Un collare che permette di mandare in ipotermia i pazienti colpiti da attacco cardiaco, riducendo così i danni cerebrali. Questo il prodotto che sta sviluppando NeuronGuard, start-up fondata a Modena nel maggio del 2013 dal Enrico Giuliani, medico trentaduenne specializzato in anestesia e rianimazione, e Mary Franzese, 28 anni, laureata in Economia aziendale alla Liuc e con un master in Imprenditorialità e strategia aziendale alla Sda Bocconi.
I due soci si sono conosciuti a SeedLab, dove Giuliani è stato selezionato per un periodo di incubazione da giugno a settembre 2013. «Era solo e aveva bisogno di alcune figure consulenziali» ricorda Mary Franzese: «Siamo state selezionate io e un'altra persona. Con Enrico ci siamo trovati bene e, lo scorso mese di ottobre, siamo diventati soci».
L'azienda è una isrl con un capitale sociale da 85mila euro, versato grazie ai risparmi dei due startupper e ad una quota messa a disposizione dalle loro famiglie. Entrambi lavorano a tempo pieno, «ci diamo uno stipendio minimo, che non bruci le nostre disponibilità. Noi due soci prendiamo insieme 1.400 euro netti al mese. E dal 1° dicembre abbiamo inserito due ingegneri elettronici part-time con un contratto a progetto che lavorano da remoto».
Giuliani ha addirittura lasciato il posto in ospedale per realizzare il suo progetto. L'idea per il collare, spiega, nasce dalla sua esperienza lavorativa «ma anche da quella di volontariato sulle ambulanze della Croce Rossa, che mi ha permesso di conoscere le problematiche legate al soccorso extraospedaliero». L'ipotermia, ovvero l'abbassamento della temperatura corporea tra i 36 ed i 32 gradi, è una terapia certificata per i pazienti affetti da infarto. Il problema che NeuronGuard vuole risolvere è quello di «rendere portatili gli strumenti per somministrare questa cura». Facilmente trasportabile sulle ambulanze, il collare è alimentato dall'energia elettrica: «Questo, a differenza di quelli basati su una reazione chimica, permette di somministrare la terapia per un periodo più lungo».
Al momento Neuronguard sta ultimando la prototipazione con un'azienda di Vignola; prima di vedere il prodotto sul mercato, però, ci vorranno dai 24 ai 36 mesi. «Dobbiamo svolgere tutto il percorso regolatorio e quello legato agli studi clinici di validazione. Quindi dobbiamo certificare il dispositivo per ottenere il marchio CE in Europa e la Clearance per gli Stati Uniti». L'idea infatti è quella di confrontarsi da subito con un mercato internazionale.
Ed è anche per questo che ad ottobre hanno partecipato, a Vilnius, al concorso Intel business challenge Europe, arrivando secondi classificati: un risultato che li ha qualificati direttamente per le finali mondiali, e così a novembre i due startupper sono volati nella Silicon Valley. Ma poi hanno deciso di tornare a Modena. «Ce l'hanno consigliato gli stessi americani con cui ci siamo confrontati» spiega Franzese «suggerendoci di proseguire con la ricerca sul territorio modenese, perché tante delle competenze di cui abbiamo bisogno si trovano qui e non altrove». Non solo: «Per sviluppare il nostro progetto abbiamo bisogno di professionalità altamente qualificate, che negli Stati Uniti ci costerebbero molto di più».
Anche in Italia i due giovani imprenditori hanno trovato un terreno fertile per far crescere la loro azienda. «Abbiamo vinto diversi premi che ci hanno dato diritto ad alcuni periodi di incubazione, come “Dall'idea all'impresa” nell'ambito del Marzotto, grazie al quale abbiamo appena terminato un'esperienza di un anno all'interno di I3P a Torino» spiega Giuliani «e siamo stati ammessi ad un finanziamento nell'ambito di un bando per le start-up innovative della regione Emilia Romanga, che sostiene il 60% delle spese di ricerca. Fino ad oggi abbiamo ottenuto contributi per una cifra tra i 50 ed i 60mila euro, più o meno».
Ma un dispositivo medicale come quello che NeuronGuard sta sviluppando non ha attirato l'interesse di qualche venture capitalist? «Abbiamo avuto diversi incontri, che in realtà però sono stati più degli “scontri”» ammette Franzese: «Ci hanno detto che siamo in una fase ancora di early stage, che prima di finanziarci avrebbero voluto dei risultati che confermassero la validità della terapia. Allora abbiamo deciso di mettere in campo le nostre risorse e presentarci di fronte a potenziali investitori con una forza maggiore». Mentre continua lo sviluppo del collare, per il 2015 il primo obiettivo è quello di «dotarci di una sede. Oggi i nostri uffici sono i nostri appartamenti». E chissà che non riescano ad essere la versione modenese dei garage della Silicon Valley.
Riccardo Saporiti
startupper@repubblicadeglistagisti.it
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