Scritto il 19 Mar 2024 in Approfondimenti
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Esattamente quattro anni fa, a marzo del 2020, il Coronavirus ha fatto irruzione nelle nostre vite. Tra le conseguenze più evidenti, quella legata al lavoro: confinamento e lockdown hanno imposto a praticamente tutte le attività professionali, in tutti i settori, di reinventarsi con modalità di lavoro online. Il Covid ha insomma sdoganato e messo il turbo al lavoro da remoto, che già esisteva certo (lo “smart working”, o “lavoro agile”), ma che era largamente sottoutilizzato. E per non interrompere le esperienze di stage, ha fatto capolino una modalità mai sentita prima: quella dei tirocini da remoto. In tempi brevi o addirittura brevissimi è stato fatto il salto organizzativo (e culturale) necessario per trasportare riunioni, lavori di gruppo, progetti nello spazio virtuale; e nel caso degli stage, poter realizzare progetti formativi e costruire le relazioni tutor-stagista da remoto. Ma adesso che la pandemia è passata?
Nel mondo del lavoro – posto che ovviamente ci sono mestieri che è impossibile fare a distanza – si registrano tre strade distinte. C'è chi ha deciso di scommettere al 100% sul lavoro agile, confermando o addirittura ampliando le policy attivate o consolidate durante la pandemia. Sono aziende private, enti pubblici, associazioni non profit che hanno assorbito pienamente (a volte addirittura anticipato) la novità e l'hanno fatta diventare una caratteristica distintiva della propria modalità di lavoro quotidiana: ciascuno lavora quando vuole, da dove vuole; l'importante è che gli obiettivi vengano raggiunti.
La seconda strada è invece quella del rigetto: non poche realtà lavorative hanno richiamato i propri dipendenti (e stagisti), non appena è stato possibile farlo, chiudendo in fretta le porte che avevano aperto (il più delle volte, in questi casi, obtorto collo) e tornando agli schemi rigidi di presenza in ufficio dell'epoca pre-pandemia.
C'è poi una terza strada, una sorta di via di mezzo, in cui l'apertura al lavoro agile rimane, ma temperata dalla considerazione che se troppo spinta all'eccesso questa modalità possa avere ripercussioni negative non tanto sulla produttività quanto sul clima aziendale, a causa della carenza di contatto umano e di condivisione anche "fisica" degli spazi e dei momenti di lavoro.
Rispetto specificamente agli stage va poi considerato l'aspetto normativo, che può incidere sulle policy: vi sono Regioni – come il Piemonte – che hanno espressamente vietato il ricorso alla modalità da remoto ora che l'emergenza Covid è passata; e dove quindi, anche volendo, offrire l'opzione di svolgere lo stage da casa (in tutto o in parte) è impossibile.
In alcuni casi la decisione passa anche attraverso una analisi del "sentiment" dei dipendenti. Per esempio Edelman, società di consulenza in comunicazione e relazioni pubbliche, dopo la pandemia ha raccolto il parere di 6mila dei suoi dipendenti, in 60 uffici sparsi per il mondo, rispetto «alla modalità di lavoro che avrebbero adottato più volentieri da quel momento in avanti» spiega Fiorella Passoni, ceo di Edelman Italia. La survey mirava a focalizzare cosa salvare della modalità virtuale, e quali aspetti del lavoro in presenza erano invece mancati maggiormente. «Da un lato è emersa l’esigenza di mantenere alcuni dei vantaggi dati dal lavoro da remoto, come la riduzione dei tempi e dei costi legati agli spostamenti e la possibilità di conciliare il lavoro con i propri impegni personali» riassume Passoni; d'altro canto, però, la rilevazione ha affermato un «desiderio di un senso di comunità e collaborazione in presenza».
La fotografia rispecchia in realtà l'esperienza di molte realtà lavorative, e si potrebbe riassumere con un “sì al lavoro agile, no al lavoro che isola”. In Edelman, che da molti anni fa parte del network di aziende virtuose della Repubblica degli Stagisti, la situazione è stata gestita adottando un modello ibrido: «La maggior parte di noi trascorre circa il 60% delle proprie ore in ufficio, che in media corrispondono a tre giorni alla settimana» racconta Passoni.
«La pandemia ci ha permesso di fermarci e di riflettere; di metterci in ascolto dei nostri collaboratori e delle nostre collaboratrici e di avvicinarci sempre più alle esigenze di ciascuno» le fa eco Monica Cremaschi, talent manager di T4V: «Il bilanciamento è avvenuto quasi in modo spontaneo. Stiamo adottando attualmente un approccio flessibile che tiene conto delle esigenze delle singole persone, delle esigenze dei team e dal lavoro in gruppo, delle necessità operative e del presidio sui clienti». Al centro stanno «il rispetto e la responsabilità: ciascun collaboratore e ciascuna collaboratrice può anche tornare in ufficio per svolgere il proprio lavoro».
