L'alternanza scuola-lavoro, uno dei temi più forti e innovativi della riforma della Buona scuola, è al centro di "Job & Orienta", il Salone partito oggi a Verona che fino a sabato vedrà passare tra gli stand migliaia di giovani ma anche di insegnanti, educatori e policy makers, tutti interessati a focalizzare le novità in materia di didattica e dialogo tra mondo della scuola e mondo dell'impresa. Domani mattina il ministro dell'Istruzione Stefania Giannini farà il punto della situazione nel corso di un convegno intitolato proprio “La buona alternanza scuola lavoro nella legge 107/2015” cui parteciperanno tra gli altri anche Ivan Lo Bello, presidente di Unioncamere e vicepresidente di Confindustria Education e Marco Gay, presidente dei Giovani Imprenditori di Confindustria, con la giornalista Maria Latella come moderatrice.
Ma che cos'è l'alternanza scuola-lavoro? Si tratta dello strumento attraverso cui si cerca di avvicinare il mondo della scuola a quello del lavoro, facendo fare agli studenti delle esperienze “on the job” di qualche settimana, solitamente a cavallo tra giugno e luglio, in aziende private ma anche in studi professionali, enti pubblici, associazioni non profit. Tecnicamente si tratta di stage di orientamento e formazione, anche se non è purtroppo così chiaro il quadro normativo di riferimento.
«L'alternanza scuola lavoro esiste in realtà dal 2005, la introdusse il ministro Moratti, ma come finora l'abbiamo praticata è stata molto interna alla scuola. Negli ultimi anni però si è cambiato passo: la Buona Scuola codifica questo processo» ha spiegato di recente Carmela Palumbo, direttore generale per gli Ordinamenti scolastici e la valutazione del sistema nazionale di istruzione del ministero dell'Istruzione, a un convegno organizzato da Nestlé per illustrare i progressi del suo progetto “Alliance for Youth”: «È in atto un grande processo di rinnovamento della scuola. Si è tanto parlato di assunzioni del personale, ma ci sono altri importanti azioni che il nostro ministero sta portando avanti, in stretto coordinamento con quello del Lavoro, per ridurre il disallineamento tra i sistemi formativi e le competenze richieste dal mercato del lavoro e risolvere il problema della disoccupazione giovanile».
Il cambiamento più significativo è che se prima questi “mini-stage” erano una possibilità, adesso diventano un obbligo. Fino all'anno scorso erano i singoli dirigenti scolastici a decidere se attivarsi per realizzare a favore dei propri alunni queste “esperienze on the job”: se non lo facevano – e la stragrande maggioranza delle scuole italiane, infatti, non lo faceva – nessuno diceva nulla. Per questo motivo il numero di studenti delle scuole superiori coinvolti in progetti di alternanza è sempre stato bassissimo, e praticamente confinato agli istituti tecnici. «Ora invece l'alternanza è un diritto-dovere per tutti gli studenti delle terze, quarte e quinte classi delle scuole superiori, non solo studenti delle scuole tecniche e professionali ma anche dei licei» ribadisce Palumbo: «400 o 200 ore all'anno da fare in azienda, in una realtà lavorativa, tutti i luoghi dove si lavora. La grande novità che si è sviluppata negli ultimi anni è che finalmente si esce dall'idea che i nostri studenti debbano prima studiare a scuola e poi lavorare, in una scissione anche temporale».
Una rivoluzione culturale che si ispira a “best practice” già praticate da decenni all'estero, «a cominciare dai Paesi che hanno risolto il problema della disoccupazione giovanile, come per esempio la Germania e la Svizzera». L'obiettivo che il governo Renzi si prefigge è quello di «uscire dal paradigma “prima studio, poi lavoro” ed entrare in una logica in cui accanto allo studio delle competenze di base, come l'italiano e la matematica, durante il percorso scolastico si possano e debbano costruire anche competenze spendibili nel mondo del lavoro».
Rispetto all'attuazione delle nuove disposizioni in materia di alternanza scuola-lavoro, però, c'è un ostacolo da superare: il numero degli studenti delle scuole superiori è infatti enorme. Passare da poche decine di migliaia di “mini-stage” all'anno (secondo il report Indire - Miur per esempio, per l’anno scolastico 2012/13, solamente 45.365 percorsi di alternanza scuola-lavoro erano stati svolti all'interno di imprese) a oltre un milione (solo i 16enni, oggi in Italia, sono 572mila) è un triplo salto carpiato che necessita di uno sforzo titanico sia per le scuole, chiamate ad attivarsi a livello organizzativo, sia per il tessuto produttivo, perché per ciascuno di questi giovani ci deve essere un'azienda che apre le porte. «Dal punto di vista pratico la nuova legge, per permettere questo salto di qualità, prevede una attuazione graduale» puntualizza Palumbo: «Quest'anno concentriamo la nostra attenzione sulle terze classi della scuola superiore».
Il segmento conta, secondo i dati forniti dalla dirigente del ministero, un po' meno di mezzo milione di allievi. Vorrebbe comunque dire di fatto raddoppiare, da un anno all'altro, il numero degli stage attivati (oggi intorno ai 500mila all'anno): e sopratutto vorrebbe dire raddoppiare il numero di “soggetti ospitanti” (così si chiamano, in gergo tecnico, le realtà – aziende private, enti pubblici, associazioni non profit, studi professionali – disponibili appunto a ospitare i ragazzi in stage). Pensare di riuscire a raggiungere questo obiettivo in pochi mesi è velleitario, anche considerando la scarsa adesione che le aziende hanno dato a iniziative simili come per esempio Garanzia Giovani, che pur era fortemente incentivata anche dal punto di vista economico.
