, i dati inediti (ma senza tasso) - Assunzioni post stage, che contratti vengono fatti agli stagisti?- Quanti vengono assunti dopo uno stage curricolare? Non si sa- Fare un tirocinio a cinquant’anni serve per trovare lavoro?- Stage per persone adulte, solo con dati chiari si può dire se servono o no - e fare policy di conseguenza- Quanto vengono pagati gli stagisti? E quelli che ricevono indennità più alte vengono assunti più spesso?- Conteggiare gli assunti post stage, le difficoltà non diventino scuse per tenere i cittadini al buio- Efficacia degli stage, serve trasparenza: ecco i dati che vanno resi pubblici

Quanti vengono assunti dopo uno stage curricolare? Non si sa

Se la risposta alla domanda “Quante probabilità ci sono di venire assunti dopo uno stage extracurricurricolare?”, con un po’ di fatica e di approssimazione, si può trovare… La stessa domanda declinata sui tirocini curricolari resta invece senza risposta.I tirocini curricolari sono quelli che vengono svolti durante un percorso formalmente riconosciuto di istruzione e formazione: i più frequenti sono quelli fatti da studenti universitari, studenti di master post-laurea, e studenti di corsi di formazione / professionalizzanti post-diploma o post-laurea. Secondo una circolare del ministero del Lavoro del settembre 2011 sono definibili come curriculari tutti gli stage che soddisfino contemporaneamente questi criteri: l’ente promotore è un’università o un ente di formazione abilitato al rilascio di titoli di studio; il soggetto beneficiario è uno studente di scuola superiore, università, master e dottorati universitari, o un allievo di istituti professionali e corsi di formazione; lo stage è svolto durante il percorso di studio, anche se non direttamente correlato all’acquisizione di crediti.(Andrebbero quindi inseriti in questo gruppo anche i brevissimi periodi – da una a tre settimane solitamente – di alternanza scuola lavoro degli studenti di scuola superiore; ma considerando che la stragrande maggioranza di questi ragazzi è minorenne, noi preferiamo tenere i due segmenti separati).Il grande problema dei tirocini curricolari è che sono un buco nero. Letteralmente. Nessuno li monitora, nessuno raccoglie dati sul loro svolgimento. Non esiste nemmeno un numero preciso totale di quanti di questi tirocini vengano attivati ogni anno in Italia: noi della Repubblica degli Stagisti calcoliamo che possano essere tra 150mila e 200mila ogni anno, ma si tratta appunto di una stima. Questo accade perché i tirocini curricolari sono (assurdamente!) esentati dalla procedura di CO, la “comunicazione obbligatoria”. Secondo quanto prescritto dal ministero del Lavoro dal febbraio del 2007 attraverso la nota prot. 13 / SEGR / 0004746, a differenza degli altri i tirocini quelli curriculari non devono essere comunicati ai centri per l’impiego attraverso le CO. E pertanto sfuggono quindi a una delle poche rilevazioni sistematiche svolte dallo Stato sul numero e la destinazione dei tirocini.La decisione è frutto di un ripensamento rispetto a una precedente indicazione che lo stesso ministero del Lavoro aveva divulgato soltanto un mese prima (cioè nel gennaio del 2007), ripensamento spiegato così: «Perplessità sono emerse circa l’opportunità di estendere l’obbligo anche a quelle esperienze previste all’interno di un percorso formale di istruzione o di formazione, la cui finalità non è direttamente quella di favorire l’inserimento lavorativo, bensì di affinare il processo di apprendimento e di formazione. Pertanto, alla luce del suesposto criterio interpretativo, basato su esigenze di monitoraggio e di prevenzione del lavoro irregolare, rivedendo il primo orientamento, si ritiene di escludere l’obbligo di comunicazione per i “tirocini promossi da soggetti ed istituzioni formative a favore dei propri studenti ed allievi frequentanti, per realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro”». Questa formulazione è stata negli anni interpretata in maniera estensiva esonerando non solo le scuole per l'attivazione dei “mini” tirocini di alternanza scuola-lavoro (oggi pcto), ma anche le università.Già se questa esenzione fosse stata limitata ai tirocini di durata inferiore alle 200-250 ore (5-6 settimane), essa sarebbe stata molto più ragionevole. Invece, per come è formulata e per come è stata applicata negli ultimi 14 anni, ha completamente impedito qualsivoglia monitoraggio dei tirocini curricolari.In alternativa, basterebbe che il ministero dell'Istruzione e Università si muovesse e approntasse un modo per raccogliere ogni anno i dati direttamente dai soggetti promotori di questi tirocini. Ma anche questo non viene fatto.Si può aggiungere a tutto questo, per amore di precisione, che Unioncamere indica nel suo rapporto Excelsior il numero di laureandi – quindi studenti universitari, ergo destinatari di tirocini curricolari – che fanno ogni anno stage nelle imprese private italiane: peccato che li accorpi con i laureati, rendendo letteralmente impossibile conteggiare i tirocini