Categoria: Interviste

Superstage calabresi, ancora nessuna risposta all'interrogazione parlamentare. Pietro Ichino: il governo non sa che pesci pigliare

Li abbiamo chiamati superstage. Sono partiti l'anno scorso, per iniziativa del consiglio regionale della Calabria, e finora hanno coinvolto 500 laureati delle tre università calabresi. Sono stage abnormi, prima di tutto per la loro durata: 2 anni. Peccato che la normativa vigente (dm 142/1998) preveda che per i laureati gli stage possano durare al massimo 1 anno, e che 2 anni siano concessi solo per i portatori di handicap. In più questi superstage sono aperti non solo a giovani, ma anche ad adulti: il bando accettava candidature fino a 37 anni, e anzi attribuiva punteggi aggiuntivi per chi fosse già iscritto ad albi professionali o avesse conseguito master e dottorati. Risultato: tra i superstagisti ci sono dottori commercialisti 36enni con studi avviati, ingegneri 30enni, professori universitari 32enni. Questo snaturamento dello strumento dello stage, portato sotto i riflettori proprio dalla Repubblica degli Stagisti, è stato contestato dal senatore e giuslavorista Pietro Ichino [nella foto], che il 15 gennaio ha presentato un'interrogazione parlamentare per chiedere conto al governo di questa iniziativa. Ma sembra che in questi due mesi e mezzo né Maurizio Sacconi, ministro del Lavoro e del welfare, né Renato Brunetta, ministro della Pubblica amministrazione, né Andrea Ronchi, ministro per le Politiche comunitarie, abbiano trovato il tempo di dare una risposta. Professor Ichino, dai ministri interpellati ancora nessuna risposta. Com'è possibile che il governo ignori una richiesta di chiarimenti su una questione che muove non pochi spiccioli, ma ben 6 milioni di euro all'anno? E' il segno di un imbarazzo grave. Evidentemente i ministri competenti non sanno che pesci pigliare. Anche perché in questa vicenda è fortemente coinvolto anche il centro-destra. Alcuni esponenti del consiglio regionale calabrese hanno cercato di dire che il "Programma Stages" non promuoverebbe stage, ma qualcos'altro di diverso, e pertanto di non assoggettabile alla normativa vigente sugli stage formativi in azienda. E' credibile? Hanno sostenuto che non si tratterebbe di stage, ma - nientemeno - di un master universitario di secondo livello! Non sanno di che cosa parlano. Non sanno, in particolare, che un master universitario deve rispondere a requisiti didattici ben precisi, che qui difettano totalmente. Considerando che la metà dello stanziamento, 3 milioni di euro, proviene da fondi europei, si potrebbe chiedere anche all'UE un parere in proposito? Ci penserà comunque il Fondo Sociale Europeo a chiedere conto dell'attività formativa svolta, a consuntivo. E saranno dolori per tutti. Ha più sentito qualcuno della Regione Calabria rispetto alla proposta di mandare i superstagisti a fare un'esperienza nelle pubbliche amministrazioni di altri Paesi? No: dopo i primi consensi iniziali nessuno ne ha più parlato. E la cosa più triste è che da alcuni dei giovani interessati si sono levate voci di rifiuto preventivo: "ci avete offerto gli stage vicino a casa e qui dovete darceli"! Molti superstagisti in effetti hanno rigettato la proposta di andare all'estero, anche in ragione del fatto che alcuni di loro accanto allo stage svolgono attività cui dovrebbero per forza di cose rinunciare se si allontanassero dalla Calabria. Il grave