Categoria: Notizie

Come cambia il mondo della consulenza, ora si apre ai laureati in materie umanistiche

Un corso accelerato di economia, finanza e organizzazione pensato per giovani che hanno un background di studi umanistico ma sognano la consulenza – un ambito professionale in netta crescita, che anno dopo anno offre sempre più opportunità di stage e lavoro e condizioni contrattuali e retributive molto migliori della media. Ma queste opportunità sono spesso riservate a chi ha lauree di tipo scientifico – Ingegneria in testa, ma anche Matematica, Statistica, Informatica... – le cosiddette “Stem” o tutt'al più, nell'alveo delle lauree umanistiche, quella più “di confine” e cioè Economia.Bip, la più importante società di consulenza a matrice italiana – uno sviluppo impetuoso nell'ultimo decennio che l'ha portata ad avere oggi oltre 2.400 dipendenti, di cui più di 2mila in Italia, e sedi in Inghilterra, Spagna, Turchia, Brasile, Belgio, Svizzera, Stati Uniti, Emirati Arabi, Cile e Colombia – ha aperto le candidature per la seconda edizione del progetto BipBootcamp, un “programma intensivo di Business & Management Induction” con quindici posti a disposizione. Ad oggi sono già arrivate circa 150 application, ma c'è ancora tempo – fino a venerdì 2 agosto – per candidarsi.I selezionati cominceranno il percorso formativo il 13 settembre a Milano: cinque settimane (una in più rispetto alla prima edizione) di corso intensivo al Politecnico di Milano – il Bootcamp è infatti realizzato in collaborazione con il MIP, che mette a disposizione spazi e docenti – cui fa seguito uno stage formativo in Bip e poi nella stragrande maggioranza dei casi l'assunzione in azienda.«Ci rivolgiamo principalmente a giovani che a diciott'anni si sono innamorati di un percorso di studi senza avere un'idea chiara di quello che era il mondo del lavoro e poi, una volta laureati, si sono resi conto che i posti di lavoro “tradizionali” a cui quelle competenze davano accesso non soddisfacevano le loro ambizioni, e inoltre erano sempre meno numerosi» spiega Carlo Capé, AD di Bip: «Vogliamo intercettare coloro che hanno voglia di cambiare percorso professionale». Per la prima edizione del BipBootCamp, l'anno scorso, l'ufficio HR di Bip ha ricevuto complessivamente 175 candidature.Portare in un'azienda che finora ha assunto quasi esclusivamente economisti e ingegneri una pattuglia di letterati e scienziati politici è un azzardo, ma «noi avevamo bisogno di persone un po' diverse dal solito, e loro avevano di un percorso professionale diverso dallo standard», dice ancora Capé: «una magica combinazione di obiettivi e intenti».Il mondo della consulenza è del resto in un momento di profonda trasformazione: «Si sta evolvendo da un atteggiamento puramente tecnico a un atteggiamento più di visione» spiega Capé: «Nei progetti che in Bip seguiamo per i nostri clienti tutti gli elementi della consulenza passano da essere di breve termine e di tipo tecnico a essere di più di lungo termine, di prospettiva. Per fare un esempio: un tempo facevamo il ridisegno dei processi, la riduzione dei costi, cavalli di battaglia “storici” della consulenza. Ci siamo accorti adesso che questi sono fatti tecnici: migliorano sulla carta, e magari anche nella realtà, le performance dell'azienda, ma non è detto che lascino soddisfatti i dipendenti dell'azienda, che sono quelli che lavorano sui processi, e nemmeno che accontentino pienamente il cliente. Bisogna dunque cominciare a lavorare su aspetti relazionali, psicologici, esperienziali dal punto di vista dei progetti».Sta cambiando insomma la relazione dei consulenti con i propri clienti: «Non è più: ho vinto un progetto, lavoro col cliente per i prossimi tre, sei mesi» dice Capé: «Ora quando si vince un progetto si entra in relazione con un cliente con l'obiettivo di stabilire una partnership che duri anni, per aiutarlo a cambiare l'azienda, a farla diventare più sostenibile. E qui ci vuole una forma mentis non puramente tecnica, ma molto più visionaria. Per tutto questo i classici ingegneri – come il sottoscritto! – sono utilissimi, ma sono altrettanto utili persone che abbiano una preparazione più umanistica, più ampia». Ecco spiegato perché adesso più di prima un laureato in filosofia, o in lingue o in legge può trovare spazio in una società di consulenza manageriale.Certo, però, non bisogna negare che alcune competenze chi ha fatto percorsi umanistici non le può avere: il “gap tecnico” è un tema rilevante. «Di solito non c'è un gap bensì proprio uno zero assoluto», scherza Capé, «nel senso che gli esami di economia non vengono fatti di solito al di fuori delle facoltà economiche».Secondo l'AD di Bip il mestiere del consulente vede prevalere tre ingredienti, il primo: «intelligenza e buonsenso, cioè essere capaci in modo innato ad aiutare a risolvere situazioni: qui si tratta di una predisposizione naturale, abbastanza indipendente dalla preparazione accademica, e se vogliamo anzi facoltà di tipo umanistico-sociologico possono aiutare in questo senso». Il secondo ingrediente è «la capacità empatica e maieutica: andiamo ad affrontare clienti che ci chiedono aiuto, magari con soluzioni in qualche modo preconfezionate e già usate da altre parti, ma con la capacità di mettere il cliente in grado di tirare fuori la soluzione, senza che gliela imponiamo noi: e questa è una capacità ancora una volta di tipo psicologico e personale che prescinde dal corso di laurea».E poi c'è, innegabilmente, la formazione tecnica, che è quella in cui si concentra il famoso gap. Ma la formazione tecnica, assicura Capé, «serve... ma fino a un certo punto. Le cose studiate all'università sono utili, ma non capiterà mai un cliente che ci chieda una cosa esattamente così come l'abbiamo studiata sui libri. C'è dunque un lavoro di studio continuo sui meccanismi produttivi delle attività di ciascun cliente, ogni consulente deve essere capace di focalizzare come funziona ogni azienda: se ho un cliente che produce sci, o che vende energia, dovrò studiare nello specifico come funzionano quei mercati”. Dunque sì, i laureati umanistici del BipBootCamp rispetto a questo terzo ingrediente partono con un gap: ma niente che non si possa colmare.Nessun grande cambiamento nella seconda edizione del BipBootCamp rispetto alla prima – il tetto massimo di partecipanti che verranno ammessi è fissato anche quest'anno a 15 persone, e il costo è rimasto invariato, 1500 euro + Iva. Unica differenza, l'allungamento del periodo in aula da quattro a cinque settimane. «Dal punto di vista dei contenuti siamo stati molto soddisfatti» conferma Capé: «L'unica cosa su cui abbiamo voluto apportare un miglioramento è la “compattezza” del programma, forse eccessiva nella prima edizione. Perché uno può anche avere una super concentrazione però... il cervello umano ha una determinata capacità di ricezione. Il progresso sarà quindi, anche per le prossime edizioni, non tanto sui contenuti quanto sulla diluizione maggiore: vogliamo permettere alle persone di fare le cose con un po' più di calma, avere più tempo per lasciar “maturare” le nuove competenze. Non abbiamo troppa fretta: non ci corre dietro nessuno».