“Rispetto” è non caso una delle parole chiave che ricorrono quando si parla di questi temi, insieme a “flessibilità” e “fiducia”. Perché «lo scopo dell’ufficio si è completamente evoluto, diventando un luogo di ritrovo, dove ogni individuo è libero di portare il proprio contributo» sottolinea Fiorella Passoni: «La possibilità di incontrarsi, nel nostro settore, porta con sé numerosi vantaggi anche per quanto riguarda lo sviluppo personale, lo scambio di valutazioni e feedback, le attività di coaching e mentoring e le innumerevoli occasioni sociali più “informali”... magari davanti ad un buon caffè».
Quando poi si lavora in business che affondano le radici nei settori informatici, la possibilità di svolgere il lavoro da remoto si fa ancor più concreta: «Nel nostro settore, quello della consulenza in ambito ICT, sono molte le attività che possono essere svolte in modo efficace ed efficiente da remoto» conferma Cremaschi, come per esempio «lo sviluppo, la gestione del ticketing e dell’assistenza, la progettualità, il supporto tecnico ed altre attività di tipo amministrativo». Ciò non toglie che ci possano essere alcune aree, oppure specifiche attività, in cui la presenza fisica è necessaria – o quantomeno preferibile: Cremaschi cita per esempio «i meeting strategici e di analisi, la risoluzione di problemi complessi che richiede il coinvolgimento, brainstorming e il lavoro in gruppo».
Il tema delle risorse più giovani, in questo quadro, è particolarmente importante da focalizzare. «L’esperienza ci dice che non necessariamente lo smartworking è penalizzante all’inizio del percorso di carriera: alcune delle nostre risorse più giovani sono entrate in stage durante il lockdown e, adeguandosi molto bene fin dal loro primo giorno al lavoro 100% da remoto, hanno garantito un rendimento di alto livello tanto da essere confermate e assunte nei mesi successivi» riflette Passoni: «Tuttavia, siamo convinti che la possibilità di confrontarsi in presenza, in modo immediato e senza filtri, di “ascoltare” le figure più senior mentre lavorano, mentre forniscono consulenza ai clienti o interagiscono con i giornalisti, abbia per i giovani un valore inestimabile».
Ma riconoscere il valore che un'esperienza di lavoro in presenza ha, specialmente per i giovani, non vuol dire dismettere o ridurre il valore della modalità a distanza. «Crediamo nel lavoro da remoto così come nei suoi benefici e vantaggi; siamo altrettanto consapevoli, però, che potrebbe comportare alcuni svantaggi legati, per esempio, all’attività di tutoring e mentoring, alla formazione e allo sviluppo delle esperienze e delle relazioni professionali», dice Cremaschi; e questo, «indipendentemente dall’età». Per questo T4V incoraggia «un approccio misto che aiuti e supporti i giovani a trarre vantaggio sia dal lavoro in remoto sia dal lavoro in presenza, per favorire una maggior collaborazione e condivisione tra tutte le persone». In particolare, gli stagisti vengono seguiti non soltanto dal tutor assegnato ufficialmente: se qualcuno di loro si trova in ufficio «senza il suo tutor in presenza, viene supportato dai colleghi presenti fisicamente in ufficio» e poi naturalmente la tecnologia viene in aiuto: «I sistemi di video conference e collaboration, permettono al tutor di connettersi e supportare l’operatività dello stagista».
Peraltro, se è vero che le nuove generazioni sono sempre più attente al work-life balance e, quando possono, scelgono dove andare a lavorare anche in base alla flessibilità offerta, è anche vero che non sempre i lavori completamente da remoto sono così appetibili: «In un momento in cui alcune aziende stanno richiamando i propri dipendenti a un lavoro 100% in presenza, o 100% da remoto, la modalità ibrida è considerata un benefit a tutti gli effetti» rileva Fiorella Passoni: «Non a caso, una delle domande che ci viene rivolta durante i colloqui riguarda proprio la nostra policy in termini di lavoro ibrido o smartworking. A livello di gruppo, già dallo scorso anno fiscale le nostre persone – anche junior, purché assunte da almeno sei mesi – hanno la possibilità di chiedere il lavoro da remoto permanente o per un mese, anche non continuativo».
«Molti junior vivono lo smart-working come una vera, quasi prioritaria, opportunità», aggiunge Cremaschi, «per una maggiore flessibilità e bilanciamento tra lavoro e vita personale». Per questo T4V, pur persuasa «che il tirocinio in presenza possa offrire sicuramente vantaggi aggiuntivi in termini relazioni, di interazione con il team e di apprendimento pratico», ha scelto di offrire ai suoi stagisti «un’esperienza ibrida, per soddisfare le esigenze e le necessità degli studenti».
Poter gestire più liberamente il proprio tempo rende le persone più serene, e si traduce in un miglioramento della qualità della vita: la flessibilità permette, secondo Passoni, «di prendersi cura del proprio benessere personale», in una logica win-win che, se gestita con rispetto e responsabilità, giova non solo al singolo ma a tutto il gruppo di lavoro, e anche all’azienda.
Foto di apertura di Austin Distel da Unsplash
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