errore della politica si è tradotto in una vicenda profondamente antieducativa. La cattiva politica alimenta comportamenti perversi nel mercato del lavoro. Alcuni superstagisti hanno scritto che andare in una pubblica amministrazione di un altro Paese a vedere come funziona non servirebbe a niente, perchè poi in Italia tornerebbero a doversi adeguare alle nostre normative. E' un'obiezione pertinente? Ma come pensano di contribuire, questi giovani, alla riscossa della loro Regione, se non cercando di importare in essa il meglio delle esperienze europee? Non si rendono conto del fatto che, crogiolandosi in questo modo nella loro inerzia personale, perpetuano le condizioni di arretratezza della loro terra? Molti hanno accettato questi stage solo per avere un'entrata sicura per un paio d'anni: in Calabria trovare lavoro non è facile. La disoccupazione è all'11,2%, quasi il doppio rispetto alla media nazionale e quasi il quadruplo rispetto a regioni come Lombardia ed Emilia Romagna. Lasciando perdere tentativi che anche altri giuslavoristi hanno giudicato impropri e controproducenti, come questo del "Programma Stages", cosa si può fare per creare più buona occupazione in Calabria? Una strategia efficace dovrebbe puntare ad attirare in Calabria il meglio dell'imprenditoria mondiale. Per questo occorrerebbe l'azione congiunta di un governo regionale affidabile, che creasse il massimo possibile di agevolazione e sicurezza per l'investitore straniero, e un sindacato capace di valutare i piani industriali più innovativi, negoziandone le condizioni a 360 gradi. Un sindacato capace di agire come intelligenza collettiva dei lavoratori calabresi e, se la valutazione sul piano industriale è positiva, capace di guidarli in una scommessa comune con l'imprenditore. Cos'ha in mente di preciso, professore? Il discorso potrebbe - per esempio - essere questo: sappiamo che investire qui è un po' più scomodo e più pericolosco che altrove; ma siamo convinti che l'investimento avrà successo; quindi siamo pronti a "investire" nella scommessa una parte delle nostre retribuzioni. Tu, imprenditore, ora ci paghi solo il 70% del minimo tabellare previsto dai contratti collettivi nazionali; poi, passati due anni, se le cose saranno andate bene, come siamo convinti che andranno, e lo start up si sarà consolidato, recupereremo la differenza; e fra quattro anni, quando l'investimento incomincerà a dare i suoi frutti, ce li divideremo così e così. Ma per far questo occorre saper andare a cercare gli imprenditori da ingaggiare in giro per il mondo, saper parlare loro nella loro lingua, saper far proprie le loro esigenze organizzative, anche quando urtano contro i vincoli dei nostri contratti. In altre parole: conoscere il mondo e saper contrattare a tutto tondo. Anche per questo sarebbe stato utile alla Calabria che i suoi laureati migliori, invece che tenuti per due anni attaccati alle gonne delle mamme, venissero inviati a fare esperienza fuori dall'Italia.Eleonora Voltolina Per saperne di più vedi anche: - In Calabria il consiglio regionale attiva i superstage- Michele Tiraboschi e Michel Martone sui superstage calabresi: «Per i giovani sono un boomerang»- Francesco Bonsinetto, dalla cattedra allo stage- Francesco Luppino, l'ingegnere stagista- Serena Carbone: una proposta al consiglio regionale per valorizzare davvero noi superstagisti- Pietro Canale, il commercialista stagista  

