La storia di Marco D. arriva alla redazione della Repubblica degli Stagisti con un post. "Marcus" - così si firma sul forum – esordisce così: «Volevo raccontarvi la mia esperienza di tirocinio: tutti i giorni vado in una bellissima casa a pulire i pavimenti, fare giardinaggio, lavare la macchina, servire a tavola la proprietaria con una divisa da domestico. E vengo trattato malissimo». Contattato dalla redazione, Marco aggiunge alla storia altri particolari sconcertanti. Tra cui il principale è che lo stage viene pagato con soldi pubblici, l'ente promotore è una cooperativa e l'azienda ospitante un'impresa di pulizie; e per giunta la cui titolare è amica della proprietaria della casa di lusso dove il giovane è stato spedito a fare il "periodo formativo" come cameriere-tuttofare.
Marco ha solo 19 anni, è di Roma, e appartiene a una di quelle categorie che il decreto legislativo 276 del 2003 definisce svantaggiate. Tra queste ci sono i disoccupati di lunga durata (quindi per più di dodici mesi) indicati dal regolamento Ce 2204 di cui lui, diplomato in Ragioneria, fa parte. Marco racconta di aver sempre lavorato in passato come barista e cameriere durante le pause estive e che questo stage gli è stato offerto dopo essersi presentato al suo municipio di riferimento per chiedere un sussidio. «Ero disoccupato e stavo attraversando un periodo di grave difficoltà economica», racconta. A questo punto l'assistente sociale dell'ente lo mette in contatto con la cooperativa, e quest'ultima con l'impresa di pulizie che, dopo il colloquio, gli chiede di iniziare a prestare servizio presso una casa privata come domestico full time. «Avevo bisogno di soldi, quindi ho accettato», riconosce. E qui viene il colpo di scena: l'inquadramento non è come collaboratore domestico retribuito secondo il contratto nazionale di categoria, bensì come stagista «pulitore». A 400 euro lordi al mese.
E non è tutto: questi miseri 400 euro al mese non li paga nemmeno il 'soggetto ospitante', cioè l'impresa di pulizie che offre i suoi servizi alla proprietaria della «bella casa» descritta da Marco – in uno dei quartiere più chic della capitale, l'Olgiata. Lo stage è infatti finanziato interamente dall'ente promotore del tirocinio, ovvero la cooperativa, a sua volta foraggiata da soldi pubblici: per la precisione da uno stanziamento della Regione Lazio.
Spulciando nel marasma dei bandi online, in particolare quelli rientranti nella categoria Borsa Lavoro (in teoria un programma regionale per l'occupazione, di fatto un calderone in cui si incrociano competenze e fondi di Regioni, Province e Comuni), spunta infatti un avviso pubblico risalente al 2007, emanato dall'assessorato Lavoro e Formazione (oggi suddiviso in due unità), dal titolo «Invito a presentare proposte progettuali rivolte alle cooperative sociali e loro consorzi inerenti l’inserimento e la stabilizzazione occupazionale, lo sviluppo delle competenze e l’organizzazione di beni e servizi». Stanziamento totale (a valere fino al 2013) 7 milioni 644.531 euro, tutti a disposizione delle cooperative che si faranno avanti con progetti ritenuti congrui dall'ente locale. Per ottenere il finanziamento basta che nella documentazione presentata figuri tra gli obiettivi «l'incremento occupazionale di soggetti svantaggiati» si legge nel bando. Oltre alla copertura fino al 75% dei «costi di tutoraggio e formazione», è previsto anche un «contributo pari al 50% dei costi salariali per ciascun destinatario svantaggiato inserito per dodici mensilità, fino alla decorrenza massima di 8.000 euro». In pratica è la Regione a sostenere buona parte delle spese per ogni lavoratore o tirocinante reclutato. Un bel colpo per la piccola coop romana, di cui Marco non vuole però fare il nome: «Questo tirocinio mi fa comodo in questo momento, percepisco uno stipendio a cui non posso rinunciare e non me la sento di denunciarli». Preferisce andare avanti con lo stage, spiega alla Repubblica degli Stagisti – finché durerà, quindi per qualche mese ancora: Borsa Lavoro consente tirocini fino alla durata di un intero anno. Nel caso in questione, la durata prevista dello "stage" di Marco presso la casa di Roma nord è di sei mesi, ma potrebbe anche essere prorogata per altri sei. Poi forse toccherà a qualcun altro, perché la situazione – per quanto lo sfruttamento sia lampante – non presenta aspetti tecnicamente illegali.
