La legge sull’equo compenso per il lavoro giornalistico è riuscita a superare gli scogli al Senato e ora è tornata alla Camera per ricevere il sì definitivo: qui, martedì 13 novembre, la conferenza dei capigruppo ha assegnato in sede legislativa alla Commissione cultura la proposta di legge. «Da domani ogni giorno è buono», scrive Enzo Carra, Udc, su twitter il 13 novembre. Se approvata entro la fine della legislatura permetterebbe «di invertire la drammatica tendenza alla precarizzazione della categoria» e garantire delle retribuzioni eque per gli iscritti all’albo. La Repubblica degli Stagisti ha intervistato Roberto Natale, 54 anni, presidente della Federazione nazionale della stampa italiana, già segretario dell’Usigrai dal 1996 al 2006.
Il Senato ha approvato, anche se con alcune modifiche, le norme che prevedono l’equo compenso per il lavoro autonomo giornalistico: qual è la posizione del sindacato?
Diamo un giudizio molto positivo di quello che è successo al Senato, dove il testo era fermo da mesi: ora sembra, finalmente, in dirittura d’arrivo. C’è stata ottima capacità d’ascolto da parte dei senatori della Commissione lavoro e anche ottima capacità delle rappresentanze dei giornalisti, ordine, federazione della stampa, coordinamenti dei colleghi precari di far sentire ragioni che non sono affatto corporative ma che attengono alla dignità del lavoro tutto.
Il testo deve essere licenziato la prossima settimana alla Camera, alla fine per l’approvazione definitiva quante settimane utili restano?
I deputati che già mesi fa avevano seguito la vicenda hanno chiesto che venga calendarizzato al più presto. Abbiamo fiducia che nel giro di pochissime settimane questo testo possa diventare legge. Ci pare, incrociando le dita come si deve, che gli scogli più difficili siano stati superati e che il chiarimento ulteriore prodottosi tra le forze politiche durante la discussione al Senato consenta adesso di procedere con la massima velocità.
Il traguardo dell’equo compenso per i giornalisti è finalmente raggiunto?
Bisogna essere scaramantici, dunque aspettiamo con fiducia il voto della Camera. Chiarendo però che questa legge, come spesso capita, è un primo traguardo. C’è una commissione della quale fanno parte le rappresentanze del giornalismo, dell’editoria, i ministeri più direttamente coinvolti. La legge dice, questo è uno degli elementi positivi: trovatevi e parlatene, nel giro di un tempo ristretto indicate a quali cifre corrisponda l’equo compenso. Questo è il traguardo successivo. Il sindacato dei giornalisti, poi, intende questa legge come una sorta di trampolino di lancio verso il rinnovo del contratto nazionale di lavoro giornalistico che scade, quello Fnsi-Fieg, a marzo dell’anno prossimo e dovrà avere assolutamente al suo centro una diversa e migliore valorizzazione anche contrattuale del lavoro di precari e freelance.
La Commissione per la valutazione dell’equo compenso sarà composta, secondo le modifiche del Senato, anche da un rappresentante dell’Inpgi e da uno della Fieg, sebbene in un primo momento gli editori avessero detto di non essere interessati a far parte dell’organismo: questa decisione non rischia di allungare i tempi?
Credo di no perché gli editori sono, piaccia o no, parte essenziale del sistema. Meglio averli dentro perché bisogna confrontarsi ed è meglio che ci sia una sede istituzionale nella quale discutere. Non ho mai esultato quando, nel primo testo, gli editori non erano presenti. Sarebbe ingenuo e velleitario pensare che se non fossero stati dentro la commissione avrebbero accettato in silenzio qualsiasi decisione presa. Chi pensa una cosa del genere non sa come funzionano le relazioni industriali. Averli dentro è un elemento di ulteriore loro responsabilizzazione. Così come è importante avere l’istituto di previdenza, perché è quello che ha il polso più preciso della crisi del settore e delle forme di caporalato, di sfruttamento quasi schiavistico, che nel lavoro giornalistico sono ancora molto presenti.
Al punto 3 dell’articolo 2 si scrive che la Commissione “definisce il compenso equo dei giornalisti iscritti all’albo non titolari di rapporto di lavoro subordinato” e “redige un elenco dei quotidiani, periodici etc che garantiscono il rispetto dell’equo compenso”. Sarà poi cura della Commissione provvedere al costante aggiornamento dell’elenco. Al punto 4, però, si introduce un notevole cambiamento rispetto al testo passato alla Camera: “La commissione dura in carica tre anni, alla scadenza cessa dalle proprie funzioni”. A quel punto l’equo compenso che fine farà? Chi vigilerà sulle retribuzioni?
