Nubi sulla Garanzia giovani, mancano le aziende e le offerte di lavoro

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 27 Giu 2014 in Approfondimenti

A distanza di quasi due mesi dall'avvio del progetto Youth Guarantee italiano - simbolicamente partito il primo maggio, giorno della festa dei lavoratori - i risultati sono molto modesti e le speranze sulla riuscita iniziano ad assottigliarsi. Pochi gli iscritti totali finora (un po' meno di 90mila giovani a sette settimane dall'avvio), ma ancor più esiguo il numero di imprese, solo 90, che si sono rese disponibili a collaborare, assumendo giovani oppure ospitandoli in tirocinio. Fatti i conti, ciò significa che al momento esiste una possibilità di risposta solo per un misero uno per cento tra chi, tra i 15 e i 29 anni, si è registrato come inattivo.
«Siamo a rischio boomerang» dice senza mezzi termini Gianfranco Simoncini
, assessore al Lavoro della giunta della Toscana. L'occasione per fare il punto della situazione è un dibattito organizzato dall'associazione Civita nei giorni scorsi a Roma: «Aprire a grandi speranze e poi dare una risposta occupazionale a un uno o due per cento della platea degli iscritti sarebbe una grande sconfitta» incalza: «È un bene che si cerchi di recuperare il rapporto di fiducia tra i ragazzi e le istituzioni attraverso un sistema di servizi per il lavoro diversi e rinnovati rispetto al passato, ma c'è bisogno di un salto di qualità».
Simoncini snocciola i numeri della sua regione, assicurando che da loro il percorso è partito: sono numerosi i giovani toscani che hanno sbrigato le prime formalità e altrettanti i «patti di attivazioni già stipulati». Che tradotto vuol dire però solo essere stati ricollocati in un limbo, in attesa che spuntino «contratti di tirocinio o servizio civile, gli unici pronti a partire entro breve». Ed è lo stesso assessore ad ammettere che, «per quanto positivo possa essere come arricchimento personale, il servizio civile, uno dei percorsi più gettonati della Garanzia Giovani, non è tuttavia vera occupazione».
Gli fa eco un'operatrice di un centro per l'impiego che interviene dal pubblico: «Da noi si presentano ragazzi che magari arrivano da un'altra regione, che hanno sostenuto dei costi, anche comprando un biglietto aereo. E noi cosa possiamo offrire loro? Un corso di formazione? Un tirocinio a 400 euro nella migliore delle ipotesi?». Nel Lazio, ad esempio, sono stati fatti «accordi per inserimenti in apprendistato solo con Enel e Finmeccanica», ricorda Monica Gregori, deputata del Pd eletta nel Lazio.
Al netto dei problemi organizzativi elencati dai relatori - Regioni che stentano a partire, sistemi informatici che non dialogano tra loro, incertezza sugli incentivi destinati alle aziende che contrattano - la vera questione è infatti che senza posti di lavoro concreti, e quindi aziende disposte a offrirli, la Garanzia Giovani si limiterebbe a una grande beffa. Perché è il lavoro che i ragazzi si aspettano, ed è quello che andrebbe creato attraverso una politica industriale. Invece, ammette Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro alla Camera a cui sono affidate le conclusioni dell'incontro, «non possiamo dire ai giovani coinvolti che nell'arco di qualche mese avranno accesso a un lavoro di qualità [la Garanzia Giovani 'garantisce' appunto un'offerta formativa o occupazionale entro quattro mesi dall'attivazione, ndr], perché non è così». In un momento in cui, peraltro, «le politiche per il lavoro non hanno più un baricentro, con le larghe intese c'è un po' di destra e un po' di sinistra, e si procede per tentativi».
Damiano fa riferimento ai tre pilastri delle azioni per l'occupazione messe in campo dal governo Renzi: decreto Poletti, legge delega e Garanzia Giovani: «un triangolo» lo chiama il parlamentare, già ministro del Lavoro ai tempi del secondo governo Prodi, su cui pende un interrogativo: «Siamo sicuri che gli obiettivi dei tre non facciano a pugni tra loro?».
«Con il decreto diventa più conveniente il lavoro a termine» spiega Damiano, prendendo le distanze: «Per me è il lavoro a tempo indeterminato quello da rendere più conveniente, con un violento sconto fiscale». E con la legge delega «dovremmo stabilire qual è il centro della nostra azione».
E per il terzo pilastro, la Garanzia Giovani, si apre un altro punto critico del provvedimento che l'Europa ci ha commissionato: «Non ci sono paletti, criteri, che dicano quale siano gli standard di qualità da offrire: per esempio affermando che non si possano firmare contratti a tempo di meno di sei mesi, e con una retribuzione minima stabilita». E naturalmente i tre pilastri sono strettamente interconnessi: la legge delega, spiega ancora Damiano, sarà per esempio il punto di svolta anche sul piano dei centri per l'impiego, snodo fondamentale per tutti i disoccupati e per i potenziali fruitori della Youth Guarantee italiana.
Che la riforma dei cpi sia essenziale lo dicono pure i numeri: in Italia c'è un operatore ogni 250 disoccupati, quando in Germania ce n'è uno ogni 22. Qualcosa, evidentemente, non funziona. Allora ci sono Regioni che scelgono di puntare su circuito degli enti accreditati, delegando al privato ciò che il pubblico non riesce a fare, anche in tema di Garanzia Giovani. Un sistema che però è ancora a macchia di leopardo, e che rischia di non soddisfare pienamente le aspettative dei giovani. «Se non ci sarà una rivalsa sociale» chiude Damiano, «è solo perché tra i beneficiari esiste frammentazione: non possono fare massa tra di loro». Fino a quando?

Ilaria Mariotti 

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