Le migliori policy per i giovani: premiate le dieci aziende eccellenti del 2018

Una volta all’anno la Repubblica degli Stagisti premia le aziende che si sono distinte per un particolare dettaglio della propria policy verso i giovani. I primi “AwaRdS” (gioco di parole tra “award”, che in inglese vuol dire “premio”, e RdS che è l'acronimo del nome di questa testata) sono stati conferiti nel 2014 e da allora molte aziende si sono succedute nel riceverli. I premi vengono assegnati dopo aver valutato i dati relativi all’anno precedente, dato che un punto fondamentale dell’attività della Repubblica degli Stagisti è proprio quello di coinvolgere le aziende del suo network in una “operazione trasparenza”, chiedendo loro di fornire anno per anno informazioni dettagliate sul numero di tirocinanti accolti, il numero di stage trasformati in contratti di lavoro, i dettagli sulle tipologie di inquadramento utilizzate, le assunzioni di under 30 effettuate senza passare attraverso lo stage, le condizioni economiche offerte – non solo l’entità dell’indennità mensile ma anche eventuali altri benefit come i buoni pasto, le agevolazioni per l’alloggio, il rimborso dei mezzi pubblici o altro – e poi anche informazioni su altre attività che coinvolgono i giovani, come la disponibilità ad ospitare studenti in alternanza scuola lavoro o la presenza di programmi particolari per i giovani, tipo “graduate program”. Dieci sono quest’anno le aziende hanno vinto gli “AwaRdS” 2019; i premi sono stati consegnati nel corso di “Best Stage”, l'evento annuale che la Repubblica degli Stagisti organizza per fare il punto sul tema dell'occupazione giovanile in Italia.Ecco l’elenco completo dei vincitori, con le motivazioni.Awards speciale “Welfare per gli stagisti”.Vince: DanoneMotivazione:
proprio nel corso dell'evento “Best Stage 2019” Sonia Malaspina, direttrice HR Sud Est Europa di Danone, ha raccontato la decisione presa da Danone a partire da giugno 2019: l’estensione del welfare aziendale – frutto della contrattazione di secondo livello e che ad oggi è pari a un importo annuale di 2mila euro – a chi fa un'esperienza di stage all’interno dell’azienda, in un'ottica di responsabilità sociale di impresa e di inclusione.[nella foto, Malaspina è con Eleonora Voltolina e Gennaro De Falco, il sindacalista della Fai Cisl che ha sottoscritto la modifica del contratto integrativo per includere gli stagisti nel piano di welfare aziendale]AwaRDS per il “miglior rimborso spese”.
Vincono: Everis e FerreroMotivazione:Everis offre un rimborso spese mensile di 1000 euro al mese per tutti + buoni pasto da 5,29 euro e notebook aziendale.Ferrero offre un rimborso spese mensile di 1000 euro per tutti + mensa + laptop, sportello commissioni e spaccio aziendale. AwaRDS per il “miglior tasso di assunzione post stage”.
Vincono: Everis, Spindox, MedtronicMotivazione: Tutte queste aziende hanno assunto oltre il 90% degli stagisti ospitati nel 2018, facendo loro un contratto di almeno 12 mesiIn particolare:Everis → 177 stage, di cui 6 curriculari, attivati nel 2018 su 873 dipendenti,Spindox → 27 stage, di cui 8 curriculari, attivati nel 2018 su 650 dipendentiMedtronic → 39 stage attivati nel 2018 su 887 dipendentiMenzione speciale a Bip, che ha raggiunto proprio esattamente il 90% di assunzioni sui 271 stage attivati nel 2018; e anche a Fonderie di Montorso, JSB e Sic, che hanno superato il 90% ma su numeri di stage troppo ridotti per poter dare accesso all'AwaRdS.AwaRDS per la “miglior performance di assunzioni dirette di giovani” 
Vincitori: SDG e BIP Motivazione: In particolare:SDG nel 2018 ha assunto senza passare attraverso lo stage 56 under 30, su un organico di 220 dipendentiBIP nel 2018 ha assunto senza passare attraverso lo stage 279 under 30, su un organico di 1.774 dipendentiAwaRDS Super-speciale piccola impresaVincitore: Nike GroupMotivazione: la performance 2018 di Nike è straordinaria: offre agli stagisti un rimborso spese mensile di 1000 euro al mese; ha contrattualizzato oltre il 90% degli stagisti (14 stage, di cui 3 curriculari, attivati nel 2018 su 51 dipendenti), e anche ha assunto senza passare attraverso lo stage 8 under 30.[nella foto, il momento in cui Eleonora Voltolina ha consegnato l'AwaRdS a Giulia Costanzo e Andrea Bottini, rispettivamente HR specialist e Digital Content specialist di Nike Group]AwaRDS Speciale Lavoro Agile
Vincitori: Nestlé e Danone Company Motivazione: le aziende dell'RdS network che hanno aderito lo scorso maggio alla Settimana del lavoro agile indetta dal Comune di Milano. Questo AwaRdS è infatti stato ideato grazie alla collaborazione tra la Repubblica degli Stagisti e il Comune di Milano.AwaRDS Speciale Women in Stem
Vincitore: EYMotivazione: a cavallo tra la fine del 2018 e l'inizio del 2019 la percentuale di giovani donne assunte di EY è passata dal 30 al 45%, sopratutto grazie all'iniziativa “Women of EY” avviata nell'autunno 2018 per aumentare gli inserimenti al femminile. Il progetto consiste in due appuntamenti mensili con assessment di gruppo riservati a ragazze; non semplicemente un momento di selezione, bensì anche di confronto e di condivisione, con incontri con manager donne che si raccontano alle candidate per sfatare i “falsi miti” che spesso allontanano le donne dal settore della consulenza.Naturalmente le aziende vincitrici possono cambiare cambiano di anno in anno; alcune riescono a ottenere lo stesso premio per più anni consecutivi, ma l’idea di fondo è che gli AwaRdS siano ogni anno contendibili da tutte le aziende che fanno parte dell'RdS network: il discrimine è esclusivamente la performance dell’anno prima e il confronto con le “colleghe” aziende virtuose.Oltre a quelle che hanno vinto uno o più Awards, è importante segnalare anche quelle che si sono aggiudicate il “Bollino OK Stage”, il primo e forse più famoso marchio della Repubblica degli stagisti, cioè il bollino di qualità che “certifica” il rispetto totale dei principi della Carta dei diritti dello stagista, compreso quello dell’obiettivo di trasformare almeno il 30% degli stage in contratti di lavoro. Delle 34 aziende che ad oggi fanno parte del network della Repubblica degli stagisti – in realtà le aziende sono più di ottanta, perché alcune di esse sono dei gruppi formati da più aziende – nel 2019 ben 27 hanno ottenuto il Bollino OK Stage, sempre per le performance 2018: Aon, Arval, Bip, Cefriel, Danone, Everis, EY, JSB, HBG, Ial Lombardia, Infocert, Ferrero, Fonderie di Montorso, Mars, Marsh, Medtronic, Mercer, Meta System, Nestlé, Noovle, Nike, Prometeia, Gruppo Sapio, SDG, SIC, Spindox e Tetra Pak.

Compensi, probabilità di assunzione, policy: una grande ricerca fa luce su come funzionano gli stage – anche i curricolari!

Il tirocinio è lo strumento in assoluto più utilizzato, negli ultimi anni, come politica attiva del lavoro. Ma come viene utilizzato? Quali sono le procedure, le policy, le condizioni offerte gli stagisti, i risultati occupazionali? Il Comune di Milano ha deciso di dedicare un approfondimento a questo tema e l’ha affidato a Eleonora Voltolina, la giornalista fondatrice della testata giornalistica online Repubblica degli Stagisti. Il risultato è una mappatura che è arrivata a coinvolgere quarantadue soggetti promotori attivi sul territorio di Milano, e a censire complessivamente 73mila tirocini, tutti attivati nel corso del 2017 da università, agenzie per il lavoro, associazioni, fondazioni, consorzi. I risultati sono stati presentati oggi a Milano nel corso di “Best Stage”, l'evento annuale della Repubblica degli Stagisti dedicato all'occupazione giovanile. 

“Il Comune torna a porre l'attenzione sull'accesso al lavoro per i giovani e sullo strumento dello stage” ha detto Cristina Tajani, assessora al Lavoro. E Milano si conferma effettivamente capitale degli stagisti: con 11mila tirocini extracurricolari avvenuti sul territorio del Comune e oltre oltre 5.600 nell’area della Città metropolitana, il totale è quasi 17mila tirocini extracurricolari che hanno avuto luogo nel 2017 a Milano e che la mappatura è riuscita a tracciare.
 A questi vanno sommati i 10mila curricolari attivati sempre nel 2017 a Milano città e i 4mila curricolari della Città metropolitana, per un totale di 14mila. 17mila più 14mila significa un piccolo esercito di 31mila persone che nel 2017 hanno fatto uno stage a Milano. E attenzione, si tratta di un numero per difetto, perché la mappatura ha raccolto i dati di molti soggetti promotori, ma non di tutti! Dunque questo numero è, per così dire,  “prudenziale”. Tra i risultati più importanti, il focus su quelli curriculari, per i quali non esiste nessuna rilevazione sistematica ufficiale e che quindi rimangono sempre nell’ombra. Questa mappatura ha permesso invece di censire oltre 22mila tirocini di questo tipo avviati nel 2017: in particolare 21mila sono quelli attivati dalle università ubicate sul territorio di Milano (tutte tranne la Bicocca hanno partecipato alla mappatura).

