Se la giustizia in Italia è lenta non è solo per l'eccessivo numero di leggi e per i bizantinismi del sistema giudiziario. C'è anche un problema molto più terra-terra: la mancanza di personale. Gli uffici giudiziari sono infatti probabilmente il comparto pubblico che ha più buchi di organico: le stime parlano di 9mila dipendenti “mancanti”. Parte da questo punto, incontrovertibile, la storia che oggi la Repubblica degli Stagisti vuole raccontare. Una storia per molti versi assurda. Perché negli ultimi anni molti degli archivisti, commessi, centralinisti, impiegati che mancano nei Tribunali sono stati rimpiazzati da stagisti. Non solo giovani laureandi o neolaureati: in questo caso si tratta di quaranta-cinquantenni, cassintegrati o in mobilità, utilizzati come “tirocinanti” per un tempo abnorme: due, tre, in molti casi addirittura quattro anni, in spregio a tutte le leggi che fissano una durata massima per i tirocini.
Nel 2010 a qualcuno viene in mente di utilizzare i lavoratori cassintegrati, in mobilità o in disoccupazione percettori di ammortizzatori sociali all’interno degli uffici amministrativi o delle cancellerie. I bandi vengono pubblicati dalle singole regioni o province e finanziati con fondi europei. I percorsi hanno l’obiettivo di aiutare la macchina giudiziaria ma vengono pubblicizzati anche – si legge per esempio nel bando del Lazio – come «un’opportunità di lavoro e formazione on the job»; per chi la coglie ci sono 300 euro al mese di compenso, che vanno a sommarsi all’indennità di disoccupazione o alla cifra di cassa integrazione.
La prima regione a partire è stata il Lazio e poi via via a macchia d’olio i bandi provinciali o regionali sono spuntati lungo tutta la Penisola, dalla Lombardia alla Sicilia. Il primo bando è partito nel 2010 ed «era un bando provinciale e aveva la durata di un anno solare, dal giugno 2010 al giugno 2011. Poi è subentrata la Regione e si è arrivati al giugno 2012» spiega alla Repubblica degli Stagisti Emiliano Viti, coordinatore nazionale dell’Unione precari giustizia e lui stesso ex tirocinante. «I nostri orari erano gli stessi dei dipendenti, dal lunedì al venerdì, anche con il rientro pomeridiano». Il compenso di 10 euro al giorno previsto per i 2.924 stagisti-cassintegrati era un’aggiunta alla cassa integrazione ma quest'ultima, con il tempo, si è esaurita: il compenso del tirocinio a quel punto è diventato per molti l'unica fonte di reddito. «La gran parte dei soggetti aveva solo questa come entrata mensile. Poi qualcuno con tempi più lunghi di cassa integrazione aveva qualcosa di più dignitoso», ma con il tempo i fondi degli ammortizzatori sono terminati anche «perché abbiamo finito un ciclo formativo che dura ormai da quattro anni» continua Viti.
Perché uno degli aspetti più critici di questo caso sta proprio nella durata degli stage. Per legge potrebbero durare sei mesi, al massimo 12, proroghe comprese: invece questi tirocini nei Tribunali, grazie a una sorta di gioco delle tre carte, sono stati prorogati di anno in anno, dal 2010 al 2014, e ancora devono concludersi. I bandi nel corso degli anni sono stati banditi da soggetti diversi – inizialmente le Province e le Regioni, poi anche il ministero della Giustizia – cambiando nome e condizioni. Una volta scaduto un bando, insomma, e terminate le ore, subito veniva indetto un altro bando e le stesse persone che avevano partecipato al precedente, quasi senza soluzione di continuità, venivano riprese all'interno del successivo, e rimesse “in tirocinio”. Sempre negli stessi uffici giudiziari. Ad esempio a Cosenza nel 2012 il tirocinio era stato ribattezzato «Progetto Tirocinio “On the job”», inizialmente finanziato per tre mesi: con fondi europei dell’asse I adattabilità corrispondeva un rimborso spese pari a 10 euro al giorno per la distanza dal luogo di lavoro, più un’indennità di frequenza di 1,29 euro l’ora, più l’eventuale buono pasto se si lavorava per più di cinque ore al giorno. Ma poiché l'orario di lavoro non era mai superiore alle cinque ore al giorno, il buono pasto di fatto non c'era.
