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Tirocini a Bruxelles al Comitato europeo delle Regioni, compenso di 1.500 euro al mese

C’è tempo fino al 31 marzo per far domanda per un tirocinio presso il Comitato europeo delle Regioni: 26 i posti disponibili per lo stage che comincerà il 16 settembre e durerà cinque mesi. Il tirocinio si svolge a Bruxelles e prevede un rimborso spese mensile di poco meno di 1.500 euro al mese (1476 euro per la precisione) con un impiego full time di 40 ore la settimana. Per candidarsi è necessario essere un cittadino europeo, essere in possesso di un diploma universitario completo o aver terminato almeno il terzo anno di istruzione superiore (università o equivalente) entro il termine ultimo delle candidature, quindi entro fine marzo. Bisogna poi avere un’eccellente conoscenza di una delle lingue dell’Unione europea e una conoscenza soddisfacente della lingua francese o inglese. Per dare poi l’opportunità a quanti più cittadini europei possibili di fare un’esperienza in un’istituzione europea non sono accettate le domande da chi ha già svolto uno stage, con o senza rimborso spese, di almeno otto settimane in un’istituzione europea. Una volta chiuso il termine per le candidature inizierà la fase di preselezione che si chiude con eventuali interviste nel mese di maggio. Poi a giugno viene fatta la selezione finale. In aggiunta al rimborso spese è previsto anche un contributo mensile per il trasporto pubblico a Bruxelles pari a 25 euro al mese, automaticamente aggiunto al rimborso spese mensile. Gli stagisti selezionati «partecipano al lavoro della loro unità sotto la supervisione di un mentore», spiega alla Repubblica degli Stagisti Matteo Miglietta, dall’ufficio stampa del Cor, che aggiunge anche che «non sono previsti buoni pasto ma uno sconto del 20 percento alla mensa» e che «non c’è possibilità di rinnovare lo stage una volta giunto a conclusione». Previsto anche un rimborso spese per il viaggio di inizio e fine tirocinio in base alla distanza dal luogo di residenza (i particolari si possono leggere in queste regole qui).   Nonostante gli stage offerti non siano molti, come spesso capita per tutte le opportunità in ambito europeo con buon rimborsi spesa – paragonati a quelli italiani – il numero di candidature che arriva dal Bel Paese è sempre altissimo. Per la sessione primaverile che ha preso il via il 16 febbraio  «sono arrivate 3.572 domande totali, con l’Italia al primo posto con 1.252, seguita dalla Spagna, 272 e dalla Francia 255», spiega Miglietta. Questo significa che gli italiani sono stati almeno cinque volte in più rispetto a tutti gli altri per numero di candidature. Per la sessione precedente, quella cominciata a settembre 2024, le richieste di stage italiane sono state 1.223 su un totale di 2.706: vuol dire che addirittura quasi la metà arrivava dal nostro Paese. A seguire ancora una volta la Spagna, questa volta con 401 domande, seguita dal Portogallo, con 158.   Se si analizzano i numeri degli anni passati non cambia molto: è sempre l’Italia a battere tutti. Per esempio per le sessioni primaverile e autunnale del 2020 erano arrivate in totale 6.271 candidature e quasi il 40 per cento, per la precisione 2.281 provenivano da italiani, seguiti da spagnoli, 873, francesi 303 e greci 316. E l’Italia era stata la nazione più rappresentata anche nel 2019 con 2.213 candidature su 5.932. Sempre seguita da Spagna con 863 e Grecia con 376.   Risulta chiaro che i Paesi da cui arrivano più domande sono quelli (Grecia, Spagna e Italia) con il tasso di disoccupazione giovanile più alto in Europa. Anche se è bene ricordare che uno stage in una qualsiasi organizzazione europea non garantisce assolutamente un eventuale seguente posto di lavoro. Si tratta comunque di un’esperienza professionalizzante, economicamente sostenibile grazie ai compensi adeguati, e che permette di crearsi anche un network internazionale. E magari di restare all’estero una volta finita l’esperienza.  Per la sessione al momento in corso, dei 26 tirocinanti ben otto sono italiani, mentre gli altri paesi rappresentati sono Olanda, Francia, Portogallo, Germania, Irlanda, Belgio, Polonia, Croazia, Svezia, Spagna e Grecia. Per la sessione precedente, invece, l’Italia non figurava nella top tre: i posti erano andati sopratutto a candidati provenienti da Spagna, Grecia e Francia ognuno con cinque stagisti. Perché la selezione ovviamente viene fatta non solo in base alla nazionalità, ma anche alle competenze e ai cv.  Il Comitato è il punto d’incontro delle Regioni e delle città europee a Bruxelles, è un organo dell’Unione europea creato nel 1994 in applicazione del Trattato di Maastricht per incentivare la cooperazione tra le regioni degli stati membri dell’Ue. Quest’organo consultivo è composto da 329 membri e altrettanti supplenti, rappresentanti gli enti regionali e locali. Nel dicembre 2022 il Comitato ha avviato un processo di rinnovamento della brand identity, ovvero di nome e logo, e in questa fase gli stage fino ad allora chiamati semplicemente “tirocini con rimborso spese” o “tirocini standard” hanno cambiato nome in “Tirocini Cicero”. «Un nome scelto in onore di Cicerone, una figura simbolica che ha ispirato le giovani generazioni e sostenuto nobili cause», spiega Miglietta.   Per candidarsi è necessario compilare il form al seguente link. Si può mandare una sola candidatura che va completata in inglese o francese. Nelle istruzioni di compilazione viene suggerito di controllare di avere tutti i requisiti e avere a portata di mano tutte le informazioni necessarie al momento della registrazione. È necessario anche scrivere una lettera di presentazione e le proprie competenze: conviene farlo in anticipo in modo da dover solo poi copiare direttamente online il testo. Una volta compilato tutto si riceverà una mail di conferma con il numero di registrazione.   Ma prima della scadenza del termine di candidatura si possono eventualmente apportare modifiche alla propria domanda. Come sempre il consiglio è di non ridursi all’ultimo, perché il sito potrebbe bloccarsi, e di essere onesti, perché l’ufficio tirocini potrà chiedere prova di quanto dichiarato in fase di compilazione. In questo frangente sarà poi possibile anche scegliere tre dipartimenti a cui eventualmente essere assegnati: per farlo conviene dare un’occhiata alle aree di attività di ognuno.  Ci sono qualità che possono fare la differenza in fase di selezione? «Dipende dall’unità scelta e dalla specializzazione. In generale, comunque, sono preferiti profili internazionali con valori europei e competenze specifiche». Se selezionati si entrerà a far parte di un’istituzione multilingue e multinazionale e si avrà il vantaggio, non scontato nelle istituzioni europee, di essere in un piccolo gruppo di tirocinanti e avere più opportunità di cimentarsi in molteplici attività.   Se quindi si è interessati a far domanda conviene iniziare a raccogliere tutti i documenti e tentare questa opportunità, dando un’occhiata anche alle testimonianze di chi ha già fatto la stessa scelta. Marianna LeporeFoto di apertura: copyright European Union / David Martín DiazFoto in alto a destra: copyright European Union/ Fred Guerdin Foto a sinistra: copyright European Union / Christophe Licoppe 

Dai premi in denaro si passa a “vincere” dei tirocini: la novità del concorso per tesi di laurea del Comitato Leonardo

Quattordici tirocini: è il “premio” dei premi di laurea del Comitato Leonardo per l’edizione 2024. La segreteria dell'iniziativa nelle scorse dettimane ha divulgato la notizia di una proroga della deadline per le candidature: inizialmente prevista per il 15 gennaio, è stata poi spostata al 14 febbraio.Forse non si sono presentati abbastanza candidati, dunque. E allora si può ragionare sul motivo di questa scarsa appetibilità. Forse il passaggio da premi in denaro a tirocini non ha, se ci verrà perdonato il gioco di parole, pagato più di tanto. Perché normalmente un premio di laurea è appunto questo: un premio in denaro attribuito a una persona laureata di recente, come riconoscimento per il valore della sua tesi di laurea. E infatti era così, fino all’anno scorso, anche per i premi distribuiti dal Comitato Leonardo. Nati nel 1997 per volontà dell’allora presidente del Comitato, Umberto Colombo, e della stilista Laura Biagiotti, questi premi nell’arco di poco meno di trent’anni sono stati distribuiti ad oltre 160 neolaureati.  Fino all’ultima edizione, però, quella del biennio 2020/2021 accorpato causa Covid, ai giovani venivano assegnati, appunto, dei premi in denaro: delle borse di studio del valore di 3mila euro. Poi c’è stata un’interruzione nel 2022 e 2023 e infine il bando ora prorogato. Con una novità: anziché soldi, tirocini – con indennità mensile. La scelta «è stata voluta dal Consiglio direttivo con l’obiettivo di creare una relazione più forte tra università, studenti e aziende, e dando ai ragazzi un’opportunità concreta di lavoro. Oltre ad andare incontro alla ricerca delle aziende di figure professionali con competenze specifiche», spiegano dall’ufficio stampa del Comitato.  Nel bando è scritto che il premio per ciascuno dei bandi (distinti) dell’iniziativa consiste in un tirocinio con rimborso spese: quindi, i giovani sanno in partenza che non riceveranno semplicemente una borsa in denaro. «Tuttavia, qualora in casi particolari lo studente fosse impossibilitato a svolgere lo stage, è a discrezione dell’azienda coinvolta valutare un’altra forma di compensazione». A prima vista si potrebbe pensare che sia una cosa positiva: ai giovani neolaureati si dà l’opportunità di entrare in aziende anche importanti e fare un tirocinio di durata diversa a seconda dell’azienda con un rimborso spese, che in alcuni casi è anche molto alto. Tecnicamente, quindi, i soldi in tasca finali sono di più. Eppure c’è una grande differenza tra un premio e uno stage. Premiare una persona per una performance eccellente (una tesi di laurea di grande qualità) con uno stage vuol dire che quella persona, anziché intascarsi il denaro e farne ciò che vuole, dovrà dedicare alcuni mesi a un impegno di “learning on the job”. Non è un messaggio edificante. Vincere un tirocinio invece di una somma in denaro non è necessariamente “meglio”. Perché magari per svolgerlo il giovane dovrà trasferirsi, pagare un affitto e tutte le altre spese che un periodo fuori casa comporta; dovrà recarsi ogni giorno in ufficio, mettendo in stand-by altre attività. Dovrà “guadagnarsi” il premio di laurea “a rate”, ricevendone alla fine di ogni mese una “rata”, legata però indissolubilmente anche alla sua performance di stagista.Negli anni il numero di candidature al Premio Leonardo è stato sempre piuttosto basso; 60 nel 2011, un incremento fino a raggiungere 200 nel 2014, e poi di nuovo una diminuzione fino ad arrivare ad appena 93 nell’ultimo anno, il 2021.  Le aziende coinvolte sono sempre nomi anche piuttosto noti: eppure l’attrattività di questi brand non sembra bastare a richiamare candidati. Tecnicamente, il bando per questi premi di laurea è scorporato in dodici diversi bandi per un totale di 14 stage (vi sono due aziende, Bottega e Fabbrica d’armi Pietro Beretta, che offrono due tirocini). Con una grande disparità di condizioni, e purtroppo anche di trasparenza. Otto aziende offrono stage di sei mesi, le altre di tre mesi. Si può far domanda per una sola tra le aziende presenti e ognuna offre un rimborso spese mensile diverso dall’altra. Otto aziende addirittura non indicano nemmeno a quanto ammonta il “premio” che offrono: non dicono cioè a quanto ammonta l’indennità mensile che offriranno agli stagisti.  Le quattro che invece lo specificano indicano cifre molto diverse tra loro: si va dai 5mila euro totali per i tre mesi di stage in Dompé farmaceutici (quindi uno stage da oltre 1.600 euro al mese), ai 700 euro al mese per sei mesi del Gruppo Adler, che in alternativa allo stage può anche solo assegnare un premio di 3mila euro, ai 700 euro al mese di Pelliconi per sei mesi (pari quindi a 4.200 euro in tutto), ai 500 euro al mese sempre per sei mesi di Zonin 1821 (3mila euro complessivi). Ogni giovane che fa domanda non può nemmeno sapere dall’inizio a quanto ammonta il rimborso spese del suo “premio”, a meno che non si candidi per questi quattro bandi. Per gli altri otto, è possibile qualsiasi cosa. Una candidatura al buio.  Anche i requisiti di partecipazione sono diversi: ogni bando richiede un titolo di laurea attinente al settore dell’azienda corrispondente, però vi è un’ulteriore complessità perché c’è chi chiede la laurea ottenuta dopo il gennaio 2011, chi quella specialistica dopo l’anno accademico 2021/2022, chi una laurea dopo il 2022/2023 e anche chi si è laureato dopo il gennaio 2023. In alcuni casi, «se lo studente fosse impossibilitato a svolgere il tirocinio, è a discrezione dell’azienda coinvolta valutare un’altra forma di compensazione», spiega l’ufficio stampa. E, infatti, in alcuni singoli bandi questo è già indicato, ma anche questa è una criticità: il fatto di non aver uniformato per tutti le stesse regole, lasciando quindi più difficoltà nella comprensione delle variabili e oggettivamente disparità di trattamento per gli stagisti. Inoltre, molte di queste aziende hanno sedi in luoghi abbastanza decentrati. Quindi, se questi brillanti laureati vincessero con la loro tesi di laurea la competizione, dovrebbero anche trasferirsi magari a centinaia di km di distanza, in paesini sperduti, per pochi mesi. E probabilmente l’intero importo del “premio” verrebbe bruciato dalle spese di viaggio, vitto e alloggio. Visto che si parla esplicitamente di stage in presenza.  Certo, l’iniziativa ha un valore istituzionale, visto che i premi vengono consegnati durante una cerimonia che si tiene anche alla presenza del Presidente della Repubblica. Un evento importante che permette ai più scaltri, o socievoli, di fare networking. E molte delle aziende che partecipano all’iniziativa sono effettivamente leader nel loro settore, quindi farci uno stage può essere un buon trampolino di lancio nel mondo del lavoro.  Eppure, nonostante le aziende importanti, il tirocinio pagato e gli elementi di contorno, è proprio il principio di mettere in palio uno stage come se fosse un premio ad essere sbagliato. Perché il tirocinio conviene anche all’azienda ospitante, che ha la possibilità di sperimentare sul campo nuove leve, di pagarle oggettivamente poco, e poter disporre per il tempo dello stage del tempo e dell’impegno dello stagista: due braccia e un cervello in più in un ufficio non fanno mai male, anche se bisogna perdere un po’ di tempo con la formazione. Quindi, no: era meglio il premio in denaro. E probabilmente la penuria di candidature – con conseguente necessità di prorogare la deadline all’ultimo momento – è un segnale che non è solo la Repubblica degli Stagisti a pensarla così, ma anche i giovani.  Marianna Lepore

