Sempre più volontariato e sempre più i giovani coinvolti. Vanno in questa direzione i dati raccolti nell'ultimo sui rapporto dal CSVnet, organo che dal 2003 rappresenta la quasi totalità dei 78 centri di servizio per il volontariato presenti in Italia - figure istituite con la legge 266/91, che prevede una gestione a carico di enti locali e finanziamenti da parte di fondazioni bancarie.
Nonostante le difficoltà nel censire una realtà estremamente frammentaria e composita, è appurato che il fenomeno sia in crescita. E non è solo un'idea frutto del sentito dire, bensì «l'esito di studi condotti in tempi recenti» come confermano dall'ufficio stampa del CSVnet. Tra questi il più importante è quello dell'Istat che ha di recente fotografato la situazione del no profit in Italia, analizzando nello specifico il ruolo che il volontariato svolge al suo interno. Ne è emerso che i volontari in questo comparto sono oggi quasi cinque milioni, per la precisione 4 milioni e 758mila persone, in crescita del 43,5% nel decennio 2001-2011.
L'identikit del volontario? Maschio (68%), di età compresa tra i 30 e i 54 anni (43%, mentre i 19-29enni sono il 16%), per lo più diplomato (nella metà dei casi). I laureati sono solo un quinto, mentre quelli con la sola licenza media uno su tre.
Ma a fornire il polso della situazione è anche quanto rilevato dal CsvNet a livello delle scuole. Nel 2011 i Csv hanno svolto attività di promozione del volontariato in oltre 2mila istituti scolastici: «1.415 sono gli istituti superiori, 343 le scuole medie e 293 le elementari», si legge nell'ultimo report dell'ente sulla propria attività. Gli studenti interessati sono stati oltre 225mila, con un incremento del 38% rispetto al 2010, e quasi 6mila i docenti coinvolti (anche qui con un notevole aumento: un quinto in più). In un solo anno i ragazzi che hanno deciso di intraprendere il percorso sono lievitati di più di un terzo.
Ne sanno qualcosa i Cesv regionali, come quello del Lazio. Alla Spes, uno dei centri romani che si occupa di smistare le richieste, la domanda degli under 30 è lievitata. «Non abbiamo degli studi veri e propri ma la percezione è questa», conferma alla Repubblica degli Stagisti Irene Troìa, responsabile comunicazione. «Soprattutto da quando abbiamo aperto il portale Trovavolontariato, attraverso cui mettiamo i ragazzi in contatto con le diverse associazioni. Si rivolgono direttamente a noi per essere indirizzati in un percorso». Il settore che va per la maggiore in questi casi «è l'infanzia» prosegue Troìa, «forse ingenuamente si crede che avere a che fare con bambini sia più semplice, anche se in verità non lo è».
A livello nazionale i dati statistici rilevano che nella fascia 19-29 la maggiore concentrazione di volontari presta servizio nei settori cultura e sport, sanità, ambiente e cooperazione internazionale. E proprio in quest'ultimo ambito è attiva la Youth Action for Peace Italia (Yap Italy), associazione internazionale non governativa che gestisce campi di volontariato internazionale e progetti di Servizio volontario europeo (questi ultimi finanziati però dalla Commissione Ue e rivolti ai ragazzi tra i 18 e i 30 anni: un programma quindi più strutturato, «molto simile al servizio civile nazionale» come si legge sul sito).
«La tendenza dei giovani italiani è di avvicinarsi di più al mondo internazionale anche attraverso esperienze di volontariato» spiega alla Repubblica degli Stagisti Liza Zaytseva di Yap Italia, che ogni anno spedisce verso mete straniere circa trecento volontari soprattutto tra i 18 e i 35 anni (nel mondo sono invece circa 20mila), e che di recente è stata ospite di un seminario del Comune di Roma sulle opportunità nei campi di volontariato. Il motivo è che «non bastano più i titoli accademici, ma sono necessarie capacità di lavorare in gruppi internazionali, anche per aprirsi al lavoro nel mercato unico europeo. Nei gruppi che formiamo, tutti eterogenei dal punto di vista delle nazionalità, si parla ad esempio solo inglese». Le motivazioni dietro la scelta possono però dipendere da fattori diversi: «È un fatto personale, ma passarci vale molto di più di un'esperienza accademica» prosegue, «per alcuni potrà significare una vacanza normale, per altri la volontà di fare qualcosa di socialmente utile attraverso uno strumento di promozione della pace».