Lo spaccato sui tirocini curriculari permette di capire meglio come le università e gli altri enti formativi gestiscano questi percorsi “on the job” per i propri studenti. In oltre il 70% dei casi gli stagisti curricolari hanno meno di 25 anni. Dei 22mila mappati, oltre 7.500 erano studenti di triennale, quasi 12mila studenti di specialistica, e poco più di 2mila allievi di master o dottorati.

Poiché i tirocini curricolari si  svolgono durante periodo di studi, spesso potrebbe essere utile avere una formula “part-time” che consentisse al giovane di non dover interrompere completamente l'attività di studio. Purtroppo la modalità part-time non è ancora così diffusa: ha riguardato solo il 15% circa degli stage curricolari mappati.

C’è poi l’importante tema della sostenibilità economica. Fermo restando che per i curricolari non vige l’obbligo di erogare una indennità mensile, come invece accade per gli extracurricolari, quanto spesso gli stagisti curricolari ricevono una indennità mensile? 
Il 38% dei partecipanti alla mappatura purtroppo non monitora questo aspetto: questi soggetti promotori non hanno dunque idea se i loro tirocinanti curricolari ricevano o no un compenso.
 Stando alle risposte di chi monitora, purtroppo i tirocini curricolari sono ancora il più delle volte gratuiti (nel 90% dei casi in Statale, nel 100% in Formaprof e Cnos). Altro aspetto, la probabilità di assunzione post stage. Premesso che i curricolari non hanno come principale obiettivo quello dell’inserimento lavorativo, non bisogna però dimenticare che vengono abitualmente inquadrati come “curricolari” anche un gran numero di stage finalizzati alla redazione della tesi di laurea (i cosiddetti “stage per tesi”): e quando un tirocinio curricolare viene effettuato da un laureando la prospettiva di assunzione post stage acquisisce una certa rilevanza.

 Ciononostante, solamente il 30% dei soggetti promotori monitora la percentuale degli stage curricolari che si trasformano in contratto di lavoro: e tra questi nessuna delle istituzioni universitarie milanesi.

Il focus sulla extracurriculari, invece, permette di tracciare quei tirocini che vengono svolti dopo aver completato gli studi: dalla mappatura emerge che quasi un quarto degli stage extracurricolari viene effettuato da persone che hanno smesso di studiare da oltre tre anni. 
Qui giocoforza gli stagisti sono più “vecchi”: hanno nel 13% dei casi meno di vent'anni; c'è poi un 37% di giovani tra i venti e i venticinque anni, un 35% tra i ventisei e i trentacinque anni, e un 15% di over 35.

In media i gli stage extracurricolari durano di più rispetto ai curricolari. La durata più frequente – 42% del totale – è quella dei classici sei mesi, ma poi c'è una percentuale molto significativa di stage tra i sei e gli undici mesi (12%) e ancor più significativa di stage di un anno (21%). Ai soggetti promotori che hanno partecipato alla rilevazione è stato anche chiesto di dare un voto ai soggetti che materialmente ospitano gli stagisti. Il risultato? Le piccole aziende non sembrano molto ferrate su cosa sia una stage - prendono quattro e mezzo su questo punto - ma fanno un po’ meglio sul fronte dell’attenzione dedicata ai tirocinanti, arrivando a un 6,4. Gli enti pubblici, sia centrali sia locali, prendono voti molto bassi (sei risicato) per quanto riguarda l’attenzione verso lo stagista, ma vanno meglio quando ad essere valutata è consapevolezza su cosa sia uno stage. 

In entrambe le valutazioni, il punteggio più alto viene ottenuto dalle grandi imprese: sembra quindi che in questo tipo di realtà lo stage venga utilizzato meglio, con più cognizione di causa e cura verso la qualità formativa dei percorsi offerti ai tirocinanti. Ma mancano alcune informazioni importanti: sono davvero pochi i soggetti promotori che monitorano l'entità delle indennità ricevute dai propri stagisti, e l'esito occupazionale degli stage – sia nella modalità dell'assunzione diretta da parte dell'azienda che ha ospitato il tirocinante, sia nella circostanza indiretta e cioè quando una persona che ha appena terminato un tirocinio viene assunta da un'altra parte, presumibilmente per le competenze apprese proprio durante il periodo di stage. Come ha ricordato anche Maurizio Del Conte – giuslavorista e già presidente dell'Anpal – durante la presentazione dei risultati, incrociando le informazioni delle Cob (le comunicazioni obbligatorie) con il codice fiscale delle persone che hanno fatto un tirocinio il risultato occupazionale si potrebbe tracciare senza troppe difficoltà. Perché, allora, lo si fa così poco? 
A proposito invece di indennità mensile: l’introduzione di questo obbligo, avvenuta a partire dal 2012-2013, era stata a lungo osteggiata: i detrattori sostenevano che avrebbe finito per far ridurre il numero di opportunità di stage a disposizione dei giovani. Ma oltre ai dati diffusi ogni anno dal Ministero del Lavoro ora vi sono anche le voci dirette dei soggetti promotori: oltre il 90% di quelli che hanno partecipato alla mappatura ha confermato di non aver rilevato una diminuzione del numero di opportunità di tirocinio extracurriculare: anzi, oltre un terzo ha risposto addirittura che, al contrario, il numero di tirocini extracurricolari attivati è aumentato dopo il 2013. Ma l'ammontare medio di queste indennità di stage non è alto. Il 41% dei tirocini extracurricolari mappati prevedeva una indennità inferiore a 500 euro al mese: e se è vero che per la normativa regionale lombarda fino a pochi mesi fa indennità inferiori a 500 euro non erano tecnicamente “illegali”, ciò non toglie che siano molto basse e non mettano gli stagisti in grado di mantenersi autonomamente in città care come Milano. Risulta poi un 37% di stage la cui indennità è collocata tra i 500 e i 750 euro al mese, e solamente un 22% che prevede un rimborso spese superiore ai 750 euro. 

Questo ovviamente è un problema, sopratutto se lo si mette in relazione al dato sui tirocinanti “fuori sede”, pari in generale al 27%, che devono affrontare oltre a tutto il resto anche il costo di un alloggio in affitto. Questa mappatura rappresenta un aggiornamento e ampliamento di una prima mappatura che era stata  realizzata alla fine del 2011 sempre per l’assessorato al Lavoro del Comune di Milano e sempre dalla Repubblica degli Stagisti.
 La mappatura 2019 ha coinvolto quarantadue soggetti promotori, quando la mappatura del 2012 ne aveva coinvolti solamente undici; ed è più che triplicato il numero degli stage che la mappatura 2019 è riuscita a “censire” rispetto alla precedente – se nel 2012 i dati raccolti erano riferiti complessivamente a circa 23.600 stage realizzati nel 2010, questa è riuscita a raccogliere informazioni su 73mila stage attivati nel 2017.Il testo integrale con i risultati della mappatura è scaricabile in pdf qui  

