Ha 27 anni, è il presidente di Youth Press Italia ed è addetto stampa di Cittalia – Anci ricerche e uno degli organizzatori dell’evento citato tra i progetti di eccellenza per la valorizzazione della creatività urbana nel corso del World Urban Forum 6. Ma sopratutto Simone d’Antonio è il giornalista che si è inventato il Festival del giornalismo giovane, che debutterà a Napoli venerdì 21 settembre già con un pedigree di tutto rispetto: l'adesione alla campagna “I’m a city changer” e la citazione da parte di UN Habitat, l’agenzia tematica dell’Onu, tra i progetti urbani innovativi di partecipazione e coinvolgimento del territorio. La Repubblica degli Stagisti lo ha intervistato per sentire come è nata questa idea.
Il Festival del giornalismo giovane prenderà il via a Napoli il 21 settembre, che obiettivi si pone?
Abbiamo voluto realizzare per la prima volta in Italia uno spazio dedicato soltanto ai giovani giornalisti. Negli altri eventi molto spesso c’è poco tempo per temi come l’accesso alla professione e la lotta al precariato e si lascia la scena ai colleghi più esperti. Invece nel nostro caso abbiamo cercato di mettere in campo sia le migliori esperienze, anche di innovazione, realizzate dal basso un po’ in tutta Italia, sia lasciare spazio al dialogo sulle problematiche affrontate dai giovani giornalisti. Avremo anche un dibattito sulle scuole di giornalismo per capire se oggi rappresentano ancora un qualcosa di significativo nonostante la crisi o uno spreco perché formano più giornalisti rispetto a quanti il mercato possa offrire. L’obiettivo è favorire la discussione tra le diverse posizioni su questo argomento. E poi la legge sull’equo compenso: daremo attenzione anche a questo tema.
L’evento è organizzato da Youth Press Italia: di che cosa si occupa quest’associazione, nata nel 2008, di cui sei presidente?
Di promuovere, anche in Europa, tutte le esperienze di giornalismo giovane italiane. Siamo parte di una rete europea, European Youth Press, che raggruppa più di venti associazioni nazionali di giovani giornalisti molto diverse tra loro: alcune nate negli anni ’50, come quella tedesca, o con diversi milioni di iscritti e un bilancio di vari milioni di euro, come quella svedese. E hanno focus molto diversi: chi si concentra sui giornali scolastici, chi sugli studenti di giornalismo. Noi cerchiamo di abbracciarli tutti e di portare all’attenzione di questo network di oltre 50mila giornalisti in tutta Europa i temi avvertiti in Italia, come il precariato e l’accesso alla professione, e di far sì che ci possa essere anche un’azione di lobbying a livello europeo e che sia possibile confrontare le esperienze tra i diversi paesi. In uno dei panel a Napoli avremo, infatti, sia giovani giornalisti italiani che lavorano all’estero, in testate come Cafebabel, sia giornalisti stranieri che racconteranno come si lavora negli altri Paesi.
Quali sono i consigli che l’associazione dà a chi vuole affermarsi nel giornalismo?
Specializzarsi quanto più possibile su di un tema e fare esperienza all’estero. Imparare le lingue, bene, in modo da poterci anche lavorare, rappresenta l’unica garanzia in questo momento per ricollegarci a un mercato del lavoro sempre più europeo e sempre meno locale e nazionale. Il giornalismo è una di quelle poche professioni in cui non ci sono cervelli in fuga perché le differenze linguistiche e soprattutto il modo in cui si utilizza una lingua non consente di potersi esprimere in altri paesi con la proprietà che si ha nella propria lingua. Rimanendo in Italia, bisogna però essere quanto più competenti e esperti possibili su un tema, credo sia l’unica garanzia per poter offrire agli editori e ai giornali un contributo unico rispetto ad altri.
Qual è la tua ricetta, se ne hai una, per sconfiggere lo sfruttamento nel mondo del giornalismo?
Applicare nella maniera più stretta possibile la Carta di Firenze e gli altri strumenti di cui si è dotato negli ultimi anni l’Ordine dei giornalisti. Anche se credo non sia stato fatto ancora abbastanza soprattutto sul fronte delle multe agli editori e quindi della possibilità di rendere veramente operativi questi strumenti. A Napoli raccoglieremo queste denunce: abbiamo aderito alla campagna lanciata dal coordinamento dei precari di Napoli, che consentirà a tanti ragazzi di raccontare le proprie storie di precariato e raccogliere segnalazioni che saranno comunicate agli organismi competenti di categoria.
Come mai la scelta di Napoli?
