Politiche 2013: due ritratti (e uno mancato) a giovani candidati del PD diretti a Montecitorio

Sofia Lorefice

Sofia Lorefice

Scritto il 20 Feb 2013 in Interviste

Sono tra i giovani democratici più votati alle primarie del PD dello scorso dicembre e si stanno preparando ad andare a Montecitorio. Sono Giuditta Pini, la più votata d'Italia, e il toscano Marco Donati. La Repubblica degli Stagisti avrebbe voluto intervistare anche la napoletana Michela Rostan, risultata vittoriosa a Napoli con 5.728 voti, di cui 1.872 solo a Milito: quasi un plebiscito, specie considerando che il totale dei votanti era 2018. La Repubblica degli Stagisti ha provato e riprovato a contattarla in ragione dell'eccezionale suo risultato alle primarie e anche per chiederle conto delle polemiche sulla sua candidatura, legate ai ricorsi e alle accuse di mancata trasparenza sulle operazioni di spoglio del suo comune. Ma è stato letteralmente impossibile raggiungerla, malgrado settimane di tentativi. Insomma: ancora non è nemmeno entrata a Montecitorio, e già la Rostan non ha tempo per le interviste. Meno male che ci sono gli altri due: ecco i loro ritratti.

Giuditta Pini, in Parlamento a 28 anni: ma non chiamatela ragazzina. È già laureata in mediazione culturale, avrebbe dovuto prendere la seconda laurea in Storia contemporanea a febbraio, ma per via dei 7103 voti che la hanno fatta stravincere a Modena ha dovuto saltare questa sessione per dedicarsi alla campagna elettorale. Ha appena finito di fare uno stage non rimborsato all'istituto storico della resistenza di Modena, città dove vive insieme ai suoi, ma non per molto ancora, perché è quasi certo che arriverà a Montecitorio: «Il lavoro precario meglio pagato al mondo», come lo chiama lei. «La cosa che mi spaventa di più è rimanere inviluppata nel meccanismo della politica, non essendo riuscita a costruirmi una professionalità prima, anche perché con la riforma Gelmini con le mie due lauree non posso nemmeno insegnare». La Pini tutti quei voti non se li aspettava. Sa bene che una parte è dovuta all'ondata emotiva che c'è stata in tutta Italia per il rinnovamento. Ma un'altra buona parte di preferenze se le spiega con la priorità data dai giovani del Pd di Modena ai temi della riforma del lavoro e quella della scuola. E con l'insistenza sulla promozione di un'idea di ricostruzione che passa attraverso i diritti civili e il lavoro: «Siamo sempre stati a contatto con le persone. Eravamo conosciuti a Modena dopo la "limonata collettiva" che avevamo fatto sotto casa dell’ex ministro Carlo Giovanardi, nostro concittadino. Aveva dichiarato che due donne che si baciavano facevano schifo come una persona che fa la pipì in pubblico: così avevamo organizzato un ritrovo sotto casa sua, eravamo più di 500 persone etero e gay che si baciavano contemporaneamente». Il percorso politico di Giuditta Pini è iniziato alle superiori e in modo più costante all'università, con il collettivo dell'onda contro la riforma Gelmini nel 2008. Nel 2009 è entrata a far parte dei Giovani Democratici, il settore giovanile del PD, arrivando a ricoprire il ruolo di segretaria provinciale. Dichiara di non far parte di nessuna corrente ma di trovarsi molto d'accordo con Orsini, Fassina e i cosiddetti giovani turchi di Rifare l'Italia. Sui matrimoni gay e l'affido dei minori alle coppie omosessuali pensa «che sia meglio avere due mamme e due papà che non averne nessuno. Bisognerà discuterne seriamente però è una cosa che già esiste, solo che non è regolamentata». Alcuni giornali, come il Fatto quotidiano, l’hanno ribattezzata la «futura deputata ragazzina», ma la Pini non si considera giovanissima: «A 28 anni non si è bambini. Il paradosso è che in Italia si è considerati giovani fino a 40 anni, in realtà lo si dovrebbe essere fino a 20-22 o 25 al massimo, quando scatta la possibilità di votare per il Senato. Ci si sente giovani perché fino a una certa età non si riesce ad avere un posto di lavoro sicuro né una stabilità. Ma poi c'è anche un problema culturale: vediamo uomini e donne di 50 anni che si vestono come ragazzini, ma è una favola che ci raccontiamo, ad una certa età non si è più giovani». Si dice contraria alle politiche giovanili e in generale ad affrontare i temi per compartimenti stagni: «Finché si parla di politiche per gli immigrati, per il lavoro, per i gay, per i giovani non si va tanto lontano. Sarebbero necessarie politiche per la crescita della società nel suo complesso». Per far ripartire la macchina dell'istruzione e della cultura la Pini comincerebbe dai fondi alla scuola pubblica. Per poi intervenire sulla la legge 30 sul mercato del lavoro. Ma non lo ha già fatto la riforma della Fornero? «Ma insomma, mica tanto», risponde la Pini facendo notare che sembrava che la legge della ministro uscente volesse tagliare le troppe forme di contratti «ma, in realtà, non è stato così. Serve una strategia che guardi ai prossimi vent’anni e non ai prossimi 6 messi: già questa prospettiva sarebbe una buona politica giovanile». La Pini fa notare che lo statuto dei lavoratori italiano viene smantellato di continuo: «Ce ne vorrebbe uno generale europeo che almeno metta un salario minimo garantito e che disincentivi lo sfruttamento del lavoro precario». Non esclude a priori i contratti flessibili, «penso agli stagionali per esempio, però serve che ci sia un limite a questo numero di contratti e che siano fatti in un'ottica di inserimento al lavoro». A suo avviso la flexicurity può funzionare in Danimarca o in Finlandia perché c'è un altro tipo di stato sociale: «Il contratto unico di Ichino che permette di licenziare quando si vuole è ancora peggio di quello che c'è adesso, sarebbe necessaria una riforma che tenga conto dello stato delle cose in Italia e che tolga e superi la legge Biagi». In questo momento Giuditta Pini non ha entrate, le danno una mano i suoi: «Non ho fatto ancora i conti di quanto sia lo stipendio a Montecitorio, sarà tanto però». Cosa ne farà? «So per certo che i parlamentari del Pd danno la metà dello stipendio al partito. Ma mi aspetto a breve una riforma per il taglio degli stipendi dei parlamentari». Dice che i deputati modenesi non hanno mai fatto uso di assistenti: «anche io personalmente, se posso, eviterò».