Tirocini extracurriculari, l'Italia è ancora divisa in due

Sui tirocini l’Italia è ancora divisa. I dati della Fondazione Consulenti del Lavoro, probabilmente il più importante soggetto promotore di tirocini in Italia, fotografano due paesi distinti. Il maggior numero di percorsi extracurriculari attivati si registra a Sud, ma è nel Settentrione che le opportunità si trasformano più spesso in contratti di lavoro. Il dubbio, neanche troppo velato, è che qualcuno abusi dello strumento per trovare manodopera a buon mercato senza mai arrivare alla sospirata firma. Un boomerang per i giovani che sperano di avviare una carriera, che ha indotto alcuni enti pubblici (come l'Emilia Romagna) ad aumentare controlli e sanzioni.L’occasione per tirare le somme è venuta dal Festival del Lavoro, in scena a Milano dal 20 al 22 giugno. Di fronte a una platea qualificata formata da tecnici ed esperti, alcuni dei nomi più importanti a livello nazionale: dirigenti di Inps, Anpal, assessori regionali. Nella sessione plenaria è stato avvistato anche il vicepremier Matteo Salvini. L’unico grande assente è stato proprio il ministro del Lavoro Luigi Di Maio, che ha dato forfait all’ultimo.«Nel 2018 abbiamo attivato circa 27mila tirocini extracurriculari» ha rivelato il presidente della Fondazione Vincenzo Silvestri anticipando il Rapporto che sarà diffuso solo a settembre. Si tratta di un numero che, rapportato al totale dei tirocini extracurricolari attivati in Italia, rappresenta l'8,2% del totale: la quantità di attivazioni gestite da Fondazione Lavoro è quasi raddoppiata in cinque anni – se si pensa che nel 2013 l'agenzia dei consulenti del lavoro aveva attivato “solo” il 4,9% di tutti i tirocini a livello nazionale.In particolare, la Fondazione nel 2018 è stata soggetto promotore di quasi 6mila tirocini (per la precisione 5.869) nella sola Regione Lombardia; a seguire il Veneto con poco più di 4.700, la Campania con 3.700, il Lazio con quasi 2.600, il Piemonte con quasi 1.800, la Puglia con 1.600. «Il 60% di questi è stato trasformato in contratti». Un risultato «soddisfacente, possibile grazie ai nostri delegati che lavorano fianco a fianco con le aziende del territorio e ne conoscono i bisogni» ha aggiunto Luca Paone, vicepresidente dell’agenzia. Secondo Mauro Capitanio, consulente del lavoro che è stato presidente della Fondazione Lavoro per due mandati tra il 2012 e il 2018, il fatto che nel 2018 sia «aumentato il tasso di trasformazione dei tirocini smonta la teoria che il tirocinio sia una forma surrettizia per non pagare i contributi»; esso si dimostra, invece, «un investimento che l'azienda fa sul ragazzo, per poi inserirlo».I dati dell'anteprima del Rapporto curato dall'Osservatorio della Fondazione tracciano l'esito occupazionale degli stage 2013-2018 registrando la situazione contrattuale entro i sei mesi dalla conclusione del percorso formativo: la maggior parte degli stagisti assunti (38,9%) ha un contratto a tempo determinato; una percentuale simile (35,2%) ha un apprendistato, e un 20,3% un contratto a tempo indeterminato.La percentuale di assunzione post stage per i tirocini della Fondazione Lavoro è pari a 60,2%, ma se poi si va a spacchettare il dato per aree geografiche, a fronte delle Regioni del Nord dove il dato è pari a 63,5% e di quelle del Centro dove ad essere assunti sono stati il 62,5% dei tirocinanti passati attraverso la Fondazione, per le Regioni del Sud questa percentuale sprofonda di quasi dieci punti percentuali, fermandosi a 54,7% – che è, comunque, più della media nazionale rilevata dal Ministero del Lavoro.Allargando lo sguardo, Capitanio evidenzia come questi tirocini abbiano generato «59.700 posti di lavoro senza nessun costo per il sistema pubblico», in quanto i tirocini gestiti dalla Fondazione non prevedevano finanziamenti pubblici.Ma il tallone d’Achille resta la formazione. «I profili richiesti dalle aziende oggi sono spesso molto qualificati: la scuola non garantisce queste competenze» prosegue Silvestri: «Per questo è difficile che un’impresa si lasci scappare un dipendente che è stata costretta a formare internamente proprio perché il sistema dell’istruzione non fornisce abilità in linea con le esigenze del mercato».Dal Rapporto Tirocini  emerge, inoltre, una variazione di tendenza: mentre in passato a selezionare queste figure erano soprattutto le imprese del terziario, nel 2018 in prima linea sono passate le aziende attive nel settore industrial-produttivo e nel turismo.Lo spaccato dei profili racconta che oltre un tirocinio su sette, tra quelli promossi dalla Fondazione, riguarda la mansione di commesso: sono stati quasi 4.200 gli stage per profili di  “commessi delle vendite al minuto”. In seconda posizione, molto distanziati, i profili di “addetti a funzioni di segreteria” (poco meno di 2mila attivazioni) e a seguire i poco più di mille tirocini per profili di “baristi e professioni assimilate”.Un’altra interessante rilevazione focalizzata dai consulenti del lavoro – peraltro non una novità – è che la formazione tecnica offerta dagli ITS è quella che offre le migliori prospettive di impiego a breve termine. Secondo le statistiche, il tasso di allievi che trovano un’occupazione nei primi sei mesi dal diploma oscilla tra l’85 e l’89%. La Fondazione Lavoro sostiene, quindi, il tirocinio come strumento tra i più validi nell'ambito delle politiche attive volte a colmare i "fallimenti" del mercato del lavoro; quelle situazioni, cioè, in cui domanda e offerta non si incontrano in maniera spontanea. La responsabilità di completare la formazione passa dalla collettività alla singola azienda, determinando uno sgravio per il sistema dell'istruzione - che difficilmente riesce a restare sulla frontiera dell'innovazione tecnica e manageriale - e un vantaggio per il giovane, che riceve competenze aggiornate. Ma ci guadagna anche l'impresa, che trasmette valori e metodi di lavoro a soggetti perlopiù freschi di studi, e quindi potenzialmente più ricettivi. La filosofia della formazione interna ha preso piede da anni nel mondo delle corporations anglosassoni, dove "graduate programs" pluriennali  propongono agli aspiranti dirigenti una crescita graduale e "dal basso". Ispirandosi forse all'ambito sportivo, dove c'è una lunga tradizione in questo senso, di cui Barcellona con la sua "cantera" e l'Ajax sono gli esempi più noti.

Almalaurea, sale il tasso di occupazione dei laureati ma le retribuzioni restano ancora troppo basse

Tutto sommato ai laureati italiani non andrebbe poi così male dal punto di vista occupazionale. I dati annuali di Almalaurea, presentati nei giorni scorsi alla Sapienza di Roma, parlano di un tasso di occupazione – che include gli stage con borsa di studio – che «è pari, a un anno dal titolo, al 72,1% tra i laureati di primo livello e al 69,4% tra i laureati di secondo livello del 2017» si legge nel comunicato. E c'è un miglioramento rispetto per esempio a quattro anni fa, con una crescita «di 6,4 punti percentuali per i laureati di primo livello e di 4,2 per i laureati di secondo livello». «Segnali positivi» secondo Almalaurea, benché un 30% di senza lavoro a un anno dalla laurea non possa considerarsi un buon risultato. Per di più tali percentuali «non sono ancora in grado di colmare la significativa contrazione del tasso di occupazione osservabile tra il 2008 e il 2014 (-17,1 punti percentuali per i laureati triennali; -15,1 per i magistrali)». Dopo cinque anni va meglio. Gli occupati salgono all'88,6% per la laurea di primo livello, all’85,5% per i laureati di secondo livello. E anche qui le curve sono in ascesa rispetto agli anni precedenti. Si tratta di medie naturalmente. Perché se da una parte 'i soliti noti', ovvero le lauree del gruppo ingegneristico, economico-statistico e medico, raggiungono il picco dell'89% di occupati, per chi ha scelto lauree del gruppo giuridico, letterario, psicologico e biologico, i disoccupati sono ben il 20%. Addirittura il tasso di occupazione dei laureati magistrali a ciclo unico del gruppo giuridico  a cinque anni dal conseguimento del titolo  è un avvilente 76%. In generale si può però continuare a dire che studiare paghi e che prendere la laurea convenga perché «i laureati godono di vantaggi occupazionali importanti rispetto ai diplomati di scuola secondaria, che si fermano al 65,7% nella fascia dai 20 ai 64 anni» si legge nel report.L'aspetto che invece continua a non decollare è quello delle retribuzioni. Lo stipendio medio a un anno dalla laurea è di «1.169 euro per i laureati di primo livello e a 1.232 euro per i laureati di secondo livello». Un aumento in realtà si rileva, spiega lo studio: 13 e 14 punti in più rispettivamente per i due gruppi. Ma il trend «non è ancora in grado di colmare la significativa perdita retributiva registrata nel periodo più difficile della crisi economica che ha colpito i neolaureati, ovvero tra il 2008 e il 2014». In quegli anni gli stipendi di chi si laureava calarono del 22 e del 17 per cento.E neppure dopo un quinquiennio dal titolo il quadro dei laureati di oggi diventa roseo. «La retribuzione mensile è pari a 1.418 euro per i laureati di primo livello e 1.459 euro per quelli di secondo livello». Piccoli segnali di ripresa ci sono, ma anche qui essi «non sono in grado di colmare la perdita retributiva intervenuta nel periodo 2012-2015».Non stupisce allora che sia quasi la metà la quota di laureati che si dice disposta a andarsene all'estero per lavorare. Sono oggi il 47,2%, quando «erano il 39,9% nel 2008». Uno su tre dichiara di essere disponibile a trasferirsi addirittura in un altro continente. «La realtà è che se ne vogliono andare» sbotta in uno dei panel finali del convegno Giuseppe Cirino della Federico II di Napoli [nella foto sopra]. «E l'università deve essere considerata responsabile se il suo capitale umano se ne va da un'altra parte alla prima offerta di lavoro, per una posizione migliore» continua, «per poi tornare in Italia solo per turismo». Sono gli stessi dati di Almalaurea a confermarlo: «Il premio salariale della laurea rispetto al diploma, in Italia, di circa il 38%, non è elevato come in altri Paesi europei: la media Ue è del più 52%, in Germania si sale a più 66 e in Gran Bretagna a più 53».La laurea almeno «consente di reagire meglio ai mutamenti del mercato del lavoro, disponendo chi si laurea di strumenti culturali e professionali più adeguati» sottolinea il report. E proprio per questo è sbagliato pensare che «l'università debba rispondere alle esigenze estemporanee di un mercato che cambia molto velocemente trasferendo competenze professionalizzanti» ragiona durante il dibattito Francesco Ferrante dell'università di Cassino, quando invece «si deve creare un sapere che deve durare tutta la vita e modularsi sulla base dei cambiamenti, che non crei vantaggi solo in entrata». Ma ciò non basta a frenare la fuga, e la colpa, rincara la dose Cirino, «è di voi accademici che siete sempre rivolti verso il passato e non verso il presente che va a una velocità stratosferica».Anche il sistema aziendale ha le sue falle. «È proprio il tessuto imprenditoriale italiano, fatto di piccole e medie imprese per lo più, a non capire spesso quali siano le proprie esigenze occupazionali», fa notare Ferrante. Ne consegue che i laureati saranno poco valorizzati se le imprese non sanno capirli, se si rifiutano perfino talvolta di formarli «lamentandosi che non sappiano fare nulla, quando in tutto il mondo è risaputo che un laureato ha competenze generali che vanno poi declinate in funzione dell'impresa e con costi che sono a carico della stessa».E poi, altra questione nodale, la contendibilità dei posti. «I disoccupati italiani per cercare un impiego hanno fatto ricorso soprattutto a contatti informali, con amici e parenti in primis: ha intrapreso questa strada l’84,1% dei disoccupati in Italia, rispetto al 67,8 della media europea» si legge nell'indagine Almalaurea. In questo modo «di fatto restano penalizzati quanti non hanno un’adeguata rete di relazioni». Perchè quando si apre un posto di lavoro troppo spesso non viene pubblicizzata la posizione aperta, e quindi non si attiva un procedimento trasparente di candidature e selezione.La tesi è inequivocabile: «Il nostro sistema è ancora molto classista» chiosa di Giuseppe Valditara, capo dipartimento per la Formazione superiore e la ricerca del Miur [nella foto a destra]. «I figli del popolo, di chi esercita professioni esecutive, rappresentano appena il 21% della popolazione universitaria». Ergo, «non si favorisce la crescita sociale». E si emigra. Le promesse di investimenti ci sono: «120 milioni di euro per il sistema universitario subito, e altrettanti per le infrastrutture da diluire negli anni». Ma basteranno?Ilaria Mariotti

