Sima Travasso è una giovane neolaureata in design d’interni al Politecnico di Milano. E come tutte le ventiquattrenni vorrebbe entrare nel suo settore professionale, anche grazie a esperienze di stage. Ma finora non ha mai potuto farlo.
Perché Sima, arrivata in Italia dall’India all’età di un anno perché i suoi genitori avevano trovato lavoro qui e cresciuta a Sesto San Giovanni, dove ha studiato dalle elementari alle superiori, ufficialmente non è italiana. La sua lingua madre è l’italiano e Sima non ha nemmeno imparato l’hindi. I suoi amici sono italiani e l’unica caratteristica che la differenzia da loro sono i tratti somatici tipicamente indiani.
Dunque lei si sente, giustamente, italiana a tutti gli effetti. Ma per la legge non lo è. Quando ha compiuto diciotto anni ha dovuto richiedere un permesso per motivi di studio. Finché ha frequentato l’università nessun problema. Ma da quando si è laureata la sua vita è cambiata, paradossalmente in peggio: «Vivo ogni giorno nell’idea che dovrò abbandonare l’Italia, la mia famiglia, la mia città. Un vero incubo».
Dopo la laurea Sima ha avuto un visto provvisorio di sei mesi, quello che si usa chi viene in Italia per cercare lavoro: «Mi hanno spiegato che alla scadenza del visto avrei dovuto dimostrare che stavo lavorando già da tre mesi», racconta. La ragazza aveva anche trovato un’offerta di stage in uno studio di design. Ha sostenuto il colloquio ed è stata presa: «All’inizio in questura mi hanno detto che avremmo potuto prolungare il visto per studi, considerando il tirocinio un’esperienza formativa, ma in seguito hanno ritrattato spiegando che non si poteva».
Da quel momento Sima si è spesa per cercare un vero lavoro, in qualunque settore. «Un’amica di famiglia per venirmi incontro mi ha fatto un contratto da baby sitter e così ho potuto prolungare il permesso di un anno». Se perdesse il lavoro verrebbe comunque mandata immediatamente in India e se tra un anno non avrà un posto fisso la sua sorte sarà la medesima: «Per ora basta che il contratto che duri almeno un anno mentre per ottenere un permesso che dura due anni il contratto deve essere a tempo indeterminato», spiega.
Sima ha richiesto qualche anno fa la cittadinanza italiana ma per quella sta ancora attendendo: «Ci vogliono diversi anni e a me ne mancano ancora almeno due. Se inoltre una volta scaduto il termine non avrò un posto di lavoro fisso la mia pratica verrà congelata». Sany, il fratello ventunenne di Sima, ha avuto più fortuna: è italiano a tutti gli effetti solamente perché è venuto al mondo in Italia, e dunque al compimento dei 18 anni ha potuto richiedere la cittadinanza con una procedura semplificata.
Sima qualche mese fa ha inviato una lettera al prefetto di Milano, che ha risposto semplicemente che avrebbe dovuto trovare lavoro entro tre mesi altrimenti le sarebbe scaduto il visto e sarebbe stata mandata in India.
Il caso di Sima era stato portato agli onori di cronaca dal sito web Italiani di frontiera che ad aprile aveva pubblicato con la collaborazione di Repubblica degli Stagisti un video in cui la ragazza raccontava la sua storia, ripreso anche dal sito dell’Unicef. Il video era riuscito a muovere l’interesse di Monica Chittò, candidata sindaco al comune di Sesto San Giovanni, che aveva promesso che - se fosse stata eletta - avrebbe cercato un modo per risolvere il problema di Sima e porre a livello nazionale la questione dei diritti di cittadinanza negati a giovani italiani figli di immigrati.
Fortunatamente a volte anche nella vita vera il lieto fine esiste. L’amministrazione di Sesto San Giovanni si è mossa quindi in aiuto di Sima: due settimane fa l’assessore alle politiche giovanili, cooperazione internazionale, pace e diritti umani del comune di Sesto San Giovanni Elena Iannizzi ha contattato Sima e l’altroieri, giovedì, le due si sono incontrate. «Si è trattato di un momento molto importante perché siamo riusciti a trovare una risposta fattiva al problema di Sima e gliela abbiamo comunicata».
Sima ha un fratello italiano a tutti gli effetti. La ragazza non sapeva che è possibile chiedere un permesso di soggiorno legato alla parentela con un cittadino: «Quando scadrà il permesso di un anno la accompagneremo in questura per chiedere questo nuovo permesso che può durare due o cinque anni a scelta del richiedente e che soprattutto non è vincolato al lavoro». Il permesso condurrà Sima fino al momento in cui le verrà finalmente riconosciuta la cittadinanza che lei ha richiesto nel 2009 e che le dovrebbe essere concessa dopo cinque o sei anni.
Sima è felice e finalmente ha la possibilità di intraprendere uno stage per accedere al settore professionale dei suoi sogni e sa che potrà rimanere in Italia e costruirsi una vita qui.
L’amministrazione comunale, d’altro canto, specifica che il caso di Sima, nella sua sfortuna, è stato fortunato: «Ci sono tanti giovani cresciuti in Italia che si ritrovano col suo stesso problema e che non hanno parenti italiani: il comune di Sesto cerca di dare una mano a tutti ma non tutti i casi si riescono a risolvere come quello di Sima». E la problematica degli italiani di seconda generazione, sempre più centrale nella nostra società, dovrà prima o poi essere affrontata per adeguare le leggi al buonsenso.
Giulia Cimpanelli
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