Del resto già qualche mese fa Chiara Manfredda aveva chiarito la posizione di Assolombarda, l'associazione che riunisce le imprese industriali e del terziario che operano nelle province di Milano, Lodi e Monza e Brianza: «Nell'ambito delle nostre imprese ospitiamo ogni anno 4mila ragazzi in alternanza, sono numeri importanti», ma infinitesimali di fronte all'esercito di giovani che da quest'anno dovrebbe essere coinvolto nella alternanza obbligatoria. Manfredda, che in Assolombarda è responsabile del capitale umano, aveva anticipato che «numericamente e quantitativamente» Assolombarda non prevedeva di riuscire ad attuare, almeno per il primo anno dell'entrata in vigore della riforma della Buona Scuola, tutti i tirocini previsti: e se non ce la farà la Lombardia, cioè la regione italiana a più alto tasso imprenditoriale, figuriamoci le altre. Allora che si fa? «Stiamo sviluppando il discorso della didattica laboratoriale, senza spostare necessariamente i ragazzi nelle aziende» aveva spiegato Manfredda: sostituendo cioè i tirocini in azienda con dei laboratori all'interno delle scuole.
Una scelta al ribasso? Secondo Carmela Palumbo no: «È l'impresa formativa simulata, una forma che è prevista dalla stessa legge 107, e non è figlia di un dio minore. L'alternanza si sviluppa su tre anni e dunque per il primo anno può consistere in una attività di orientamento. Quando si dice che tutti gli studenti, compresi i disabili, debbono fare questa esperienza, si dice qualcosa di molto importante, che porta a numeri enormi. L'obiettivo è molto ambizioso». In concreto la dirigente del ministero spiega che per far fronte a questi numeri, tolti i giovani che troveranno posto per fare la loro alternanza nelle imprese, ci si affiderà alla “Piattaforma SimuCenter”, che è «gestita dall'Indire e che eroga anche pacchetti per l'impresa simulata». Attraverso questo sistema «si può riuscire molto bene a similare l'esperienza in azienda», assicura la Palumbo, rivolgendo però contestualmente un appello al mondo delle imprese: «Anche le associazioni datoriali devono fare uno scatto culturale. Noi stiamo lavorando con Unioncamere per costruire una sezione del registro delle imprese in cui inserire le aziende che si offrono di ospitare ragazzi in alternanza, indicando anche in quali periodo».
Lavorare su un più stretto legame tra aziende e scuole è certamente un primo passo. Ma non bisogna nemmeno sottovalutare il fatto che mandare uno studente di scuola superiore, minorenne, a fare uno stage non è purtroppo così facile, tra leggi da rispettare e passaggi burocratici da espletare. Per esempio, ogni studente prima del suo periodo di alternanza dovrebbe seguire un breve corso di formazione sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro. «Questi corsi sono a carico dell'azienda», con il rischio che doversi sobbarcare questa incombenza scoraggi già in partenza le aziende a dare la propria disponibilità ad ospitare i ragazzi: «La legge dice che le scuole potranno farsi carico dell'organizzazione di questi corsi, così come tutte le spese che attengono agli aspetti formativi dell'alternanza».
Il punto fondamentale, che la dirigente del ministero dell'Istruzione sottolinea con entusiasmo, è che sulla questione dell'alternanza scuola lavoro la riforma non ha solo scritto belle parole, ma ha anche previsto un finanziamento adeguato: «La Buona Scuola mette a disposizione, a regime a partire dal primo gennaio 2016, uno stanziamento dedicato e fisso per l'alternanza scuola lavoro. Finora abbiamo goduto di un finanziamento incerto e instabile: abbiamo avuto negli anni ministri più sensibili a questo tema, e in quei casi abbiamo ricevuto fino a 32 milioni di euro, e anni in cui siamo scesi a 11 milioni di euro». Con risorse così ballerine, difficile realizzare progetti di ampio respiro: «Questa incertezza di quadro normativo non ci ha permesso di radicare la alternanza scuola lavoro su tutte le scuole» conferma infatti Palumbo, e per questo «ci siamo dovuti concentrare sulle scuole professionali. Ora a regime abbiamo un capitolo in bilancio che ci dà 100 milioni di euro all'anno: questo cambia completamente i nostri orizzonti». Un finanziamento ingente e sopratutto sicuro dovrebbe cioè permettere al ministero di far finalmente decollare lo strumento dell'alternanza scuola-lavoro e di coinvolgere centinaia di migliaia di ragazzi che finora sono rimasti esclusi: «Abbiamo diramato una guida operativa per le scuole, un vero e proprio manuale, perché alcune già sanno come attuare questi percorsi, ma altre ovviamente no. Vogliamo accompagnare quelle scuole che non hanno mai fatto alternanza a fare percorsi di coprogettazione della formazione».
Carmela Palumbo è entusiasta della prospettiva che si sta aprendo: «Incardiniamo l'alternanza scuola lavoro stabilmente nel curriculum degli studenti». L'auspicio è che questo possa rendere i cv di questi ragazzi più forti, un domani, quando affronteranno il mare aperto del mondo del lavoro.
Eleonora Voltolina
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