Servizio civile 2025, 10mila posti in più dell'anno scorso: le informazioni e la deadline per candidarsi

Resta aperto fino alle ore 14 di martedì 18 febbraio il bando per la nuova edizione del programma di Servizio civile universale, per progetti che si realizzeranno tra il 2025 e il 2026 in tutto il territorio nazionale e all’estero. È aperto a chiunque abbia la cittadinanza italiana, abbia tra i 18 e i 28 anni, nessun precedente penale, e voglia dedicarsi a un’iniziativa a beneficio della collettività. Possono ripresentare domanda anche quanti a causa dell’emergenza covid-19 hanno interrotto il servizio civile o hanno avuto il progetto sospeso.I posti a disposizione questa volta sono 62.549, quasi diecimila in più rispetto all’ultimo bando. Di questi, 61mila 166 operatori volontari saranno avviati in servizio in progetti in Italia, mentre 1.383 all’estero. Resta invariato rispetto allo scorso anno l’importo dell’indennità mensile riconosciuta ai partecipanti, pari a 507,30 euro.Aumenta, invece, il numero dei mesi di impegno per i partecipanti: se l’anno scorso si andava tra gli 8 e i 12, quest’anno i progetti hanno tutti una durata tra i 10 e i 12, sempre con un orario di servizio pari ad (almeno) 25 ore settimanali. «Ciascun giovane può presentare una sola domanda di partecipazione», specifica l’articolo 1 del bando, «e per un solo progetto tra quelli indicati». Già note anche le date di avvio in servizio degli operatori volontari selezionati: i primi cominceranno il 28 maggio a cui seguiranno le altre immissioni il 30 giugno, 30 luglio, 9 settembre e 23 settembre.Per partecipare alla selezione occorre individuare il progetto di Servizio civile universale che si preferisce nella sezione dedicata del sito, dove è possibile filtrare la ricerca anche per Regione, settore o durata del progetto. Le aree di intervento sono le più disparate: dall’assistenza, per esempio a disabili, migranti o minori in condizioni di disagio sociale, alla protezione civile, dal patrimonio ambientale e riqualificazione urbana, con attività ad esempio di prevenzione e monitoraggio dell’inquinamento, al patrimonio storico, artistico e culturale, dal settore dell’agricoltura a quello dell’educazione e promozione culturale, fino alla promozione della pace tra i popoli e a quella della cultura italiana all’estero. Una volta scelto il progetto, nella pagina di dettaglio è possibile visualizzare anche il numero delle domande già inviate per quella sede, un’informazione utile anche per capire quante chance si hanno per essere selezionati. Scelto il progetto, gli aspiranti volontari devono inviare la domanda di partecipazione attraverso la piattaforma DOL. Per farlo è necessario essere in possesso dello Spid, il sistema pubblico di identità digitale. In questa guida è possibile trovare tutte le informazioni per scegliere il progetto e presentare la domanda.A questo punto sarà cura dell’ente titolare del progetto fare la selezione, valutando prima titoli ed esperienze curriculari e, dopo, facendo un colloquio ai candidati. Poi la graduatoria e la firma del contratto in cui è indicato il trattamento economico e le norme di comportamento.Nato dal diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare obbligatorio del 1972, il Servizio civile ha dovuto aspettare il 2001, con la legge numero 64, per vedere l’istituzione su base volontaria e l’apertura anche alle donne. Da allora aumenta la partecipazione dei giovani fino all’istituzione nel 2017, in seguito alla riforma del Terzo settore, del Servizio civile Universale, con l’intento di renderlo accessibile a tutti.A gennaio di quest'anno il Dipartimento per il Servizio civile ha pubblicato un Rapporto sui bandi dal 2015 a tutto il 2023, con alcuni dati anche del 2024, che mostra il costante interesse dei giovani verso questo programma, con una media di quasi 106mila domande l’anno e una risalita negli ultimi anni rispetto al crollo del 2019 – quando erano state soltanto poco più di 85mila. Da segnalare il dato piuttosto irregolare del numero delle opportunità: dal 2019 c’è stato un costante aumento fino ad arrivare nel 2022 a oltre 71mila posti. Poi, un crollo di quasi 20mila posti l’anno seguente, con soli con 52.236 posti. Il divario è stato in parte recuperato quest’anno, con 62mila posizioni disponibili.Un altro aspetto interessante evidenziato dal Rapporto è il numero di effettivi percorsi avviati. Prendendo per esempio il 2023, per i 52mila posti disponibili le domande pervenute erano state più del doppio, quasi 105mila, ma alla fine i volontari ad aver preso servizio erano stati solo 42mila. Senza riuscire quindi a coprire tutte le posizioni ricercate. Nel documento del Dipartimento per il Servizio civile non vengono analizzate le ragioni dietro questo disallineamento: viene solo esplicitato che rispetto al bando 2022 «il rapporto tra avviati e posti a bando ha raggiunto il valore più basso della serie considerata. Questo riflette un disallineamento tra l'aumento dei posti finanziati e la capacità effettiva di coprirli». Di rilievo anche l’analisi del contesto territoriale: metà delle posizioni disponibili nel 2023 erano distribuite tra Sud e isole, e ben il 60 per cento delle domande arrivavano proprio da questi territori.Negli anni sono poi cambiate anche le preferenze rispetto ai progetti. Se una volta i giovani si candidavano spesso a progetti in cui l’obiettivo era aiutare il prossimo, come per esempio l’assistenza agli anziani, ora sono in voga altri percorsi. Per esempio nel 2023 – per quanto l’assistenza sia ancora un settore che riscuote un alto numero di richieste, con oltre 35mila per circa 22mila posti disponibili – a battere tutti è l’ambito educazione e promozione culturale, paesaggistica, ambientale, del turismo sostenibile e sociale e dello sport con addirittura 46mila candidature per poco più di 19mila posizioni. Quasi quadrupla rispetto ai posti anche la richiesta per il settore Patrimonio storico, artistico e culturale. Se si è interessati a partecipare, bisogna ricordarsi la scadenza del 18 febbraio e prendere in considerazione anche altri due elementi a favore di questa scelta: la riserva di una quota del 15 per cento nei concorsi pubblici a chi ha svolto il Servizio civile e la possibilità di riscattare questo periodo ai fini del trattamento previdenziale.  Marianna Lepore

Specializzandi sanitari non medici, dal 2025 riceveranno 400 euro al mese: vittoria, mancia o elemosina?