La durata triennale della commissione è stato uno degli elementi che ha consentito di superare gli scogli contro i quali si stava incagliando la legge. Ritengo che non sia un grande problema. Non dispiace affatto che rispetto al rischio di una proclamazione di principio che valga a tempo infinito ci sia invece una durata ben stabilita che dal punto di vista del sindacato intendiamo come un impegno ulteriore dell’emergenza e dell’eccezionalità con la quale deve essere intesa questa situazione. Faccio un esempio: da più di dieci anni abbiamo la legge sull’applicazione del contratto giornalistico negli uffici stampa ed è ancora incagliata. Quindi il fatto che una legge valga per l’eternità non le dà più forza. Intendiamo questo triennio come uno stimolo in più a fare adesso tutto ciò che la drammatica situazione di migliaia e migliaia di colleghi e colleghe richiede.
Nel testo si parla di “equità retributiva dei giornalisti iscritti all’albo”: ma per i tanti giornalisti “di fatto” che ne sarà dell’equo compenso?
I giornalisti iscritti all’albo non sono esattamente un’esigua minoranza, secondo i dati più aggiornati ci sono 110mila persone oggi, in Italia, in possesso di un tesserino. Quando si parla di giornalisti di fatto mi riesce difficile pensare che non abbiano ottenuto o non possano ottenere in questi mesi, se di fatto stanno svolgendo un lavoro giornalistico, il riconoscimento dagli ordini regionali di appartenenza. La legge in questa formulazione a mio avviso non lascia fuori nessuno. Abbiamo numeri molto cospicui, per questo quando sento parlare della necessità di liberalizzare l’accesso alla professione so per certo che il verbo rischia di essere fuorviante, perché fa pensare che ci siano ristrettezze che dobbiamo allargare. Invece no, bisogna qualificare e dare criteri diversi e più selettivi perché se no questo allagamento finirà per far annegare tutti, come già purtroppo sta rischiando di fare.
Non si parla però di cifre, che saranno poi definite dalla Commissione: secondo la Fnsi a quanto ammonta un “equo compenso”?
Abbiamo usato nelle campagne di questi anni un’espressione che aveva la forza dello slogan e però indica una sostanza: che un giornalista sia pagato quanto una collaboratrice domestica per ciascuna ora di lavoro. Ricordo che in uno dei momenti decisivi di questa battaglia, quando arrivammo a varare all’autunno del 2011 la carta di Firenze, era da poche settimane accaduta la tragedia di Barletta in cui morirono cinque lavoratrici in un fabbricato vecchio che si sbriciolò seppellendole. Qualcuno dei colleghi precari presenti, commentando la tragedia di queste lavoratrici pagate quattro euro all’ora, disse, al netto del dramma dell’edificio crollato: «Magari fossi pagato quattro euro all’ora, perché vorrebbe dire che alla fine della giornata ho messo insieme 30-40 euro». Nel giornalismo italiano di oggi, anno 2012, ancora molti, troppi colleghi, sono lontani da questa soglia di decenza. Ma come in ogni trattativa non si decide da soli. Noi andiamo con la più ferma ostinazione a portare questi colleghi fuori dal caporalato.
Ma con quest’ultima versione del testo, i soldi pubblici dei contributi per l’editoria verranno tolti o no alle testate che non rispettano l’equo compenso?
È uno scandalo al quale finalmente si pone fine, il fatto che si possa avere soldi pubblici senza impegnarsi a rispettare regole di civiltà, di dignità e soprattutto l’articolo 1 della Costituzione. Non si può prendere soldi dalla Repubblica italiana fondata sul lavoro, schiavizzando i lavoratori.
Nella proposta di legge non c’è alcun riferimento ai tempi di pagamento, altro grande problema per i freelance: non si poteva fare di più?
Questo è un tema che sta anche nel contratto: dovrà essere nostra cura come sindacato fare in modo che ottenga un carattere ancora più stringente. Ma il punto è avere la forza collettiva di far rispettare le norme: i contratti e le leggi non basta scriverli, perché se non c’è un movimento reale che sostiene questi principi, allora rimangono inattuati. La bella novità di questi anni è che il movimento reale dei colleghi precari e freelance e con loro del sindacato e dell’ordine c’è, è cresciuto. Ed è uno dei fattori principali che ha prodotto questa legge.
Il Senato ha approvato martedì 13 novembre un emendamento della Lega sulla riforma della diffamazione che prevede il carcere fino a un anno per chi diffama con l'attribuzione di un fatto preciso o in alternativa multe da 5mila a 50mila euro. Qual è l'opinione del sindacato?
Che questo voto esprime nella maniera più chiara il livore che anima tanta parte del ceto politico nei confronti dei giornalisti. Questo è un voto nel quale si esprime la voglia di vendetta, il rancore magari per le cronache di questi mesi che hanno riguardato questo o quel partito. È un motivo in più, da parte nostra, per sperare che questo pasticcio giuridico, che non merita di essere chiamato legge, finisca su un binario morto.
Marianna Lepore
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