Due parole con Andrea Martina, ideatore della campagna di comunicazione Master dei Talenti 2009

Andrea Martina, classe 1984, è saltato sul treno del Master dei Talenti appena finita la laurea triennale in Ingegneria del cinema e dei mezzi di comunicazione al Politecnico di Torino. Il suo tirocinio l’ha fatto alla mecca del cinema, Los Angeles: prima un corso di grafica 3D alla prestigiosa Gnomon School di Hollywood e poi catapultato su progetti cinematografici e televisivi presso la "Look Effects". Ora sta lavorando alla tesi per la laurea specialistica: si è inventato un progetto in collaborazione con il Politecnico di Torino, l’università di Las Vegas e l’UCLA, e ad aprile tornerà a Torino per laurearsi. È lui il creativo che ha ideato la nuova campagna di comunicazione del MdT (qui sotto). Come ti è venuta l'idea della lampadina con la ventiquattr’ore? Ho pensato che il simbolo doveva essere qualcosa di divertente, fuori dai soliti schemi. La lampadina vuole rappresentare le idee e anche i famosi "cervelli" che spesso fuggono. Una lampadina che però non sa esattamente cosa fare: è pronta per il mondo del lavoro, già con la valigetta nuova, ma non sa dove andare, si gratta la testa… Il MdT dovrebbe aiutare i cervelli a trovare una strada! Tre aggettivi per la tua esperienza MdT a Los Angeles. Unica! Senza il MdT non avrei mai potuto vivere a LA per mesi, senza aiuti esterni, frequentando una scuola famosa in tutto il mondo. Un altro aggettivo: formativa. La possibilità di vivere lontano dall'Italia, tra persone che ragionano in un modo completamente diverso, aiuta tantissimo ad aprire la mente e le prospettive. Infine, incoraggiante. Verso il futuro, intendo: il MdT permette di applicare immediatamente i propri studi all'interno del proprio campo di lavoro e di acquistare crediti sul cv, ma soprattutto sicurezza di fronte al futuro. Quali sono le caratteristiche più importanti che un neolaureato deve avere per "vincere" il MdT? Sicuramente si deve essere ambiziosi. Non arrivisti, ma ambiziosi: cercare di migliorarsi sempre – nel caso del MdT, facendo una esperienza importante e formativa all'estero. Non bisogna avere paura ad affrontare una situazione nuova... Provare e "buttarsi" significa mettersi in gioco, cosa fondamentale per sentirsi realizzati, anche nelle piccole cose quotidiane. Andare all'estero oggi per un giovane italiano è una opportunità o una conditio sine qua non per trovare occasioni di crescita professionale? Un’opportunità. Chiunque può scegliere se affrontare un’esperienza all'estero o lavorare solamente entro i confini italiani. Ovviamente questo pone le persone su piani differenti. Lo studente che passa anche solo qualche mese all'estero vive un’esperienza molto importante, e vede come si lavora in un ambiente diverso da quello italiano. Poi magari, tornato in "patria", saprà utilizzare bene le conoscenze acquisite altrove. Non credo che andare all’estero sia una conditio sine qua non per un’esperienza formativa, ma la trovo un’enorme opportunità: chi si sente di affrontarla dovrebbe cercare in tutti i modi di ottenerla. Soprattutto oggi che qualunque lavoro è globale.Intervista di Eleonora Voltolina

Paolo Citterio: stage sì, anche di un anno. Ma mai gratis!

Paolo Citterio è il fondatore e presidente di Gidp, Gruppo intersettoriale dei direttori del personale: un network che riunisce 2200 dirigenti dell’area risorse umane di aziende con oltre 250 dipendenti. Lo strumento dello stage è molto usato dalle grandi aziende: secondo l'indagine Excelsior di Unioncamere, sette su dieci ospitano tirocinanti. Sì, e si tratta di stage di qualità: nella maggior parte dei casi l'azienda offre un congruo rimborso spese e un percorso formativo serio; e dopo aver investito sulla nuova risorsa, se i risultati del periodo di stage sono stati buoni non se la lascia scappare, e la assume. Cosa che accade meno spesso nel caso delle imprese più piccole? Direi di sì. In quel caso gli stagisti spesso vengono presi per brevi periodi, per coprire i periodi di ferie o malattia del personale, senza progetti formativi nè tutor seri; ed è raro che ci sia una concreta possibilità di assunzione dopo lo stage [ma ci sono anche pmi e addirittura microimprese che utilizzano bene i loro stagisti: vedere la Lista dei Buoni DOC per credere, ndr]. Una grande azienda utilizza lo stagista in maniera completamente diversa. Il Gidp esegue un’indagine annuale* sugli stagisti. Quali sono gli ultimi dati? Per quanto riguarda la durata dello stage, per esempio, emerge che la maggioranza delle aziende (il 69%) preferisce i 6 mesi. Personalmente, dissento: lo stage migliore è quello da 12 mesi. Ma non è un periodo troppo lungo? Lungo, sì, ma orientato all'assunzione. La maggior parte dei contratti di categoria prevede per i neolaureati un periodo di prova al massimo di 3 mesi: troppo breve! Ecco quindi che lo stage va a supplire, diventando una sorta di periodo di prova in cui le aziende possano formare e valutare la risorsa prima di prendersi l’impegno di assumerla. Perché ciò non accadesse, bisognerebbe prevedere periodi di prova molto più lunghi: è una convinzione che condivido anche con Ichino. Insomma paghiamoli bene, questi stage, ma facciamoli lunghi: è un vantaggio per tutti, sopratutto per i tirocinanti. Ecco, paghiamoli bene. Su questo punto l'indagine Gipd che dice? Che nelle grandi aziende il rimborso spese medio è di 621 euro al mese più i buoni pasto. Nello specifico, 4 su 5 retribuiscono i loro stagisti con almeno 500 euro al mese, una su 4 andando addirittura sopra i 700. E una punta di diamante del 7% li paga più di 1000 euro al mese! Una miriade di aziende che potrebbero essere inserite nella Lista dei Buoni! Però ci sono migliaia di ragazzi che ogni anno fanno stage senza prendere un centesimo. Io dico che queste proposte andrebbero rifiutate: la prestazione gratuita non dovrebbe esistere! I giovani che accettano di fare stage gratis spesso hanno poca fiducia in sé stessi. Bisogna fare la gavetta, certo: ma mai gratis. A me dispiace che molti cadano nella trappola di questi stage non retribuiti, magari col miraggio di essere assunti che però raramente diventa realtà. Sul punto della percentuale di assunzione dopo lo stage i risultati del vostro studio sono ben più alti di quelli indicati dall'indagine Excelsior (13% circa). Direi di sì: oltre la metà delle aziende assume un tirocinante su due; il 27% delle aziende si attesta addirittura sul 70%! *l'indagine è effettuata su un campione di 130 imprese del network Gidp