Venticinque anni di richieste e di proteste e, finalmente, un piccolo grande risultato. Tutti gli specializzandi sanitari non medici – ovvero veterinari, odontoiatri, farmacisti, biologi, chimici, fisici e psicologi – potranno ricevere d'ora in poi una borsa di studio di importo pari a 4.773 euro lordi annui, ovvero 397 euro al mese. In legge di bilancio, infatti, è stato approvato l’emendamento presentato come prima firmataria da Marta Schifone, deputata di Fratelli d’Italia.  «È un ottimo punto di partenza ma è una vittoria a metà» commenta Stefano Scambia, responsabile delle attività sindacali della Rete nazionale degli specializzandi in Farmacia ospedaliera (ReNaSFO) alla Repubblica degli Stagisti. «Finalmente dopo 25 anni è stato abbattuto il muro di invisibilità che ci circondava, con il riconoscimento a livello nazionale e ministeriale della necessità di pagare anche gli specializzandi di area sanitaria». Ma il passo avanti appare, dal punto di vista economico, davvero microscopico. «Quattrocento euro lordi al mese non possono essere una corretta retribuzione», conferma Scambia: «Tra l’altro dobbiamo ancora vedere i decreti attuativi, perché al momento mancano ancora le definizioni di altri diritti dei lavoratori come i congedi parentali, la malattia, le ferie. Gli specializzandi di area sanitaria hanno un impegno a tempo pieno, parliamo di oltre 1.300-1.500 ore annue: un lavoro a tutti gli effetti. E come tale va retribuito».  L’articolo 339 della legge di Bilancio precisa che a partire dall’anno accademico 2024/2025 è corrisposta agli specializzandi di area sanitaria una borsa di studio annuale di circa 4mila 800 euro lordi, erogata mensilmente «dalle università presso cui operano le scuole di specializzazione». Nello stesso articolo, però, si precisa che «alla ripartizione e assegnazione a favore delle università delle risorse previste per il finanziamento della formazione degli specialisti si provvede con decreto». Vale a dire con un ulteriore passaggio: per cui di fatto adesso il boccino è in mano al ministero dell’Università e ricerca, che deve presentare una proposta concertata con il ministero della Salute e con quello dell’Economia e delle finanze. Nel frattempo, però, per pagare queste borse, il finanziamento sanitario corrente viene incrementato di 30 milioni di euro l’anno per il 2025 e di altrettanti a partire dal 2026. Incremento possibile attraverso la riduzione del Fondo interventi strutturali di politica economica. «Ci siamo sempre battuti per un riconoscimento economico. I 400 euro mensili ora previsti non risolvono i nostri problemi» dice schiettamente Scambia: «La maggior parte dei colleghi è costretta a cercare un secondo lavoro una volta finite le ore in ospedale, con conseguenze sulla qualità della formazione e della vita dello specializzando». Sulle cifre che sarebbero “più congrue” Scambia osserva: «L'obiettivo è l'equiparazione con gli specializzandi medici, visto che la nostra professionalità è di altissimo livello come la loro e l’impegno orario è molto alto: il punto di partenza è la loro retribuzione, quindi tra i 1.600 e i 1.700 euro al mese. Speriamo di arrivare nel più breve tempo possibile a questo traguardo: pensiamo che dovremmo essere retribuiti come loro».La misura non è retroattiva, quindi non sarà applicabile a chi negli anni passati ha frequentato la specializzazione, ma una volta approvati i decreti attuativi, «si applicherà anche a chi è già in corso al secondo, terzo e quarto anno, essendo la borsa prevista per tutta la durata legale del corso», spiega Scambia. Il testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale prevede l’applicazione della borsa «a decorrere dall’anno accademico 2024-2025», quindi già per l’anno in corso. Senza i decreti attuativi, però, è troppo presto per capire se sarà inserito automaticamente o se bisognerà presentare qualche richiesta particolare.  In più, nel caso ad esempio delle specializzazioni di farmacia ospedaliera, «pur non essendoci un mese di partenza univoco per tutte le scuole, il conteggio degli anni accademici è un anno indietro rispetto a quelli universitari», spiega Scambia. «Quindi, in pratica, l’anno accademico in corso iniziato il primo dicembre ad esempio a Perugia, che terminerà il primo dicembre di quest’anno, è l’anno accademico 2023/2024. Questo vuol dire che quello in cui partiranno le borse di studio sarà quello che prenderà il via il primo dicembre 2025».     Ottimista, ma comunque non pienamente soddisfatta, la Federazione nazionale degli ordini dei biologi, con il presidente Vincenzo D’Anna che ringrazia ma ammonisce: «Che non resti una mancia». In una nota D’Anna parla di «antica e odiosa disparità di trattamento» con i medici – e al di là delle parole di apprezzamento per l’introduzione della borsa di studio, si augura che nei tempi più brevi possibili sia previsto «un incremento che parifichi il trattamento a quello già previsto per i medici».   Anche Raffaele Iandolo, presidente nazionale della Commissione Albo Odontoiatri, ha espresso soddisfazione per l’emendamento approvato e ha subito rilanciato: «Prossimo step sarà classificare le specializzazioni odontoiatriche come specializzazioni mediche a tutti gli effetti».    Molto dura sulla proposta approvata, invece, è stata la Funzione pubblica Cgil dei Dirigenti Sanitari che ha definito «un’offesa» questo emendamento. «È un’elemosina, sintomo di disinteresse istituzionale e di politiche miopi che sviliscono il valore reale di chi ogni giorno garantisce il funzionamento del Servizio sanitario nazionale e il diritto universale alla salute». Nella nota la Cgil ricorda anche che «gli specializzandi d’area sanitaria non sono stagisti o apprendisti. Sono professionisti formati, che partecipano attivamente alla gestione clinica e diagnostica, spesso assumendo responsabilità paragonabili a quelle degli strutturati. Le risorse economiche ci sono e i risparmi generati dai contratti di formazione specialistica non assegnati, stimati in decine di milioni di euro, ne sono la prova. Non reinvestire queste risorse per garantire un trattamento retributivo equo agli specializzandi di tutta l’area sanitaria significa tradire il mandato istituzionale di promuovere equità e giustizia sociale», conclude il sindacato.  Al momento ReNaSFO punta «a una definizione dei quantitativi organici a livello nazionale così come è per i medici: questo prevederebbe un test unico nazionale, una uniformità, e la definizione dei fabbisogni che poi si riflettono sulla capacità di avere subito il posto di lavoro a concorso così come è per i medici ed evitare sacche di precariato». La speranza di Scambia è che questo risultato non sia un punto di arrivo, «ma un bellissimo punto di partenza». E ReNaSFO intende continuare a porsi come interlocutore per gli specializzandi di farmacia ospedaliera presso le istituzioni anche per indicare la giusta strada da percorrere: «Il primo obiettivo è trovare e adeguare i fondi a una retribuzione corretta e affiancarli agli altri diritti che hanno i lavoratori, come la maternità, le ferie».   C’è poi il nodo cassa previdenziale professionale, al momento non affrontato nell’articolo presente in legge di bilancio. Ad oggi, per esempio, gli specializzandi in farmacia ospedaliera possono pagare il contributo di solidarietà all’uno per cento, se non in possesso di borse e per un massimo di cinque anni, che è pari «a poco più di 100 euro l’anno. Ma nel momento in cui si ha un contratto che non è di dipendente allora scatta la quota massima. Bisognerà quindi vedere come questa retribuzione andrà a incidere sulla nostra dichiarazione alla cassa previdenziale». È uno degli obiettivi che ReNaSFO vuole portare a casa e che saranno probabilmente inseriti nei decreti attuativi.  Al momento tra i membri della Rete nazionale degli specializzandi in Farmacia ospedaliera vige un certo ottimismo: «Ci aspettiamo una interlocuzione attiva con le istituzioni per condividere i nostri pensieri e indicare la strada che va percorsa» chiude Scambia: «E il 2025 sembra portare a casa un obiettivo rincorso per un quarto di secolo. Bisogna, però, verificare come i decreti attuativi specificheranno i dettagli dei nuovi diritti degli specializzandi di area sanitaria.  Marianna Lepore   Foto di apertura di mspark0 da Pixabay

Se è troppo bello non può essere vero: consigli per non cadere nella trappola degli annunci di lavoro falsi

Alzi la mano chi non ha mai ricevuto un’email o, negli ultimi tempi, ha trovato in una delle app di messaggistica istantanea sul cellulare un messaggio da un contatto sconosciuto che recita più o meno così: «Ciao! Mi dispiace disturbarla! Posso avere un po’ del tuo tempo?» a cui magari sovrappensiero si è deciso di rispondere. Da lì, specie se chi riceve il messaggio è giovane, parte la proposta per un’offerta di lavoro che offre “facili guadagni”, “sicuri”, “comodamente da casa”. La polizia postale periodicamente lancia l’allarme per aprire gli occhi a chi non è abituato a ricevere messaggi di questo tipo; ma esistono dei campanelli di allarme a cui prestare particolare attenzione per evitare di essere coinvolti in qualche truffa?  La Repubblica degli Stagisti ne ha parlato con Giovanni Castiglioni, sociologo appassionato di digital recruiting e mercato del lavoro, academic career officer presso il Career service dell’università Cattolica di Milano (e protagonista di una puntata del nostro podcast!). «Per prima cosa bisogna verificare la forma in cui è scritto il messaggio che si riceve», spiega Castiglioni. «Faccio un esempio: negli ultimi giorni anch’io ho ricevuto via whatsapp tre annunci, con un incipit molto informale, un testo tipo “Ciao, siamo delle risorse umane, sei stato selezionato per un lavoro online, part time”. Ecco, per prima cosa vedere la forma», decisamente troppo amichevole. Poi non lasciarsi abbindolare da premesse «molto belle e allettanti e soprattutto guardare l’importo della retribuzione. In questo tipo di annunci spesso i salari sono molto alti anche per competenze di base. Un altro campanello di allarme, poi, è la richiesta di pagamenti, quindi spese per materiali, formazione e corsi obbligatori. Ricordarsi, poi di fare sempre attenzione al mittente, che potrebbe essere un’azienda sconosciuta, non rintracciabile. Leggere bene quando si parla solo di retribuzione e non di contratto, stare attenti se vengono richiesti dati bancari o di carte di credito prima di qualsiasi colloquio. E poi questi annunci richiedono quasi sempre una immediata disponibilità: c’è sempre un’urgenza, scrivono di “non perdere l’occasione e accettare il prima possibile”».  Insomma, il cammino di chi è alla ricerca di un lavoro diventa sempre più difficile, a cosa bisogna affidarsi, quindi, solo alle piattaforme ufficiali di annunci? «Tendenzialmente direi di sì», spiega Castiglioni, «ma attenzione perché anche su queste, penso alle più conosciute come LinkedIn e Indeed, ci possono essere degli annunci scam, non veritieri. Certo, questi siti hanno un filtro, ma non bisogna fidarsi al 100 per cento nemmeno in questo caso». La truffa non viaggia però solo nella ricerca attiva, ma anche in quella passiva. Sempre più spesso, infatti, l’offerta di lavoro falsa arriva attraverso la messaggistica istantanea, come fare quindi a capire se è vera o no? «Sono messaggi che arrivano da numeri esteri, non italiani, e questo può essere il primo alert. Oppure si ricevono chiamate insistenti da uno stesso numero sconosciuto: allora si può provare a metterlo su un motore di ricerca e vedere se ha già ricevuto una segnalazione». Consiglio spassionato per tutti, cercare di condividere con meno facilità i propri dati di contatto su piattaforme e siti che poi rischiano di condividere – spesso anzi vendere – le informazioni. Altro elemento a cui si può prestare attenzione, soprattutto per chi è alla ricerca attiva di un lavoro – e quindi è abituato a compilare form su varie pagine internet, mandare email, condividere in pratica molte informazioni sensibili – è quello di «segnarsi sempre le aziende presso cui abbiamo inviato un curriculum vitae. Questo non solo ci aiuta a tenere traccia della nostra ricerca, ma anche per verificare effettivamente eventuali truffe. Se si riceve una chiamata o un messaggio e si scopre che a quell’azienda non abbiamo mai mandato un curriculum, bisogna subito chiedersi come mai ci sta chiamando».  Altra questione sollevata da Castiglioni, i guadagni (troppo) facili. «In Italia per la maggior parte degli annunci la retribuzione non è indicata, o al massimo è in termini di Ral annuale. Questi annunci falsi, invece, hanno sempre dei dati per guadagni giornalieri o settimanali, cosa molto rara nella realtà. Non è indicato il lordo o il netto. Ci sono annunci con l’indicazione di uno stipendio giornaliero dai 240 ai 500 euro al giorno: questi non sono dati verosimili. Deve essere un campanello di allarme, ma posso capire che in un momento di ricerca di lavoro o di particolare fragilità una persona risponde subito senza chiedersi se possa essere possibile o no».  Capitolo richieste di denaro: alcuni annunci di lavoro richiedono alcuni tipi di sottoscrizioni o esplicitamente il versamento di una somma di soldi. Sono sempre falsi? «Secondo me è una truffa al 100 per cento» dice l'esperto: «Tendenzialmente nessuna azienda ti chiede un pagamento anticipato per l’assunzione. Al massimo dopo la selezione di chiedono gli estremi dell’Iban, ma questo avviene dopo che c’è stato almeno un colloquio, anche due o tre». E ovviamente nella prospettiva inversa, cioè per pagare i neo collaboratori, non per chiedere loro soldi! «È importante verificare che l’azienda abbia una sede in Italia o almeno in Europa e che ci sia almeno un passaggio attraverso una call, se non proprio di persona, per guardare in faccia chi c’è dall’altra parte» suggerisce Castiglioni.  E le famose offerte con “attività da svolgere comodamente da casa” sono sempre false? «Sempre, no. C’è la possibilità di svolgere dei lavori da remoto, spesso di supporto al customer service e di verifica di altre piattaforme. Personalmente, però, sono sempre un po’ scettico quando vedo questi annunci, quindi il mio consiglio è di fare sempre delle verifiche». E soprattutto non dimenticarsi che va firmato un contratto: «Prima di iniziare qualsiasi attività bisogna richiedere una bozza di contratto e se non si è sicuri di cosa si sta firmando, farla leggere a chi se ne intende meglio, ad esempio un legale o un consulente, in modo che possa dare tutte le informazioni di cui si ha bisogno».  Certo gli annunci truffa non sono una novità: forse negli ultimi tempi se ne parla di più, ma le richieste di persone senza esperienza con l’offerta di guadagno garantito ci sono sempre state. E oggi grazie alla rete sono in parte aumentate e più visibili a tutti.  Facendo qualche ricerca si trovano vari decaloghi su come leggere un annuncio di lavoro, ma Castiglioni ritorna sui punti principali per smascherare le truffe: la forma, la presenza di un contatto reale di un’azienda che attraverso una ricerca posso verificare esista realmente, e poi la selezione che va fatta in più fasi. E ricordarsi di non condividere mai dati personali relativi a carta di credito o iban prima di aver letto un contratto che si vuole firmare.  Nel caso, però, si rispondesse ad annunci del genere e solo dopo si realizzasse di essere incappati in una truffa, cosa fare? Non tutto è perduto. «Bisogna contattare immediatamente la polizia postale per denunciare quanto è accaduto».  Su tutto vale il consiglio dato a più riprese dalla polizia postale: non rispondere a messaggi da numeri sconosciuti o aprire link che possono compromettere il proprio dispositivo, specie se condivisi attraverso Whatsapp, TikTok, Telegram; bloccare i contatti di questo tipo; provare a chiamare o scrivere all’azienda da cui si è ricevuta la proposta attraverso i canali ufficiali, per verificare che l’offerta di lavoro sia reale; mantenere aggiornati i software di sicurezza, sia antivirus sia malware. Marianna LeporeFoto di apertura di mohamed_hassan da PxHere in modalità Creative Commons