L'attivazione ad opera di una cooperativa sociale è una ipotesi prevista dalla Dgr 99/2013 con cui la Regione Lazio ha recepito l'estate scorsa le linee guida sugli stage redatte in sede di conferenza Stato Regioni nel gennaio del 2013. Anche la durata, sei mesi, rispetta la legge, e almeno formalmente i due tutor ci sono. Quello dell'ente promotore è la vicepresidente della cooperativa. Quello dell'azienda ospitante è una caposquadra che però Marco non vede mai. Qualche raro rapporto ce l'ha invece con la titolare dell'impresa di pulizie: «una tipa con Rolex al polso e Mercedes Slk che mi ha accompagnato diverse volte dalla signora da cui vado: sono amiche, si salutano con baci e abbracci quando si vedono». Dettagli che fanno quadrare il cerchio: la facoltosa signora dell'Olgiata invece di pagarsi il domestico per intero, si affida alla 'selezione' di personale dell'impresa e paga alla cooperativa una cifra forfettaria, come assicura Marco, pur non sapendone l'entità. Il suo rimborso invece è pagato dai cittadini, grazie al finanziamento regionale vinto dalla cooperativa.
E anche i versamenti al ragazzo, i 400 euro mensili, sono regolari: in linea con quanto stabilito dalla Regione Lazio con la legge regionale di luglio, con cui ha fissato per gli stagisti un rimborso di almeno 400 euro.
Peccato però che sia l'aspetto formativo a essere del tutto assente: a meno che non si voglia credere che il legislatore abbia utilizzato la dicitura «tirocini di formazione e orientamento» prevedendo la possibilità che ci fosse bisogno di un percorso formativo di sei mesi, o addirittura oltre, per imparare a fare le faccende domestiche.
Gli unici due interlocutori con cui la Repubblica degli Stagisti è riuscita a entrare in contatto dopo diverse mail e telefonate sono Paola Bottaro, dirigente del settore Formazione, che – seppur incredula («non credo sia possibile un fatto simile» assicura, «ma in caso sarebbe da Ispettorato del Lavoro») chiarisce di non essere più responsabile dei tirocini da quando il dipartimento è stato suddiviso l'anno scorso; e Carlo Caprari, dipendente della Direzione Lavoro diretta da Marco Noccioli, a cui il bando citato fa capo.
«Se non ci arrivano denunce concrete da parte degli interessati non possiamo fare nulla», ammette Caprari: «Noi partiamo dal presupposto che siano tutti onesti quelli che fanno domanda di finanziamento, dopodiché valutiamo la congruità del progetto e in una seconda fase la rendicontazione». Se tutto fila senza segnalazioni, insomma, è come se non fosse successo nulla. Caprari precisa anche che sulle Borse Lavoro è regnato finora un gran caos: «Sono state utilizzate per una serie infinita di interventi», per cui spesso a occuparsene sono stati alla fine anche Comuni o municipi. E così in buona sostanza si sono ancor più ridotte, a causa della grande frammentazione, le possibilità di controllo per i già pochissimi ispettori del lavoro operativi. Su una questione però Caprari è perentorio: «Se dovessimo scoprire la presenza di una truffa ai danni della Regione, scatterebbe immediatamente la revoca del finanziamento e la richiesta di restituzione del denaro pubblico». Per essere di nuovo destinato a favore della collettività.
Ma per questo ci sarebbe bisogno che Marco facesse il nome della cooperativa: e lui è ben intenzionato a non farlo, per tenersi stretto questo lavoro camuffato da stage che almeno gli assicura ogni mese un'entrata di 400 euro.
Ilaria Mariotti
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