Un po' di fascino i campi di volontariato lo hanno forse ereditato dalle loro radici lontane: «I primi sono comparsi nel 1923 dopo la Prima guerra mondiale in un paesino francese dove venivano raccolti ragazzi francesi per riparare oggetti». In Italia invece fu l'alluvione di Firenze del 1966 a far nascere il primo movimento cristiano per la pace, prodromo dell'attuale Yap, operativo nella strutturazione attuale dal 1997. «I campi non vanno considerati come lavoro gratuito, ma come strumenti di pace e solidarietà» puntualizza la Zaytseva, aggiungendo che le destinazioni prescelte nel caso dello Yap non riguardano «popolazioni a rischio o paesi che vivono emergenze umanitarie».
I campi sono aperti non solo a chi studia cooperazione internazionale o scienze politiche, ma tutti gli interessati, a prescindere dalle età (ci sono esperienze specifiche per minorenni o per senior over 35). Le zone in cui si viene inviati abbracciano una sessantina di paesi: «Soprattutto in Europa e Africa: tra queste le più quotate sono Germania, Kenya, Marocco, Zambia. Ma c'è anche l'America Latina con Messico, Argentina, Ecuador. E poi il Giappone». La sicurezza è un elemento essenziale, quindi sono eliminate dalla rosa dei luoghi papabili le zone di guerra. «Se la missione è in Palestina, i ragazzi vengono mandati lontano dalla Striscia di Gaza ». La durata è di due o tre settimane, in estate, da maggio a ottobre: un periodo prestabilito che ben si concilia con le esigenze scolastiche, «per cui non si può stare di più, a meno che non si opti per il volontariato di lungo termine con il servizio volontario estero di un anno».
Lo Yap cura anche l'aspetto finanziario: «Vitto e alloggio sono gratuiti, non ci sono hotel a 5 stelle ma comunque sistemazioni equiparate agli standard internazionali. Se ci sono otto persone ci saranno ad esempio un bagno con varie docce». L'assicurazione medica è coperta dai campi stessi nel caso dell'Europa; per le zone extraeuropee invece sono i volontari stessi a pagarsi le polizze di viaggio, che per poche settimane costano intorno ai 70 euro, come specificano dallo Yap. Per periodi più lunghi esistono di solito pacchetti appositi, più vantaggiosi, predisposti dalle assicurazioni. Anche il viaggio è a carico del volontario (a differenza del Servizio volontario europeo, che lo rimborsa al 90%). Ci sono poi gli 80 euro da versare come quota di adesione allo Yap: «Attraverso questi soldi sosteniamo il nostro ufficio» spiega la Zaytseva, «mentre l'altro canale di finanziamento è quello dei fondi europei, stanziati per progetti come come Gioventù in azione o Erasmus+».
In un video che ritrae un workcamp in Kalaba, Kenya, un volontario kenyota definisce l'esperienza «unica: non avevo mai visto persone come quello che ho incontrato». «Per gli italiani che vengono qui è come una seconda casa» dice una delle volontarie italiane del campo 'Volontariado con Subir al Sur' in Argentina in uno degli altri video che parlano di «condivisione, cambiamento di vita, voglia di aiutare il prossimo». Per i giovani italiani che volessero rispondere a questa chiamata, tocca però mettersi in fila: «Ogni anno dobbiamo lasciare fuori almeno una decina di persone che non riescono a trovare posto» si rammarica Liza. Anche qui quindi come nel mondo del lavoro, insomma, la concorrenza è agguerrita.
Ilaria Mariotti
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