«Mi si è aperto un mondo»: in Kirey si chiude il primo ciclo di master in Digital Transformation

Una giornata di restituzione e di festa, per chiudere un ciclo e festeggiare tre anni di formazione. È quello che gli apprendisti 2022-2024 di Kirey Group hanno vissuto pochi giorni fa, a inizio dicembre, per celebrare la fine dei tre anni del master in Digital Transformation, percorso formativo accreditato Asfor che l'azienda ha deciso di offrire ai suoi dipendenti più giovani assunti in apprendistato. «Con questo master mi si è aperto un mondo» racconta una delle partecipanti, Francesca Marengo, 28enne di Torino laureata in Psicologia, che in Kirey ha effettuato la tripletta stage, poi apprendistato, e poi contratto a tempo indeterminato (anche se tecnicamente già l'apprendistato lo è!)«Abbiamo voluto dedicare la giornata ai colleghi che finivano il master» spiega Eugenia Rizzo, Learning manager di Kirey – che proprio da quest'anno fa parte del network di aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti: «Non è stata una giornata di formazione: abbiamo dato soprattutto la parola a loro, volevamo che si raccontassero». Dopo una breve introduzione della neo General manager di Kirey, Alessandra Girardo, e della stessa Rizzo [insieme nella foto qui accanto], si sono dunque susseguiti gli interventi di tutti i protagonisti (o meglio, di alcuni in rappresentanza di ciascun gruppo) di questa esperienza: studenti-apprendisti, docenti, tutor, e il team che gestisce il master. «Mi ha emozionato sentire il racconto dei ragazzi» dice Eugenia Rizzo: «Noi del team avevamo dato loro solo il tema, e loro l’hanno raccontato molto bene, aggiungendo delle cose molto personali. Questo mi ha fatto capire che erano veramente ingaggiati, e avevano voglia di raccontarlo».Alcune testimonianze sono state rese dal vivo, altre in video, per dare un movimento e poter «sia raccontare l'esperienza al momento, sia un po' fuori dal momento». In particolare, uno dei video ha raccolto il contributo di una partecipante di base a Roma «che è stata in maternità durante il master, e in più adesso è in allattamento! Quindi non è potuta venire all'evento, ma è riuscita a prendere la certificazione. Nel video ha voluto condividere la sua esperienza di neomamma che ha comunque potuto frequentare il master», spiega Rizzo, partecipando ai moduli in cui poteva, e fruendo degli altri moduli in altri modi, avendo anche a disposizione le registrazioni delle lezioni.Il master rappresenta in effetti uno sforzo organizzativo non da poco. «Dietro c'è un'organizzazione pazzesca: per essere stati "le cavie", i primi tre anni, con tutto nuovo, l'organizzazione da parte del team di formazione è stata impeccabile» riflette Francesca Marengo: «E poi il master non ci è costato assolutamente niente e ha un valore per sempre, perché è certificato Asfor, e lo si può inserire all'interno del curriculum. Le lezioni sono sempre state puntuali, noi ci trovavamo già tutti gli appuntamenti sul calendario pronti: dovevamo solo partecipare».L'iniziativa è partita nel 2022, quindi questa è stata la prima "classe" a completare l'intero ciclo triennale. «Il loro è stato il progetto pilota» conferma Eugenia Rizzo: «Una classe molto interessante, molto ricettiva, che nei tre anni ci ha aiutato a apportare delle migliorie. Grazie ai loro suggerimenti abbiamo capito dove tagliare alcune cose, dove aggiungerne altre; negli anni abbiamo anche un po' rivoluzionato l'ordine dei moduli, perché ci siamo resi conto che magari un certo modulo aveva più senso portarlo all'inizio piuttosto che alla fine. Del resto, il master è un progetto sempre "working in progress"!».Location dell'evento uno spazio molto informale, una ex scuola di danza a Milano: «Abbiamo volutamente scelto una sede diversa da quella utilizzata nei tre anni di master per le giornate in presenza» continua Eugenia Rizzo: «Per questo Graduation Day abbiamo voluto una sede luminosa, allegra, friendly: un open space con i classici specchi per fare gli esercizi di danza, in un angolo un biliardo, poltroncine molto moderne, una cucina a vista dove uno chef ha cucinato per noi, praticamente sotto i nostri occhi!»Il master in Digital Transformation è pensato con l'obiettivo primario di far approfondire agli apprendisti tutti i rami di attività dell'azienda, i prodotti, le competenze, le business line, i mercati in cui Kirey opera, le relazioni con le sedi estere. « È difficile trovare una lezione che sia stata più interessante dell'altra» dice Francesca Marengo: «Forse quella che mi è rimasta più impressa, per come è stata gestita, è stata quella di Andrea Lazzarino, il nostro Sales director, sui bias che ci sono dietro il lavoro commerciale: molto interattiva, attraverso una sorta di gamificazione. È stato molto interessante proprio come ha strutturato la lezione».La giornata di celebrazione è stata voluta dal team che ha ideato e organizza il master: «C'è bisogno anche di questi momenti, visto che noi siamo in full remote working; è un modo per conoscere i colleghi in un ambiente più easy» spiega Eugenia Rizzo. In particolare, i partecipanti del master per forza di cose (l'apprendistato è un contratto riservato alle persone under 30) «sono tutti ragazzi giovani: questa è un'occasione perché si parlino tra di loro, con il loro linguaggio», i loro codici. E infatti «il feedback che torna sempre è: ci piacerebbe farlo tutto in presenza!».«Questo master mi ha fatto sentire meno sola: sono create delle vere e proprie amicizie, ora c'è un aiuto reciproco, si è creata più confidenza», conferma Francesca Marengo, cui da un lato questa flessibilità ha permesso di non essere costretta a spostarsi a Milano, e poter quindi rimanere a vivere nella sua città; dall'altro però inevitabilmente c'è un senso di solitudine nel non avere colleghi intorno. Si è creata una coesione di gruppo: «Avevamo già stretto amicizia in modalità online; nei corsi di formazione trasversale, e anche nei corsi tecnici, magari ci dividevano in stanze su Teams, e quindi avevamo modo di rapportarci con qualcun altro; però il fatto di vedersi in presenza ha un valore in più». Tanto che in futuro è prevista l'aggiunta di una terza data in presenza, a metà di ciascuna annualità.Nel master, una importante parte della formazione consiste nel presentare alla classe dei "case history", situazioni avvenute realmente in passato nel business di Kirey: «Mettevano alla prova il nostro pensiero, ci portavano a ragionare: “a noi è successo questo, è stata una situazione critica, voi come l'avreste risolta?”» racconta Francesca: «Era anche un modo di confrontarsi con noi e di farci sentire parte attiva, come dire “a noi interessa il vostro pensiero, una visione più innovativa”. Noi giovani possiamo portare ulteriore innovazione e creatività all'azienda».Il percorso formativo, essendo pensato per tutti gli apprendisti di tutti i settori aziendali, non è "esageratamente" concentrato sulla tecnologia: ma essendo pur sempre un master in Digital transformation, «mi spaventava un po' all'inizio» ricorda Francesca, che alle spalle ha un percorso molto improntato alle materie umanistiche. Ma poi se l’è cavata egregiamente; anzi «essendo io recruiter, quindi andando a parlare dell'azienda ai vari candidati, il fatto di approfondire così nel dettaglio tutte le business line mi ha dato modo anche di ampliare le mie conoscenze e di conseguenza trasmetterle ai candidati».Per esempio, durante il master Francesca Marengo ha potuto seguire gli step di «creazione di una web app», ha potuto osservare con i suoi occhi la gestione dei database, la fase di sviluppo con la scrittura dei codici nei vari linguaggi informatici come Java, oppure «un Power BI in azione», o ancora «come si costruisce al meglio un front-end». Un'infarinatura che le è molto utile, adesso, nel suo lavoro quotidiano di recruiter di profili IT specie «nell'ambito del cloud, della business intelligence, degli sviluppatori». Anche se poi non spetta a lei valutare le competenze tecniche (per quelle c'è un colloquio specifico con i manager di linea), è chiaro che conoscere i temi di cui si parla è molto utile.E poi i moduli di soft skill hanno avuto anche dei risvolti inaspettati, rivelandosi utili non solo a «migliorare il nostro io lavorativo, ma anche il nostro io personale» riflette Francesca Marengo: «Queste soft skills ci aiutano nella vita quotidiana di tutti i giorni a livello lavorativo, ma poi ci migliorano proprio come persone, nel relazionarci non solo con i nostri colleghi ma anche con amici e familiari. Abbiamo migliorato la gestione del tempo e dello stress, imparato a comunicare in modo efficace, a lavorare per obiettivi e in gruppo; è stato un master molto ricco sotto questo punto di vista.»Alla fine del Graduation Day a tutti i partecipanti oltre al diploma di partecipazione è stato consegnato anche il "tocco" (il cappellino tipico delle cerimonie di diploma) da lanciare in aria, «come si fa in America», per sancire la fine del percorso. «Non è così scontato che un'azienda offra un'opportunità formativa così completa a noi figure junior», chiude Francesca Marengo: «Una bella dimostrazione di quanto creda in noi giovani professionisti».