extracurricolari dei laureati da quelli curricolari dei laureandi. Il gruppo “laureandi e laureati” contava nel 2019 104.190 stagisti sui 231.120 totali analizzati da Unioncamere, di cui 38.150 poi assunti. Ma è ignoto quanti di questi 104mila e 38mila provenissero da un’esperienza di tirocinio curricolare e quanti da una di tirocinio extracurricolare.Dunque, insomma: niente dati sui curricolari. Ne discende che, non venendo in alcun modo tracciati, resti completamente indeterminato anche l’esito di questi tirocini dal punto di vista occupazionale.Si può obiettare che, quando si parla di curricolari, il focus non sia sulla possibilità di essere assunti dopo lo stage, bensì debba essere spostato sulla qualità dell’esperienza formativa, e semmai con la coerenza tra il progetto formativo e il piano di studi.Non è completamente vero. Nel grande gruppo dei curricolari ci sono almeno due segmenti di persone per le quali la prospettiva di assunzione post-tirocinio è rilevante. Il primo segmento è quello dei tirocini fatti da laureandi: cioè da studenti universitari prossimi alla laurea. Sono peraltro inquadrati come curricolari anche un gran numero di stage finalizzati alla redazione della tesi di laurea (i cosiddetti “stage per tesi”). Una volta finita l’università, a meno che non decidano di proseguire (dalla triennale alla specialistica, dalla specialistica a un master o a un dottorato…), queste persone andranno con tutta probabilità alla ricerca di un lavoro. E dunque per chi fa un tirocinio curricolare a ridosso della fine degli studi che uno stage possa o non possa aprire la porta a un’assunzione ha una rilevanza innegabile.Il secondo segmento è quello dei tirocini fatti da studenti di master e corsi di formazione post-diploma e post-laurea: in questo caso è ancor più evidente che proprio la fase dello stage, solitamente collocata al termine delle lezioni in aula, venga considerata come un modo di entrare in un determinato settore professionale; anche perché gli studenti di questi percorsi formativi sono di solito anche un po’ più “vecchi”. Nell’attività di marketing e pubblicità di molti master l’aspetto dello “stage garantito” viene addirittura usato – più o meno aggressivamente – come vero e proprio argomento di vendita: non pochi sono coloro che si decidono a iscriversi a un master, sborsando somme a volte anche considerevoli, spesso convinti proprio dalla prospettiva di poter usare lo stage del master come volano per trovare – o cambiare – lavoro.Quando la Repubblica degli Stagisti, su incarico dell’assessorato al Lavoro del Comune di Milano, ha mappato gli stage attivati sul territorio milanese, ha indagato anche i curricolari, tirando fuori dei dati inediti molto interessanti.Nella mappatura – presentata al pubblico nel giugno del 2019 – sono stati raccolti i dati relativi a oltre 22mila tirocini curricolari, tutti attivati nel corso del 2017 da undici diversi soggetti promotori: il Politecnico di Milano, l’università  Bocconi, la Statale di Milano, la Iulm, l’università Vita-Salute San Raffaele, l’università Cattolica, la Fondazione Enaip Lombardia, Ciofs Lombardia, lo IED Istituto europeo di design, s.c. Formaprof e l’associazione Cnos-Fap Lombardia.In particolare l'università Cattolica ne aveva attivati, nell’anno preso in esame, 7mila; il Politecnico 5.554; la Bocconi 4.112; la Statale 3.350; la Iulm 1.147; il San Raffaele 18; manca il dato della Bicocca, l’unica università milanese a non aver voluto prendere parte all’indagine.Di quei 22mila tirocini curricolari attivati nel corso del 2017, oltre 14mila si erano svolti sul territorio di Milano e della sua città metropolitana, più un po’ meno di 3mila nelle altre regioni lombarde.Purtroppo, la mappatura ha rivelato che solamente il 30% dei soggetti promotori monitora la percentuale degli stage curricolari che si trasformano in contratto di lavoro – e tra questi nessuna delle istituzioni universitarie milanesi.Sapere quanti tirocini curricolari portano a un lavoro è importante. Quando finalmente verrà ripristinato l’obbligo di CO anche per i curricolari, e avremo finalmente dei dati sul loro numero anno dopo anno, la durata, la destinazione, auspicabilmente potremo conoscerne anche gli esiti occupazionali.Gli altri articoli di questo approfondimento:- Quante probabilità ho di essere assunto dopo uno stage? La verità è che non si sa (ma si potrebbe)- Il Covid diminuisce di 3 punti e mezzo la probabilità di essere assunti post stage: i dati inediti- Stage e contratto di lavoro subito nello stesso anno, i dati inediti 2019 e 2020- Assunzioni post stage entro un mese, i dati inediti (ma senza tasso)- Assunzioni post stage, che contratti vengono fatti agli stagisti?- Tasso di assunzione post stage a sei mesi, dati a confronto- Fare un tirocinio a cinquant’anni serve per trovare lavoro?- Stage per persone adulte, solo con dati chiari si può dire se servono o no - e fare policy di conseguenza- Quanto vengono pagati gli stagisti? 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