Alla fine la legge sull’equo compenso giornalistico è stata firmata dal presidente Napolitano lo scorso 31 dicembre, dando un buon motivo a tanti giornalisti precari e freelance di festeggiare l’arrivo del nuovo anno con un po’ di fiducia. Con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale n. 2 del 3 gennaio 2013, la legge n. 233 ha quindi fatto un altro passo avanti per diventare applicabile. Dal 18 gennaio è operativa ed entro trenta giorni, come previsto dall’art. 2, dovrà essere istituita la Commissione, che durerà in carica tre anni, chiamata a definire entro due mesi l’equo compenso giornalistico per «gli iscritti all’albo non titolari di rapporto di lavoro subordinato».
Un primo traguardo è stato quindi raggiunto, ma c’è ancora molta strada da fare.
Il prossimo passo, infatti, è la formazione della commissione che dovrà essere composta da un rappresentante per il ministero del lavoro e per il ministero dello sviluppo economico, da uno per le organizzazioni sindacali dei giornalisti più rappresentative, da uno delle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro dei committenti più rappresentativi e da un rappresentante dell’istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani.
Vera novità della legge è l’istituzione di un elenco di quotidiani, periodici, agenzie di stampa ed emittenti radiotelevisive, anche telematici, che garantiscano il rispetto dell’equo compenso, dandone adeguata pubblicità. Proprio la mancata iscrizione in questo elenco per più di sei mesi comporterà la decadenza del contributo pubblico in favore dell’editoria. La scelta dei membri della commissione si rivela determinante per avere un risultato all’altezza ed evitare di perdere altro tempo utile per i precari e freelance. L’Ordine dei giornalisti ha già trasmesso al competente sottosegretario della Presidenza del Consiglio, Paolo Peluffo, il nome del presidente Enzo Iacopino come rappresentante in seno alla commissione, notizia che il presidente ha subito condiviso sulla sua pagina facebook. L’obiettivo è recuperare anni di ritardo per arrivare a rispondere a una semplice domanda: a quanto ammonta un equo compenso per un giornalista? Nel 2011 a Firenze, durante il primo convegno di precari e freelance da tutta Italia per approvare la Carta di Firenze, il segretario della Federazione nazionale della stampa italiana, Franco Siddi, aveva fatto un accenno alla cifra di 14 euro, in parte ripresa dall'allora presidente Roberto Natale che in un’intervista alla Repubblica degli Stagisti aveva ricordato lo slogan adottato nelle campagne di questi anni «che un giornalista sia pagato almeno quanto una collaboratrice domestica per ciascuna ora di lavoro».
Per quanto sia ancora presto per parlare di cifre, la Repubblica degli Stagisti ha provato a capire qual è la cifra “equa” parlando con Nicola Chiarini, co-fondatore di Re:fusi coordinamento giornalisti freelance precari atipici del Veneto e membro della commissione nazionale lavoro autonomo Fnsi e con Valeria Calicchio, di Errori di Stampa coordinamento giornalisti precari di Roma. Entrambi concordi sul fatto che ci sono troppi fattori da prendere in considerazione nello stabilire l’equo compenso, Calicchio e Chiarini non si sbilanciano. «Come coordinamento abbiamo deciso che fino a quando la commissione non si riunisce non si può dire qual è la quota perché non si può andare al ribasso» dice la prima: «Una volta che la commissione si sarà riunita cercheremo di fare pressione per presentare il nostro dossier sulle retribuzioni e sulle tariffe vergogna, Per mille euro un mese non basta, e organizzeremo una campagna anche con i freelance». Di variabili complesse per stabilire la cifra parla anche Nicola Chiarini: «Quella della commissione sarà una proposta molto articolata perché oltre alle declinazioni classiche della carta stampata o dell’emittenza televisiva ci sono tutte le complessità legate al web e anche lì bisognerà decidere con che metro andare a misurare la cosa». E aggiunge che se dalla Commissione saranno chiamati a dare un contributo non si tireranno indietro.
Di numeri al momento non vuol parlare nemmeno Giovanni Rossi (nella foto), segretario generale aggiunto e presidente della commissione lavoro autonomo della Fnsi, che ricorda come la priorità al momento per il sindacato sia quella di ricomporre il gruppo dirigente dopo le dimissioni del presidente, Roberto Natale, candidato alle elezioni politiche per Sinistra ecologia e libertà. La soluzione potrebbe parzialmente arrivare da alcune riunioni che si svolgeranno nel corso della settimana e soltanto dopo aver ridefinito il board, possibilmente entro gennaio, sarà possibile indicare chi rappresenterà la federazione in questa commissione. «Immagino che come ha fatto l’Ordine verrà delegato qualcuno di primo piano» anticipa Rossi alla Repubblica degli Stagisti. «Posso ipotizzare che sceglieremo o il segretario generale stesso o qualcuno attorno a questo ruolo. Ma non abbiamo ancora discusso di nomi: credo che li avremo per fine mese e che sarà proprio il periodo in cui ci verrà chiesto di indicarlo».