Adulti disoccupati, il Comune di Bari promuove stage per offrire “un nuovo giro di giostra”

Veramente non si può fare di meglio, per trovare lavoro a persone adulte, di metterle a fare gli stagisti? Lo stage non è un contratto di lavoro, non è vincolante, non dà diritto a una retribuzione, né a contributi previdenziali (dunque non vale niente per la pensione). È a tutti gli effetti uno strumento pensato per i giovani inesperti. Eppure proprio lo stage è al centro del nuovo programma di stage del Comune di Bari, che ci investe una discreta sommetta – 3 milioni di euro – per pagare le indennità a favore degli stagisti: quindi praticamente le aziende che ospitano queste persone in tirocinio non scuciono un euro, e per sei mesi hanno a disposizione persone in più in organico. Inesperte, certo... ma quanto inesperta può essere una donna over 35? O un uomo over 45? Ma il Comune di Bari difende questa scelta: «Per il nostro target, donne che non hanno mai lavorato e uomini che sono fuoriusciti dal mercato del lavoro e hanno perso competenze, c’è bisogno di un giro di giostra per rimettere in sesto una relazione positiva tra lavoro e impresa» dice alla Repubblica degli Stagisti Roberto Covolo, dirigente dell’ufficio di Gabinetto del sindaco che segue i temi di economia urbana e lavoro. Nel dettaglio, l'iniziativa si chiama “la Fatica!” ed è stata pensata per promuovere l’inserimento e il reinserimento lavorativo di particolari soggetti fragili, con un finanziamento europeo. Il bando ha preso il via a fine novembre e andrà avanti fino al 30 giugno 2026, budget permettendo — e anzi le risorse potrebbero perfino aumentare, visto che proprio nel bando c’è scritto che «l’amministrazione comunale si riserva la facoltà di aumentare la dotazione finanziaria dedicata alla misura».  Il Comune è convinto della bontà del progetto, tanto che riconoscerà un’indennità di tutto rispetto: 800 euro al mese per sei mesi a ciascun partecipante per un impegno settimanale di 25 ore, praticamente un part-time abbondante (un orario “pieno” corrisponde a 38-40 ore settimanali secondo la maggior parte dei contratti nazionali di lavoro). I fondi arrivano dal Programma Nazionale PN Metro Plus e Città medie Sud 2021-2027, approvato a fine dicembre di due anni fa con una dotazione finanziaria complessiva di 3 miliardi di euro tra fondi europei e cofinanziamento nazionale, che coinvolge 39 città medie del sud, «nel ruolo di beneficiari per progetti di innovazione sociale finalizzati alla rigenerazione di aree fragili, caratterizzate da disagio socio-economico e abitativo», più 14 città metropolitane tra cui c’è anche Bari che ha avuto 225 milioni di euro da utilizzare per transizione digitale e verde, inclusione e innovazione sociale e rigenerazione urbana. E che ha deciso di destinare al progetto Porta Futuro 7 milioni di euro da distribuire in vari progetti: La Fatica è uno di questi. In realtà l’idea risale al 2016. In quell’anno il comune di Bari lancia un servizio di politica attiva per il lavoro che si chiama Porta Futuro: un job center pubblico che favorisce l’incontro tra domanda e offerta di lavoro e quindi, lato cittadini, offre servizi di orientamento, formazione, costruzione del curriculum, ricerca attiva di un lavoro e, lato imprese, supporto al recruiting. «Un servizio che ha un riscontro di forte impatto» spiega Covolo, tanto che «solo nel 2024 si sono iscritte oltre 6mila persone in città e diverse centinaia di aziende». A questo servizio ne viene poi associato un altro, sulla base dei dati sul mercato del lavoro della Provincia di Bari, per aiutare proprio chi rimane escluso da ogni tipo di aiuto: ovvero donne over 35 e uomini over 45. Ed ecco La Fatica!: «Queste persone non erano supportate da altri percorsi di matrice regionale di riavvicinamento al mercato del lavoro, come Garanzia giovani o il programma Gol, che colpiscono in particolare un target giovanile. Mentre dall’osservazione specifica per l’area metropolitana abbiamo visto che in particolare per le donne fuoriuscite dal mercato del lavoro o mai entrate – perché nel frattempo si sono dedicate alla famiglia e alla maternità – e per gli uomini usciti dal lavoro dopo una certa età, non c’erano programmi dedicati. E abbiamo deciso di orientare la sperimentazione di questi fondi, che erano destinati ai tirocini o borse lavoro, a questi target specifici fino ad ora esclusi da altre politiche attive del lavoro». Ai tirocinanti andrà, come detto, un rimborso spese mensile di 800 euro. «Abbiamo preso la soglia minima per l’indennità mensile che è disciplinata dalla legge regionale pugliese ed è di 600 euro» – la più alta, in effetti, di tutte le Regioni del Sud – «e l’abbiamo aumentata del 30 per cento», spiega Covolo: «Pensiamo che sia dignitosa, perché visto l’impegno orario significa che è superiore ai 10 euro l’ora per un’attività di apprendimento». Una scelta che lascia perplessi è quella di non richiedere alle aziende di cofinanziare lo stage. Un metodo spesso adottato per responsabilizzare maggiormente le imprese ospitali e convincerle poi a tenere i tirocinanti con dei veri contratti di lavoro, dopo aver investito anche economicamente su di loro. Questa volta no. «Chiediamo di garantire esperienze di qualità: che queste persone non siano messe a fare lavori ordinari», spiega il dirigente dell’ufficio Gabinetto del sindaco, «ma siano seguite da un tutor in azienda e che sia una vera esperienza di apprendimento per facilitare l’incontro tra domanda e offerta di lavoro». Ovvero quello che normalmente un’impresa dovrebbe fare con uno stage – anche se, è vero, non sempre è così nella realtà. Ma insomma, quel che il Comune chiede sembra abbastanza il “minimo sindacale”: «Ogni impresa stipula con il Comune e con il tirocinante un progetto formativo individuale che si pone degli obiettivi propedeutici all’assunzione. Certo, non possiamo costringere le aziende ad assumere, ma crediamo che la costruzione di un progetto formativo in azienda di qualità possa essere uno strumento utile». Utile probabilmente non solo agli stagisti: le aziende ospitanti riceveranno anche per ogni tirocinio attivato un rimborso fino a 300 euro; e sopratutto potranno impiegare nel loro organico queste donne e uomini over 35 senza avere, al termine, obblighi di alcun tipo verso di loro, o penalità per non averli assunti.   Il bando sta riscuotendo consenso: nei primi dieci giorni dalla pubblicazione sono state ricevute circa 150 domande, con una buona distribuzione tra i generi e le classi di età. Anche perché oltre all’indennità mensile di tirocinio ogni partecipante può ricevere una ulteriore “dote di apprendimento” dell’importo massimo di mille euro, da usare abbastanza liberamente per la formazione extra e per acquisire nuove competenze. La scelta non viene però lasciata totalmente all’autonomia dello stagista: in fase di progettazione del piano formativo stipulato tra Comune, azienda e tirocinante si decide come investire questa dote, per esempio «se l’azienda osserva che lo stagista avrebbe più possibilità di avere poi un contratto se avesse anche una patente speciale», fa un esempio  Roberto Covolo, «in quel caso il tutor del Comune e quello dell’azienda suggeriranno al soggetto di investire la dote per un corso di patente di questo tipo». Il Comune non ha dubbi sull’efficacia del programma e ha anche fatto delle stime sull’inserimento finale di questi individui over 40 che derivano da esperienze di tirocini precedenti attivati sempre dall’ente locale – anche se su un target diverso, di under 29, e dalle rilevazioni nazionali Anpal sui tirocini per adulti nel periodo 2021. «Questi dati ci dicono che il 43 per cento di chi aveva concluso l’esperienza ha poi avuto un contratto di lavoro. Questo è su base nazionale e logicamente al nord è più alto che al sud, ma noi puntiamo a registrare un dato che sia prossimo al 40 per cento». Per quanto sul piano teorico il progetto abbia la finalità positiva di reintrodurre questi soggetti nel mercato del lavoro, i dubbi sull’opportunità restano. Primo fra tutti perché un contratto di tirocinio, come da sempre la Repubblica degli Stagisti ricorda, non è un vero contratto di lavoro. Quindi nessuna copertura in caso di malattia o di maternità, nessun giorno di ferie pagato, e sopratutto zero contributi. E tutto questo per una platea di destinatari già fuori dal mercato del lavoro, per giunta anche più che adulta, significa rendere ancora più incerto e magro il futuro pensionistico. D’altronde proprio l’Anpal, l’Agenzia Nazionale per le Politiche Attive del Lavoro, in un report del maggio dello scorso anno (“Le transizioni degli adulti. Esperienze di tirocinio extracurriculare degli over 35”) evidenziava questo aspetto, scrivendo che la grande maggioranza degli adulti che si approcciano a un tirocinio vive una discontinuità con il mercato del lavoro che, «interrotta o, in alcuni casi, mitigata dall’evento di tirocinio stesso, manifesta tutta la sua criticità sul piano contributivo e pensionistico così come sulla tenuta occupazionale e sulla manutenzione e sviluppo di competenze. Per i più adulti, dunque, più che la scelta di cambiare lavoro o di qualificare la propria carriera, l’esperienza di tirocinio sembra rientrare tra le strategie per riuscire a trovare un lavoro e/o arginare la propria posizione di marginalità rispetto al mercato o più banalmente di accedere a una retribuzione». Covolo spiega che questo strumento si affianca ad altri servizi di sportello «ed è da vedere all’interno di una strategia che non riguarda solo il Comune ma anche quello che fanno Regione e Stato. Pensiamo che su questi due target specifici c’è bisogno di un momento di incontro tra lavoro e imprese per fare una reciproca esperienza di conoscenza». E assicura che il programma sarà monitorato, «ci sarà anche una ricerca qualitativa e quantitativa dell’università di Bari per valutare se le nostre tesi sono state corrette». Resta il fatto che usare lo stage come modalità per offrire un’entrata economica e un po’ di formazione ad adulti disoccupati, senza un potente orientamento e incentivo all’inserimento professionale, non può essere la soluzione. Staremo a vedere quanti troveranno effettivamente un lavoro al termine del programma.  Ma i dati raccolti in questi anni dal ministero del Lavoro non lasciano spazio a grandi illusioni, dato che hanno dimostrato che lo stage non funziona granché, come volano all’assunzione, per chi ha più di 35 anni. Il caso Bari dimostrerà il contrario?Marianna LeporeFoto di apertura: credits Comune di Bari