Marco Donati, la sfida è portare l’innovazione tecnologica a Montecitorio. Ha 33 anni ed è un commerciante. È stato segretario regionale del movimento giovanile della Margherita in Toscana dal 2005 al 2008. Quasi in contemporanea era stato eletto consigliere comunale nel suo comune di Arezzo e poi segretario comunale del Pd. Quindi è diventato assessore al bilancio, allo sport e all'innovazione ed è fino ad ora in carica. Ma niente doppie poltrone per lui: se entrerà alla Camera, promette che abbandonerà gli impegni politici sul territorio. Bersaniano o renziano? Donati strizza l’occhio a tutti e due: «Se si considera la rottamazione politica dei modelli nell'amministrazione dell'azione pubblica che non hanno consentito a questo paese di essere moderno e solidale allora sì, sono rottamatore. Ma se lo si intende solo nel senso di far spazio ai giovani, allora no, credo che sia fine a se stesso». Un tema che a Donati interessa particolarmente è quello della banda larga: «Il territorio italiano è coperto solo per il 50% da internet veloce ed è un problema, significa non essere nel mondo. Inutile poi pensare di semplificare la pubblica amministrazione o i processi, l’informazione o i servizi avanzati della sanità. Non credo sia un caso che nel nostro Paese nessuno si sia preoccupato in questi anni di sviluppare le reti informatiche. L'innovazione significa tante altre cose, però questo è un aspetto importante». Tra le prime cose che vorrebbe portare in Parlamento c'è quindi una proposta di legge per la banda larga come servizio universale: «credo che sia un diritto come la luce, l'acqua, il gas». Un altro tema è la difesa del made in Italy della piccola e media impresa intervenendo soprattutto sulla tracciabilità: «però questo si fa in sede europea, il legislatore italiano può dare solo degli indirizzi e quindi tutelare ciò che c'è già». Secondo Donati occorrerebbe poi favorire la nascita di nuove imprese: «Con facilitazioni di accesso al credito e semplificazione amministrativa». Infine il giovane candidato di Arezzo punta alla tutela del lavoro dei giovani sia nella qualità sia nelle opportunità professionali offerte, facendo suo il refrain di partito: «Un'ora di lavoro precario dovrebbe costare di più di un'ora di lavoro stabile: ma non al lavoratore, all'azienda». Il giudizio sulla riforma Fornero è moderato: «Si tratta di una proposta complessa, nata da una necessità impellente che ha finito per creare dei problemi. C'è la volontà da parte del Pd di rivederne alcuni aspetti, non sarà semplice ma in alcuni casi certi correttivi andranno fatti soprattutto per quanto riguarda le pensioni». Sui matrimoni gay e l'affido dei minori riconosce che in questo momento la società è più avanti del legislatore. Sarebbe favorevole all'estensione dei diritti del matrimonio alle coppie omosessuali, ma, sull'affido confessa di avere delle remore: «C'è un dibattito anche all'interno del partito, nel momento in cui questi temi entreranno all'ordine del giorno si svilupperà un discorso e sarò capace di dare una risposta più puntuale». Oggi Marco Donati guadagna intorno ai 1500 euro. Di tutti soldi in più che prenderà alla Camera dice di non aver ancora pensato cosa fare. «Sarebbe bene che la politica lanciasse un messaggio di sobrietà e che i partiti facessero insieme la scelta di ridurre parte di queste spese. Un parlamentare non dovrebbe prendere più di un sindaco di una media città, che peraltro si trova ad operare su un fronte più difficile rispetto a quello dei deputati: questi hanno un ruolo di grande responsabilità ma sono meno esposti al contatto diretto dei cittadini e delle loro istanze».

Sofia Lorefice

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