Matteo Moschella
Scritto il 18 Apr 2016 in Notizie
Crescere in digitale Garanzia giovani Jobs Act servizio civile
Come stanno i giovani italiani? Come si evolve il rapporto con la famiglia? Come e quando diventano indipendenti? Quali aspettative hanno rispetto al futuro? Cosa pensano dell’Italia e dell’Europa? Quale rapporto hanno con il mondo del lavoro? A queste e molte altre domande ogni anno prova a rispondere Rapporto Giovani della fondazione Toniolo.
Lo studio, la cui ultima edizione è stata presentata a Milano presso l’università Cattolica pochi giorni fa, è un grande contenitore che raccoglie le risposte di un campione di 9mila giovani di età compresa tra i 19 e i 32 anni. Ci sono tutti: dalla generazione Z ai millennials, passando per studenti, disoccupati e lavoratori a tempo indeterminato. Il rapporto, di cui la Repubblica degli Stagisti aveva già parlato nelle due precedenti edizioni, mostra come i ragazzi siano consapevoli delle difficoltà attualmente presenti nel mondo lavorativo, ma non perdano la speranza, anzi siano pieni di voglia di fare e pronti a rimboccarsi le maniche per il futuro.
«Abbiamo iniziato lo studio tre anni fa, all’apice della crisi» racconta Alessandro Rosina, professore di Demografia e responsabile della ricerca, per capire come i giovani interagiscano «nella fase più delicata, per costruire la transizione nella vita adulta».
Le condizioni di partenza, però, non sono le migliori. «Nella fascia fra i 20 e i 30 anni i giovani italiani sono quelli con minore fecondità, minor reddito in relazione alla mansione, minor autonomia». Si parla di ragazzi e ragazze che escono di casa a 30 anni – cinque dopo la media europea. Che ritengono di avere meno opportunità dei coetanei all’estero – in Italia lo dicono tre giovani su quattro, in Germania uno su dieci. Che non si fidano degli altri, e in generale non sanno cosa aspettarsi dal futuro.
«Non è solo una ricerca quantitativa, ma anche qualitativa» specifica Rosina: infatti permette di comprendere, a partire dalle risposte, quali valori e motivazioni muovano le generazioni di oggi. «Abbiamo la percentuale più bassa di under 30 nei paesi europei» spiega il professor Rosina. Troppi expat, ragazzi che vanno all’estero, e un basso tasso di natalità lasciano sguarnito il paese, che fa poco per aiutare le nuove generazioni ad emergere.
Ma nonostante la consapevolezza dei problemi esistenti c’è chi non si dispera: come Lorenzo Fiorito e Nayara Pinho, intervenuti alla fine del convegno. Lorenzo è salentino ed è venuto a Milano per creare la sua seconda start up, Nayara è brasiliana e vuole realizzare un’idea di business legata alla moda. Entrambi hanno lasciato il luogo di origine per seguire il proprio sogno, entrambi hanno studiato il mercato per proporre idee innovative e non temono la concorrenza, e non sono i soli.
La tendenza a trasferirsi all’estero - tema già emerso negli anni precedenti - e l’adattamento, infatti, sono sempre più punti fondamentali per gli under 30 italiani: secondo il rapporto oltre l’80% è disposto a trasferirsi stabilmente per lavoro (o in altre parti d'Italia o in altri Paesi), e quando gli viene chiesto quale sia la caratteristica fondamentale da avere nel mondo del lavoro risponde citando la capacità di adattarsi a nuovi contesti (55%).
I ragazzi pensano molto al lavoro, che giudicano pragmaticamente in primis fonte di reddito (91%), poi importante per il futuro (88%), utile allo scopo di creare una famiglia (87,5%) e infine modalità di auto realizzazione (85%). Ma non finisce qui: i giovani non smettono di cercare opportunità per migliorare la propria vita e il proprio lavoro e al 44% si dichiarano insoddisfatti della retribuzione che percepiscono. Molti ammettono ancora di essere fortemente influenzati dalla famiglia, da cui provano a staccarsi con differenti esiti (dopo essersene andata di casa più della metà è costretta, a un certo punto, a ritornare sui propri passi).
«Ma non chiamateli semplicemente Neet» spiega Rosina: gli adulti di domani sono esigenti con sé stessi, con la propria formazione (non sono interessati ai titoli, ma alle competenze specifiche che la scuola può dare per il futuro), con il mercato del lavoro (che deve essere in grado di farli crescere e di pagarli) e soprattutto con il sistema paese.
Ma cosa dovrebbe offrire l’Italia a questi ragazzi? Luigi Bobba, sottosegretario del ministero del Lavoro con delega ai giovani, ritiene che si debba ripensare alle nuove generazioni come «risorsa informativa» citando alcune iniziative del governo (il Jobs Act, la legge di stabilità, l’alternanza scuola-lavoro, Garanzia Giovani, Crescere in Digitale e il servizio civile) grazie alle quali 463 mila giovani hanno trovato lavoro o ottenuto condizioni contrattuali migliori nel 2015.
Le condizioni non sono le migliori, ma qualcosa sta cambiando. «La loro non deve essere assolutamente considerata una generazione perduta» incalza Giovanni Bazoli, presidente del Consiglio di sorveglianza di Intesa Sanpaolo, sponsor del rapporto insieme alla fondazione Cariplo. Bazoli si augura che una minoranza dei giovani porti il buon esempio e traini la maggioranza come motore del paese: e in effetti questo Rapporto Giovani 2016 racconta ragazzi consapevoli ma non rassegnati, pronti cambiare la situazione intorno a sé. «Il primo rapporto era apparso in un periodo di crisi: la speranza è di riuscire, nelle prossime edizioni, a raccontare una situazione diversa» conclude Rosina.
Matteo Moschella
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