Parità di genere: come rendere conveniente, oltre che giusta, la certificazione? Ci pensa un Manifesto

Ogni cambiamento parte da dentro, si dice. Ma come si fa, poi, a creare cambiamento anche fuori? È un tema importante per chiunque decida di agire positivamente per la collettività, perché poi ci si guarda intorno con frustrazione e inevitabilmente ci si chiede “Sì ma se qui mi comporto così solo io, avrò veramente un impatto?”.Questo vale non solo per le singole persone, ma anche per le aziende. Danone, per esempio, è virtuosa in molti campi (è parte dell'RdS network da oltre un decennio), e da 14 anni ha in atto una politica aziendale estremamente favorevole all'occupazione femminile e alla natalità, avviata nel 2011 con il “Baby decalogo” – una serie di buone pratiche per accompagnare le mamme e i papà durante l’esperienza della gravidanza e del rientro in azienda, adottata poi in tutte le sedi di Danone nel mondo. Più di recente, Danone ha anche sottoscritto il Codice di Autodisciplina per le imprese in favore della maternità promosso dal Dipartimento delle Pari opportunità (ad oggi gli aderenti sono 142).Dietro questo lavoro, che è anche finito citato nel bel saggio della demografa Alessandra Minello “Non è un paese per madri”, c'è la manager Sonia Malaspina, a sua volta madre in carriera, protagonista nel 2021 di un Ted Talk dal titolo “Come implementare la parità di genere sul posto di lavoro” e autrice del libro “Il congedo originale - Perché le aziende temono la maternità”, scritto a quattro mani nel 2023 con la collega Marialaura Agosta (qui la puntata del podcast della Repubblica degli Stagisti su questo libro) proprio per ripercorrere e divulgare l'esperienza di Danone in tema di valorizzazione delle madri lavoratrici.A marzo dell'anno scorso Danone ha ottenuto la certificazione per la parità di genere e ha deciso di rilanciare provando a coinvolgere i suoi 500 fornitori nel percorso, incentivandoli a prenderla a loro volta. L’intenzione di espandere a macchia d'olio l'adesione alla certificazione è stata messa anche nero su bianco in un accordo sindacale di secondo livello formulato insieme a Massimiliano Albanese, segretario nazionale della Fai Cisl (sigla sindacale che rappresenta circa 200mila lavoratori dell'agricoltura e attività connesse, compresa l'industria alimentare) firmato ufficialmente a gennaio 2024. L'accordo impegna Danone a inserire in tutte le sue gare di beni e servizi un criterio di premialità dal 5 al 10 per cento in favore delle aziende che hanno conseguito (o che conseguiranno nei successivi sei mesi) la certificazione per la parità di genere.Da cosa nasce cosa, e ora c'è un appello pubblico a tutte le aziende d’Italia, di tutti i settori, affinché adottino anche loro questa policy: si chiama “Il Manifesto per la parità di genere nella filiera italiana” ed è stato lanciato a febbraio di quest’anno, e poi ri-presentato in Sicilia in occasione del G7 Agricoltura e Pesca, a fine settembre, alla presenza del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida.Oltre ad alcune delle aziende fornitrici di Danone, come per esempio il Pastificio di Chiavenna in Valtellina («quelli che ci fanno la pastina per i bimbi»), o Damiano («che produce mandorle per noi in Sicilia»), il settore farmaceutico è stato il primo a rispondere, con varie aziende aderenti: «Segno che hanno un maggiore presidio della loro catena di fornitura» riflette Malaspina, «cioè sono più avanzati nella volontà di trainare la catena del valore». Il che risponde anche allo spirito di una recente direttiva europea, la Corporate Sustainability Reporting Directive approvata a gennaio 2023, «che dice proprio che bisogna preoccuparsi della sostenibilità ambientale e sociale non solo all'interno della propria azienda, ma lungo tutta la catena». Un obiettivo che tocca potenzialmente tanti aspetti: «I diritti umani, il giusto salario, la sicurezza sul lavoro, l'ambiente. Ormai siamo tutti interconnessi e ognuno deve far la sua parte: le aziende capofila come la nostra hanno grandissimo peso nel far cambiare i comportamenti».Ovviamente c’è anche il tema del contrasto alla discriminazione di genere (secondo il Global Gender Gap Index 2024 del World Economic Forum l'Italia è in posizione pessima: 86esima su 146 Paesi nella classifica generale, e addirittura 111esima rispetto alla partecipazione delle donne alla vita economica e opportunità). Per questo, continua Malaspina, «in Danone ci siamo detti: ma noi, che come azienda ormai abbiamo raggiunto un ottimo livello, cosa possiamo fare di più?». Risposta: mettere a disposizione «l'esperienza, le pratiche, le policy, facendo in modo di stimolare la decisione» di fare la certificazione. Il che però dev'essere «assolutamente una decisione imprenditoriale: bisogna dire “mi interessa l'occupazione femminile, ci credo”, oppure no. È una scelta radicale che si fa a monte». Ma per chi decide di intraprendere questa strada, «noi siamo a disposizione con il nostro know-how».Il fattore-chiave del Manifesto per la parità di genere nella filiera italiana, promosso da Danone con il Winning Women Institute e la sua presidente Paola Corna Pellegrini, è proprio l'incentivo che va a valorizzare anche monetariamente la scelta di procedere con la certificazione. Senza incentivo, le parole rischiano di cadere nel vuoto: «Nel 2019 avevo scritto una lettera ai nostri fornitori raccontando i risultati delle policy di Danone sulla genitorialità» ricorda Sonia Malaspina, che all’epoca era direttrice HR di Danone e oggi ricopre il ruolo di direttrice Relazioni istituzionali: «Mi avevano risposto in tre su 500».Ci voleva uno strumento più forte, che nel Manifesto è formulato così: «In sede di gara viene valutata l’adozione, da parte del fornitore, di politiche tese al raggiungimento della parità di genere, comprovata dal possesso della certificazione di parità di genere [...] L’ottenimento di tale certificazione darà una premialità stimata tra il 5 e il 10% della valutazione complessiva di gara». Insomma, là dove non arriva la moral suasion, si spera che funzioni il richiamo al portafogli: avere la certificazione può servire anche ad avere più probabilità di vincere appalti, ottenere commesse e clienti.Danone ha già incontrato per esempio i suoi dieci più grandi fornitori, chiamando a raccolta «amministratori delegati e amministratrici delegate» e loro diretti referenti, per una giornata di workshop sulla sostenibilità; e tutti e dieci «adesso sono dentro il processo di certificazione», anche ovviamente grazie alla premialità. In soli due anni sono già 16mila i siti certificati per la parità di genere: è diventata «la quarta certificazione in Italia in brevissimo tempo». Il Manifesto ha il significato di «dare lo stimolo alla propria catena», invitando a considerare la tematica. Ovviamente poi avere la certificazione non basta, in sé, per vincere una gara e diventare (o restare) fornitori di Danone, o delle altre aziende che l'hanno sottoscritto: «Ci sono altri criteri», conferma Malaspina, come «il prezzo, la qualità, le altre ISO, il livello, la tempestività: variano a seconda del bene o del servizio». Prevedere però punti aggiuntivi direttamente dipendenti dall'impegno verso la parità di genere sul posto di lavoro è importante, perché le gare sono «un fattore importantissimo per il business: per questo Danone ha voluto associare la parità con la competitività, la natalità con l'occupazione femminile: per generare consapevolezza».Anche i sindacati si stanno muovendo, proponendo alle aziende con cui sono in contatto di aderire; senza dimenticare che il Manifesto può anche essere sottoscritto dal terzo settore, dalle università, anche da persone singole che scelgono di diventarne “ambasciatrici”.Ad oggi le aziende firmatarie sono 23: accanto a Danone ci sono Andriani, Damiano spa, Edenred, Freshfields (studio legale che ha firmato non solo per la sua sede italiana, ma anche a livello mondiale), Impianti spa, Iocap, Ipsen spa, Isopren, Korian, Landoor, Lati spa, Lundbeck, Minsait (Indra Italia spa), Pastificio di Chiavenna srl, Operàri srl SB, Prolink srl, Sanofi, Teva Italia srl, Veritas spa, Way2Global, più le due start-up FlorenceCare srl e Pack.Importante sottolineare che qualsiasi azienda, di qualsiasi dimensione, può partecipare: quelle più piccole, che magari non hanno tanti fornitori e che non mettono su vere e proprie gare per selezionarli, possono concretizzare i principi della premialità meno formalmente, scegliendo magari di collaborare con aziende che hanno la certificazione per la parità di genere piuttosto che con aziende che non ce l’hanno: il ruolo dell’ufficio acquisti e di chi confronta e valuta i preventivi, anche nelle microimprese, è strategico in questo senso.Va aggiunto che ottenere la certificazione comporta dei costi, sia monetari sia di tempo e risorse – per esempio, bisogna fare il piano strategico sulla parità, e per questo servono consulenti in caso non si abbiano le risorse interne in grado di elaborarlo. Ma si tratta comunque di costi piuttosto contenuti; inoltre, in alcuni territori sono disponibili dei voucher a copertura di queste spese. «Si può verificare tramite le Camere di commercio» suggerisce Sonia Malaspina «perché a volte ci sono dei fondi, specie per le piccole e medie imprese».In un mondo del lavoro che strutturalmente penalizza le donne, non sorprende che ben la metà dei firmatari, cioè degli AD e manager che hanno firmato impegnando la propria azienda su questa policy, siano donne – forse in media più consapevoli dell’impatto sulle persone e sulle famiglie dei dati relativi alla presenza delle donne italiane nel mercato del lavoro. Come ricorda il preambolo del Manifesto, il tasso di occupazione femminile in Italia è fermo al 55%, venti punti sotto la media europea, e vi è un'alta probabilità di abbandono del lavoro da parte delle madri lavoratrici, dato che una italiana su cinque lascia il posto dopo la maternità. Si tratta di un fattore rilevante per i progetti di famiglia delle nuove generazioni: non è un caso che infatti in Italia il tasso di fecondità sia bassissimo, solo 1,2 figli per donna, contro l'1,53 della media europea. Iniziative come questa del Manifesto puntano a rendere più paritario il mondo del lavoro, evitando che le donne debbano ancor oggi, alle soglie del 2025, scegliere tra lavoro e figli.Qualche informazione in più sul Manifesto per la parità di genere della filiera italiana FONDATORI E FONDATRICIEnrico Gambardella Ermelinda Spinelli Fabrizio GavelliLetizia CaccavaleLuca CaponeMarilena Hyeraci Massimiliano Albanese Maurizio Del Conte Paola Corna Pellegrini Pietro Paolo Origgi Sonia Malaspina Stefania BallianaTonia Cartolano William GriffiniLista di aziende firmatarie, sostenitori e persone ambasciatriciAggiornata al 24 ottobre 2024AZIENDE FIRMATARIE IN ITALIA1) Danone, Fabrizio Gavelli – presidente e amministratore delegato Italia & Grecia2) Andriani, Mariangela Candido – HR Director3) Damiano spa, Riccardo Damiano – CEO4) Edenred, Michele Riccardi – HR Director5) Freshfields, Luca Capone – partner6) Impianti spa, Simona Castelli – COO e presidente CDA7) IOCAP, Edoardo Francesco Monopoli – Partner8) Ipsen spa, Alessandra Benevolo – HR Director Italy and South Europe9) Isopren, Marcella Bergamini – presidente e Chief Growth & Financial Officer10) Korian, Federico Guidoni – amministratore delegato11) Landoor, Adele Nardulli – owner & CEO12) Lati spa, Laura Riva – direttrice Risorse umane13) Lundbeck, Tiziana Mele – Managing Director14) Minsait (Indra Italia spa), Pedro Garcia Martin – legale rappresentante15) Pastificio di Chiavenna srl, Fabio Moro – amministratore delegato16) Operàri srl SB, Vittorio Gennaro – amministratore delegato17) Prolink srl, Rinaldo Pietro Platti – CO founder18) Sanofi, Laura Bruno – People & Culture Director19) Teva Italia srl, Veronica Magli – HR Country Lead Italia20) Veritas spa, Chiara Bellon – direttrice Risorse umane e organizzazione21) Way2Global, Laura Gori – founder & CEOAZIENDE FIRMTARIE A LIVELLO GLOBALE - Freshfields, Luca Capone – partnerAZIENDE START-UP- FlorenceCare srl, Aura Alejandra Mezu Mencilla & Rocco Ciracì – Chief Solution Officer & amministratore unico- Pack, Pietro Maria Picogna – CEOSOSTENITORI- Alfonsi Legal & Compliance Studio Legale, avvocato Antonella Alfonsi - Assessorato all’Istruzione, Formazione, Lavoro di Regione Lombardia, Simona Tironi – assessore all’Istruzione, Formazione, Lavoro di Regione Lombardia- Cottino Social Impact Campus, Cristina Di Bari - CEO- Diligentia ETS, Claudia Franceschelli – vicepresidente- Fidapa BPW, Roberta Giani – presidente sezione Monza e Brianza- Istud Business School SRL, Marella Caramazza – direttrice generale- NoiD Telecom APS, Cristina Carollo – presidente- Side by Side, Alessia Salmaso – co-fondatore e presidente- Women in Procurement- Associazione di Promozione Sociale “U Jùse APS”, Alessandra Neglia – presidente- Associazione Sloworking ETS, Vanessa Trapani – presidente- Professional Women’s Association Rome, Catherine Tondelli – presidenteAMBASCIATORI E AMBASCIATRICI- Cristina Di Loreto – psicologa psicoterapeuta, coach & trainer Ideatrice di Me First - Elisabetta Pesenti – founder & COO La Luna del Grano- Graziella Gavezotti – presidente Edenred Italia- Laura Donadoni – giornalista e fondatrice di The Italian Wine Girl e La Com Wine Agency - Licia Fagetti – marketing manager Pastificio di Chiavenna srl- Patrizia Brunetti – libera professionista, ex manager- Sonia Zappitelli – CEO & founder La Luna del Grano- Valeria Gangemi – HR director