Michele Tiraboschi e Michel Martone sui superstage calabresi: «Per i giovani sono un boomerang»

Stage lunghi due anni, destinati a laureati e aperti anche a ultratrentenni: il consiglio regionale della Calabria ne ha appena attivati 500, e già pensa di aggiungerne altri 250. Ma con queste caratteristiche, si può davvero dire che siano stage?La Repubblica degli Stagisti lo ha chiesto a due docenti eccellenti di Diritto del lavoro: Michele Tiraboschi [nella foto a sinistra], direttore scientifico della Fondazione Marco Biagi presso l'università di Modena e Reggio Emilia, e Michel Martone, uno dei più giovani professori ordinari in Italia (ha appena compiuto 35 anni).«Laureati di oltre trent'anni impegnati in stage di due anni e retribuiti mille euro al mese: dove starebbe lo stage, qui?», esordisce subito Martone: «Questo a me sembra un contratto di lavoro subordinato! L'età e la professionalità delle persone coinvolte, sommate alla durata degli stage e alla retribuzione così alta, rendono ben difficile considerare questo un progetto di stage formativi».Dello stesso avviso Tiraboschi: «Più che a stage, questi assomigliano a rapporti di lavoro remunerati». E spiega: «Mi pare che sia la classica "trappola del precariato". Si illudono questi ragazzi, dirottando i loro sforzi dalla ricerca di un lavoro vero a una sorta di lavoro socialmente utile che finirà paradossalmente per danneggiare i migliori».In effetti il bando calabrese proprio ai migliori mira, premiando con punti aggiuntivi master, dottorati, iscrizione a ordini professionali etc. Anche Martone [nella foto qui a destra] mette in guardia sull'effetto boomerang: «Qui la professionalità anzichè essere valorizzata viene penalizzata, perchè si costringono persone già formate a piegarsi a uno stage, fino addirittura all'età di 37 anni, rinunciando ai contributi e a un modello contrattuale adeguato alle loro competenze».Ma perchè tutti questi giovani hanno aderito al progetto? Perchè mille euro al mese possono fare la differenza, specialmente in Calabria. Riflette Martone: «Accettano perché il dramma della disoccupazione fa paura. Ma lo Stato dovrebbe creare buona occupazione per i migliori, invece che limitarsi a offrire lavori con data di scadenza – in questo caso, per giunta, camuffandoli da stage per poter risparmiare su tutti gli oneri indiretti».Alcuni di questi superstagisti hanno davvero un curriculum strepitoso: avvocati, docenti universitari... Ma si può accettare, dal punto di vista del diritto, di considerare "stagisti" ricercatori e professionisti? «È un modo per aggirare i vincoli di utilizzo di precari e co.co.co nella pubbliche amministrazioni», risponde Tiraboschi: «In questo modo sono studenti e la legge è elegantemente aggirata».Conclude Michel Martone: «Spererei che il consiglio regionale calabrese ci ripensasse, e che cercasse di fare a questi ragazzi dei contratti di lavoro a termine, con i contributi e le tutele dovuti». Qualcuno lo ascolterà?Eleonora Voltolina  

