Startupper, chi ha paura di farsi rubare l'idea?

Riccardo Saporiti

Riccardo Saporiti

Scritto il 27 Lug 2015 in Approfondimenti

StagistiRaccontare la propria idea a potenziali investitori oppure tenerla nascosta per evitare che venga rubata? Un tema cruciale per chi fa startup e che di tanto in tanto riaffiora nel dibattito. L'ultima voce è quella di Emanuele Rivoira, fondatore di AlliumTech che, in una recente intervista a StartupItalia!, ha raccontato di aver rinunciato a bandi, venture capital e business angels: «devi raccontare ai quattro venti cosa hai in progetto di fare senza alcuna garanzia che qualcuno non si prenda il tuo business plan e lo implementi per conto suo».

Per dar vita alla sua azienda, fondata insieme al padre e ad un terzo socio, Rivoira si è affidato alle tre 'F', ovvero family, friends and fool. Finora i fatti gli hanno dato ragione, visto che la sua azienda da lavoro a una sessantina di persone. Ma chi non avesse familiari o amici pronti a finanziarlo che dovrebbe fare?

«Naturalmente, massimo rispetto per chi ha dato vita ad un'impresa e sta creando valore e posti di lavoro», premette Marco Bicocchi Picchi, neo eletto presidente di Italia Startup, «ma questo timore è poco realistico: le idee valgono per come sono messe in pratica». È qui che secondo il numero uno dell'associazione fondata da Riccardo Donadon sta la differenza: «Chiunque può aprire un bar, ma chi sa trattare con i clienti, arredare il locale e preparare le brioche più buone avrà successo». Detto altrimenti, «il vantaggio competitivo non nasce da un'intuizione, ma dalla capacità di eseguirla. L'essenza dell'imprenditorialità sta nell'organizzare capitale e lavoro».

Eppure Rivoira non è certo il solo a nutrire la lieve paranoia di poter essere derubato della propria idea geniale: su Chefuturo! un paio d'anni fa lo startupper Raffaele Gaito aveva dedicato al tema un intero post, intitolato «Quelli che… la startup non la racconto, sennò me la copiano», riprendendolo poi anche sul suo blog personale: «ho avuto la conferma che nell'ambiente startup c'è una forte paura nel raccontare la propria idea»; altrove nel web è stata definita addirittura la "paura atavica" degli aspiranti startupper.

«Non parlo della mia idea per paura che me la rubino è una delle ricette per l'insuccesso», afferma perentorio Alberto Onetti, responsabile di Startup Europe Partnership e presidente della fondazione Mind the Bridge. «I progetti non comunicati finiscono per rimanere nel cassetto o per essere realizzati male», aggiunge, «dal confronto nascono i progetti solidi e, risultato ancor più valido, muoiono rapidamente quelli deboli». Anche secondo Onetti, non è l'idea che fa l'impresa: «gli imprenditori», afferma, «sono quelli che la realizzano».

dettori startupperSenza contare che parlare di ciò che si ha in mente è fondamentale per convincere potenziali finanziatori ad investire nella propria start-up. «Se vai da un venture capitalist solo per i soldi, hai visto solo metà del film», ammonisce Gianluca Dettori [nella foto a sinistra, di Alessio Jacona], «il denaro è solo una parte del processo. Noi stiamo accanto ai team quotidianamente, aiutandoli a trovare relazioni e nuovi clienti». Il presidente del fondo dPixel spiega anche perché gli startupper non devono aver paura di vedersi rubato il progetto. «La verità è che noi facciamo un altro mestiere, non avremmo nemmeno il tempo di implementare idee altrui. Del resto, se lo facessi poi non potrei più svolgere il mio lavoro. Certo», ammette, «il rischio c'è se si va a chiedere soldi a un'azienda strutturata ma potenzialmente concorrente». Ma questo è un comportamento fin troppo ingenuo.

Cosa ne pensa, però, chi si trova dall'altra parte? Ovvero gli startupper, quelli che hanno dovuto cercare dei fondi per realizzare la loro idea? «Purtroppo
non ci sono misure di sicurezza» ammette Selene Biffi, fondatrice tra le altre di PlainInk e Spillover: «L'unica cosa che puoi fare è arrivare per primo sul mercato, cosa che non sempre è possibile per motivi economici, di costruzione del team o di complessità nella realizzazione del progetto». Il problema, come detto, tocca più direttamente quelle start-up che non possono proteggersi con un brevetto.

Ma non sembra comunque spaventare gli startupper. Ad esempio Luca Sini, oggi ceo di Guide Me Right, start-up che permette di visitare le città affiancati da una guida locale, lo dice chiaramente: «Trovo spesso inconsistente la paura di farsi rubare un'idea. Per lanciare un nuovo progetto occorre sostegno finanziario e lavorativo, ma se non si è disposti a raccontare ciò che si ha in mente non si troverà mai». Ciò che conta, continua quasi citando Bicocchi Picchi, «è essere in grado di trasformare l'idea in fatti nel miglior modo possibile». Ne è convinto anche Daniele Biffoli, fondatore della piattaforma di e-commerce Gourmant. «La paura che la propria intuizione venga 'rubata' è naturale ma insensata. L'idea non è che il primo, piccolissimo passo in un progetto», spiega, «non vedo alcun rischio nel divulgare quello che si è pensato, perché è incredibilmente vero l'adagio per cui tra il dire e il fare c'è di mezzo il mare».

Gli startupper non hanno paura, quindi. Ma questo non significa che siano degli incoscienti. Anche quelli che possono ricorrere a un brevetto “pesano” le parole di fronte agli investitori. «Evito categoricamente di partecipare a bandi e concorsi mediante i quali gli enti erogatori potrebbero acquisire dei diritti sulla proprietà intellettuale», afferma Mary Franzese, co-founder della start-up biomedicale NeuronGuard, «inoltre prestiamo molta attenzione quando raccontiamo il nostro progetto, focalizzandoci molto di più sulle potenzialità del prodotto piuttosto che sulle caratteristiche tecnologiche». La giovane imprenditrice sembra però essere l'unica a concedere qualcosa a Rivoira: «ha ragione nel sostenere che i bandi potrebbero rubarci l'idea, sta a noi saperli selezionare non guardando solo all'aspetto meramente economico ma scegliendo solo quelli che ci consentono di dare risalto al nostro progetto». Del quale bisogna parlare: basta solo fare attenzione a ciò che si racconta.

Riccardo Saporiti
startupper@repubblicadeglistagisti.it

Photo credit: thetaxhaven e Robert Scoble

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