Ennesima battuta d’arresto per il disegno di legge sull’equo compenso per i giornalisti precari e freelance. Dopo aver ricevuto il via libera della Camera lo scorso 28 maggio, la norma che si propone di garantire «un trattamento economico proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto» dagli atipici dell’informazione italiana sembrava finalmente giunta al traguardo finale. Nei giorni scorsi la commissione Lavoro di Palazzo Madama aveva infatti dato un’indicazione unanime a favore dell’approvazione del ddl, sia pure con alcuni correttivi rispetto al testo presentato ormai nel lontano 2010 dal senatore Silvano Moffa. Per procedere alla votazione sarebbe bastato a quel punto l’ok del governo, sempre necessario per approvare una legge in sede deliberante.
Ma ecco la doccia fredda: su delega dell'esecutivo, il sottosegretario al Lavoro Maria Cecilia Guerra ha chiesto ai membri della commissione di rimandare il voto in attesa della conclusione dell’iter parlamentare della riforma del mercato del lavoro (approvata definitivamente mercoledì scorso) e di quello del decreto sui contributi all’editoria, per evitare eventuali sovrapposizioni.
«Il collegamento tra equo compenso e ddl Fornero ci sfugge completamente» è il commento di Luciana Cimino, del coordinamento dei giornalisti precari della capitale Errori di Stampa [nella foto, alcuni di loro]. «La riforma del lavoro non ha cambiato assolutamente nulla per i giornalisti senza contratto, che vengono retribuiti a pezzo e con cifre irrisorie dalle testate. Aspettare che il decreto sui fondi per l’editoria sia convertito in legge offre invece un margine di vantaggio non indifferente agli editori, che nel frattempo avrebbero la possibilità di incassare il finanziamento pubblico».
«Non c’è nessuna motivazione che possa giustificare il tormentato iter che sta subendo questo provvedimento di semplice civiltà» le fa eco lapidario il deputato Giuseppe Giulietti, uno dei principali sostenitori dell’equo compenso, a propria volta giornalista e portavoce dell'associazione Articolo21.
Lo stop imposto in commissione rischia infatti di allungare non poco i tempi per l’entrata in vigore della legge: perché anche se a fine luglio (o più probabilmente a settembre) il governo concedesse il proprio via libera, al testo dovrebbero essere comunque apportati alcuni correttivi - quello relativo data di entrata in vigore ad esempio, attualmente stabilita al 1 gennaio 2012 - che renderanno inevitabile un nuovo passaggio alla Camera. A quel punto serviranno tre ulteriori mesi perché la commissione istituita presso il dipartimento Informazione ed editoria della presidenza del Consiglio dei ministri definisca i «requisiti minimi di equità retributiva», ovvero il tariffario a cui le testate dovranno necessariamente attenersi per retribuire i propri collaboratori. Pena: essere esclusi da qualsiasi forma di finanziamento pubblico. È infatti questo il cuore del provvedimento, la garanzia della sua concreta applicazione e naturalmente anche la parte più indigesta per gli editori, che proprio negli ultimi giorni sono stati impegnati in una serrata trattativa proprio per ridefinire le norme di accesso ai fondi pubblici per l'editoria.
«Siamo davanti ad uno dei tipici casi in cui l’oppositore non si è manifestato nel dibattito parlamentare ma nelle retrovie dei passaggi tra i diversi ministeri» spiega ancora Giulietti alla Repubblica degli Stagisti, ricordando che a Montecitorio il ddl era stato approvato all’unanimità e senza accendere particolari dibattiti tra le forze politiche. Davanti ai numeri resi noti in audizione dai rappresentanti dell'istituto di previdenza dei giornalisti (Inpgi) c’è in effetti poco da dibattere: in totale i giornalisti non dipendenti da una testata hanno raggiunto quota 32mila - circa un terzo degli iscritti all'ordine - di cui 21mila liberi professionisti (i cosìddetti freelance) e 11mila collaboratori coordinati e continuativi. I primi possono contare su un compenso medio annuo di circa 12mila euro, mentre i secondi superano di poco la soglia degli 8mila.
Un primo importante risultato la lunga discussione sull’equo compenso l’ha tuttavia già raggiunto, compattando in un fronte unitario e molto agguerrito i migliaia di esclusi dalla "casta" dei giornalisti. Che nelle ultime settimane hanno dato vita ad una mobilitazione senza precedenti, online (dove è tra l’altro possibile firmare una petizione - già sottoscritta anche dalla direzione della Repubblica degli Stagisti - che sollecita una rapida approvazione dell’equo compenso), ma soprattutto off line, sui territori. Questo fine settimana gran parte dei coordinamenti dei precari e dei freelance sono riuniti a Palermo per discutere e definire le prossime mosse: e a questo punto non si escludono iniziative nazionali, anche per sensibilizzare l’opinione pubblica sulle pesanti ripercussioni che questa situazione sta producendo sulla qualità dell’informazione italiana.
Un ulteriore pungolo per gli editori si va inoltre configurando a livello regionale. «In Veneto è stata raggiunta una prima intesa bipartisan per l’approvazione di una legge di contrasto al precariato dell’informazione» racconta Nicola Chiarini del coordinamento veneto Refusi [nella foto]. «Anche in questo caso l’obiettivo è premiare gli editori che lavorano in maniera corretta». Gli unici che di qui a poco potrebbero beneficiare non solo dei fondi messi a disposizione della regione Veneto, ma anche delle attività di comunicazione e delle inserzioni pubblicitarie regionali. Iniziative simili sono state intraprese anche da Toscana, Piemonte, Lazio, Friuli Venezia Giulia e Lombardia, che in materia di equo compenso potrebbero a questo punto anche riuscire ad anticipare il legislatore nazionale.
Ilaria Costantini
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