Ginevra Benini: ecco cosa fa l'Isfol per gli stagisti italiani

Anche l'Isfol (Istituto per lo sviluppo della formazione dei lavoratori) si occupa di stage. Ecco cosa racconta alla Repubblica degli Stagisti Ginevra Benini, responsabile della sezione «Young» di Orientaonline e della collana «Minlavoro-Isfol orientano alla scoperta delle professioni». Quando l'Isfol ha iniziato a occuparsi di stage? Nel 1999, all'indomani della legge. Pubblicammo allora un manuale dedicato alle scuole superiori: «Lo stage e il tirocinio nei percorsi scolastici e formativi - Guida alla progettazione». Fu diffuso sopratutto negli istituti tecnici. Poi ci accorgemmo che il settore più scoperto restava quello degli stage promossi dai centri per l'impiego; così nel 2006 preparammo il «Manuale di orientamento per il tirocinante in cerca di lavoro» [a cura della stessa Benini, ndr - nell'immagine, la copertina]. Il libro venne presentato nel corso di un convegno a cui avevamo invitato i rappresentanti degli oltre 600 centri per l'impiego sparsi sul territorio. A chi era rivolto questo secondo manuale? A chiunque fosse uscito da un percorso formativo e volesse avvicinarsi al mondo del lavoro attraverso un tirocinio. Anche se poi questa, a dirla tutta, è un'anomalia italiana: in altri Paesi gli stage vengono fatti principalmente durante il percorso formativo, e non dopo! In ogni caso, i ragazzi italiani lo stage lo fanno prima, durante e dopo: e avevano davvero bisogno di un guida, se si pensa che il libro è arrivato alla terza edizione con una tiratura di oltre 20mila copie. L'ultimo arrivato, «Progetta il tuo stage in Europa», a che quota è? Già quasi esaurito: e la tiratura era di circa 5mila copie [il manuale è anche scaricabile qui gratuitamente]. L'Isfol dispone di dati propri sugli stagisti italiani? No, per la rilevazione sul numero degli stagisti ci affidiamo all'indagine Excelsior di Unioncamere. E' una fonte che consideriamo affidabile, dato il consistente numero di aziende coinvolte nel monitoraggio. Secondo questa indagine, l'anno scorso in Italia sono stati attivati oltre 250mila stage. La normativa che regola gli stage qui in Italia è adeguata alle esigenze dei giovani che cercano di entrare nel mondo del lavoro? Sarebbe il caso che venissero diversificati anche a livello normativo i vari tipi di stage: quelli fatti durante le scuole superiori sono ben diversi da quelli fatti durante l'università, e così via. In più, il periodo dei «18 mesi dalla laurea» è davvero lungo, e rischia di intrappolare e danneggiare i ragazzi meno intraprendenti. Ed è vero anche che dello stage oggi molti abusano. Come Isfol noi non possiamo chiaramente sostituirci al legislatore: possiamo però stimolare politiche attive e dare consigli utili ai giovani, affinché traggano il massimo beneficio dagli stage e sappiano come evitare le truffe.

Massimo Livi Bacci: stage all'età giusta e 20mila euro a ogni 18enne perché diventi autonomo