In anteprima i risultati della mappatura sugli stage a Milano e nuove policy di welfare aperte agli stagisti, ecco Best Stage 2019

Anche quest’anno è arrivato il momento dell’evento annuale “Best Stage” della Repubblica degli Stagisti dedicato all’occupazione giovanile, quest'anno organizzato in collaborazione con l'assessorato al Lavoro del Comune di Milano. Appuntamento dunque per martedì 25 giugno alle 09:45 presso la Sala Vitman dell’Acquario Civico di Milano. Ricchissimo il menù di argomenti che verranno approfonditi [qui la locandina]: in particolare l’evento sarà l’occasione per presentare in anteprima i risultati di una grande ricerca che la direttrice della Repubblica degli Stagisti, Eleonora Voltolina, ha svolto su commissione del Comune di Milano per indagare l’utilizzo dello strumento dello stage. Una ricerca che aggiorna e amplia la mappatura precedente, realizzata sempre della Repubblica degli Stagisti per il Comune di Milano nel 2012. La nuova edizione e però decisamente più ambiziosa: ha coinvolto il quadruplo dei soggetti promotori e “censito” il triplo degli stage, quasi 73mila. Dai dati raccolti, che verranno illustrati dall’assessora al lavoro del Comune di Milano Cristina Tajani insieme a Eleonora Voltolina, si possono trarre molte riflessioni utili su come, quando e perché lo stage possa essere uno strumento valido per entrare nel mondo del lavoro, e quali siano le criticità sulle quali bisogna ancora lavorare: prima fra tutte il monitoraggio della efficacia dello stage nel portare poi a un’assunzione, e la questione della sostenibilità economica.Dei risultati discuteranno in una tavola rotonda Maurizio Del Conte, professore di diritto del lavoro all’università Bocconi e già presidente dell’Anpal, l’agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro; Luca Paone, vicepresidente della Fondazione Lavoro che gestisce l’attivazione dei tirocini per tutti i consulenti del lavoro a livello nazionale, e Wally Sinigaglia,  Employability People Advisor di The Adecco Group, una delle agenzie per il lavoro che hanno partecipato alla mappatura, moderati dalla giornalista Rita Querzé del Corriere della Sera.Un’altra grande notizia che verrà approfondita nel corso di Best Stage 2019 è la recentissima decisione di Danone di ampliare il raggio d’azione del suo piano di welfare, estendendolo – prima azienda in Italia! – anche agli stagisti. Sonia Malaspina, direttrice HR Sud Est Europa di Danone, racconterà questa innovazione e ne discuterà con Gennaro de Falco, sindacalista della Cisl che ha contribuito alla trasformazione di questa idea in una modifica ufficiale del contratto integrativo aziendale che quindi rende duratura nel tempo questa innovazione, e Costanza Ramorino, vicepresidente dell’associazione Valore D che tra i suoi obiettivi ha anche quello di incentivare le aziende alle buone pratiche in tema di welfare aziendale. In questo caso a moderare sarà il giornalista Riccardo Bianchi di FpS Media.Come di consueto, Best Stage sarà anche il momento per fare il punto su tutte le ultime attività realizzate dalla Repubblica degli Stagisti, con un aggiornamento sull’iter della proposta di legge presentata dal deputato Massimo Ungaro per garantire piiù diritti ai tirocinanti curriculari, sul progetto di videopillole informative realizzato nei mesi scorsi con la collaborazione della Cisl Lombardia e in particolare della brillante sindacalista Marta Pepe, e con la premiazione delle aziende virtuose dell’RdS network che quest’anno si saranno aggiudicate qualcuno degli AwaRdS, i premi che la Repubblica degli Stagisti dedica ogni anno alle aziende che si siano particolarmente distinte per un dettaglio della propria policy – come per esempio la performance di assunzione post stage superiore al 90%, o l’indennità mensile più alta a favore dei propri stagisti. L’evento è aperto al pubblico, gratuito fino a esaurimento posti, e ci si può prenotare pre-accreditandosi attraverso questo link. Se vi interessa il tema dell’occupazione giovanile, consideratevi invitati!

Rai, presto una nuova selezione per assumere cento giornalisti nei prossimi tre anni