Il meccanismo si è ripetuto identico in quasi tutte le regioni d’Italia nel 2010, 2011 e 2012. Difficile per i destinatari sottrarsi. «In quanto iscritti negli elenchi dei lavoratori in mobilità, la prima cosa da fare per avere diritto agli ammortizzatori sociali è dare la propria disponibilità ad accettare un’offerta» spiega alla Repubblica degli Stagisti Patrizia Carere, tirocinante per quattro anni presso il tribunale di Cosenza e coordinatrice del Progetto Europa per l’Upg, che da mesi analizza i bandi iniziali dei singoli enti locali per verificare le loro finalità e controllare che sia stato fatto un uso corretto dei fondi europei che li finanziavano e servivano ad attivare politiche attive per il reinserimento lavorativo. Analisi che ha portato anche alla presentazione di un'interrogazione parlamentare di cui si attende a giorni una risposta. «Se vieni chiamato dal centro per l’impiego devi accettare per non perdere l’ammortizzatore sociale», continua la Carere, che è stata la prima a contattare la Repubblica degli Stagisti denunciando il caso. E, infatti, la convocazione da parte dei centri per l’impiego era esplicita su questo punto: «Il suo rifiuto alla partecipazione all’iniziativa comporterà il decadimento dai trattamenti previdenziali legati alla mobilità». È questo il motivo per cui in tanti hanno continuato ad accettare, proroga dopo proroga.
Il vero cambiamento arriva con la legge di stabilità per il 2013, la 228 del 2012. Visti forse i buoni risultati che l’uso di questi tirocini aveva avuto, la gestione passa in mano al ministero della Giustizia. Nell’articolo 1 comma 25 lettera c della legge si stabilisce, infatti, la ripartizione delle spese che per il solo anno 2013 consentirà «ai lavoratori cassintegrati, in mobilità, socialmente utili e ai disoccupati e inoccupati che a partire dall’anno 2010 hanno partecipato a progetti formativi regionali o provinciali presso gli uffici giudiziari, il completamento del percorso formativo entro il 31 dicembre 2013, nel limite di spesa di 7,5 milioni di euro». Praticamente gli stessi individui passano sotto l’accreditamento del ministero della giustizia e non fanno altro che continuare a svolgere sempre gli stessi compiti.
Attenzione al nome: con questo passaggio i tirocini passano dalla definizione di “tirocini formativi” a quella di “completamento dei tirocini”: come se non bastassero gli anni precedenti per aver completato l'apprendimento delle mansioni. Una ipocrisia bella e buona, che però in quel momento serve allo scopo: perché soddisfa contemporaneamente sia la necessità degli uffici giudiziari di avvalersi di quel “personale aggiuntivo”, ormai perfettamente operativo e dunque utilissimo nello svolgimento delle attività ordinarie, sia il desiderio dei disoccupati-tirocinanti, ormai “abituati” al loro “lavoro” nei Tribunali, e speranzosi che il tirocinio si possa prima o poi trasformare in una stabilizzazione. Dunque nella seconda parte del 2013, grazie ai 7 milioni e mezzo, ciascun “tirocinante della giustizia” svolge 210 ore (dunque all'incirca altri due mesi di stage).
A questo punto si passa a una ulteriore nuova definizione e cioè il “perfezionamento” del percorso formativo per cui sono previsti questa volta ben 15 milioni di euro. Peraltro il ministero, scrivendo nero su bianco nei suoi documenti le parole “completamento” e “perfezionamento”, si dà – forse inconsapevolmente – la zappa sui piedi, perché i due termini fanno pensare subito a un unico grande tirocinio che seppure a momenti alterni va avanti fin dal giugno 2010.
Qualcosa però va storto e una volta finito il “completamento” i tirocinanti sono chiamati per completare solo una parte del "perfezionamento", composto da due tranche ognuna di 230 ore. Finite le prime 230 ore nessuno viene convocato per le altre. Nonostante sia previsto che i soldi stanziati siano spesi entro il 31 dicembre 2014, i “tirocinanti della giustizia” dopo oltre tre anni vengono lasciati a casa. Così cominciano le proteste in piazza e sul web, che raccolgono appoggio da svariate figure politiche e giuridiche. Poi a dicembre il ministero recupera miracolosamente un milione e mezzo di euro – dei 7,5 mancanti – per permettere di svolgere 70 ore di quest'ultima tranche del "perfezionamento" entro la fine dell’anno. Quindi solo una parte delle ore previste inizialmente. I tirocinanti rientrano dunque, dopo alcuni mesi, negli stessi uffici dove hanno passato già migliaia di ore tra il 2010 e il 2013, e svolgono queste ultime 70 ore (pari a un paio di settimane), per le quali è previsto in questo caso il compenso di 10 euro lordi all'ora, dunque 700 euro. Da ricordare che per molti di loro le coperture della cassa integrazione e della mobilità si sono esaurite.
