Tasse universitarie in Europa. Spagna: la bocciatura costa

Antonio Siragusa

Antonio Siragusa

Scritto il 27 Ott 2012 in Approfondimenti

I sistemi universitari europei si muovono all’interno di due concezioni opposte. La prima considera l’università un servizio di carattere privato, per cui è lo studente che deve far fronte ai costi. Secondo un’altra concezione, invece, il fatto che una quota sempre maggiore di popolazione consegua alti titoli di studio genera vantaggi per l’intera società (in termini, ad esempio, di miglioramento del livello culturale e di promozione del’uguaglianza sociale) tali da giustificare il fatto che lo Stato si faccia carico della totalità  - o quasi - dei costi.
Ci sono Paesi europei in cui studiare costa molto, come l’Inghilterra. Fino al 2011-2012 l’iscrizione annuale costava circa 4mila euro, ma da quest’anno accademico il governo ha autorizzato le università a richiedere agli studenti fino addirittura a 9mila sterline (11mila euro circa). Gli universitari possono richiedere dei prestiti per pagare le tasse e restituirli quando iniziano a lavorare con un reddito annuo minimo di 21mila sterline. 
Altri Paesi garantiscono, invece, un’università gratuita con ampia disponibilità di servizi, come Danimarca, Svezia, Finlandia e Norvegia (solo i master sono a pagamento), ma a costo zero sono anche le università di Austria, Repubblica Ceca, di molti Lander tedeschi (escluse Baviera e Bassa Sassonia), Scozia, Cipro, Malta e Grecia. In Croazia, Lituania e Slovenia paga solo una piccola percentuale di studenti. Pagano tutti nel Belgio fiammingo, in Bulgaria, Islanda, Olanda, Polonia, Slovacchia e Turchia. Per farsi un’idea più precisa si può leggere il rapporto, con tutti i costi e benefici per gli studenti delle università europee, realizzato da Eurydice, la rete di informazione sull’istruzione in Europa istituita dalla Commissione europea e dagli Stati membri dell’Unione. 
In alcune nazioni europee paga la maggior parte degli studenti in rapporto al reddito individuale o familiare: Belgio (zona vallona), Estonia, Francia, Ungheria, Italia, Lettonia e Romania. 
Bisogna però considerare che in alcuni Stati, soprattutto quelli federalisti, ci sono grandi variazioni di costi a seconda della regione e dell’università.
Per quanto riguarda le borse di studio, Danimarca, Svezia, Cipro e Malta le assegnano a tutti gli studenti, che hanno così a disposizione un vero e proprio stipendio per studiare e per vivere autonomamente (in Danimarca è di mille euro al mese), mentre Finlandia, Olanda, Norvegia, Svizzera e Regno Unito riservano le borse alla maggior parte degli iscritti. In altri Paesi, invece, sono pochi quelli che riescono a conseguire una borsa di studio (Italia e Spagna sono tra questi).
Gli aiuti familiari e i benefici fiscali sono altre formule per compensare il costo degli studi, prendendo in considerazione il reddito individuale (come nei Paesi nordici) o la situazione economica familiare. Almeno il 5 per cento degli studenti europei, infine, usufruisce di prestiti per pagarsi gli studi.
Il viaggio della Repubblica degli Stagisti alla scoperta del sistema della tassazione universitaria nei diversi Paesi europei parte dalla Spagna, dove è finora prevalsa una logica di finanziamento pubblico con una partecipazione degli studenti, che consiste nel pagamento di una ‘matricola’ per gli studi e di tasse specifiche per le pratiche e i servizi offerti dalle singole università. 
Gli studenti spagnoli, secondo l’Osservatorio del sistema universitario spagnolo, pagano circa il 20% del costo complessivo dei loro studi, il che colloca la Spagna al sesto posto in Europa nella classifica dei Paesi più cari per studiare.
Il governo centrale fissa i livelli minimo e massimo di incremento percentuale annuo delle tasse (che prende come base l’incremento dell’indice dei prezzi al consumo) e poi ogni comunità autonoma stabilisce, all’interno di un range prestabilito, i prezzi e il livello di aumento che applicherà. Anche le università possono stabilire costi aggiuntivi.  
La conseguenza è una forte variabilità dei prezzi, anche per lo studio delle stesse materie, in differenti territori.  