Una nuova selezione pubblica per giornalisti: questo ha deciso qualche giorno fa il consiglio di amministrazione della Rai. Una decisione che probabilmente deriva dal fatto che la graduatoria dell’ultima selezione, svolta nell’estate del 2015, ha cessato la sua validità a ottobre dell'anno scorso. Una scelta in linea con quanto l’Usigrai aveva chiesto già da mesi e ribadito da Vittorio di Trapani, segretario del sindacato dei giornalisti, alla Repubblica degli Stagisti proprio allo scadere della graduatoria. «In pochi anni arriviamo a fare una seconda selezione pubblica e per me, come sindacato, è un titolo di merito» spiega oggi il segretario: «Sono molto orgoglioso di questo».Insomma: selezione pubblica come strada maestra per assumere giornalisti in Rai. Una buona notizia visto anche che nella storia dell’azienda televisiva due selezioni di professionisti in così poco tempo non c'erano mai state. «Da quando abbiamo fatto la prima selezione», continua il segretario Usigrai, «abbiamo assunto duecento persone. E con la prossima ne assumeremo altre. Una risposta chiara e netta a chi ancora oggi prova a raccontare il luogo comune che in Rai si entra per raccomandazione». Val la pena di ricordare anche le procedure avviate negli ultimi anni per gli interni – giornaliste e giornalisti che in azienda lavoravano già, ma senza il giusto contratto – e nel corso degli ultimi sei-sette anni attraverso altre due selezioni hanno avuto la possibilità di veder riconosciuto il lavoro giornalistico.Quando la decisione del Cda è stata resa nota, sono cominciate a circolare anche ipotesi sui numeri dei giornalisti che saranno selezionati, ma su questo punto è bene essere cauti: «Bisogna prima capire quale sarà la validità della prossima graduatoria per calcolare il cosidetto turn over delle persone che nei prossimi anni andranno in pensione e dovranno essere sostituite», ragiona Di Trapani. E verificare quale sarà l’attuazione del piano industriale. Perché «se la validità coinciderà con l’attuazione e quindi con lo sviluppo urgente sul web è ovvio che sarà necessario calcolare più risorse per dare il via al nuovo piano». Fino ad allora mettere cifre nero su bianco è difficile. Ma probabilmente un numero intorno a cento, lo stesso fissato inizialmente l’ultima volta, è credibile. Del resto «in tre anni i numeri di pensionamenti girano intorno a queste cifre» conferma il segretario Usigrai.Ora il confronto tra azienda e sindacato andrà avanti, partendo dall’esperienza di cinque anni fa e giudicando cosa è stato positivo e cosa invece può essere migliorato. All'epoca c'era stata una prova scritta iniziale a domanda multipla, che aveva coinvolto circa 2.600 candidati, che aveva comportanto una prima scrematura; e poi una seconda fase con altre prove selettive. Tutto sta a vedere se si deciderà di procedere sulla stessa linea o di cambiare.Una cosa però è certa: «Questa volta la selezione sarà fortemente ancorata su base territoriale». Un punto critico della precedente selezione, infatti, fu che a molti dei giornalisti selezionati la Rai chiese trasferimenti in sedi molto lontane dalla propria residenza, e peraltro con dei tempi ristrettissimi per fornire una risposta e lo spauracchio di venire eliminati dalla graduatoria in caso di rifiuto. «L’altra volta era stato adottato un meccanismo simile a quello della magistratura» spiega di Trapani «per cui in ordine di graduatoria si sceglievano i posti disponibili. Determinando però il problema dei trasferimenti». Questa volta, invece, «stiamo valutando dei meccanismi che ancorino al territorio, in modo che ognuno possa aspirare a dei posti disponibili nelle Regioni che gli interessano». I vuoti di organico, infatti, riguardano tutto il territorio nazionale e a questi si aggiungono anche le richieste di trasferimenti di colleghi assunti a cui si potrebbe dare risposta con nuove immissioni.Ai tanti che hanno accolto la notizia della nuova selezione con gioia si affiancano però anche quelli che parteciparono alla precedente, superando la prima prova del test a risposta multipla e rientrando, quindi, in una graduatoria di quattrocento persone che, da bando, potevano affrontare le altre sette prove di idoneità. Senza però classificarsi nelle prime duecento posizioni. Dalla pubblicazione dei risultati è stato costituito un Comitato per l’informazione pubblica costituito da un centinaio di giornalisti rientranti in questa casistica che ha a più riprese rivendicato il diritto di estinguere la graduatoria della selezione prima di procederne a una nuova: cioè esaurire il bacino di idonei di cinque anni fa anziché (o prima di) crearne un altro. E ora, con gli ultimi sviluppi, il Comitato ha già annunciato di non escludere l’azione penale e la segnalazione alla Corte dei Conti per accertare ogni responsabilità.Ma di Trapani, come già ribadito in passato, precisa: «La definizione di idonei nel bando non c’era. Dalla prima prova si decise da accordo sindacale di portare alle prove professionali quattrocento persone. Ma queste non rappresentavano una lista di idoneità: solo quelli che erano passati dalla prima alla seconda fase. La graduatoria è stata determinata dalle sette prove professionali e nell’ambito della sua validità siamo riusciti ad assumere duecento persone. È evidente che allo scadere della graduatoria questa decade. Dopo di che, se un giudice dovesse dare loro ragione in sede giudiziaria, io rispetterò le sentenze, ma ad oggi so, visto che ho firmato io l’accordo sindacale, che quella graduatoria scadeva dopo tre anni dalla sua pubblicazione».Adesso non resta che aspettare gli sviluppi degli incontri tra le parti – azienda e sindacato – con l’auspicio che si proceda quanto prima, magari entro il termine della pausa estiva, alla raccolta delle candidature. Augurandosi, vista la precedente esperienza, che questa volta più delle polemiche a fare notizia siano le assunzioni.Marianna Lepore

Competenze digitali per trovare lavoro, un nuovo "alleato" per i giovani disoccupati

