Contratti e compensi, migliorano le condizioni per gli archeologi: ma resta qualche sacca di sfruttamento
Boom di richieste per gli archeologi: dieci anni dopo la legge 110 del 2014 ecco una prima sintesi del terzo censimento nazionale sulla professione. I numeri stanno per essere illustrati alla Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico a Paestum che si terrà a fine ottobre, ma quelli già diffusi dall’Associazione nazionale (Ana) a Roma, in occasione del 30esimo meeting annuale della European Association of Archaeologists, mostrano una decisa controtendenza di questa professione rispetto a tre anni fa. «Sono ancora molte le situazioni in cui ci viene segnalata una inadeguata retribuzione dei professionisti archeologi,soprattutto nella cantieristica», spiega Marcella Giorgio, presidente nazionale ANA, alla Repubblica degli Stagisti. «Il nostro terzo censimento nazionale mostra, però, un netto cambiamento rispetto agli scorsi anni: l’archeologia è divenuta una professione stabile, di cui sostenersi tutto l’anno e non solo da effettuare sporadicamente, con retribuzioni che sono progressivamente aumentate». Giorgio, attualmente funzionaria archeologa del ministero della Cultura presso la soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per le province di Pisa e Livorno, si occupa principalmente di archeologia medievale e post-medievale e proprio da quest’anno ha raccolto il testimone della presidenza dell’associazione, che conta oltre 500 iscritti, da Alessandro Garrisi. I numeri parlano chiaro: oggi di archeologia si può vivere tutto l’anno. Situazione molto diversa da quella fotografata nel 2011, data del precedente censimento nazionale, quando ben sei archeologi su dieci dichiaravano di lavorare meno di sei mesi su 12. E, infatti, «solo il 12 per cento degli archeologi poteva dichiarare un fatturato lordo annuo di circa 15-20mila euro, mentre ben il 59 per cento guadagnava meno di 15mila euro», riassume Marcella Giorgio: «Attualmente invece si registra un fatturato lordo annuo di circa 18-24mila euro per quasi la metà degli intervistati, registrando però compensi anche di oltre 4mila euro lordi al mese, per un archeologo su dieci, soprattutto tra coloro che sono nella fascia di età tra i 40 e i 50 anni. Una vera e propria trasformazione». L’indagine ha coinvolto 1.080 professionisti su un totale di 5-6mila archeologi attivi in Italia, che oggi sono in gran parte donne, oltre il 65 per cento sul totale, e in maggioranza under 40, più di sei su 10. Una crescita nella professione possibile anche grazie al riconoscimento normativo della figura dell’archeologo, arrivato nel 2014 con la legge 110 e con i decreti attuativi del 2019. Solo allora si è chiarito, finalmente, chi è e cosa fa un archeologo. «Attualmente un professionista di questo settore è un consulente a tutto tondo che può essere impiegato in settori lavorativi diversi, non solo la cantieristica, che resta prevalente, ma anche i musei, i tribunali, la pianificazione territoriale, la ricerca, la tutela, la valorizzazione e la progettazione», ricorda Giorgio. Grazie a tutti questi passaggi sono quindi aumentate le possibilità lavorative per questa figura professionale, e di conseguenza è aumentata la domanda sul mercato. Con un’accelerazione dovuta anche all’arrivo dei fondi del piano per la ripresa dell’Europa post Covid. Di quel fondo post pandemia l’Italia è stato il maggior beneficiario in Europa, con oltre 190 miliardi di euro. I tipi di contratto che coinvolgono la categoria restano, però, principalmente temporanei o a partita Iva. «Oltre otto archeologi su dieci, secondo il nostro ultimo censimento, sono inquadrati nel settore privato come lavoratori autonomi, titolari di impresa o professionisti presso aziende o cooperative. Di questi, poi, sei su dieci lavorano a partita Iva», conferma Marcella Giorgio, che ci tiene, però, a fare una precisazione: «Questo non significa essere un precario o avere un lavoro precario. La vita del libero professionista è fatta di momenti di lavoro e di non lavoro, e della possibilità di organizzare i propri tempi e incarichi in autonomia. Ecco perché un professionista deve imparare a farsi molto bene i conti in tasca prima di accettare un incarico e deve sapersi rapportare alle committenze con la giusta maturità professionale». Il consiglio, quindi, è quello di imparare a ragionare in termini di fatturato annuo e non di mensilità; e per quanti ora si apprestano a cominciare questa professione «di entrare in contatto con la nostra associazione di categoria per confrontarsi con chi ha maggiore esperienza ed essere guidato nell’orientarsi correttamente nel mondo del lavoro». Che dovrebbe almeno sulla carta offrire un’opportunità a tutti: l’Italia in base alla lista Unesco dei patrimoni dell’umanità detiene il maggior numero di siti, 60 su un totale di 1.223 presenti in 168 Paesi del mondo: vuol dire ben il 5% del totale. In altre parole, ogni venti siti indicati come “patrimonio dell’umanità” al mondo, uno si trova in Italia. E stando ai dati Istat pubblicati nel 2022 il nostro Paese conta 4.265 tra musei e istituzioni similari, pubblici e privati. Che ancora avrebbero bisogno di personale, nonostante i tanti concorsi espletati negli ultimi anni. Sempre secondo l’Istat, nel 2020 quasi sette strutture museali su dieci non avevano più di 10 addetti. Motivo per cui un importante contributo arriva da volontari, tirocinanti e stagisti: più di 14mila, in media quattro per struttura espositiva. Il settore ha avuto una forte crescita principalmente grazie ai fondi del famoso Pnrr, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, che ha consentito un aumento esponenziale di cantieri e di conseguenza anche più scavi e analisi archeologiche. L’Ana, però, non ravvisa particolari preoccupazioni per l’eventuale termine dei fondi di questo tipo. «È innegabile che il Pnrr, che a fine 2023 registrava ben il 59 per cento dei fondi nella cantieristica dove si trovano maggiormente impiegati gli archeologi, abbia comportato una iniezione importante anche per la nostra professione», ammette la presidente alla Repubblica degli Stagisti, «e non possiamo negare che la fine di questi investimenti potrà comportare qualche contraccolpo nel nostro settore. Come Ana, però, siamo convinti che i progressi fatti in questi anni dalla nostra professione siano indipendenti e legati anche ad altri fattori, come il giusto riconoscimento ottenuto nel 2019, e che le positività che si stanno creando potranno continuare anche in futuro». Una dimostrazione è data sempre dai numeri: «Secondo il nostro ultimo censimento stimiamo circa 5-6mila archeologi: ma spesso i committenti hanno difficoltà a trovare qualcuno». In attesa di presentare completamente tutti i dati a fine ottobre, Marcella Giorgio delinea gli obiettivi del prossimo futuro: «Rendere il mercato del lavoro sempre più sano ed equamente regolamentato dal punto di vista di tariffe e condizioni lavorative»: per questo l’associazione prende «parte attiva nei tavoli di discussione legati al rendere attuativa la legge sull’equo compenso, e costruire maggiori garanzie e diritti per gli archeologi italiani anche, perché no, attraverso l’istituzione di un ordine professionale con relativo albo». Marianna LeporeImmagine di apertura da Freepik in modalità gratis