Cassintegrati over 40 in stage nei tribunali, il parere degli esperti di mercato del lavoro: inopportuni

Ilaria Mariotti

Ilaria Mariotti

Scritto il 26 Feb 2015 in Approfondimenti

Ritrovarsi a fare gli stagisti a quaranta o cinquant'anni, un po' per scelta e un po' per costrizione. È il controverso caso dei tirocinanti nei tribunali italiani che la Repubblica degli Stagisti ha più volte documentato negli ultimi anni. E che racconta di come, a partire dal 2010, spesso in spregio a qualsiasi norma che regolamenta la materia degli stage, le sedi di giustizia italiane - con il via libera delle Regioni che hanno emanato i bandi per il reclutamento - hanno accolto al loro interno persone in cassaintegrazione, mobilità o disoccupazione inquadrandole come stagisti. Soggetti obbligati a accettare la convocazione, pena la perdita dell'indennità percepita mensilmente. E complici gli ormai cronici buchi di organico dei tribunali, per cui si è arrivato a parlare di una carenza che ammonta a circa 9mila unità, questi stagisti alla fine hanno fatto comodo a tutti per ben quattro anni. Per andare più a fondo nella questione, questa testata ha interpellato due consulenti del lavoro, chiedendo loro un'opinione non solo sulla legalità ma anche sull'opportunità di quanto accaduto.

Paolo Stern del Consiglio nazionale consulenti del lavoro non ha dubbi a definire la vicenda un caso di «copertura di posti vacanti con l’impiego surrettizio di personale in formazione o comunque in fase di ricollocazione». Se lo scopo è razionalizzare la spesa pubblica, chiarisce, «non si possono prendere scorciatoie per trovare soluzioni inappropriate». Quanto ad esempio all'età degli interessati, a Stern non convince l'idea del coinvolgimento in stage di persone non più giovanissime. Il tirocinio è «una reale opportunità per creare cerniera tra studio e lavoro. Da questo punto di vista risulterebbe inopportuno per un soggetto lontano, per età, dai cicli di studio». Fuoriluogo quindi inserire chi ha superato gli anta, nonostante - ammette - «lo strumento possa sì avere la funzione di agevolare la ricollocazione attraverso un periodo formativo che costituisca un momento 'soft' di conoscenza tra le due parti, datore di lavoro e potenziale occupato».

È solo in questi casi eccezionali che «lo stage può rappresentare un'occasione, magari nei casi in cui l’azienda in cui si è occupati attraversa momenti complicati». Un aspetto su cui fa leva anche Luca Paone, esperto affiliato alla Fondazione studi consulenti del lavoro, che ricorda come «la crisi mondiale ha focalizzato serie problematiche occupazionali proprio nella fascia di età 40-50 anni». Dunque passi pure uno stage in tarda età, ma la condizione di partenza è ineludibile: deve essere «misura formativa di politica attiva, finalizzata a far sì che il tirocinante arricchisca il bagaglio di conoscenze, acquisisca competenze professionali e si inserisca o reinserisca nel mercato lavorativo».

Il caso dei gerontostagisti nei tribunali assomiglia invece di più a un rimpiazzo a basso costo di personale. Una situazione a cui Stern guarda infatti con perplessità: «In questo caso mi appaiono labili le funzioni di reinserimento al lavoro del tirocinio», spiega, «e ciò sia a causa del blocco delle assunzioni nella PA che del meccanismo di inserimento codificato per legge, vale a dire l'assunzione per concorso pubblico».

Ragione per cui una reale formazione spendibile poi sul mercato del lavoro per questi tirocinanti un po' attempati è ipotesi remota. «Mi sembrerebbe obiettivo alquanto pretenzioso» prosegue Stern, «specialmente se il tirocinio avesse durata oltre i sei mesi, tempo utile per avere un contatto con un'altra realtà lavorativa». E anche qualora ci fosse una reale formazione, quante possibilità ci sarebbero che poi essa avesse una qualche utilità per il futuro lavorativo, soprattutto nel privato? «È evidente che una strettissima correlazione tra la cancelleria di un tribunale e altre realtà private non è così semplice da trovare, ma potrebbe comunque esistere. Si pensi per esempio a grandi studi legali, ai problemi di notifiche degli atti, alle esattorie e a tutti quei soggetti che hanno a che fare con archivi e protocolli» riflette Stern.

Il caso riportato dalla Repubblica degli Stagisti parla di periodi stage altamente superiori alla media, talvolta lunghi addirittura anni, in contrasto alle previsioni di legge. Per gli stagisti a cui è stato richiesto di proseguire non c'era tuttavia scelta, come confermano gli esperti: «Il lavoratore che non accetti di frequentare corsi di formazione o aggiornamento finalizzato al reinserimento nel mondo del lavoro o offerte di lavoro che abbiano determinate caratteristiche e certe condizioni decade dal diritto al sussidio di cassa integrazione straordinaria o mobilità» spiega Paone. Per loro un no avrebbe causato la perdita dell'indennità di cassaintegrazione, mobilità o disoccupazione a seconda dei casi. È d'accordo anche Stern, seppur più cauto: «Il rifiuto dell’occasione di lavoro, o formazione o stage offerto dall’agenzia per il lavoro ha ripercussioni sul sussidio, ma è tema delicato e va valutato nei singoli casi». 

Va tenuto presente poi che di fronte a una richiesta di proroga dopo dodici mesi, accettare non sarebbe sbagliato di per sé. Specie se la logica è quella evidenziata da Stern: «Vivere a casa aspettando un sussidio è mortificante. Ogni utilizzo del proprio tempo in modo proficuo e utile per terzi è per il singolo opportunità e dovere. Opportunità perché consente comunque di aprire finestre e dovere perché acquisendo un sussidio vi è un ritorno di servizio alla collettività». Tuttavia, gli fa eco Paone, «non si può prescindere dalle disposizioni normative, che prevedono una durata fino a 24 mesi, comprensiva di proroghe, solo per soggetti svantaggiati disabili».

Ma Paone non vede negativamente il fatto che gli enti ospitanti di questi gerontotirocinanti siano pubbliche amministrazioni, a priori impossibilitate ad assumere al termine del periodo di stage, come nel caso dei tribunali: «Non vedo difficoltà nell’inserimento in stage di disoccupati in un ente pubblico». L'importante, ribadisce, «è che si rispettino le finalità del tirocinio». Solo così uno stage può dirsi legittimo, se conforme al dettato «delle Linee guida, per cui i tirocinanti non possono sostituire i lavoratori con contratti a termine nei periodi di picco delle attività e non possono essere utilizzati per sostituire il personale del soggetto ospitante nei periodi di malattia, maternità o ferie né, soprattutto, per ricoprire ruoli necessari all'organizzazione dello stesso». Una norma che sembra scritta apposta per vietare il fenomeno degli stage nei tribunali italiani in grave deficit di personale. Possibile che nessuno al ministero e negli assessorati al Lavoro regionali se ne sia accorto?

Ilaria Mariotti 

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