Uno dei problemi dell'occupazione – giovanile e non solo – in Italia è che le persone senza lavoro non hanno le competenze che le aziende cercano: il cosiddetto “mismatch” tra domanda e offerta vuol dire che i posti disponibili ci sarebbero, ma i datori di lavoro non riescono a trovare candidati in grado di svolgere il tipo di mansione di cui hanno bisogno. Corollario a questo discorso: molto spesso le competenze “missing” sono quelle dell'area digitale. Le aziende cercano persone in grado di maneggiare con disinvoltura programmi, applicazioni, strumenti (“tools”) informatici, e più spesso che mai non le trovano.Sono sempre più numerose le iniziative che si propongono di contribuire a diminuire questo mismatch, e spesso si incentrano proprio sul trasferimento di competenze digitali. Ultima nata, presentata nei giorni scorsi a Milano, è DigitAlly (un gioco di parole tra “digitally” che in inglese significa “in digitale”, e “ally” che vuol dire “alleato”), voluta e finanziata dal fondo di venture capital Oltreventure con 245mila euro. Quello che questa start-up offre ai giovani – il prossimo “open day” per conoscere da vicino il progetto è in calendario lunedì 17 giugno a Milano, presso il Tim Space di via Magolfa – è un percorso di formazione tutto incentrato sul digitale, ad esclusione della parte di coding (cioè la programmazione vera e propria, la “scrittura” informatica).«DigitAlly parte dal riconoscimento di un gap tra mondo dell’educazione / formazione e mondo del lavoro» spiega Francesca Devescovi, ceo di DigitAlly [a sinistra nella foto, insieme ad Anna Simioni]:  «Ciò che si impara a scuola e all’università spesso non serve per lavorare; allo stesso tempo le conoscenze richieste dalle aziende non vengono insegnate quasi da nessuna parte. C’è quindi una dispersione di forze: da una parte i ragazzi che, dopo gli studi, si trovano sfiduciati e disorientati rispetto al proprio futuro lavorativo; dall’altra le aziende che avrebbero bisogno di competenze soprattutto in ambito digitale e sono invece in difficoltà nell’attrarre e nell’inserire nel mondo del lavoro questa nuova generazione». Il primo e più importante target di Digitally è quello dei giovani senza lavoro: a loro viene proposto di seguire un corso di formazione della durata di sette mesi, di cui i primi tre – pari a 13 settimane per la precisione – in aula. «Le lezioni si svolgeranno in un coworking dentro la città di Milano, dove i partecipanti potranno incontrare tante altre persone che lavorano a progetti innovativi» racconta Anna Simioni, presidente e founder di DigitAlly: «La formazione è diversa da ciò che i ragazzi hanno vissuto finora: impareranno insieme in aula tutti i giorni lavorando moltissimo in team, grazie a professionisti del settore, il contatto quotidiano con aziende e project work concreti ed esperienziali».La seconda parte del percorso consiste in un’esperienza lavorativa di quattro mesi (sedici settimane) presso le aziende partner. «Al termine del percorso di apprendimento in classe i ragazzi metteranno in pratica ciò che hanno appreso attraverso un’esperienza lavorativa» dice Simioni: «I ruoli sono generalmente legati al mondo digitale: gestione del cliente, comunicazione attraverso i social media, realizzazione di campagne marketing e siti. L’esperienza lavorativa è garantita ai partecipanti che acquisiscono strumenti e skill del percorso in aula. Il periodo in azienda è di almeno quattro mesi, con una retribuzione mensile non inferiore ai 600 euro», che potrebbero anche arrivare sotto forma di indennità, in caso l'inquadramento previsto fosse quello dello stage extracurricolare. La tipologia di contratto, specifica Simioni, sarà scelta da ciascuna delle aziende partner. Ce ne sono già «diverse», assicura De Vescovi, «che si sono alleate per acquisire maggiori competenze digitali attraverso l’inserimento dei ragazzi formati da DigitAlly e supportare anche il resto dei dipendenti anche grazie alle iniziative di reverse mentoring o upskilling che DigitAlly offre». Il progetto ha un partner tecnologico – Microsoft, e in particolare il programma “Ambizione Italia” – e un partner scientifico, l’università Cattolica di Milano, che ha condotto per Digitally la ricerca qualitativa che è alla base del modello di business. «Le aziende che accoglieranno le ragazze e i ragazzi per l’esperienza lavorativa sono il Centro Medico Santagostino, Unes Supermercati, Nexi, Jointly e anche molte altre che si stanno aggiungendo» dice ancora De Vescovi: «Per questo servizio non chiediamo fee alle aziende, ma chiediamo loro di offrire una posizione lavorativa di almeno quattro mesi retribuita 600 euro al mese».I partecipanti al corso avranno anche una sorta di “angelo custode”, denominato “Virgilio”: «Come il poeta nella Divina Commedia guida Dante lungo il viaggio, allo stesso modo ci piacerebbe che agissero i nostri due Virgilio, Bianca e Bruno» scherza Simioni riferendosi ai due junior del team, Bianca Ricardi e Bruno Di Benedetto: «Il loro compito sarà quello di incontrare le ragazze e i ragazzi interessati a DigitAlly per individuare, fra questi, i più motivati a partecipare il percorso. Dopodiché, selezionati coloro che prenderanno parte alle classi, saranno al loro fianco sia nelle situazioni collettive sia in momenti di colloquio individuale, per assicurarsi che sfruttino nel modo migliore l’esperienza di DigitAlly come opportunità di crescita lavorativa e personale».Il team di DigitAlly al momento è composto da quattro persone: Simioni, un passato nella consulenza strategica e ruoli da “executive director per Cambiamento e Leadership” in molte realtà aziendali; Devescovi, già responsabile della formazione e welfare in Valore D e collaboratrice di AlleyOop del Sole 24 ore; e poi appunto i due “Virgilii”, Bianca Ricardi e Bruno Di Benedetto, entrambi under 30. Il contatto con i ragazzi potenzialmente interessati ad iscriversi al corso avviene soprattutto attraverso i social – Facebook, Instagram, Linkedin e Twitter. C'è un'agenzia specializzata in comunicazione e marketing sui social network che sta mettendo a punto una strategia per riuscire a intercettarli.C'è da dire che DigitAlly non è un progetto gratuito. Ma quanto costa? E chi si può candidare? «Ragazze e ragazzi tra i 18 e i 29 anni con qualsiasi formazione e titolo di studio», dunque anche il semplice diploma di maturità, ma anche una «laurea triennale o magistrale» risponde Francesca De Vescovi: «Essendo i corsi obbligatori, è importante che si riesca a prendervi parte in maniera regolare. DigitAlly è un ambiente inclusivo, con pari opportunità e dove ogni diversità viene valorizzata. Accogliamo ragazze e ragazzi qualificati», è la promessa, «senza discriminazione di genere, background formativo e culturale, nazionalità, religione, disabilità, orientamento sessuale, appartenenza politica».La quota di iscrizione costa 3mila euro, tuttavia la prima edizione prevede un prezzo scontato: «Coloro che prenderanno parte alla nostra prima “stagione” pagheranno 2mila euro, suddivisi in due parti» dice ancora De Vescovi. Idealmente, «partecipando a DigitAlly quest’anno, c’è la possibilità di ripagare interamente il corso tramite i quattro mesi di lavoro nelle aziende partner», perché la retribuzione/indennità minima che i ragazzi andranno a percepire dalle aziende una volta conclusa la parte in aula, 600 euro al mese, sarà pari a 2.400 euro per i quattro mesi complessivi. È in corso proprio in queste settimane la raccolta delle candidature per la prima edizione, che si terrà a partire da settembre a Milano. Iscrivendosi entro il 1° luglio i candidati hanno la possibilità di concorrere per cinque borse di studio complete assegnate in base all’Isee messe a disposizione da Nexi. Al corso potranno prendere parte non più di trenta persone, «selezionate principalmente in base alle loro motivazioni nella prospettiva di creare una classe eterogenea e in grado di costituire un gruppo affiatato». Durante le prime fasi della selezione i candidati saranno “sottoposti” a KnackApp, una tecnologia creata per fornire delle indicazioni sulle attitudini delle persone attraverso il videogaming.  Il piano di crescita di Digitally prevede di raggiungere 2mila studenti con sei sedi in tutta Italia entro il 2022: «Sicuramente impareremo moltissimo da questa edizione anche grazie all’aiuto concreto dei ragazzi con cui lavoreremo» riflette De Vescovi.L'offerta formativa di Digitally farà ottenere ai partecipanti anche specifiche certificazioni su alcuni dei tools digitali più richiesti dal mondo del lavoro: in particolare Google Ads, Google Analytics, Facebook e Hubspot. In più i ragazzi impareranno a gestire altri tools come Photoshop, Google Cloud, Excel, Instagram, Wordpress, Slack... Ma quali sono le professioni che si stagliano all'orizzonte di chi acquisisce competenze del genere? «Il digitale caratterizzerà sempre più il nostro modo di lavorare in modo trasversale, è un po’ come l’inglese di vent'anni fa» risponde Simioni: «All’inizio chi lo studiava pensava di fare il traduttore o di lavorare in qualche campo specifico, oggi è una competenza super diffusa che ti serve a fare moltissime cose. Pensiamo che gli strumenti digitali saranno ancora più indispensabili nel prossimo futuro, quindi se già ora ruoli come social media manager, user experience professional o data analyst, sono richiestissimi dal mercato, in futuro gli strumenti che insegniamo faranno parte del modo normale di lavorare di tutti, ed è ciò che spaventa chi vede nel digitale una minaccia».Ma allora, perché non insegnare il coding? Cioè quei linguaggi di programmazione – tipo Java, MySql, Python, C++... – così richiesti dal mercato del lavoro? «Pensiamo che per programmare serva un profilo personale molto specifico, mentre gli strumenti digitali sono utilizzabili da tutti ed anzi si combinano bene anche con percorsi di studi umanistici» risponde ancora Simioni: «Ed in questo penso stia un grande valore di DigitAlly: avvicinare al digitale anche ragazze e ragazzi che ritengono che sia un mondo da ‘nerd’ o per cui sia indispensabile avere fatto un lungo percorso tecnico-scientifico – ingegneria, informatica, fisica… Gli strumenti del digitale sono pensati per essere usati da tutti, e sempre di più sarà il ruolo di interfaccia con la ‘macchina’ a fare la differenza nel nostro quotidiano.  Quindi le competenze di programmazione sono di certo importanti ma c’è anche molto altro che si può imparare per aiutare le nostre aziende – e il Paese –  nella trasformazione digitale».

400 opportunità di stage all'estero nelle sedi diplomatiche, candidature aperte fino al 7 giugno

