Pubblico, cassa integrazione per i giornalisti assunti: ma ancora niente compensi ai collaboratori

Annalisa Ausilio

Annalisa Ausilio

Scritto il 22 Mar 2013 in Approfondimenti

«Cronaca di un giornalicidio». I redattori di Pubblico scelgono questo titolo per raccontare la fine della loro avventura nel quotidiano fondato dal direttore-editore Luca Telese. È il 30 dicembre 2012: il giorno successivo il giornale sarà in edicola per l’ultima volta con un enorme «Grazie» ai lettori in prima pagina. Dopo appena tre mesi da quel 18 settembre in cui si era presentato con il motto «Dalla parte degli ultimi e dei primi», il quotidiano con il logo ispirato a quello della testata francese Libération chiude i battenti. Venti redattori (17 con contratto a tempo indeterminato e 3 a tempo determinato), sei grafici e una settantina di collaboratori esterni perdono il lavoro.
A tre mesi dalla fine delle pubblicazioni i 26 dipendenti, dopo un lungo periodo di incertezza, hanno ottenuto la cassa integrazione: percepiranno dagli 800 ai 900 euro al mese finché non troveranno un nuovo lavoro. Niente lieto fine invece per i giornalisti che hanno collaborato da esterni inviando articoli e reportage: aspettano ancora di essere pagati, e alcuni di loro hanno con il giornale crediti a tre zeri.
Contemporaneamente all'avvio del processo di liquidazione di Pubblico srl, il comitato di redazione (organo di rappresentanza sindacale dei giornalisti), supportato dal sindacato Stampa Romana, ha firmato un mese fa in Regione l’accordo con l’azienda per 24 mesi di cassa integrazione per cessazione di attività, il massimo previsto dal decreto legge 78/2009. «Nei casi in cui una testata chiude lasciando da un giorno all’altro i giornalisti senza lavoro di solito si prevedono due anni» spiega Mariagrazia Gerina, membro del cdr «saremmo stati quindi un unicum se solo per la breve vita di Pubblico, ci avessero dato ammortizzatori sociali ridotti per scoraggiare avventure simili». Una possibilità evitata: «Sarebbe stata una beffa se avessimo dovuto pagare anche in questo modo la fine di questa avventura».
Del resto in questo periodo a partire dalle grandi testate - come il gruppo Rcs che ha messo in atto un piano per 800 esuberi - alle piccole realtà che fanno in conti con la riduzione di vendite e pubblicità, si ricorre in maniera sempre più massiccia a cassa integrazione e prepensionamenti a cui le casse dell’Inpgi (Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani) fanno fronte con fatica crescente. «A un certo punto abbiamo temuto che ci venisse scaricato addosso anche questo problema».
Nonostante l’offerta del finanziere milanese Alessandro Proto di rilevare il giornale, il cdr ha sempre ritenuto di tenere aperto il tavolo della cassa integrazione e di eventualmente revocarlo quando fosse effettivamente subentrato un nuovo editore. Una possibilità che non si è più ripresentata da quando la trattativa con Proto, intenzionato a riportare Pubblico in edicola facendosi carico dei 200mila euro di debiti e investendo 4 milioni, è finita su un binario morto dopo l’arresto del 14 febbraio scorso dell’imprenditore con l’accusa di manipolazione del mercato. La linea editoriale immaginata dal finanziere 38enne, azionista di minoranza di Rcs, lasciava comunque molti perplessi, a iniziare dal direttore di Pubblico. L’idea di un «Fatto Quotidiano di destra» scoraggiava tanti giornalisti che avevano deciso di seguire Telese in un’esperienza editoriale del tutto diversa, lasciando talvolta contratti a tempo indeterminato per rischiare l'avventura in un giornale «di sinistra, progressista, senza finanziamenti pubblici». Dopo una trattativa naufragata che ha sollevato problemi di coscienza, nella cassa integrazione è stata inserita la clausola del «rientro volontario». Nel momento in cui un nuovo editore dovesse farsi avanti, i giornalisti potranno liberamente decidere, in base alla nuova linea editoriale, se tornare o meno al lavoro senza perdere, in caso di rifiuto, l’ammortizzatore sociale.
Ma l’ingresso di un nuovo editore è a questo punto importante anche per un altro motivo: garantirebbe finalmente il pagamento dei collaboratori esterni che da novembre, un mese prima della chiusura del giornale, non hanno più ricevuto compensi. Una settantina di giornalisti che hanno contribuito alla breve vita di Pubblico scrivendo da casa - peraltro il giornale prevedeva compensi di tutto rispetto, variabili tra i 60 e i 150 euro ad articolo. A loro l’azienda deve circa 80mila euro. «I processi di liquidazione sono piuttosto lunghi e non sappiamo quando effettivamente l’azienda salderà questo debito», spiega alla Repubblica degli Stagisti Stella Morgana, rappresentante dei collaboratori in cdr, che il 4 marzo scorso, tramite il sindacato Stampa Romana, ha inviato una lettera di sollecitazione a cui l’azienda non ha risposto. «In ogni sede abbiamo ribadito la posizione di creditori privilegiati dei collaboratori, sono loro i primi a dover essere pagati, questa per noi resta una priorità assoluta» chiarisce Gerina. Ma che lo affermi il cdr è quasi scontato: ben più significativa sarebbe una conferma in questo senso da parte della proprietà. Conferma che finora non è arrivata.
A distanza di tre mesi dalla fine dell’esperienza di Pubblico, continuano gli interrogativi sui motivi che ne hanno determinato la chiusura. Il giornale, nato con un capitale sociale iniziale di 748mila euro, per sopravvivere avrebbe dovuto vendere 8mila copie ma non ha mai toccato neanche la metà. Oltra alla carenza di vendite, i redattori rintracciano in un prezzo di copertina troppo alto (1 euro e mezzo), nell’assenza di una campagna pubblicitaria che precedesse l’esordio del giornale nelle edicole e nella mancanza di un piano B imprenditoriale altri motivi che ne hanno determinato la morte. «Un’analisi chiara sarà possibile solo quando vedremo il bilancio con le voci di spesa dal primo all’ultimo giorno», afferma Gerina.
Terminata l’avventura di Pubblico, i giornalisti cercano di proseguire la professione. Alcuni hanno iniziato collaborazioni o si sono lanciati in altri progetti: la Gerina per esempio, dopo aver lasciato un contratto a tempo indeterminato a L’Unità per seguire l’avventura del giornale di Telese, sta girando come freelance un documentario sulla rinuncia di Ratzinger. Molti dei collaboratori continuano a proporre pezzi ad altre testate, come la Morgana che, dopo aver lavorato come advisor durante la campagna elettorale, firma articoli e reportage su diverse riviste.
«Nonostante la soddisfazione dopo l’accordo per la cassa integrazione» dice Paola Natalicchio, anche lei membro del cdr «alla fine di questa esperienza resta una cicatrice professionale, l’amarezza di tanti che hanno rinunciato a un posto di lavoro sicuro per portare il loro contributo nelle pagine di Pubblico: il giornale dalla parte degli ultimi e dei primi». Prima però di chiudere senza pagare i collaboratori.

Annalisa Ausilio


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