Che vergogna, ancora stage gratis all'Onu: il Segretariato a New York in fondo alla classifica di qualità

Se proprio volete fare uno stage all’Onu, considerando che non si tratta di un’unica entità ma di una galassia con una ventina di agenzie e uffici tematici e condizioni di lavoro anche molto differenziate, il consiglio che vi diamo come Repubblica degli Stagisti è di avere l'accortezza di scegliere una delle prime nella classifica pubblicata dalla Fair internship initiative, perché più si scende più le condizioni offerte agli stagisti peggiorano. All’ultimissimo posto c’è proprio – che vergogna! – la sede simbolo delle Nazioni Unite, il Palazzo di Vetro a New York, luogo nevralgico per l'attività di questa organizzazione ed edificio inconfondibile immortalato in film e cartoline. È proprio lì, dove ha sede il Segretariato, che i diritti degli stagisti vengono platealmente calpestati, perché i tirocini sono ancora completamente gratis. Malgrado tutte le manifestazioni degli ultimi dieci anni.  È quanto emerge dalla versione aggiornata del Quality index – la terza dopo quelle del 2019 e 2021 – presentata qualche giorno fa durante la Giornata internazionale degli Stagisti. Negli ultimi tre anni diverse organizzazioni hanno rivisto le proprie policy riguardo i programmi di tirocinio, ma ancora nella galassia Onu esistono gli stage senza rimborso spese, nonostante molte sedi siano in alcune tra le più costose città al mondo, come appunto New York o Ginevra. Qui in coda all’articolo pubblichiamo l’intera classifica. Durante la lunga sessione online a Ginevra sono stati illustrati i risultati di una indagine condotta nel corso del 2023 su 611 persone impegnate in tirocinio in 49 differenti uffici delle Nazioni Unite sparsi in 88 paesi. La classifica è stata illustrata da Martin Schonk, di Fair Internship Initiative – campagna avviata nel 2015 da un gruppo informale di giovani ex o attuali stagisti alle Nazioni Unite con l’obiettivo di garantire stage equi e di qualità – e da Niall O'Higgins, ricercatore senior presso l’Ilo, l’Organizzazione internazionale del lavoro, che si occupa di promuovere la giustizia sociale e i diritti umani.  Quasi la metà dei rispondenti – circa 300 – erano stagisti presso il Segretariato. Gli altri erano distribuiti tra Undp, Unops, Unhcr, Unesco, WFP, Unicef, Ilo, Un Woman, Fao, Who, Iom, Wipo e in altre agenzie minori. L'indagine è stata condotta raccogliendo informazioni generali sugli intervistati, come l'esperienza di tirocinio e le condizioni socio economiche, e analizza quattro parametri: pari opportunità, processo di selezione, periodo di stage, completamento dello stage e sviluppo della carriera. Dalla graduatoria sono state escluse le agenzie con meno di dieci risposte  – e questa è la ragione per cui non tutta la galassia Onu è mappata.  Delle tredici agenzie in classifica, il primo posto è occupato da Wipo, seguita da Oms e Ilo. Mentre all’estremo opposto le ultime tre posizioni vanno all'Undp, Unesco e il già citato Segretariato. Rispetto alla classifica precedente, quella del 2021, tutte le agenzie rimangono più o meno nella stessa area della graduatoria, ad eccezione dell'Undp, piombata dal secondo all'undicesimo posto.  Quanti siano in totale gli stagisti ogni anno, pagati e non pagati, all'interno delle sedi delle Nazioni Unite però non è dato sapere: la Repubblica degli Stagisti lo scorso anno aveva fatto una stima di circa 5mila persone, ma a tutt'oggi si tratta di un numero che la FII non ha, come non lo ha nemmeno il neoistituito ufficio per i giovani delle Nazioni Uniti.  Durante la sessione online Sudha Balakrishnan, responsabile del coordinamento e della responsabilità del sistema delle Nazioni Unite presso l'ufficio per i giovani «creato da una risoluzione dell'Assemblea generale con un mandato trasversale per promuovere gli affari dei giovani in tutti i settori delle UN», ha illustrato alcuni dei risultati del rapporto “Tirocini nelle Nazioni Unite e revisione esplorativa” scritto per comprendere le politiche e le pratiche di stage presso l'ONU, i punti di forza e le lacune. Eppure nemmeno in questo rapporto c'è un dato sul numero totale di stagisti.  Pochissima trasparenza, dunque, sui numeri. Balakrishnan ricorda, però, che nella nuova strategia Onu 2020-2030 «siamo incaricati di migliorare la rappresentanza dei giovani alle Nazioni Unite anche aumentando e migliorando le condizioni di tirocinio e le opportunità di lavoro per i giovani, specie provenienti dai paesi in via di sviluppo». Una scelta dettata anche dal fatto che l'età media continua ad aumentare – è «attualmente a 46,1 anni». La posizione della responsabile dell’ufficio Onu per i giovani è ottimista perché l'anno scorso il Quinto comitato ha esortato il Segretario generale a considerare il Programma di tirocinio delle Nazioni Unite come parte integrante della sua riforma in corso, e ha richiesto che venisse presentata una revisione completa durante la 79esima Assemblea generale nel 2025. Ma la fotografia attuale in effetti non sembra così positiva.  Tornando al Quality Index, le prime tre posizioni sono occupate da Wipo, Who, Ilo che erogano ai propri stagisti una cifra pari ad almeno il 15 per cento dell'indennità giornaliera di sussistenza. La World Intellectual Property Organization ha ospitato negli ultimi quindici anni più di 700 stagisti, e nel corso del 2024 prevedeva un rimborso spese mensile tra i 1.600 e i 2.100 franchi svizzeri, a seconda si avesse una laurea di primo o secondo livello, mettendo a disposizione 50 posti di stage all'anno.  Al secondo posto c'è l'Organizzazione mondiale della Sanità, in inglese World Health Organization, che modula indennità mensile a seconda della sede di stage: per esempio, a Ginevra il rimborso spese previsto quest'anno era di circa 1.700 euro al mese, mentre a Lione era di 1.446 euro a cui si aggiungevano 10 euro al giorno per le spese del pranzo. E ogni anno ospita circa 700 stagisti. Al terzo posto, l'Organizzazione internazionale del lavoro, Ilo, la cui sede principale – il Segretariato – è a Ginevra; agli stagisti viene garantito un rimborso spese mensile di circa 2.600 euro, oltre a circa 50 euro al mese per coprire l'assicurazione medica. Tutte le altre agenzie sottopagano gli stagisti, o non li pagano proprio. Va specificato però che la classifica è stata stilata proprio mentre l'Unhcr stava riformando il proprio programma di tirocinio, con un aumento dell'indennità, e sia l'Unesco che i Segretariati delle Nazioni Unite sono in procinto di riformare il loro; motivo per cui la prossima pubblicazione potrebbe portare novità importanti. Nel frattempo i tirocinanti non pagati possono solo contare sul sostegno e i risparmi della propria famiglia, a volte necessario anche se si ha il rimborso spese. Dall'indagine emerge anche una decisa correlazione tra presenza di una buona indennità mensile e buona esperienza generale di stage. Cioè, le agenzie Onu che pagano i loro stagisti sono anche quelle più attente a offrire percorsi di stage di qualità. A conferma di questo alcuni dati: per esempio, metà degli stagisti senza indennità ha avuto meno supporto nell'inserimento in stage senza briefing dedicati, al contrario di chi l'ha ricevuta. Lo stesso anche per il supporto per visti e immigrazione: quasi tutti i tirocinanti pagati ricevono un aiuto adeguato, contro circa la metà di quelli non pagati. E poi c'è la questione della selezione: il report di FII evidenzia come dovrebbe esserci un sistema standardizzato per la selezione degli stagisti, con tempi certi sulle comunicazioni.  Qualcosa – con tempi biblici – sta però cambiando; e già nella prossima classifica, per esempio, l'Unhcr dovrebbe avere i numeri per riposizionarsi più in alto. Szylvia Farkas, responsabile delle risorse umane presso l'Unhcr ha infatti ricordato come a partire dal 2018 abbiano introdotto un'indennità per coprire le spese di vitto e alloggio, pari al 50 per cento del salario netto dei servizi generali di livello G3. Recentemente, poi, è stato anche previsto il rimborso per le spese di viaggio, indipendentemente dalla distanza.  Inutile dire che se si offrono posti di stage piuttosto che altrettanti posizioni di lavoro è sempre comunque per una questione di budget. E, infatti, in chiusura, Sharon Compton, capo della divisione Talent Management presso l’Ilo, l’ha addirittura rivendicato: «Abbiamo circa 100 tirocinanti l'anno all'Ilo. Se li convertissimo in posizioni formali P1 o P2 diventerebbero 25, e quindi 75 persone non avrebbero avuto questa chance».Gira e volta, la questione è sempre monetaria: in dieci anni alcune organizzazioni della galassia Onu hanno iniziato a pagare, altre hanno alzato il rimborso spese, ma ancora troppe prevedono la gratuità degli stage. Non resta che attendere l'Assemblea generale della primavera 2025: i tirocinanti di tutto il mondo stanno a guardare. Spetta ai “grandi” nei palazzi del potere non deluderli.     Classifica:   AGENZIA ONU  PUNTEGGIO TOTALE  WIPO  3,94  WHO  3,88  ILO  3,86  UNOPS  3,58  UNHCR  3,24  IOM  3,86  UNICEF  3,23  WFP  3,19  FAO  3,1  UN-Women  2,99  UNDP  2,84  UNESCO  2,66  All Secretariat  2,5    Marianna LeporeFoto di apertura credit: Andrea Visentin di FIIFoto in alto a destra: UN Photo/Andrea Brizzi  

