Occupazione femminile, un passo avanti e due indietro nella riforma del lavoro rivista dal Senato

Chiara Del Priore

Chiara Del Priore

Scritto il 24 Giu 2012 in Approfondimenti

Lo scorso 31 maggio il Senato ha approvato la riforma del lavoro, che è ora in esame alla Camera. Il governo aveva posto il giorno prima la fiducia su  quattro maxi emendamenti, sostitutivi del testo presentato dall’esecutivo lo scorso 4 aprile. Un aspetto rilevante del ddl Fornero si riferisce alle misure di tutela dell’occupazione femminile, dagli incentivi all’occupazione ai voucher per i servizi di baby-sitting, fino all’introduzione del congedo di paternità e agli interventi per contrastare la pratica delle dimissioni in bianco.
A proposito di occupazione femminile, cosa cambia con il nuovo testo? Una delle modifiche più significative riguarda proprio la pratica delle dimissioni in bianco: si tratta di una lettera di dimissioni volontarie, che il datore di lavoro spesso fa firmare al lavoratore al momento dell’assunzione. Vengono dette «in bianco» perché la data viene inserita successivamente. Si tratta di una pratica utilizzata soprattutto con le donne: secondo dati Istat sono 800mila quelle costrette ad abbandonare il lavoro attraverso le dimissioni in bianco, nel 90% dei casi in seguito a una gravidanza. La riforma ha introdotto di nuovo delle misure di contrasto di questa pratica, già previste dalla legge 188 del 2007, poi abrogata: il testo del 4 aprile stabilisce che la richiesta di dimissioni vada presentata dalla lavoratrice durante il periodo di gravidanza oppure fino a  tre anni di vita del bambino (o di accoglienza del minore adottato o in affidamento). Il termine previsto dalla legge 188 era di un anno. La riforma ha poi introdotto due procedure di controllo della «genuinità e contestualità» di questo atto. Nel primo caso le dimissioni o la risoluzione consensuale del rapporto di lavoro devono essere convalidati dal servizio ispettivo del ministero del Lavoro competente per territorio. L’efficacia delle dimissioni è così subordinata a questa verifica. La seconda è la sottoscrizione di un’apposita dichiarazione in calce alla ricevuta di trasmissione della comunicazione di cessazione del rapporto di lavoro, che il datore è già tenuto a inviare al centro per l’impiego. Nel momento in cui dovesse riscontrarsi un abuso, esso va considerato licenziamento discriminatorio. Tuttavia, per punire l’illecito il ddl Fornero prevede una semplice sanzione amministrativa, una multa da 5mila a 30mila euro. Il testo emendato ribadisce queste disposizioni, introducendo però una novità: nei sette giorni dalla ricezione dell’invito a presentarsi presso la sede del servizio ispettivo o a sottoscrivere la dichiarazione sulla base della seconda procedura, la lavoratrice «ha facoltà di revocare le dimissioni o la risoluzione consensuale. La revoca può essere comunicata in forma scritta. Il contratto di lavoro, se interrotto per effetto del recesso, torna ad avere corso normale dal giorno successivo alla comunicazione della revoca». In nessuna delle due versioni del testo di legge (quella del 4 aprile e i maxi emendamenti), si fa riferimento, invece, alla registrazione delle dimissioni su moduli numerati progressivamente, con una scadenza di 15 giorni, finalizzata a risalire al giorno delle dimissioni e a evitare che il modulo venga compilato prima.
Se la reintroduzione delle misure di contrasto alla pratica delle dimissioni in bianco è sicuramente un elemento positivo, le modalità proposte per combattere il fenomeno sono state oggetto di critiche. Una delle sostenitrici del ripristino della legge 188 è stata la sindacalista ed ex parlamentare Titti Di Salvo, che ha spiegato alla Repubblica degli Stagisti le lacune contenute sia nel testo approvato il 4 aprile sia in quello del maxi emendamento. «La legge corregge l’abuso della firma in bianco, ma non lo previene, a differenza della 188/2007 che vincolava le dimissioni volontarie a un modulo numerato». La novità della revoca introdotta dal nuovo testo dovrebbe essere un’ulteriore arma a favore delle lavoratrici, in quanto concede loro una sorta di «diritto di ripensamento». In realtà, per la sindacalista, rischia di non esserlo: «Se una donna ha dato le dimissioni sotto ricatto, non è detto che questa costrizione non possa ancora sussistere». Anche la multa è considerata dall’ex parlamentare una misura troppo blanda per punire l’abuso.
E se per le dimissioni in bianco si rischia di fatto di non intervenire in maniera incisiva sul problema, anche per il congedo di paternità il testo approvato dal Senato sembra segnare un passo indietro rispetto a quello del 4 aprile. L’articolo 56 del testo  elaborato dal ministro Fornero
prevedeva che «il padre lavoratore dipendente, entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, avesse «l’obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo di tre giorni, anche continuativi», di cui due in sostituzione della madre. Il Senato ha modificato questo passaggio: adesso per il padre lavoratore dipendente l’obbligo di astenersi dal lavoro si limita a un solo giorno. Gli altri due diventano facoltativi: «Entro il medesimo periodo, il padre lavoratore può astenersi per un ulteriore periodo di due giorni, anche continuativi, previo accordo con la madre e in sua sostituzione». Insomma i giorni obbligatori passano da tre a uno, e che comunque due di essi vanno sempre «scalati» da quelli a disposizione della madre. Un ulteriore depotenziamento della norma, che già stabiliva un numero piuttosto ridotto di giorni di congedo rispetto anche a quanto accade nel resto d’Europa.
Un'altra modifica relativa alle misure per favorire la conciliazione tra famiglia e lavoro, stavolta migliorativa, riguarda i voucher per l’acquisto di servizi di baby-sitting e per gli asili pubblici o privati accreditati. Il testo approvato il 4 aprile prevedeva la corresponsione di voucher dalla fine della maternità obbligatoria per gli undici mesi successivi, in alternativa all’utilizzo del periodo di congedo facoltativo per maternità. Il voucher è erogato dall’Inps e il suo importo è regolato sui parametri Isee della famiglia. Se la norma approvata dal governo stabiliva l’utilizzo di questo servizio solo per chi volesse avere una baby-sitter, il testo emendato introduce anche la possibilità di servirsene per far fronte alle spese dei «servizi pubblici per l’infanzia o dei servizi privati accreditati».
L’ex ministro della Gioventù e onorevole del PdL Giorgia Meloni, membro della Commissione Lavoro alla  Camera, commenta così con la Repubblica degli Stagisti le nuove disposizioni: «Apprezzo la volontà di favorire la conciliazione degli impegni professionali e familiari. In questo caso, però, ci sono stati poco coraggio e troppo timore. Sarebbe stata opportuna una seria politica di sgravi fiscali alle imprese che assumono giovani madri o giovani donne in età fertile. I voucher per i servizi di baby-sitting sono una buona idea ma mi rammarica il fatto che si tratti di un provvedimento alternativo al congedo di maternità facoltativo e non integrativo». Non cambia, invece, nulla sotto il fronte incentivi all’occupazione femminile: resta valido quanto previsto dall’articolo 53 del testo originario del disegno di legge, che prevede agevolazioni per «le assunzioni, a partire dal primo gennaio 2013, di donne di qualsiasi età prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi» e di «donne di qualsiasi età, prive di un impiego regolarmente retribuito da almeno ventiquattro mesi, ovunque residenti».

Chiara Del Priore

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