Il percorso è ancora lungo insomma: la legge deve diventare operativa e solo a quel punto il sottosegretario potrà procedere alla nomina e all’insediamento della commissione. Poi, spiega Rossi, bisognerà stabilire anche i criteri con cui questa commissione giungerà a definire l'ammontare del compenso “equo”. «Gli editori finora hanno sempre sostenuto che il riferimento è il codice civile. Peccato che esso non dica nulla sul trattamento economico e prevede che le parti si mettano d’accordo in piena autonomia». Insomma l'intenzione degli editori sembrerebbe essere quella di giocare d'astuzia e provare a fermare la definizione di una retribuzione minima per il lavoro giornalistico sostenendo che nel codice civile è previsto che committente e professionista si mettano d'accordo tra loro, senza bisogno di tabelle o tariffari.
«Ma la legge sull'equo compenso, invece, dice che ci deve essere un riferimento» ribadisce Rossi: «Potremmo prendere le tabelle contrattuali contenute nel contratto Fnsi-Fieg, ad esempio per l’articolo 2 o per l’articolo 12, ma solo come riferimento: metteremo questo materiale a disposizione della commissione come base per iniziare a lavorare». La discussione sarà quindi molto complicata e bisognerà ovviamente anche tener conto delle caratteristiche delle aziende: «Per questo fino ad ora nessuno si è sbilanciato e io stesso faccio fatica a immaginarmi una cifra adeguata per tutti. Certamente prenderemo come base anche i tariffari che a suo tempo l'Ordine emetteva, anche se la legge che ha istituito l’ordine dei giornalisti, a differenza di quelle per gli altri ordini professionali, non ha previsto che ci fosse un tariffario per il lavoro autonomo. L’ordine ha emesso dei tariffari, pur non vincolanti, fino a quando l’autorità per la garanzia della concorrenza e del mercato glielo ha inibito sostenendo che essi rappresentassero una turbativa di mercato».
Ma insomma, i 14 euro ad articolo di cui parlava Siddi a Firenze nel 2011 rappresentano orientativamente la cifra che potrebbe essere indicata come equo compenso? «Il ragionamento che faceva Siddi in quella sede era più o meno questo: attestiamoci su delle cifre non “traumatiche”, che non abbiano l’effetto di spingere gli editori a disdire le collaborazioni. Ed è certamente un aspetto da tenere presente. Se poi saranno davvero 14 euro, o di più o di meno, questo francamente oggi non so dirlo».
La grande conquista, fa notare Rossi, è che oggi c’è una legge che impone di trovare una risposta a questa domanda perciò bisognerà cercare di evitare che la commissione s’impantani e non riesca a produrre entro i 60 giorni previsti un tariffario. L’obiettivo per il presidente della commissione lavoro autonomo è «riuscire a stabilire delle cifre che abbiano un punto medio di dignità. Se invece venissero codificati per legge trattamenti economici non accettabili, sarebbe un boomerang gigantesco rispetto alla battaglia che abbiamo condotto». Decidere quindi in tempi rapidi a quanto ammonti l’equo compenso per evitare che perda la sua forza: sulla carta è previsto che gli editori che non si adeguino entro sei mesi dall’uscita del tariffario perdano i contributi pubblici, ma il problema, nota Rossi, è che negli anni le sovvenzioni sono diventate sempre di meno e se un futuro governo dovesse ridurle al minimo anche la sanzione perderebbe la sua forza.
Al momento, quindi, da sindacato e coordinamenti nessuna cifra certa, solo molta prudenza e l’invito a chi sarà presente in commissione a confrontarsi con i soggetti su cui poi la norma dovrà essere applicata. Vale a dire i collettivi dei precari. Senza dimenticare che la conquista di questa legge, pur importantissima, non rappresenta la soluzione del problema perché, chiude Rossi, «per il lavoro nero e precario la soluzione sarebbero programmi di assunzione e di strutturazione dei colleghi che già lavorano come se fossero dipendenti». Non resta dunque che attendere la fine di gennaio per i prossimi sviluppi, con le nomine dei componenti della commissione.
Marianna Lepore
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