Corte dei conti Eu, il 50% delle candidature proviene dall’Italia: sarà per i 1.600 euro al mese di indennità?

«La Corte dei Conti europea è il luogo ideale per svolgere un tirocinio. Avrai l’opportunità di lavorare sodo su cose che contano davvero e te ne andrai sapendo che il tuo lavoro ha contribuito a fare la differenza per il futuro dell’Europa e dei suoi cittadini»: lo slogan della European Court of Auditors non ha bisogno di ulteriori aggiunte per gli aspiranti stagisti italiani, che da molti anni ormai sono in cima alle domande di partecipazione. Per la sessione cominciata a ottobre di quest’anno l’Eca ha ricevuto 1.693 application: 902 dall’Italia, 289 dalla Spagna e 76 dalla Grecia, e poi tutti gli altri Paesi si sono spartiti le altre 426 candidature. Questo vuol dire che una percentuale enorme delle richieste, addirittura il 53 per cento, è arrivata proprio dal Bel Paese. Una costante nel tempo: anche per la sessione precedente, quella cominciata a marzo di quest’anno, sul totale di 1.949 richieste quasi la metà proveniva da italiani.Purtroppo, poi gli italiani che sono stati selezionati e stanno dunque effettuando proprio adesso questo stage sono solo 5 sui 27 – gli altri sono 3 olandesi, irlandesi, francesi e spagnoli; due lituani; e uno da ognuno dei seguenti Paesi: Repubblica Ceca, Svezia, Slovacchia, Romania, Portogallo, Polonia, Grecia e Cipro. Il fatto che il numero di selezionati da un certo Paese non sia necessariamente proporzionato al numero di candidature ricevute da quel Paese fa sì che la mole massiccia di candidature dall’Italia giochi purtroppo a sfavore dei nostri candidati: facendo un semplice calcolo aritmetico, gli italiani hanno solo mezza possibilità su 100 di passare, mentre per gli spagnoli la possibilità è doppia – una su cento – e per altre nazionalità ancor più alta: basti pensare che Olanda, Irlanda e Francia hanno ottenuto per la sessione in corso tre stagisti, pur avendo tutti e tre questi Paesi meno di 75 candidati: per loro quindi la probabilità di passare è stata, di fatto, addirittura una su tre.È andata un po’ meglio per il Belpaese nella prima sessione 2024, cominciata lo scorso marzo: in questo caso sui 972 italiani a sottoporre l'application ne sono stati selezionati sette. Il flusso maggiore di candidati da altri Paesi per questa sessione è provenuto poi dalla Spagna (260 candidati, due selezionati), e dalla Francia (178 candidati, due selezionati).  Per questa sessione di stage erano state ricevute anche 313 domande per tirocini senza rimborso spese, con l’Italia sempre in testa con 149 richieste, seguita dalla Francia con 44 e Spagna con 41. Alla fine, però, lo stagista selezionato è stato un irlandese.Perché gli italiani sono così numerosi? «Riteniamo che apprezzino molto la qualità, le condizioni e i vantaggi competitivi di uno stage presso la Corte dei Conti europea per il loro sviluppo personale e professionale», spiega Enrico Grassi, primo manager della divisione Risorse umane nonché responsabile delle selezioni. La Corte cerca però di distribuire geograficamente la selezione dei candidati, «poiché riteniamo che una distribuzione geografica equilibrata dei nostri tirocinanti e del nostro personale contribuisca a migliorare la qualità del nostro lavoro e della nostra istituzione. Per questo promuoviamo attivamente le opportunità di tirocinio in tutta l'Unione europea, sperando di attrarre un numero crescente di tirocinanti provenienti da tutti gli Stati membri e che la qualità e i vantaggi competitivi delle nostre offerte di tirocinio siano ampiamente riconosciuti in tutta l'Unione europea».Vantaggi non di poco conto, visto anche il solo rimborso spese: il revisore esterno dell’Ue, infatti, offre dal 2025 un’indennità di 1.600 euro al mese, salita ulteriormente rispetto ai 1.500 del 2024. Una scelta, spiega alla Repubblica degli Stagisti Damijan Fiser, vice portavoce della Corte dei Conti europea, «presa per aiutare i nostri tirocinanti ad affrontare meglio il costo della vita in Lussemburgo». Anche per il prossimo anno i posti a disposizione di stage saranno una sessantina, suddivisi in due sessioni. La prima per cui è possibile fare domanda – entro il 30 novembre – prenderà il via il primo aprile 2025 e durerà fino al 30 settembre. Per partecipare è necessario possedere tutti i sei requisiti richiesti: essere cittadini europei, aver completato una laurea triennale entro la fine di novembre di quest’anno, aver inviato la domanda attraverso il sito della Corte, non aver svolto uno stage in altre istituzioni europee, avere una conoscenza dell’inglese o francese a livello C1 nella comprensione, scrittura e parlato e non essere mai stati dipendenti in altre organizzazioni europee. Oltre al rimborso spese mensile la Corte dei Conti europea prevede anche il rimborso delle spese di viaggio di inizio e fine tirocinio sostenute dagli stagisti, per quanti abitano a più di 50 chilometri da Lussemburgo, con un tetto massimo per il solo viaggio di ritorno di 400 euro. Tutti i dettagli sono elencati nella Decisione numero 56 che regolamenta i tirocini approvata a fine settembre di quest’anno.Se selezionati si avrà un'attività a tempo pieno, quindi 40 ore a settimana, con la possibilità anche di essere in teleworking e con due giorni al mese di ferie, per un totale quindi su sei mesi di 12 giorni che possono anche essere accumulati e presi tutti insieme.  Per rispondere a molte delle curiosità e richieste dei giovani chevorrebbero prendere parte a questo stage e cercare di accogliere da quanti più Paesi possibili nuovi candidati, quest’anno a fine ottobre la Corte dei Conti europea ha organizzato anche una sessione informativa online a cui tutti potevano prendere parte per sottoporre le proprie richieste. Durante questo evento Annemie Turtelboom, economista belga fiamminga, ex ministra e oggi componente della Corte dei Conti europea, ha voluto evidenziare i vantaggi del fare uno stage in questa istituzione: «Abbiamo una serie diversificata di compiti, si ha la possibilità di lavorare in un’ampia varietà di settori», e, infatti, solo il sei per cento dei tirocinanti selezionati nel 2023 aveva una formazione finanziaria o contabile. «Quindi non siate pessimisti se avete un’altra formazione». C’è poi la questione delle dimensioni: «Il nostro staff è di circa 950 persone. Siamo una piccola istituzione in confronto alla Commissione Europea dove lavorano circa 32mila persone. Qui è molto facile lavorare a stretto contatto con i revisori senior, parlare con il direttore, incontrare un membro della Corte. Non imparerete soltanto dagli argomenti affrontati ma anche dalle persone con livelli di esperienza diversi». Oltre al vantaggio di una città ricca di attività culturali e sportive a solo due ore di distanza da Bruxelles o Parigi. «Candidatevi» ha ripetuto Turtelboom, «è difficile essere selezionati, ma se non ci provate non potete riuscirci».  Della stessa idea sulla Corte dei Conti Europea come un posto unico per cui fare un tirocinio è anche Enrico Grassi, che sottolinea come la Corte non sia «composta solo da revisori. Abbiamo un bell’organigramma con molte attività diverse». E snocciola i diversi profili reclutati nelle ultime sessioni di tirocinio: un quarto dei giovani provenienti da studi in legge, un altro da relazioni internazionali e un dodici per cento da studi economici. Forte anche il posizionamento delle specializzazioni in traduzione, fondamentale visto che tutti i report sono tradotti in tutte le lingue ufficiali delle Nazioni Unite.   Perché, quindi scegliere la Corte dei Conti?Perché è «un’istituzione in cui il tuo contributo conta. La possibilità di lavorare su vari argomenti e imparare di più, proprio perché è un ente piccolo. Una struttura organizzativa relativamente piatta, il che vuol dire più possibilità di incontrare figure di top management, come il nostro segretario generale o i direttori e responsabili principali. Siamo piccoli, pochi e dobbiamo essere bravi. In più la nostra è un’istituzione che viaggia molto. E in aggiunta daremo delle opportunità di lavoro realistiche dopo lo stage». L’Eca conta, infatti, di mettere a punto un programma per consentire agli stagisti una prospettiva più lunga di rimanere all’interno dell’istituzione europea. Tra le novità del 2025 c’è anche la partenza di un programma di stage separato di sei o 12 mesi, per cui prossimamente saranno date più informazioni, specifico solo sull’intelligenza artificiale.  Gli interessati possono compilare l’application form indicando in quali campi preferirebbero fare lo stage, inviando la domanda entro il 30 novembre. Da quel momento e fino al 31 gennaio avverranno le procedure di  preselezione, e a partire dal 1° febbraio i selezionati saranno contattati: se accetteranno, cominceranno lo stage il 1° aprile. L’ultimo consiglio prima di fare l’application è quello di fare i compiti: ovvero ricerche su quali settori far domanda, studiando anche quali opportunità si possono aprire in seguito. Un aiuto in questo senso possono darlo anche i social della Corte dei Conti europea: sulla pagina Facebook sono sempre pubblicate informazioni aggiornate, e sono anche disponibili i video di ex stagisti che raccontano la loro esperienza.Marianna Lepore