Perché per la sua natura di città mediterranea, creativa, vivace rappresenta la cornice più adatta per un evento del genere. Poi perché è da sempre al centro del rapporto letterario e giornalistico del nostro paese e perché in questo momento, nonostante la crisi di parecchie aziende editoriali, continua ad avere tantissime esperienze di innovazione a livello scolastico e universitario, ma non solo. Ci sono i ragazzi di Radio Siani che si impegnano fortemente contro la camorra e hanno la sede a Ercolano in un edificio sottratto ai clan. Grazie alla collaborazione con il Comune di Napoli e con altri soggetti della società civile sarà poi possibile mostrare ai giovani i lati nascosti della città attraverso gli atelier urbani, che sono un elemento di grande novità per questo tipo di eventi in genere monotematici. Noi invece abbiamo voluto aprirci nei confronti della città, mostrando le eccellenze del mondo produttivo, ma anche gastronomico e della società civile: vedremo la Napoli dei migranti, ma anche i progetti di riqualificazione partecipata di alcune piazze come piazza Mercato.
Il festival è dedicato ai giornalisti under 35: qual è la loro percentuale oggi in Italia e i loro principali tipi di contratto?
Dati precisi non ce ne sono, nemmeno l’Ordine riesce a fornirli perché ha solo il numero di iscritti che rappresentano una fetta parziale del totale dei giovani giornalisti. Si parla di stime dell’80% di giornalisti precari al sud, del 60% al nord, ma è difficile quantificarlo veramente. Le tipologie contrattuali sono le più varie. Anzi molto spesso si lavora in nero o per i famosi 3 o 5 euro a pezzo e per il web ci sono pagamenti che vanno a numero di click o numero di parole. È uno scenario sconfortante a cui va messo un freno: con i meccanismi di controllo da parte degli ordini di categoria nei confronti degli editori, ma soprattutto mettendo dei paletti chiari alle retribuzioni minime e speriamo che la legge sull’equo compenso possa aiutare a rendere più effettivo questo tipo di controllo.
Chi finanzia questo festival?
In un momento di crisi come questa abbiamo provato a fare tutto low cost. Un piccolo finanziamento di 5mila euro lo abbiamo avuto partecipando a una campagna di micro grant dello European youth forum. Il Comune di Napoli ci ha aiutato per la parte logistica dandoci le sale, la Banca di Credito Popolare, non scelta a caso ma perché è attiva sul territorio, ci ha dato un altro finanziamento e poi abbiamo avuto degli altri supporti come Sorbillo che servirà il catering o l’associazione degli ostelli della gioventù, solo per dirne alcuni.
Chi volesse venire a seguire i dibattiti che deve fare?
Deve registrarsi nella sezione apposita del sito dedicata all’evento che è festival.youthpressitalia.eu Può venire tranquillamente, saranno tre giorni di conferenze, sarà un evento unico in Italia. Speriamo di poter organizzare anche altre edizioni e che diventi un appuntamento fisso sia della programmazione culturale napoletana sia del dibattito giornalistico italiano.
Tu sarai il moderatore di un panel dal titolo “Giornalismi del futuro: oltre la crisi, accesso alla professione e le sfide del settore”: qual è la tua posizione sull’accesso al giornalismo?
Per mia esperienza personale posso dire che il modo migliore per imparare questo mestiere è quello di lavorare fin da subito, iniziando a collaborare con testate locali. Ma questo non va in contrasto con il frequentare una scuola di giornalismo. Credo sia un mestiere che dipende anche dalla personale attitudine a mettere in gioco la propria creatività, il modo di proporti. E che si impara facendolo, come gli altri mestieri della comunicazione.
Quindi sei contrario alle scuole di giornalismo?
Noi come associazione rappresentiamo tutti, anche gli studenti delle scuole. C’è però un problema creato da chi ha concepito le scuole: si creano ogni anno un numero maggiore di professionisti rispetto a quelli che il mercato è in grado di assorbire. Le scuole si sono moltiplicate sul territorio senza dei criteri di qualità omogenei tra loro e questo non ha contribuito a renderle il sistema esclusivo di accesso alla professione. Però, ripeto, non siamo contrari: come per fare il medico devi studiare, hai bisogno di farlo anche per fare il giornalista. Ma non penso debba essere un canale esclusivo. Ci devono essere dei meccanismi di accesso chiari, con regole ben precise: un sistema più moderno ed europeo.
Tra i tanti appuntamenti della tre giorni qual è a tua avviso quello da non perdere e perché?
Certamente quello sul precariato e sull’accesso alla professione di sabato 22 che si concentra sul forte dibattito delle ultime settimane, sia sui siti dei coordinamenti che su facebook, sulle diverse posizioni in campo sul tema dell’equo compenso. Un altro panel a cui tengo particolarmente è “giornalismi abroad” di sabato 22, sempre nel pomeriggio, che riguarderà le esperienze di giovani giornalisti italiani che lavorano all’estero e anche la storia di cinque fotoreporter napoletani che hanno organizzato una mostra sulle rivoluzioni arabe e daranno dei consigli a chi intraprende questa strada.
Marianna Lepore
La Repubblica degli Stagisti parteciperà al Festival nel panel "Scuole di giornalismo: inizio del precariato o speranza per il futuro?"
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