Quasi quattrocento – trecentonovantacinque, per la precisione – opportunità di tirocinio in sedi diplomatiche aperte agli studenti italiani di cinquantadue università: centottanta posti in Europa, cinquantasette in Asia, una cinquantina in Nord America, e molti altri ancora nel resto del mondo. Sono i numeri del nuovo bando Maeci-Crui, il programma nato dalla  collaborazione fra il ministero degli Esteri (il Maeci, appunto), il ministero dell’Istruzione e le università italiane, attraverso  il  supporto organizzativo della Fondazione Crui, che dal 2017 sostituisce il vecchio “Mae Crui” – con alcune differenze di cui la Repubblica degli Stagisti ha parlato spesso in questi anni: le più importanti sono che il Maeci-Crui non è più gratuito (buona notizia), e che non è più aperto ai neolaureati (notizia meno buona). In particolare, i tirocinanti Maeci-Crui ricevono dall’università a cui sono iscritti una indennità (minima) di 300 euro mensili. A sua volta, la sede diplomatica presso cui lo stagista è inviato può mettere a disposizione un alloggio gratuito quale beneficio aggiuntivo al rimborso spese previsto. La buona notizia è che lentamente il numero di sedi che prevede questo ulteriore benefit a favore dei ragazzi sta aumentando: erano 14 su 187 nello scorso bando, mentre in questo bando sono 24 su 211. Sempre pochissime, ma la percentuale passa dal 7% all’11%. Nello specifico,  a offrire l’alloggio sono le seguenti sedi: l’ambasciata a Copenhagen in Danimarca; quella a Madrid in Spagna; quella a Praga nella Repubblica Ceca; quella a Sofia in Bulgaria; quella a Doha in Qatar; quella a Il Cairo in Egitto; quella a Kampala in Uganda; quella a Khartoum in Sudan; quella a Lusaka in Zambia; quella a Manama in Bahrein; quella a Riad in Arabia Saudita; quella a Tbilisi in Georgia; quella a Teheran in Iran. E poi ancora il consolato generale e l’istituto di cultura a Marsiglia, in Francia; l’ambasciata e l’istituto italiano di cultura a Oslo, in Norvegia, ad Addis Abeba in Etiopia e ad Algeri in Algeria; il consolato generale a Gedda, in Arabia Saudita; la delegazione diplomatica speciale a Taipei a Taiwan; e l’istituto italiano di cultura a Toronto, in Canada. «Le spese ordinarie d’uso per il periodo di utilizzo sono a carico dello studente», precisa il bando: dunque vitto, spostamenti (viaggi in treno, aereo…), assicurazioni sanitarie e altro sono tutte a carico degli stagisti. I requisiti di accesso restano gli stessi dei bandi precedenti; tra i più rilevanti la cittadinanza italiana, l'età non superiore ai 28 anni, una media almeno del 27, la “fedina penale” pulita e nessun procedimento in atto, lo status di studenti iscritti a una delle facoltà previste (sono riportate in elenco all’interno del bando) all’interno di una delle università che partecipano all’iniziativa.La finestra per le candidature resta aperta fino a venerdì 7 giugno e i selezionati inizieranno l’esperienza di tirocinio dopo l’estate, per la precisione il 9 settembre; trattandosi di tirocini di durata trimestrale, il termine è previsto per il 6 dicembre. La possibilità di proroga è contemplata per un massimo di un ulteriore  mese (d’intesa tra la sede ospitante, il tirocinante e l’università di provenienza dello studente, specifica il bando): chi usufruisse di questa opzione potrà dunque trascorrere anche il periodo di Natale-Capodanno nella sede diplomatica di assegnazione.Per candidarsi bisogna inviare il curriculum personale, quello universitario, alcune autocertificazioni, una lettera motivazionale così come previsto nel bando, e poi indicare due sedi preferite di destinazione, una per ciascuna “gruppo”: nel Gruppo 1 vi sono tutte le destinazioni all’interno dell’Unione europea più Norvegia, Principato di Monaco, Vaticano, Svizzera e Stati Uniti, mentre il Gruppo 2 comprende… tutto il resto del mondo.In particolare, i quasi quattrocento percorsi di tirocinio – tutti obbligatoriamente “curricolari” – avranno luogo in 183 ambasciate, un centinaio di consolati, sessantasette istituti di cultura, quarantuno rappresentanze e una delegazione. Chi gestisce poi materialmente le candidature? In una prima fase l’università presso cui ciascun candidato è iscritto verifica il possesso dei requisiti richiesti. Poi «le candidature ritenute idonee dagli atenei», spiega il bando, vengono «esaminate da una commissione congiunta» composta da rappresentanti del ministero degli Esteri, di quello dell’Istruzione e della Fondazione Crui.Restano purtroppo le condizioni quasi vessatorie di accettazione: una volta ricevuta la comunicazione dalla propria università, i candidati che avranno passato la selezione dovranno «accettare o rifiutare l’offerta di tirocinio entro tre giorni lavorativi». Meglio avere le idee ben chiare fin dal principio, allora.

Equo compenso per i liberi professionisti: il Lazio ha la sua legge regionale

Il cammino è iniziato ai primi di ottobre dello scorso anno, quando la Giunta regionale del Lazio ha approvato un ordine del giorno della presidente della Commissione lavoro, Eleonora Mattia, per applicare l’equo compenso negli incarichi conferiti ai professionisti da tutti gli uffici regionali, enti strumentali e società controllate. In seguito ha presentato una proposta di legge «che è stata scelta come testo di riferimento», spiega Mattia alla Repubblica degli Stagisti, «e dopo un confronto con tutti i professionisti, ascoltati nel corso di varie audizioni, la legge è stata approvata dall’aula il 3 aprile». Così dopo Calabria, Basilicata, Piemonte, Campania e Sicilia anche il Lazio ha la sua legge, la n. 69, sull’equo compenso.Una battaglia portata avanti da Mattia, avvocato, nel Pd dal 2007, che è stata prima presidente dell’Assemblea provinciale del Pd Roma e poi membro della segreteria regionale nonché eletta in Assemblea nazionale. Vicensindaco nel comune di Valmontone dal 2013 dopo essere stata la più votata in assoluto, nel marzo 2018 è stata eletta al Consiglio regionale del Lazio.  La legge, ricorda Mattia, «vale per circa 175mila professionisti della nostra regione, sia per quelli iscritti a un albo che per quelli che non ne hanno uno di riferimento». Ed è stata concepita dopo aver analizzato studi di vari centri di ricerca per capire a quanto ammontasse l'equo compenso determinato dai singoli decreti ministeriali. Una platea vasta quella di applicazione, che spiega anche perché il provvedimento abbia trovato la convergenza di tutte le forze politiche che l’hanno votata all’unanimità. Da quando nel 2012 sono stati aboliti i minimi tariffari, «l’obiettivo di prendere degli incarichi costringeva i professionisti a una corsa al ribasso che non garantisce né la prestazione, né la dignità di chi lavora», spiega Mattia. La legge, però, un punto debole ce l’ha, visto che non tratta un altro tema caro ai liberi professionisti, quello sui tempi dei pagamenti. Ma sottolinea l’importanza per Regione e società controllate di far riferimento al riconoscimento dell’equo compenso per i professionisti e, soprattutto, vieta l’inserimento di clausole vessatorie all’interno di contratti di incarico professionale.Non ci sono, però, dei parametri “univoci” quando si parla di equo compenso. «Sono i criteri stabiliti dai decreti ministeriali, che cambiano da professione a professione». E questo è bene ricordarlo. Per quanti, invece, non abbiano un ordine professionale di riferimento, il principio applicato è quello della retribuzione proporzionata alla quantità e qualità della prestazione, secondo quanto sancito dall’articolo 36 della Costituzione.L’obiettivo alla base dell’approvazione della legge «È quello di frenare l’incessante calo dei redditi dei professionisti italiani che, tra il 2005 e il 2017, si è attestato al diciannove percento». Un calo che ha colpito, nello specifico, gli appartenenti alle categorie più disagiate: giovani e donne. Il reddito medio di un professionista sotto i 40 anni, infatti, arriva al cinquanta per cento di un over 45. E, ancora una volta, se il professionista è una donna la discriminazione è doppiamente applicata visto che il suo reddito medio non va oltre il cinquantasei per cento di quello di un uomo. L’equo compenso approvato cerca di tutelare i professionisti non solo dai pagamenti da parte degli enti pubblici, ma anche dai privati. Qualora, infatti, non venga dimostrato che il committente non abbia preventivamente pagato il progettista, qualsiasi procedimento amministrativo che abbia chiesto al privato di avvalersi di un professionista verrà sospeso. Una scelta che dovrebbe, almeno sulla carta, spingere i privati a rispettare i tempi dei pagamenti. Certo, in Italia non basta una legge per vederne poi l’applicazione, ma il passo intrapreso dalla Regione è sicuramente un segnale positivo per i professionisti laziali e per quelli delle altre regioni in cui l’argomento non è stato ancora trattato, che possono sperare il tema si allarghi fino al coinvolgimento di tutto il territorio nazionale.Quello ottenuto dalla Commissione lavoro della Regione Lazio è, quindi, un traguardo importante. Solo il primo di una lunga serie: come la proposta di legge regionale sul contrasto al caporalato, che intende favorire l'emersione del lavoro irregolare in agricoltura in coerenza con quanto disposto dalla disciplina nazionale. E si tornerà nuovamente sul tema delle tutele per i liberi professionisti, con una nuova proposta di legge presentata dalla presidente Eleonora Mattia, per introdurre specifici strumenti di sostegno e tutela delle professioniste e professionisti: un fondo rotativo dedicato e un’integrazione all’indennità di maternità.    Marianna Lepore