Massimo Livi Bacci, autore del libro Avanti giovani alla riscossa (Il Mulino), è professore di Demografia, promotore del sito Neodemos.it e oggi anche senatore. Con la Repubblica degli Stagisti ha fatto il punto sulla situazione dei giovani italiani.Professore, c'è chi dice che i laureati che escono oggi dall'università non sappiano niente e non siano in grado di produrre se non dopo una formazione "aggiuntiva" - spesso, appunto, lo stage. Questa critica è fondata? Davvero l'università non riesce più a rendere i giovani capaci di affrontare il mondo del lavoro?C'è molta esagerazione e autoflagellazione in queste critiche. Il numero di laureati tra il 2000 e il 2007 è più che raddoppiato, da 140mila a 300mila: questa "democratizzazione", naturalmente, ha comportato diversi costi. L'offerta formativa si è diversificata oltre il giusto; la didattica si è frammentata in modo esagerato. Occorre sicuramente una riqualificazione, un diverso modo di percorrere - con passo cadenzato sulla durata legale dei corsi - il ciclo formativo. Ma il laureato "medio" è, probabilmente, non molto diverso dal laureato medio di dieci anni fa.Nel suo libro lei afferma che in Italia «si può essere apprendisti in senso tecnico-giuridico fino a trent’anni, distorcendo il significato di un termine che indicava, per un ragazzo non ancora uomo, la fase dell’apprendimento artigianale a bottega». Questo ragionamento si può applicare anche agli stage?Il paragone calza: come l'apprendistato, anche lo stage deve essere fatto al momento e all'età giusta, e non deve diventare una forma surrettizia di lavoro dipendente gratuito o semi gratuito offerto anche a trentenni! Quello che manca però in Italia è la propensione a mescolare le esperienze di studio con esperienze di lavoro, cosa che invece accade in altri Paesi d'Europa.A quale età - o dopo quanto tempo dalla fine degli studi - un giovane dovrebbe dire STOP agli stage, e accettare solo offerte di lavoro "vere"?Difficile dirlo. Un giovane che avesse completato il ciclo triennale in tempo, a 22 anni, potrebbe dedicare i successivi 2-3 anni ad esperienze varie: viaggi, stage, lavori a termine per “esplorare” il mondo circostante - ma poi credo sia tempo di cercar lavoro. Altro discorso è per chi si laureasse a 27 o 28 anni...A livello normativo, gli stage possono essere non pagati e possono durare anche fino a 24 mesi. La legge andrebbe rivista?Penso proprio di sì.Lei ha presentato qualche mese fa un disegno di legge che prevede di dotare ogni italiano di un piccolo capitale al compimento della maggiore età, per «incentivare il conseguimento dell’autonomia finanziaria da parte dei giovani». Quali sono i punti-cardine di questa proposta? In quali Paesi si utilizza questo metodo?La proposta consiste in un contributo pubblico annuale ("fondo"), intestato ad ogni nuovo nato. Al compimento dei 18 anni il fondo – pari a un po' più di 20mila euro - entra nelle disponibilità del giovane: se questi intende avviare un'attività professionale, imprenditoriale, completare la formazione ecc., il fondo può essere integrato da un prestito garantito dallo Stato (prestito di autonomia). Tre sono gli obbiettivi: 1) sostenere i giovani nella ricerca dell'autonomia; 2) sollevare i genitori dall'ansia e dai costi che la dipendenza del giovane oramai adulto determina; 3) se l'autonomia viene raggiunta prima, anche le scelte di vita vengono accelerate - e tra di esse unione e riproduzione, oggi sempre più schiacciate verso i 35-40 anni e causa non ultima della bassa natalità.Qualcosa di analogo accade in Inghilterra; negli Stati Uniti, invece, è molto diffuso il sistema del "prestito d'onore" con le banche. Purtroppo però il ddl non è stato ancora calendarizzato, e giace nella polvere dei cassetti della Commissione Lavoro.   Eleonora Voltolina

Michele Tiraboschi: stage, sono le università che dovrebbero vigilare sugli abusi