Poi più nulla: ad oggi questi tirocinanti avanzano ancora 160 ore e non hanno avuto gli ultimi soldi che gli spettavano. «Devono ancora pagarci le 70 ore di dicembre» spiega Viti, e per salvare le ore previste e mai svolte all’ultimo momento il governo ha pensato di inserire nel decreto mille proroghe lo slittamento della data di chiusura del perfezionamento di tirocinio e di posticiparla al 28 febbraio. Si presume che il ministero stia ultimando le ultime pratiche per ricominciare, ma ad oggi, 16 gennaio, non c’è ancora nessuna notizia e si rischia di non fare in tempo a completarle entro la data prevista. Per questo i tirocinanti raggruppati in un comitato spontaneo che ha preso il nome di Unione precari giustizia cerca da mesi di attirare l’opinione pubblica e politica per avere delle risposte e ottenere i crediti ancora non pagati. L'Upg rivendica anche il diritto a vedere riconosciuti i titoli della formazione ricevuta: «Non cerchiamo scappatoie ad un eventuale selezione» chiarisce la Carere «ma in attesa di un concorso il governo ha tutti gli strumenti per darci la possibilità di rientrare visto che non usufruiamo più nemmeno degli ammortizzatori sociali».
Perché il vero problema, come spesso capita quando si parla di tirocini svolti nella pubblica amministrazione e ancor di più quando essi coinvolgono persone adulte, è che competenze e professionalità acquisite non comportano uno sbocco professionale concreto. Si riceve una formazione specifica, si imparano a svolgere dei compiti che permettono di velocizzare e migliorare le prestazioni degli uffici in cui si lavora, si viene inseriti in organico con orari e turni e alla fine i fondi europei – o, in casi come questo, risorse inserite nella legge di stabilità – finiscono nel vuoto perché gli uffici pubblici non possono assumere e al settore privato le competenze specifiche del pubblico interessano poco. Si entra nel classico vortice all’italiana dello spreco: di fondi pubblici, di formazione e di tempo.
Il sostegno ai “tirocinanti della giustizia”, con la richiesta di farli assumere in qualche modo, sono arrivate da più parti: dal presidente della Corte di appello di Venezia, Antonino Mazzeo Rinaldi, come dal Primo presidente e dal procuratore generale della corte suprema di Cassazione, Giorgio Santacroce e Gianfranco Ciani, che in una lettera inviata ai ministri della giustizia, dell’economia e della pubblica amministrazione li hanno definiti «un ausilio di speciale rilievo nel recupero dell’arretrato» e auspicando che tali professionalità non si disperdessero e il rinnovo «della possibilità di fruire di questi lavoratori».
Torna il discorso dei buchi di organico: «C’è una carenza di organico riconosciuta di 9mila unità e quest’anno ci saranno altre mille unità che andranno in pensione» sottolinea il coordinatore Upg Viti: «Nonostante questo, l’ultimo concorso per il ministero della giustizia risale al 1996. Si parla sempre dei giudici e mai del personale amministrativo senza cui le cause non vanno avanti. Se ci facessero entrare in organico si coprirebbero almeno alcuni vuoti, anche se in realtà solo un terzo». La loro richiesta: «Fare una selezione pubblica, utilizzare i centri per l’impiego e veder riconosciuti i titoli. Molti di noi sono laureati e vengono da profili professionali medio alti ma c’è la disponibilità a entrare anche con profili più bassi. E a quel punto, per chi ne ha la possibilità e i titoli di studio, eventualmente accedere a un concorso interno per cancellieri». Una soluzione che secondo l’Unione precari giustizia consentirebbe quella riqualificazione del personale interno che si aspetta da tempo e la non dispersione delle professionalità acquisite, a spese di fondi pubblici peraltro.
Perché alla fine, e questo è un punto centrale che va al di là delle ore che devono essere completate, la domanda che i decisori politici dovrebbero farsi è una: a questi lavoratori licenziati è stato reso un buon servizio, prevedendo per loro un maxistage di oltre tre anni in uffici giudiziari senza avere poi l'intenzione di assumerli? «Sulla possibilità di trovare un lavoro grazie a questo percorso sono abbastanza pessimista» si rammarica, infatti, Emiliano Viti.
E in questo senso sembra dargli ragione il progetto organizzativo Programma Strasburgo 2, il piano eccezionale del ministero della giustizia per lo smaltimento dell’arretrato civile ultratriennale, presentato proprio questa settimana dal guardasigilli Andrea Orlando, in cui si prevedono interventi per il reclutamento di nuove risorse umane da destinare agli uffici giudiziari di cui 1.031 posti (su 9mila vacanti) di personale amministrativo coperti con un’imminente bando di mobilità volontaria esterna, 71 unità già trasferite da altri ministeri con la mobilità compartimentale e 144 in corso di assunzione attraverso graduatorie rimaste parzialmente inutilizzate da altre amministrazioni. Per fortuna questa volta nessun tirocinio, nessuna work experience, nessun prolungamento di vecchi bandi forieri di false speranze, ma ancora nessun nuovo concorso e troppo poche risorse rispetto a quei famosi 9mila buchi di organico. A questo punto perché non indire un concorso, prevedendo per gli ex tirocinanti (Upg e non solo) un punteggio aggiuntivo come riconoscimento delle competenze acquisite, e permettendo il reclutamento di almeno parte del personale mancante attraverso una procedura trasparente e meritocratica?
Foto rettangolare: di Alessio Viscardi in modalità creative commons
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