Dall’introduzione nel 2008 del sistema “Bologna” (che ha riformato i sistemi di istruzione superiore europei), in Spagna esistono gli studi di primo livello, il cosiddetto “grado”, che corrisponde alla nostra laurea triennale e che ha prezzi molto variabili da regione a regione: la carriera di Medicina costa 2371 euro all’anno in Catalogna, 1628 a Madrid e 749 in Andalucia. Giurisprudenza costa rispettivamente 1516, 1279 e 749 euro all’anno. Esistono poi i master ufficiali (laurea magistrale) e i master speciali, che arrivano a costare fino al doppio di quelli ufficiali. 
La situazione finanziaria delle regioni spagnole è molto grave e per l’anno accademico in corso l’aggravio dei costi è stato molto significativo, con un provvedimento del governo  che ha penalizzato soprattutto gli studenti ripetenti.
Diversamente dall’Italia, dove si paga una tassa regionale e in genere due rate annuali in base al reddito, in Spagna si pagano le singole materie, ognuna delle quali ha un numero prestabilito di crediti.  Per esempio al Master in Archeologia dell’università di Granada un credito vale quasi 30 euro: per ottenere i 60 crediti dell’anno di master, infatti, gli studenti pagano 1770 euro. Un esame di 4 crediti, dunque, ne vale quasi 120.
Se si è bocciati in una o più materie, i prezzi delle singole ’asignaturas’ lievitano notevolmente. Se si è bocciati per due volte nella stessa materia, per ripeterla il prezzo aumenta ulteriormente e così via, fino al 100 e al 200% in più rispetto alla tariffa base. Si può consultare la tabella delle tariffe alla Rey Juan Carlos di Madrid e il prezzo dei singoli crediti all’Autonoma di Barcellona.
Eloy Alvarez, studente di Archeologia all’università di Granada, spiega alla Repubblica degli stagisti  perché essere bocciati non conviene affatto. «Alla prima iscrizione, almeno qui in Andalucia, il prezzo non è aumentato molto. Però dalla seconda immatricolazione sono saliti moltissimo i prezzi in caso di bocciatura. Un mio amico per una sola materia, alla sua quarta iscrizione, deve pagare 800 euro». Per gli spagnoli, dunque, è quasi impensabile rifiutare il voto di un esame come avviene in Italia, dove alcuni preferiscono ripetere più volte un esame fino a quando non conseguono un ottimo voto.
Anche Manuel Lechuga Herrera, che ha appena terminato un master per l’insegnamento della storia a Granada, conferma il costo delle ripetizioni: «Io per fortuna ero in regola ma a un mio amico tre materie obbligatorie di 9 crediti sono costate più di 2mila euro perché si è iscritto tre volte». I costi aumentano in un contesto di tagli, che ha portato le università a contare su meno docenti (un migliaio in meno solo a Madrid), meno servizi e aule strapiene.
A questa situazione bisogna aggiungere un irrigidimento dei requisiti di accesso per merito alle borse di studio: El Pais calcola che a perdere la condizione di borsista sarà una percentuale tra il 17 e il 33% degli studenti tra 2012 e 2014. La Spagna, ancora secondo El Paìs, destina lo 0,08% del Pil al finanziamento di borse di studio e aiuti contro lo 0,24% della media dei Paesi Ocse.
 «Noi studenti di facoltà umanistiche non capiamo perché i crediti delle materie sono così costosi visto che, oltre allo stipendio dei professori, non disponiamo di mezzi o servizi che giustifichino un sistema educativo così caro» continua Manuel Lechuga Herrera. «Torna la domanda: dove va e come si amministra tutto il denaro delle tasse universitarie? Ci è stato sempre detto che l’educazione pubblica universitaria è sovvenzionata con denaro pubblico perché è molto cara e che noi dovremmo pagare solo una piccola parte dei costi».
«L’aumento delle tasse e l’irrigidimento dei requisiti per le borse di studio» conclude Eloy Alvarez  «non permetterà a molti di continuare gli studi universitari». L’università spagnola, di fronte a una crisi economica  che impone alle regioni indebitate di recuperare fondi, assiste al ridursi dell’intervento pubblico sempre più in direzione di una logica privata. Anche in Italia si assiste a un processo simile: a fronte di una percentuale bassissima di borse di studio, è anche molto alto il costo medio degli studi universitari, che ci colloca al terzo posto in Europa, dopo Regno Unito e Olanda. E per giunta in Italia la percentuale del Pil destinata all’istruzione è una delle più basse di tutti i Paesi Ocse. 


Antonio Siragusa


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