Michele Tiraboschi [nella foto] è un docente di Diritto del lavoro, direttore scientifico della Fondazione Marco Biagi presso l'università di Modena e Reggio Emilia. Due anni fa ha pubblicato Un futuro da precari? Il lavoro dei giovani tra rassegnazione e opportunità, scritto insieme a Maurizio Sacconi. Ecco il suo punto di vista sugli stage, in un'intervista per la Repubblica degli Stagisti. Professore, come vede la situazione degli stagisti italiani oggi? Il tirocinio è uno strumento fondamentale: dieci anni fa era molto più difficile per i giovani avvicinarsi alle aziende e trovare lavoro, con gli stage questo percorso è stato semplificato. Però è vero che in molti casi c'è un abuso dei tirocini, ci sono aziende che li utilizzano anche al di fuori dei vincoli di legge, e alcuni ragazzi rimangono intrappolati in una sequenza infinita di stage. Di chi è la responsabilità? In massima parte delle università: i responsabili degli uffici stage spesso non hanno le competenze necessarie. Così non garantiscono un buon servizio agli studenti che mandano in stage: non sanno nulla dei tirocini, non elaborano buoni progetti formativi, non controllano come viene utilizzato il tirocinante dall'impresa, cosa fa. Una studentessa qualche mese fa, proprio attraverso questo blog, aveva denunciato che una grande casa di moda l'aveva messa a fare la commessa in negozio per tutta l'estate. Qui ci sarebbe da andare dal magistrato! E c'è un evidente concorso di colpa fra l'impresa e l'ufficio stage. Quindi dovrebbero essere le università a farsi carico di "controllare" che le imprese non abusino degli stagisti. Esatto. Dovrebbero seguire con frequenza settimanale i tirocini dei loro studenti. E se scoprissero che un'impresa non si comporta bene, dovrebbero cancellarla dalla lista e non mandarle più stagisti. Nei casi più gravi, dovrebbero andare a sporgere denuncia alla Direzione provinciale del lavoro. Del resto, se l'università è il «soggetto promotore» si deve prendere la responsabilità di curare la qualità e la serietà di ogni tirocinio. Ma per avere una formazione lo stage è davvero l'unica strada? No. La legge Biagi ne prevede anche un'altra: la collaborazione tra aziende e università attraverso i corsi di alta formazione e apprendistato. Il che vuol dire che le imprese prendono un giovane che ancora sta studiando (laurea triennale, specialistica, master, dottorato) e lo assumono preventivamente per almeno due anni, garantendo quindi una formazione "sul campo". Una soluzione molto conveniente per le aziende perchè il costo del lavoro è bassissimo: la quota contributiva per l'apprendista è solo del 10%. E conveniente per i ragazzi, che prendono un vero stipendio. Quanti studenti hanno finora usufruito di questa possibilità? Veramente troppo pochi: tra il 2004 e il 2007 non più di mille in tutta Italia. Ed è un peccato, perchè invece dovrebbe essere molto più diffusa e utilizzata dalle università.

Michel Martone: ecco cosa penso degli stage

Michel Martone insegna Diritto del lavoro. E' uno dei pochissimi professori universitari al di sotto dei 35 anni in Italia, ed è una vecchia conoscenza della Repubblica degli Stagisti. Da meno di un mese ha aperto un suo blog (per vederlo potete cliccare qui con l'obiettivo di «attrarre i giovani alla politica e contrastare l'apatia e il qualunquismo». Uno spazio virtuale dove parla di giovani, valori, mercato del lavoro, precarietà, futuro e ricambio generazionale. E occasionalmente anche di stage.) Professore, come si distingue uno stage buono da uno stage cattivo? Io direi piuttosto uno stage fisiologico da uno stage patologico. Da una parte ci sono gli stage utili, fatti durante l'università o appena dopo la laurea, che sono un primo contatto per studenti e neolaureati con il mondo del lavoro. Dall'altra ci sono gli stage inutili, in cui le aziende prendono giovani uno via l'altro perchè hanno bisogno di manovalanza di basso livello, per esempio per fare fotocopie o eseguire compiti semplici e ripetitivi, senza nessuna reale intenzione di formare né di assumere. E' giusto che gli stage possano essere gratuiti? Potrebbe essere utile inserire l'obbligo di un rimborso spese minimo? Il rimborso spese è importante ma attenzione: se venisse introdotto l'obbligo di pagare un rimborso troppo alto ai tirocinanti molte imprese potrebbero scoraggiarsi e smettere di prendere stagisti, e questo sarebbe negativo perchè lo stage è un potente strumento formativo e una porta sul mondo del lavoro. Quindi penso che un eventuale rimborso spese minimo obbligatorio non dovrebbe superare i 400 euro al mese. Ha senso prendere un ragazzo di 28-30 anni come stagista? No. Lo stage andrebbe limitato al periodo scolastico-universitario e ai primi 18 mesi dopo la laurea. Superata questa soglia, le imprese dovrebbero utilizzare un normale contratto di lavoro, e magari introdurre la clausola del "patto di prova" per poter decidere dopo tre mesi se continuare il rapporto di lavoro o no. Così come non ha senso fare stage troppo lunghi: se si superano i 6 mesi, lo stage sconfina automaticamente nel patologico! Perchè capita che lo stesso giovane qui in Italia si senta proporre solo stage mentre altrove in Europa ottenga contratti veri con retribuzioni adeguate? Perchè all'estero c'è un mercato del lavoro che funziona e che è concorrenziale. Gli imprenditori si "litigano" i giovani, per non farseli scappare. L'Italia deve imparare a valorizzare di più il suo capitale umano.